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The Lost Treasures
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GLI ORRORI DI OMEGA - Robert Sheckley

Foreword: different translations are hereby provided, each one by a different author, a different cultural environment, a different historical period. Layout and spacing match the original printout, explanatory notes have been also preserved. Some chapters have been heavily modified/censored/integrated during the translation process. Please always refer to the english original version, in case.

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I / II / III / IV / V / VI / VII / VIII / IX / X / XI / XII / XIII / XIV / XV / XVI / XVII / XVIII / XIX / XX / XXI / XXII / XXIII / XXIV / XXV / XXVI / XXVII / XXVIII / XXIX / XXX

Capitolo I

Riprendere conoscenza fu lento e doloroso. Come compiere un viaggio attraverso i tempi. Sognò. Gli parve di risvegliarsi da un sonno pesante e di uscire dall'immaginario inizio del tutto. Dal fango primordiale si sollevò uno pseudopodio, e quello pseudopodio era lui. Divenne un'ameba che conteneva tutta la sua essenza, poi un pesce distinto dalla sua particolare individualità, quindi una scimmia differente da tutte le altre scimmie. E alla fine divenne un uomo. Che tipo di uomo? Si vide in modo confuso. Era senza volto, aveva una clava stretta nella mano, e un cadavere ai suoi piedi. Quello era il tipo di uomo.
Si svegliò. Si passò le dita sugli occhi e rimase in attesa di altri ricordi. Ma non vennero. Neppure quello del suo nome.
Di scatto si mise a sedere e cercò di forzare il ritorno della memoria. Quando si accorse di non riuscirci, guardò attorno quasi cercando negli oggetti che lo circondavano qualcosa che gli permettesse di identificarsi. Si trovava seduto su di un letto, in una stanza grigia e angusta. Da un lato, una porta chiusa. Di fronte, attraverso una tenda poté vedere una piccola stanza da bagno. La luce che illuminava il locale proveniva da una sorgente nascosta, forse era il soffitto stesso che emanava il chiarore. E nella stanza c'erano soltanto il letto e una sedia.
Appoggiò il mento alla mano e chiuse gli occhi. Cercò di catalogare tutto quello che sapeva, e di trarne una conclusione. Sapeva di essere un maschio della specie Homo Sapiens, e di essere un abitante della Terra. Parlava una lingua, e sapeva che questa era definita inglese. Significava forse che c'erano altre lingue? Era a conoscenza di definizioni comuni: stanza, luce, sedia. Possedeva inoltre limitate conoscenze generiche. Era conscio dell'esistenza di molte altre cose importanti che lui ora ignorava ma che una volta aveva sapute.
"Mi deve essere successo qualcosa".
Quel qualcosa avrebbe potuto essere peggiore. Se fosse andato un po' oltre, avrebbe fatto di lui una creatura senza mente, senza parola, ignara della sua essenza umana, di essere un uomo, una creatura della Terra. Invece gli era stata lasciata una certa coscienza.
Ma quando cercò di ricordare oltre le cognizioni basilari rimaste nel suo cervello, si trovò di fronte a una zona oscura e piena di orrori. "Vietato l'ingresso". L'esplorazione nella sua mente poteva rivelarsi pericolosa come un viaggio verso... Verso dove? Non poté trovare un'analogia. Anche se sospettava che dovesse essercene una.
"Devo essere stato ammalato".
Era la sola spiegazione ragionevole. Adesso era un uomo che doveva riordinare i ricordi. Una volta doveva aver saputo tutte quelle cose che ora poteva soltanto dedurre dal suo scarso bagaglio di cognizioni. Una volta doveva aver avuto chiare immagini di uccelli, alberi, amici, famiglia, della sua posizione, e forse di una moglie. Ora non poteva far altro che costruire teorie. Una volta doveva essere in grado di dire: "questo è molto simile a..." oppure: "questo mi ricorda...". Ora, niente gli richiamava dei ricordi. Tutto era semplicemente fine a se stesso. Aveva perso ogni potere di critica o di paragone. E non poteva analizzare il presente paragonandolo alle esperienze del passato.
"Questo dev'essere un ospedale".
Certo. Lo stavano curando. Abili dottori lo avevano certamente in cura per restituirgli la memoria, per ridargli un'identità, per risvegliare il suo senso critico, per dirgli chi era e quale fosse la sua professione. Era un'opera altamente meritoria, quella che stavano compiendo. Lacrime di gratitudine gli scesero dagli occhi. Si alzò, e prese a camminare lentamente per la stanza. Si avvicinò alla porta e scoprì che era chiusa. Per alcuni istanti fu vittima del panico, ma si sforzò di controllarsi. Forse la porta chiusa era una precauzione. Forse aveva avuto una crisi di violenza. Be', non sarebbe più successo. Ne avrebbe convinto i medici. Dovevano concedergli tutti i possibili privilegi del paziente. Ne avrebbe parlato col suo medico curante.
Aspettò. Dopo parecchio tempo udì dei passi avvicinarsi lungo il corridoio, dietro la porta. Si mise a sedere sulla sponda del letto e rimase in ascolto, cercando di vincere l'eccitamento che lo aveva preso. I passi si fermarono proprio dietro la sua porta. Poi il battente si aprì e nel riquadro comparve il volto di un uomo.
«Come vi sentite?» domandò lo sconosciuto.
Lui si avvicinò alla porta e osservò l'uomo. Indossava un'uniforme bruna. Dopo un attimo d'incertezza, riconobbe l'oggetto che pendeva dalla cintura della divisa: un'arma. Quell'uomo doveva essere una guardia.
«Potete dirmi come mi chiamo?» chiese alla fine.
«Quattrocentodue» rispose la guardia. «È il numero della vostra cella».
Non gli piaceva. Ma 402 era meglio che niente.
«Sono stato ammalato per molto tempo?» chiese ancora. «Sto meglio, adesso?»
«Sì» rispose la guardia, senza convinzione. «La cosa importante è che stiate tranquillo. Obbedite agli ordini. È l'atteggiamento migliore».
«Certo» disse 402. «Ma perché non mi ricordo niente?»
«Di solito succede così» disse la guardia. Poi si voltò per allontanarsi. 402 lo chiamò.
«Aspettate! Non potete lasciarmi così. Dovete dirmi qualcosa. Cosa mi è successo? Perché sono in quest'ospedale?»
«Ospedale?» La guardia si voltò verso 402 e rise. «Cosa vi ha fatto pensare che questo sia un ospedale?»
«L'ho immaginato».
«Avete immaginato male. Questa è una prigione».
402 ricordò il sogno dell'uomo assassinato. Sogno o ricordo? Disperato, tornò a chiamare la guardia.
«Di che cosa sono accusato? Cosa ho fatto?»
«Lo saprete» disse la guardia.
«Quando?»
«Dopo che saremo atterrati. Ora tenetevi pronto per l'adunata».
Si allontanò. 402 tornò a sedere sul letto e si mise a pensare. Aveva imparato alcune cose nuove. Quella era una prigione, e la prigione stava per atterrare. Cosa significava? Perché una prigione doveva atterrare? E che cos'era un'adunata?

402 ebbe solo un'idea confusa di quello che accadde dopo. Passò un periodo di tempo incalcolabile, durante il quale lui continuò a rimanere seduto, cercando di ricordare tutti i fatti che lo riguardavano. A un tratto ebbe l'impressione che un campanello suonasse. Poi la porta della cella si apri. Perché?
402 si avvicinò, e sporse la testa nel corridoio. Era ansioso, ma non volle uscire subito dalla cella in cui si sentiva sicuro. Rimase ad aspettare. Poi una guardia lo raggiunse.
«Avanti» disse la guardia «nessuno vi farà del male. Andate fino in fondo al corridoio».
Lo spinse gentilmente, e 402 cominciò ad avanzare. Vide altre porte aperte e altri uomini che ne uscivano. Erano in pochi all'inizio. Poi, lentamente, una folla si stipò nello stretto passaggio. La maggior parte di quegli uomini aveva un'espressione atterrita e nessuno parlava. Le uniche voci che si udivano erano quelle delle guardie.
«Andate avanti. Fino in fondo al corridoio... Andate avanti...»
Furono fatti entrare in un grande auditorio circolare. Guardandosi attorno, 402 vide un palco che si estendeva per tutta la lunghezza della stanza, e sopra, a intervalli regolari, uno schieramento di guardie. La loro presenza sembrava inutile. Gli uomini impauriti non erano certo in grado di iniziare una rivolta. Tuttavia, così gli sembrò di capire, quelle guardie dal volto arcigno avevano un valore psicologico. Dovevano ricordare a quegli uomini appena risvegliati il fatto più importante della loro vita: che erano prigionieri. Dopo qualche minuto un uomo con un'uniforme molto semplice si affacciò al palco. Sollevò una mano per attirare l'attenzione. Ma non ce ne sarebbe stato bisogno: tutti gli uomini riuniti nella sala lo stavano già fissando. Poi, nonostante l'assenza di microfoni visibili, si udì la sua voce rimbombare nell'auditorio.
«Ora vi darò alcune istruzioni» disse. «Ascoltate attentamente, e cercate di capire quello che vi dirò. Sono fatti che avranno molta importanza per le vostre esistenze».
I prigionieri rimasero con gli occhi fissi su di lui.
«Tutti voi» continuò l'uomo «vi siete risvegliati in queste ultime ore nelle vostre celle. Avete scoperto di non ricordare niente di quello che vi riguarda. Neppure il vostro nome. Siete solo in possesso di un piccolo bagaglio di conoscenze generali necessarie a mantenervi in contatto con la realtà.
«Io non voglio aumentare quelle che sono le vostre conoscenze. Tutti voi, sulla Terra, eravate pericolosi criminali. Eravate esseri della peggior specie, individui che avevano perso ogni diritto alla considerazione dello Stato. In un'epoca meno illuminata sareste stati condannati a morte. Oggi venite deportati».
L'oratore sollevò una mano per zittire il mormorio che si era levato nell'auditorio.
«Tutti voi» continuò «siete dei criminali. E tutti avete una cosa in comune: l'incapacità di ubbidire alle regole basilari della società umana. Queste regole sono necessarie allo sviluppo di una civiltà. Infrangendole, voi avete commesso un crimine contro tutta l'umanità. Di conseguenza l'umanità vi ha respinto. Siete della limatura nella macchina della civiltà, e siete stati mandati in un mondo in cui sarete padroni della vostra sorte. Qui voi potrete stabilire delle regole vostre, e morire per loro. Qui troverete quella libertà che avete cercato con ogni mezzo: la incontenibile e autodistruttrice libertà di un processo canceroso».
Si passò una mano sulla fronte e rimase un attimo in silenzio a guardare i prigionieri.
«Forse» disse ancora «per alcuni di voi è possibile una riabilitazione. Omega, il pianeta verso cui siamo diretti, è il vostro pianeta. Un mondo governato interamente dai prigionieri. Un mondo sul quale potrete ricominciare la vostra vita, dove non ci saranno pregiudizi contro di voi. Le vostre vite passate sono state dimenticate. Non cercate di ricordarle. Scoprire il passato servirebbe solo a stimolare di nuovo le vostre tendenze criminali. Pensate di essere nati nel momento in cui vi siete risvegliati nelle vostre celle».
Le parole lente e misurate di quell'uomo avevano un certo potere ipnotico. 402 ascoltò senza mai distogliere gli occhi dalla fronte bianca dell'oratore.
«Un nuovo mondo» riprese. «Voi siete rinati... però con la necessaria coscienza del male. Senza di questa, voi sareste incapaci di combattere la parte peggiore che è in tutte le vostre personalità. Ricordatelo. Ricordate inoltre che per voi non vi sarà alcuna possibilità di fuga e di ritorno sulla Terra. Scafi armati con le armi più moderne pattugliano il cielo di Omega notte e giorno. E questi scafi sono incaricati di distruggere qualsiasi cosa si innalzi oltre centocinquanta metri dalla superficie del pianeta... È una barriera che nessun prigioniero riuscirà mai a superare. Pensateci. Pensate a ciò che vi ho detto. Sarà la base per le norme che devono governare le vostre vite. E ora preparatevi ad atterrare».
L'oratore si allontanò, ma per alcuni istanti i prigionieri continuarono a tenere gli occhi fissi al palco. Poi, lentamente, si levò un mormorio generale. Ma cessò quasi subito. Non sapevano di che cosa parlare. Senza il ricordo del passato, non potevano parlare del futuro. E non potevano parlare di se stessi, perché le loro personalità erano appena affiorate, e in modo indefinito. Rimasero seduti in silenzio. Sul balcone le guardie erano immobili come statue, lontane e impersonali. Poi un leggero tremito cominciò a far vibrare il pavimento dell'auditorio.
Il tremito si ripeté una seconda volta, poi divenne una vibrazione continua, 402 si sentì diventare più pesante, come se un peso invisibile gli stesse premendo sul collo e sulle spalle. Una voce scaturì da un altoparlante.
«Attenzione! Lo scafo sta atterrando su Omega. Fra poco sbarcheremo».

Le vibrazioni cessarono, e il pavimento sotto i loro piedi ebbe un ultimo sobbalzo. I prigionieri, sempre stupiti e in silenzio, vennero fatti disporre in lunga fila, e cominciarono a uscire dall'auditorio. Sempre scortati dalle guardie percorsero un corridoio che sembrava interminabile. Da ciò, 402 cominciò ad avere un'idea della grandezza dello scafo. Molto lontano poté vedere un raggio di sole che entrava dal portello spalancato per permettere ai prigionieri di scendere a terra. Quando venne il suo turno, 402 uscì dal portello e cominciò a scendere una lunga scala. E alla fine si trovò con i piedi sul terreno solido. Le guardie stavano disponendo in fila i prigionieri già sbarcati, e tutto attorno 402 poté vedere una folla di curiosi che li stava osservando. La voce di un altoparlante ruppe il silenzio.
«Rispondete quando il vostro numero verrà chiamato. Vi verrà rivelata la vostra identità. Rispondete immediatamente quando verrete chiamati...»
402 si sentiva debole e stanco. Neppure il fatto di poter sapere il suo nome lo interessava. Desiderava solo sdraiarsi, dormire, essere lasciato in pace a pensare alla sua situazione. Si guardò attorno, e fissò distrattamente l'immensa mole dello scafo che si innalzava alle sue spalle, le guardie, la folla degli spettatori. In alto, contro l'azzurro del cielo, notò dei piccoli punti neri che si muovevano rapidamente. Pensò che fossero uccelli, poi, osservandoli meglio, si rese conto che erano astronavi. Ma il fatto non lo interessò particolarmente.
«Numero 1. Rispondete».
«Presente» gridò una voce.
«Numero 1. Il vostro nome è Wayn Southholder. Anni 34. Sangue tipo A-L2, Indice AR-431-C. Colpevole di tradimento».
Quando la voce tacque, un vocio si levò dalla folla. Stavano commentando favorevolmente i precedenti del prigioniero e gli davano il benvenuto su Omega. I nomi della lista vennero letti lentamente. 402, insonnolito sotto la luce del sole, sonnecchiava in piedi, e ascoltava il lungo elenco di omicidi, di furti, di deviazioni, di mutantismo. Poi, alla fine, sentì pronunciare il suo numero.
«Numero 402».
«Presente».
«Numero 402. Il vostro nome è Will Barrent. Anni 27. Sangue tipo 0L3, Indice JX-221-R. Colpevole di omicidio».
La folla applaudì, ma 402 quasi non se ne accorse. Stava cercando di abituarsi all'idea di avere un nome. Un vero nome anziché un numero. Will Barrent. Sperò di non dimenticarlo mai. E se lo ripeté più e più volte, senza quasi più ascoltare la voce che parlava dall'altoparlante.
«I nuovi arrivi verranno ora lasciati su Omega. Temporaneamente saranno alloggiati nel blocco A-2. Siate cauti e circospetti con le parole e con le azioni. Osservate, ascoltate, e imparate. La legge mi impone di dirvi che il periodo medio di vita su Omega è di circa tre anni terrestri».
Ci volle un po' perché le ultime parole provocassero un certo effetto in Barrent. Stava ancora considerando la novità di avere un nome. E non aveva ancora pensato cosa significasse essere un assassino abbandonato su un pianeta abitato da criminali.

Capitolo II

I nuovi prigionieri vennero condotti verso la fila di baracche che formavano il blocco A-2. Erano circa cinquecento. Ma non si poteva dire che fossero degli uomini. Erano piuttosto delle entità, i cui ricordi si estendevano appena a un'ora prima. Seduti sui loro sgabelli, i nuovi nati si guardarono curiosamente il corpo, e presero a osservare con interesse le mani e i piedi. Poi si fissarono, e negli occhi degli altri videro riflessi i loro volti. Non erano uomini, ma non erano neppure dei bambini. Certe astrazioni e lo spettro dei ricordi erano rimasti. La maturazione venne rapidamente. I nuovi uomini si afferrarono ai vaghi ricordi di concetti, di idee, di regole. E dopo poche ore, la flemmatica passività cominciò a svanire. Stavano diventando uomini. Individui. Fuori dalla nebbia di una uniformità superficiale, cominciarono a emergere le differenze. I caratteri stessi si riaffermarono, e i cinquecento uomini cominciarono a scoprire come erano. Will Barrent si mise in fila per andare a guardarsi nello specchio della baracca. Quando venne il suo turno vide riflesso il volto sottile di un giovane di piacevole aspetto, dai capelli castani. Era una faccia onesta e decisa, non segnata da alcuna forte passione. Barrent tornò via, deluso: quella era la faccia di uno sconosciuto.
Più tardi, esaminandosi attentamente, non trovò sul suo corpo niente, né una cicatrice né alcun altro segno che lo potesse distinguere da migliaia di altri corpi. Le sue mani erano senza calli.
Il corpo, magro. Si chiese quale genere di lavoro avesse potuto svolgere sulla Terra.
L'assassinio?
Corrugò la fronte. Non era pronto ad accettare questa realtà. Qualcuno gli mise una mano sulla spalla.
«Come vi sentite?»
Barrent si volse verso l'uomo dalle spalle massicce e dai capelli rossi che gli stava accanto.
«Abbastanza bene» rispose. «Eravate in fila dietro di me, vero?»
«Esatto. Sono il numero 401. Mi chiamo Danis Foeren».
Barrent si presentò.
«Qual è il vostro delitto?» chiese Foeren.
«Assassinio».
Foeren scosse la testa. Sembrava impressionato.
«Io sono un falsario. Non lo si direbbe, a guardarmi le mani» disse, sollevando le due grosse zampe cosparse di peli rossicci. «Ma sono molto abili. Le mie mani hanno ricordato prima di me. Stillo scafo, stavo seduto nella mia cella e le osservavo. Si struggevano. Volevano essere libere di fare qualcosa. Però il resto di me non riusciva a ricordare cosa».
«E allora, cosa avete l'atto?» domandò Barrent.
«Ho chiuso gli occhi e ho lasciato che le mani prendessero l'iniziativa» rispose Foeren. «Per prima cosa mi sono accorto che stavano cercando di aprire la serratura della cella». Tornò a sollevare le mani, e le guardò, pieno di ammirazione.
«Aprire la serratura?» ripeté Barrent. «Mi pareva di aver capito che foste un falsario».
«Be', certo» rispose Foeren «quella del falsario era la mia specialità. Ma un paio di mani abili possono fare quasi tutto. Penso di essere stato preso per falso, ma avrei benissimo potuto essere anche uno scassinatore. Le mie mani sanno troppe cose per essere semplicemente quelle di un falsario».
«Avete scoperto su di voi più di quanto io sia riuscito a scoprire su di me» disse Barrent. «Come punto di partenza, io ho soltanto un sogno».
«Be', è già qualcosa» commentò Foeren. «Ci dev'essere il mezzo per scovar fuori il resto. Ora la cosa importante è che siamo su Omega».
«Certo» rispose Barrent cupo.
«Non possiamo lamentarci» continuò Foeren. «Avete sentito quello che ha detto quell'uomo? Questo è il nostro pianeta».
«Con una media di vita di tre anni terrestri» gli ricordò Barrent.
«Probabilmente è un discorso fatto per metterci paura» disse Foeren.
«Non voglio credere alle parole di una guardia. La cosa importante è che siamo su un nostro pianeta. Avete sentito quello che ha detto? "La Terra vi rifiuta". La Terra! Ma chi ne sente la nostalgia? Noi abbiamo un nostro pianeta. Un intero pianeta, Barrent! Siamo liberi!»
«Hai ragione, amico» esclamò un piccoletto che stava lì accanto. «Mi chiamo Joe. Il nome dovrebbe essere Joao, però preferisco la forma arcaica che mi ricorda tempi migliori. Dovete scusare, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione. Sono pienamente d'accordo con il signore dai capelli rossi. Considerate tutto! La Terra ci ha messo da parte? Ottimo. Stiamo meglio senza di lei. Qui siamo tutti uguali. Uomini liberi in una libera società. Niente uniformi, niente guardie, niente soldati. Solo criminali pentiti che desiderano vivere in pace».
«Per cosa siete stato condannato?» si informò Barrent.
«Hanno detto che ero un truffatore» disse Joe. «È vergognoso, ma devo ammettere che non ricordo cosa sia un truffatore. Ma è probabile che mi torni in mente».
«Forse le autorità hanno qualche sistema per far rinascere i ricordi» osservò Foeren.
«Autorità?» esclamò Joe, in tono indignato. «Perché dite autorità? Questo è il nostro pianeta. Qui siamo tutti uguali. Non ci possono essere autorità. No, amici, abbiamo lasciato tutti questi controsensi sulla Terra. Ora noi...»
Si interruppe di scatto. La porta della baracca si era spalancata per lasciar entrare uno sconosciuto. Evidentemente si trattava di un vecchio residente del pianeta, perché non vestiva la grigia uniforme dei prigionieri. Era grasso, e indossava uno stravagante vestito giallo e blu. Intorno alla sua ampia vita portava una cintura alla quale era attaccato il fodero di una pistola, e un coltello. Si fermò sulla soglia, e portate le mani ai fianchi prese a osservare i nuovi arrivati.
«Be'?» disse. «Non riconoscete un Questore? In piedi!»
Nessuno degli uomini si mosse.
La faccia del ciccione divenne scarlatta.
«Credo di dovervi insegnare ad avere un po' di rispetto».
Ma ancor prima che avesse potuto togliere la pistola dal fodero tutti i nuovi arrivati erano balzati in piedi. Il Questore li guardò con una certa aria di rincrescimento, e ricacciò la pistola nel fodero.
«La prima cosa che dovete mettervi bene in testa» disse «è la vostra condizione sociale. Voi siete dei peoni, il che significa che non siete niente». Aspettò un attimo poi riprese: «Ora state attenti, peoni. Vi dirò quali sono i vostri doveri».

Capitolo III

«La prima cosa che voi nuovi arrivati dovete ricordare» continuò il Questore «è ciò che siete. Questo è molto importante. Ora lo ripeterò. Siete dei peoni. Siete inferiori agli infimi ranghi. Siete senza posizione sociale. Sotto di voi non ci sono che i mutanti, ma questi non sono veri esseri umani. Qualche domanda?»
Il Questore tacque, in attesa. Poi, vedendo che nessuno gli rivolgeva domande, riprese a parlare.
«Vi ho detto quello che siete voi. Ora cercherò di spiegarvi ciò che sono gli abitanti di Omega. Prima di tutto, chiunque è più importante di voi. Però alcuni sono più importanti di altri. Sopra di voi c'è il Residente. Viene tenuto in considerazione poco più di uno di voi. Poi c'è il Libero Cittadino. Lui porta l'anello grigio, che distingue la sua posizione sociale, e veste di nero. Ma anche lui non è molto importante, comunque molto più di voi. Con un po' di fortuna alcuni di voi riusciranno a diventare Liberi Cittadini».
«Poi ci sono le Classi Privilegiate. Tutte sono distinte da vari simboli di riconoscimento a seconda del rango. Orecchini d'oro, ad esempio, per la classe Hadji. Imparerete a conoscere quali sono i vari segni che distinguono le varie classi e i gradi. Poi ci sono i preti. Questi, anche se non appartengono a una classe privilegiata, godono certe immunità e diritti. Mi sono spiegato?»
Nella baracca si levò un mormorio di assenso.
«Ora vi dirò come vi dovrete comportare quando vi incontrerete con qualcuno di grado superiore» riprese il Questore. «Come peoni, voi siete obbligati a parlare con un Libero Cittadino in maniera rispettosa, e a chiamarlo con il titolo che gli spetta. Con quelli delle Classi Privilegiate, come gli Hadji, voi parlerete solo quando vi verrà rivolta la parola, e dovrete rimanere con gli occhi rivolti a terra e con le mani unite di fronte a voi. Non dovrete allontanarvi da un Cittadino Privilegiato fin quando lui non ve ne darà il permesso. In nessuna occasione dovrete sedere in sua compagnia. Avete capito? Ci sono molte altre cose da imparare. La mia carica di Questore, per esempio, appartiene alla classe dei Liberi Cittadini, tuttavia gode di certe prerogative dei Privilegiati».
Il Questore fissò attentamente gli uomini per essere certo che avessero capito.
«Queste baracche sono la vostra dimora temporanea. Ho preparato un ordine del giorno per designare gli uomini che devono spazzare, lavare e così via. In qualsiasi momento vi potrete rivolgere a me. Ma le domande stupide o impertinenti verranno punite con la mutilazione o con la morte. Ricordate sempre che siete la parte infima della società. Se lo terrete a mente, riuscirete a stare in vita».
Il Questore rimase in silenzio per alcuni istanti.
«Fra qualche giorno» disse alla fine «vi verranno assegnati incarichi diversi. Alcuni di voi verranno mandati alle miniere di germanio, altri sulla flotta da pesca, e così via. Nel frattempo siete liberi di girare per Tetrahyde».
Vedendo che gli uomini lo fissavano con espressione interrogativa, il Questore spiegò: «Tetrahyde è il nome della nostra città. È la più grande di Omega. In effetti, è la sola città di questo pianeta».
«Cosa significa Tetrahyde?» chiese Joe.
«Come faccio a saperlo?» rispose il Questore in modo brusco. «Penso che sia uno di quei vecchi nomi della Terra a cui gli studiosi ogni tanto ritornano. A ogni modo state molto attenti quando entrate nella città».
«Perché?» chiese Barrent.
«Peone» disse il Questore, mettendosi a ridere «questo lo scoprirai da solo». Poi si voltò, e uscì dalla baracca.
Barrent si avvicinò alla finestra. Da lì poteva vedere la grande piazza deserta, e, oltre la piazza, le strade della città.
«Pensate di uscire?» chiese Joe.
«Certo» rispose Barrent. «Venite con me?»
Il truffatore scosse la testa.
«Non credo che sia prudente».
«Foeren, voi cosa dite?»
«Non mi attira. Penso che sia meglio restare nelle vicinanze della baracca, almeno per un po'».
«Ma è ridicolo!» esclamò Barrent. «Questa è la nostra città. Nessuno vuole venire con me?»
Foeren si strinse nelle spalle e scosse la testa. Joe lo imitò, e si sdraiò sulla sua brandina. Tutti gli altri non sollevarono neppure lo sguardo.
«Va bene» disse Barrent alla fine. «Vi farò un rapporto più tardi».

La città di Tetrahyde era un agglomerato di edifici disposti irregolarmente lungo una stretta penisola bagnata da un pigro mare grigio. La parte della penisola attaccata alla terra era protetta da un alto muro di pietra, in cui si aprivano diversi cancelli guardati da sentinelle. Il più grande edificio della città era l'Arena, che veniva usata una volta all'anno per i giochi. Accanto all'Arena si ammassavano i palazzi governativi. Barrent si inoltrò per le strade, guardandosi attorno, e cercando di farsi un'idea di quella che sarebbe stata la sua nuova patria. Le strade tortuose, non lastricate, e buie, le case logorate dal tempo gli richiamavano qualcosa alla memoria. Aveva visto un posto simile sulla Terra, ma non poté ricordare altro. Oltrepassò l'Arena e raggiunse il quartiere degli affari di Tetrahyde. Affascinato, cominciò a leggere le varie insegne. "Dottore non autorizzato - interventi illeciti". E più avanti: "Avvocato radiato". Tutto ciò sembrava a Barrent vagamente sbagliato. Passò di fronte a negozi che propagandavano la vendita di oggetti rubati, e si trovò di fronte a una insegna che annunciava: "Lettura della mente! Rivelato il vostro passato sulla Terra!". Fu tentato di entrare. Ma ricordò di non avere soldi, e Omega sembrava un posto in cui il denaro era tenuto in molta considerazione. Svoltò in una traversa, e dopo essere passato di fronte a diversi ristoranti raggiunse un fabbricato su cui spiccava l'insegna: "Istituto dei veleni. (Facilitazioni di pagamento fino a tre anni. Soddisfazione garantita)". Sulla porta accanto spiccava l'insegna: "Ordine degli assassini. Sezione 452". Sulla base delle spiegazioni avute sull'astronave, Barrent aveva pensato che Omega fosse stato destinato alla riabilitazione dei criminali. A giudicare dalle insegne non era affatto così. A meno che questa riabilitazione non avvenisse in una forma del tutto strana. Riprese a camminare lentamente, immerso nei suoi pensieri. Poi si accorse che la gente lo evitava. Lo guardavano, e subito sparivano nelle porte delle case e dei negozi. Una vecchia lo fissò e fuggì di corsa. Era forse per la sua uniforme di prigioniero? No, gli abitanti di Omega dovevano averne viste tante. Perché allora?
La strada era quasi deserta. Accanto a lui un negoziante stava rapidamente abbassando la saracinesca di metallo sulla vetrina.
«Che cosa succede?» chiese Barrent.
«Siete impazzito?» rispose il negoziante. «È il Giorno dell'Atterraggio!»
«Come dite?»
«Giorno dell'Atterraggio!» ripeté il negoziante. «Il giorno dell'arrivo dello scafo penitenziario. Tornate alle baracche, idiota!»
Abbassò del tutto la saracinesca e sprangò dall'interno. Barrent si sentì improvvisamente percorrere da un brivido di paura. C'era veramente qualcosa che non andava. Meglio tornare indietro di corsa. Era stato uno stupido a non chiedere quali fossero gli usi degli abitanti di Omega prima di... Vide tre uomini che dal fondo della strada gli si stavano avvicinando. Erano ben vestiti, e all'orecchio sinistro portavano l'orecchino d'oro degli Hadji. E tutti e tre avevano una pistola alla cintura. Barrent cercò di allontanarsi, ma uno di loro si mise a gridare:
«Fermati, peone!»
Barrent vide che la mano dell'uomo si era posata sulla pistola e si fermò.
«Desiderate?»
«È il Giorno dell'Atterraggio» disse il Privilegiato. Poi guardò gli amici.
«Bene, chi è il primo?»
«Facciamo a sorte».
«Ecco una moneta».
«No, facciamo a morra».
«Pronti? Uno, due, tre!»
«È mio!» esclamò l'Hadji alla sinistra, e mentre toglieva la pistola dal fodero i suoi amici si fecero indietro di alcuni passi.
«Un momento» gridò Barrent. «Cosa state facendo?»
«Sto per spararti».
«Perché?»
L'uomo sorrise: «È un privilegio degli Hadji. In ogni Giorno dell'Atterraggio noi possiamo sparare ai peoni che lasciano l'area delle baracche».
«Ma non mi è stato detto».
«È logico. Se vi avessero avvisati, nessuno avrebbe lasciato le baracche in questo giorno. E il divertimento sarebbe mancato».
Prese la mira.
Barrent reagì immediatamente. Si lasciò cadere a terra nell'istante in cui l'Hadji sparò, udì il fischio e vide il proiettile colpire la parete di mattoni all'altezza esatta in cui si era trovato poco prima.
«Tocca a me» disse uno degli altri due.
«Mi dispiace, vecchio mio, ma credo che sia il mio turno».
«L'anzianità ha i suoi privilegi, amico. Fatti in là».
Prima che l'uomo potesse prendere la mira, Barrent si era alzato e aveva incominciato a correre. Le curve della strada per il momento lo proteggevano, però poteva udire alle sue spalle i passi degli inseguitori. Stavano correndo senza impegnarsi troppo, come se fossero assolutamente sicuri di poter raggiungere la loro preda. Barrent cercò di accelerare l'andatura e voltò in una strada laterale, ma subito capì di aver fatto un errore. La strada era senza sbocco. E gli Hadji si stavano avvicinando. Barrent si guardò attorno, disperato. Tutti gli ingressi dei negozi erano sbarrati. Nessun posto in cui potersi nascondere.
Poi vide una porta aperta, a circa metà isolato, nella direzione da cui sarebbero arrivati i suoi inseguitori. Era passato davanti a quella porta senza notarla. E sulla porta spiccava una targa con la scritta: "Società Protezione delle Vittime". È per me, pensò Barrent.
Si lanciò di scatto in quella direzione passando quasi sotto il naso degli Hadji sbigottiti. Venne sparato un colpo, ma ormai Barrent aveva raggiunto la porta e si era rifugiato nell'edificio. Si fermò un istante. I tre uomini non l'avevano seguito, però poteva ancora udire le loro voci. Stavano amichevolmente discutendo le questioni di precedenza.
Si rese conto di essere entrato in una specie di rifugio inviolabile. Si trovava in una grande sala molto illuminata. Accanto alla porta parecchi uomini cenciosi stavano ridendo tra loro. Poco discosto, una ragazza dai capelli neri fissò Barrent con grandi occhi verdi. Sul fondo, una scrivania dietro cui era seduto un uomo. Poi questi gli fece cenno di avvicinarsi. Barrent lo raggiunse. Lo sconosciuto era piccolo, e sorrideva in modo incoraggiante, in attesa delle parole di Barrent.
«Questa è la "Società Protezione delle Vittime"?» domandò il giovane.
«Esatto» rispose l'uomo. «Io sono Rondolp Frendlyer, presidente di questa società benefica. Posso esservi utile?»
«Credo proprio di sì» rispose Barrent. «Praticamente sono una vittima».
«L'ho capito non appena vi ho visto» disse Frendlyer sorridendo. «Avete senz'altro l'aspetto di una vittima, un misto di paura e di indecisione, con un pizzico di vulnerabilità. Non ci si può sbagliare».
«Molto interessante» brontolò Barrent, guardando verso la porta, e chiedendosi per quanto tempo ancora quel rifugio sarebbe stato rispettato. «Signor Frendlyer, io non sono membro della vostra organizzazione...»
«Non ha importanza» disse Frendlyer. «L'unirsi a noi è cosa necessariamente spontanea. Si viene quando sorge l'occasione. Il nostro scopo è quello di proteggere i diritti inalienabili di tutte le vittime».
«Sì, certo. Be', ci sono tre uomini fuori da quella porta, che cercano di uccidermi».
«Capisco» sussurrò Frendlyer. Poi aprì un cassetto e prese un grosso libro. Sfogliò rapidamente le pagine fino a trovare quello che cercava. «Ditemi, avete accertato il rango di quegli uomini?»
«Credo che siano degli Hadji» rispose Barrent. «Tutti e tre hanno un orecchino d'oro all'orecchio sinistro».
«Esatto» approvò Frendlyer «e oggi è il Giorno dell'Atterraggio. Voi siete sceso dallo scafo che è giunto oggi e siete stato classificato peone, vero?»
«Sì, è così».
«Allora sono felice di dirvi che tutto è in regola. La caccia del Giorno dell'Atterraggio termina al calar del sole. Potete uscire di qui felice di sapere che tutto si svolge secondo le regole, e che i vostri diritti non sono stati violati».
«Uscire di qui? Dopo il calar del sole, vorrete dire».
Il signor Frendlyer scosse la testa e sorrise.
«Spiacente. Secondo quello che dice la legge, voi dovete uscire di qui immediatamente».
«Ma mi uccideranno!»
«Questo è vero» rispose Frendlyer. «Sfortunatamente non c'è niente da fare. Vittima, per definizione, è chi sta per essere ucciso».
«Pensavo che questa fosse una organizzazione protettiva» protestò Barrent.
«Lo è. Ma noi proteggiamo i diritti, non le vittime. I vostri diritti non sono stati violati. Gli Hadji, se lasciate la zona delle baracche il Giorno dell'Atterraggio, hanno il diritto di uccidervi in qualsiasi momento, prima del calar del sole. Voi, posso aggiungere questo, avete il diritto di uccidere chiunque vi voglia sopprimere».
«Ma non ho armi!»
«Le vittime non ne hanno mai» disse Frendlyer. «Questa è appunto la differenza. Ma con o senza armi, voi dovete uscire di qui. Mi spiace».
Barrent poteva ancora udire le voci degli Hadji che discutevano nella strada.
«Non avete un'uscita posteriore?»
«No».
«Allora non esco».
Sempre sorridendo, il signor Frendlyer aprì un cassetto e ne tolse una pistola, che puntò verso Barrent.
«Dovete uscire. Potete tentare la sorte con gli Hadji, o morire qui senza possibilità di scampo».
«Datemi la vostra pistola».
«Non è permesso» lo informò Frendlyer. «Le vittime non possono girare armate. Complicherebbe le cose». Tolse la sicurezza. «Volete uscire?»
Barrent calcolò quali probabilità avrebbe avuto di conquistare l'arma lanciandosi sopra la scrivania, e capì che sarebbe stato impossibile. Si volse e s'incamminò lentamente verso la porta. Gli uomini ricoperti di cenci stavano ancora ridendo tra loro. La ragazza si era alzata per portarsi accanto alla porta. Avvicinandosi, Barrent si accorse che era molto carina, e si chiese quale crimine avesse mai potuto commettere sulla Terra. Quando le fu di fianco sentì qualcosa di duro premergli contro le costole. Sollevò la mano e si accorse di stringere una piccola rivoltella.
«Buona fortuna» disse la ragazza. «Spero che sappiate come si fa ad usarla».
Barrent fece un cenno di ringraziamento. Non era sicuro di saperla usare, ma ci avrebbe provato.

Capitolo IV

A circa una ventina di metri di distanza i tre Hadji conversavano tra loro tranquillamente.
Appena Barrent uscì dalla porta, due degli uomini fecero alcuni passi indietro e il terzo cominciò ad avanzare stringendo l'arma nella mano negligentemente abbassata. Ma quando si accorse che Barrent era armato sollevò di scatto la pistola in posizione di sparo. Barrent si gettò a terra e contemporaneamente premette il grilletto di quella strana arma. Sentì la mano vibrare e vide la testa e le spalle dell'Hadji diventare nere e cominciare a sbriciolarsi. Prima che potesse prendere di mira gli altri due, Barrent sentì la rivoltella volar via. Il proiettile uscito dall'arma dell'Hadji colpito gli aveva strappato di mano la sua pistola. Barrent si lanciò, nel disperato tentativo di riprender l'arma, ben sapendo che non ci sarebbe mai riuscito. Si sentì rabbrividire nell'attesa del colpo che lo avrebbe ucciso. Ma raggiunse la pistola ancora miracolosamente vivo, e subito prese di mira l'Hadji più vicino. Ma si trattenne in tempo dallo sparare. Gli Hadji stavano riponendo nel fodero le pistole.
«Povero Draken» commentò uno dei due. «Non ha mai imparato a prendere rapidamente la mira».
«Mancanza di pratica» rispose l'altro. «Draken non si era mai dedicato con impegno al tiro del bersaglio».
«Ecco, se vuoi il mio parere, questa è stata un'ottima lezione. Non si deve mai perdere la pratica».
«Inoltre» disse l'altro «non bisogna mai sottovalutare neppure un peone». Guardò verso Barrent. «Bel colpo, amico».
«Sì, veramente un bel colpo» disse il primo. «È molto difficile sparare quando si è in movimento».
Barrent si alzò, sempre stringendo in mano la pistola della ragazza e pronto a sparare al primo movimento sospetto. Ma i due avversari agivano come se la faccenda ormai fosse conclusa.
«Che succede ora?» chiese Barrent.
«Niente» gli rispose uno dei due. «Nei Giorni dell'Atterraggio una sola uccisione è permessa a un uomo o a una squadra di caccia. Dopo di che la caccia è finita».
«È una festa poco importante» aggiunse l'altro. «Non è certo come alle Gare o alla Lotteria».
«Tutto quello che dovete fare» riprese il primo «è di andare all'Ufficio del Registro per ritirare la vostra eredità».
«La mia cosa?»
«La vostra eredità» spiegò l'Hadji pazientemente. «Siete autorizzato a ereditare tutto ciò che la vostra vittima possedeva. Nel caso di Draken, mi spiace dirvelo, non è molto».
«Non è mai stato un uomo d'affari molto abile» disse l'altro. «Comunque avrete qualcosa per cominciare una vita. Inoltre, dato che avete commesso una uccisione autorizzata, anche se molto insolita, avanzate di rango. Siete diventato un Libero Cittadino».
La gente stava ritornando nelle strade, e i negozianti riaprivano le saracinesche dei negozi. Un carro su cui era la scritta "Rimozione corpi. Unità 5" giunse dal fondo della strada, e quattro uomini in uniforme caricarono il corpo di Draken. La vita normale di Tetrahyde stava ricominciando. E questo, più che non le assicurazioni degli Hadji, fece capire a Barrent che il momento di pericolo era passato. Allora mise in tasca la pistola della ragazza.
«L'Ufficio del Registro è da questa parte» disse uno degli Hadji. «Vi faremo da testimoni».
Barrent non aveva ancora pienamente compreso la situazione. Ma, dato che le cose avevano preso quella piega, decise di accettarle senza fare domande. In seguito avrebbe avuto tempo di farsi spiegare tutto. Accompagnato dagli Hadji, raggiunse l'Ufficio del Registro sulla Gunpoint Square. Furono ricevuti da un impiegato pieno di noia, che lentamente andò a prendere l'incartamento di Draken, per incollare il nome di Barrent sopra quello del defunto. Barrent si accorse che diversi nomi erano incollati uno sull'altro. Sembrava che a Tetrahyde i passaggi di proprietà avvenissero con una certa frequenza. Scoprì di aver ereditato un negozio di antidoti al numero 3 del Blazer Boulevard.
Con la consegna delle proprietà di Draken, a Barrent venne riconosciuto il nuovo rango di Libero Cittadino.
L'incaricato gli consegnò l'anello d'acciaio di riconoscimento, e venne consigliato, se voleva evitare che gli succedesse qualcosa di spiacevole, di cambiare gli abiti con quelli di Cittadino.
Una volta fuori, gli Hadji gli augurarono buona fortuna. Poi Barrent decise di dare un'occhiata alla sua eredità.

Blazer Boulevard era una stradina secondaria che si stendeva tra due grandi viali. A circa metà della via vide un'insegna con la scritta: "Antidoti". E più sotto: "Specifici contro tutti i veleni, animali, vegetali, o minerali. Portate con voi la scatola di pronto soccorso. Ventitré antidoti in una scatola di formato tascabile".
Barrent aprì la porta ed entrò. Dietro un banco molto basso vide una catasta di bottiglie con etichetta, scatole di latta e di cartone, che si alzava fino al soffitto. In fondo al banco c'era un piccolo scaffale di libri con titoli come: "Diagnosi rapide in casi di avvelenamenti acuti", "Gli arsenicali", eccetera.
Era chiaro che gli avvelenamenti giocavano un ruolo importante nella vita giornaliera di Omega. Quel negozio, e probabilmente ce n'erano altri uguali, aveva il solo scopo di distribuire antidoti. Barrent pensò un attimo alla stranezza della situazione, poi decise che aveva ereditato un mestiere insolito ma onorevole. Avrebbe studiato quei libri e imparato come far prosperare un negozio di antidoti.
Dietro il negozio c'era un piccolo appartamento, composto da un soggiorno, una camera da letto, e una cucina. In uno dei cassetti trovò un abito nero da Cittadino. Lo indossò subito. Tolse dalla tasca dell'abito da prigioniero la pistola che aveva avuto dalla ragazza, e rimase un attimo a soppesarla nella mano, poi la mise nella tasca del nuovo vestito. Uscì dal negozio e si avviò a passo spedito verso la Società Protezione delle Vittime. La porta era ancora aperta, e i pezzenti erano sempre seduti nello stesso posto. Ma non stavano più ridendo. Forse la lunga attesa li aveva stancati. In fondo alla stanza, dietro la scrivania, il signor Frendlyer era intento a esaminare un grosso incartamento. La ragazza invece era scomparsa. Barrent si avvicinò alla scrivania e Frendlyer si alzò per salutarlo.
«Le mie congratulazioni!» disse. «Caro amico, le mie più calde congratulazioni. È stato un colpo magnifico. Avete sparato in movimento!»
«Grazie» rispose Barrent. «La ragione per cui sono venuto...»
«Lo so» interruppe Frendlyer «volete essere informato di quali sono i diritti e gli obblighi di un libero Cittadino. Cosa c'è di più naturale? Se volete sedere su quella panca...»
«Non sono venuto per questo» interruppe Barrent. «Naturalmente vorrò sapere quali sono i miei diritti e i miei obblighi. Ora però voglio trovare quella ragazza».
«Ragazza?»
«Era seduta sulla panca quando sono entrato. È stata lei a darmi la pistola».
Il signor Frendlyer parve sbalordito.
«Cittadino, voi dovete ancora essere molto sconvolto. Oggi in questo ufficio non è entrata nessuna donna».
«Stava seduta sulla panca accanto a quei tre uomini. Una ragazza molto carina, coi capelli scuri».
«L'avrei certamente vista se ci fosse stata» disse Frendlyer. «Ma come vi ho detto, nessuna donna è venuta oggi in questo ufficio».
Barrent lo fissò, e tolse la pistola di tasca.
«Allora come pensate che io abbia avuto questa?»
«Ve l'ho data io. Sono felice che abbiate saputo usarla, ora però vorrei che me la restituiste».
«State mentendo!» esclamò Barrent, stringendo con forza la pistola.
«Andiamo a domandare a quegli uomini».
Si avvicinò alla panca seguito da Frendlyer, e si rivolse all'uomo che era seduto vicino alla ragazza.
«Dov'è andata la ragazza?»
L'uomo sollevò la testa.
«Di che ragazza state parlando, Cittadino?»
«Di quella che era seduta accanto a voi».
«Io non ho visto nessuno. Rafeel, hai visto, per caso, una donna seduta su questa panca?»
«Io no» rispose Rafeel. «E siamo seduti qui da stamattina».
«Anch'io non ho visto nessuno» disse il terzo. «E vi assicuro che ho degli occhi molto buoni».
Barrent tornò a voltarsi verso Frendlyer.
«Perché mentite tutti?»
«Vi abbiamo detto semplicemente la verità» disse Frendlyer. «Oggi in questa sala non è entrata nessuna donna. Io vi ho dato la pistola. È un mio privilegio quale Presidente della Società Protezione delle Vittime. Ora la vorrei di ritorno».
«No» rispose Barrent in tono risoluto. «Terrò la pistola finché non avrò trovato la ragazza».
«Può essere poco prudente» disse Frendlyer. «Il furto, in un caso simile, non viene condonato».
«Voglio rischiare» disse Barrent. Poi si volse e uscì dalla Società Protezione delle Vittime.

Capitolo V

Ci volle del tempo prima che Barrent potesse riprendersi dalle emozioni della sua violenta immissione nella vita di Omega. Partito dallo stato d'impotenza di un nuovo nato, per mezzo di un assassinio era divenuto proprietario di un negozio di antidoti. Da un passato ormai dimenticato e trascorso su di un pianeta chiamato Terra, era stato catapultato in un presente incerto, in un mondo zeppo di criminali. Aveva cominciato a capire la complessa struttura delle classi; intuiva anche l'esistenza di una vera e propria programmazione dell'omicidio. In se stesso aveva scoperto una certa fiducia e una sorprendente rapidità nel maneggiare un'arma. Ma sapeva che c'erano molte altre cose da scoprire su Omega, sulla Terra, e su se stesso. Sperò di vivere il tempo sufficiente per fare queste necessarie scoperte. Una cosa alla volta. Anzitutto doveva guadagnarsi da vivere. E per questo doveva imparare a conoscere i veleni e gli antidoti. Si ritirò nell'appartamento, nel retro bottega, e cominciò a leggere i libri che Draken gli aveva lasciato.
La lettura sui veleni fu affascinante. C'erano i veleni vegetali conosciuti sulla Terra, quali l'elleboro, la mortale morella, e la pianta di tasso. Apprese l'azione della cicuta, dall'intossicazione preliminare alle convulsioni finali. Poi lesse dell'acido prussico estratto dalle mandorle e della digitalina estratta dalla digitale purpurea. Lesse della spaventosa efficienza dell'acotina con la sua carica mortale. E prese visione di tutte le varie specie di funghi velenosi. Inoltre erano menzionati tutti i vari tipi di veleni vegetali particolari di Omega quali il redcup, il flowering lily, e l'amortalis. Ma i veleni vegetali, anche se numerosi, non erano che parte dei suoi studi. Dovette considerare gli animali della Terra, dei cielo e delle acque. Le diverse specie di ragni dal morso mortale, i serpenti, gli scorpioni e le vespe giganti. Poi c'era una spaventosa quantità di veleni minerali, quali l'arsenico, il mercurio e il bismuto. C'erano i corrosivi comuni: l'acido nitrico, idrodorico, fosforico e solforico. E c'erano i veleni distillati o estratti in diverse maniere, e tra questi la stricnina, l'acido formico, l'hyoscyamine e la belladonna.
Per ciascuno di questi veleni erano catalogati uno o più antidoti. A Barrent però venne il sospetto che molte di quelle formule complicate il più delle volte rimanessero senza effetto. Per rendere le cose più difficili, sembrava che l'efficacia di un antidoto dipendesse dalla esatta diagnosi del veleno che era stato propinato. E il più delle volte i sintomi prodotti da un veleno somigliavano esattamente a quelli di un altro. Barrent meditò su tutti questi problemi mentre studiava i libri. E nel frattempo, con comprensibile nervosismo, cominciò a servire i primi clienti. Scoprì presto che la maggior parte delle sue paure erano infondate. Nonostante esistessero dozzine di sostanze letali, gli avvelenatori ricorrevano quasi esclusivamente all'arsenico o alla stricnina. Erano veleni a buon mercato, sicuri, e quasi inodori. L'acido prussico aveva un odore facilmente riconoscibile, il mercurio era difficile da introdurre nel corpo, e i corrosivi, anche se producevano effetti spettacolari, erano pericolosi per chi doveva maneggiarli. I veleni vegetali poi, con tutto il loro fascino macabro, appartenevano a un'età ormai sorpassata. La giovane generazione impaziente, specialmente le donne, che erano il novanta per cento degli avvelenatori di Omega, veniva soddisfatta dall'arsenico o dalla stricnina a seconda delle occasioni. Le donne di Omega erano conservatrici. Non seguivano gli ultimi sviluppi della scienza sui veleni. A loro non interessava il mezzo, solo la fine. Rapida e meno costosa possibile. Le donne di Omega erano famose per il loro buon senso. Nonostante che i teorici dell'Istituto dei Veleni cercassero di apportare delle innovazioni come quella del veleno a contatto, o studiassero sistemi complessi, come quello degli aghi nascosti, non trovavano troppi seguaci tra le donne. L'arsenico e la stricnina continuavano a essere i veleni più usati.
Questo, naturalmente, semplificava parecchio il lavoro di Barrent. I rimedi - procurato vomito, lavaggio, agente neutralizzante - erano di una facilità estrema. Incontrò qualche difficoltà con persone che rifiutavano di credere di essere state avvelenate con comune arsenico o stricnina. In questi casi faceva bere un intruglio di erbe, radici, foglie, e una dose omeopatica di veleno. Però questo trattamento precedeva invariabilmente quello che portava al vomito, al lavaggio e all'agente neutralizzante.
Dopo qualche tempo, Barrent ricevette la visita di Danis Foeren e di Joe. Foeren aveva un lavoro temporaneo al porto per lo scarico dei battelli di pesce, Joe organizzava ogni notte dei giochi d'azzardo con quelli che lavoravano negli uffici governativi. Nessuno dei due era avanzato di rango, senza uccisioni erano progrediti solo fino a Residenti di Seconda Classe. Erano nervosi, dal momento che si trovavano alla presenza di un Libero Cittadino, ma Barrent fece in modo che si sentissero a loro agio. Quei due erano i soli amici che lui avesse su Omega, e non intendeva perderli per una questione di rango sociale.
Barrent non riuscì a sapere da loro granché sulle leggi e i costumi di Tetrahyde. Anche Joe non era riuscito a scoprire qualcosa di preciso dagli amici che lavoravano negli uffici del governo. Su Omega le leggi venivano tenute segrete. I vecchi residenti usavano la loro conoscenza delle leggi per aumentare il dominio sopra i nuovi venuti. Questo sistema era permesso e rafforzato dall'assoluta ineguaglianza tra gli uomini, base di tutto il sistema legale di Omega. Attraverso l'ineguaglianza pianificata e la costrizione all'ignoranza, il potere e la determinazione del rango rimanevano nelle mani dei vecchi residenti.
Naturalmente non si potevano fermare i movimenti sociali verso l'alto, però potevano venire ritardati, scoraggiati, ammantati di pericolo. Venire a contatto con le leggi e i costumi di Omega implicava una strada pericolosa fatta di tentativi ed errori.
Per quanto il negozio gli occupasse la maggior parte del tempo, Barrent insistette negli sforzi per ritrovare la misteriosa ragazza bruna. Ma non riuscì neppure a trovare tracce della sua esistenza. Divenne amico dei negozianti che avevano la bottega accanto alla sua. Uno di questi, Demond Harrisbourg, era un allegro ragazzo baffuto, che gestiva un negozio di alimentari. Era un lavoro socialmente quasi ridicolo, ma, come Harrisbourg aveva detto, anche i criminali dovevano mangiare. E lui non considerava il suo lavoro inferiore a quelli che avevano in qualche modo attinenza con le morti violente. Inoltre uno zio di sua moglie era ministro dei Lavori Pubblici, e per mezzo suo Harrisbourg sperava di ricevere un certificato di assassino. Con questo importante certificato avrebbe potuto fare la sua uccisione semestrale, e salire al rango dei Cittadini Privilegiati. Barrent lo approvava. Però si chiedeva se la moglie di Harrisbourg, una piccola donna irrequieta, non sarebbe riuscita a uccidere il marito prima di allora. Sembrava stanca di lui, e su Omega il divorzio non era concesso. L'altro vicino, Tem Rend, era un tipo molto magro di circa quarant'anni, con una cicatrice che gli andava da un orecchio all'angolo della bocca. Gestiva un negozio di armi, e si allenava costantemente al tiro. Secondo le voci che circolavano su di lui, Rend era stato scelto da qualcuno speranzoso di procurarsi un avanzamento sociale, ma la scelta era caduta sull'uomo sbagliato. Unico risultato, quella cicatrice, e un Privilegiato di meno. Il sogno di Tem era di diventare membro dell'Ordine degli Assassini. La sua domanda giaceva da tempo sul tavolo di quella vecchia e austera organizzazione e Tem sperava di essere accettato quel mese stesso. Da lui Barrent comprò una pistola. Seguendo il consiglio di Tem, scelse una Jamiason-Tyre ad ago. Era molto più rapida e più precisa di qualsiasi arma a proiettile, e aveva gli stessi effetti di una pistola di grosso calibro. Non era come le pistole termiche usate dagli Hadji. Quelle erano armi a vasto raggio, ma imprecise, che tutti potevano usare. Per maneggiare una pistola ad ago con efficacia, una persona doveva mantenersi in costante allenamento. E l'allenamento dava i suoi frutti. Un buon tiratore di pistola a ago poteva valere quanto due tiratori di armi termiche. Barrent tenne per buono il consiglio del negoziante apprendista assassino, e trascorse lunghe ore nella sala di tiro dietro la bottega di Rend, per rendere più pronti i riflessi e acquistare dimestichezza con la nuova arma. Per sopravvivere su Omega bisognava imparare molte cose. Barrent non si preoccupò della fatica spesa per imparare dato che si trattava di una meta importante. Sperava solo che la situazione si mantenesse calma finché lui non fosse stato in grado di affrontare i vecchi abitanti. Ma la situazione su Omega non era mai tranquilla.
Un giorno, verso il tardo pomeriggio, quando già Barrent stava per chiudere il negozio, ricevette la visita di un cliente dall'aspetto molto strano. Era un uomo sulla cinquantina, dal volto abbronzato e di corporatura massiccia. Indossava una tunica rossa che giungeva alle caviglie, e calzava dei sandali. Alla vita, una cintura sosteneva un piccolo libro nero e un pugnale dall'impugnatura rossa. E tutta la sua persona ispirava una non comune forza, e autorità.
Barrent fu incapace di stabilire a quale rango appartenesse.
«Stavo chiudendo, signore. Ma se desiderate comperare qualcosa...»
«Non sono venuto per comperare» rispose lo strano cliente, con un leggero sorriso «ma per vendere».
«Vendere?»
«Sono un prete» disse l'uomo. «Voi siete nel mio distretto. E io non vi ho mai visto ai miei servizi».
«Io non sapevo che...»
Il prete sollevò una mano.
«Sia sotto la legge sacra che quella profana, l'ignoranza non è una scusa per evitare i doveri. Infatti, l'ignoranza può essere punita come un atto di volontaria negligenza. Ma non sono venuto da voi per parlare di punizioni».
«Sono felice di sentirvelo dire, signore» disse Barrent.
«Zio. Questa è la forma con cui ci si deve rivolgere a me» corresse il prete. «Sono lo Zio Ingemar, e sono venuto per parlarvi della religione ortodossa di Omega, che è il culto di quel puro e trascendente spirito del Male che è la nostra ispirazione e il nostro conforto».
«Sarò felice di sentirvi parlare della religione del Male, Zio» dichiarò Barrent. «Volete accomodarvi in soggiorno?»
«Molto volentieri, Nipote» rispose il prete. E seguì Barrent nell'appartamento dietro il negozio.

Capitolo VI

Dopo essersi accomodato sulla più comoda poltrona di Barrent, il prete incominciò: «Il Male è quella forza che abbiamo in noi e che ispira gli uomini ad agire con decisione e tenacia. Il culto del Male è essenzialmente il culto di se stessi, quindi l'unico e vero culto. L'"Io" che si venera, è l'essere sociale ideale; l'uomo felice della sua nicchia nella società, e tuttavia pronto ad afferrare ogni opportunità per avanzare. È l'uomo che affronta la morte con dignità, è l'uomo che uccide senza abbassarsi al vizio della pietà. Il Male è crudele, dato che è un riflesso dell'inutile e insensato universo. Il Male è eterno e immutabile, anche se viene a noi sotto diverse forme di vita».
«Volete un po' di vino, Zio?» chiese Barrent.
«Grazie, è un pensiero molto gentile» accettò Zio Ingemar. «Come vanno gli affari?»
«Abbastanza bene. Un po' a rilento in quest'ultima settimana».
«La gente non ha più la vecchia passione per gli avvelenamenti» commentò il prete, sorseggiando il vino. «Non certo come quella che aveva quando io ero ragazzo. Ma vi stavo parlando del Male».
«Sì, Zio».
«Noi adoriamo il Male» riprese Zio Ingemar «nella incarnazione del Nero. In lui noi ritroviamo i sette peccati capitali, le quaranta crudeltà e le cento e una cattiveria. Non c'è crimine che il Nero non abbia commesso alla perfezione, come si addice alla sua natura. Per questo noi, esseri imperfetti, modelliamo noi stessi guardando alla sua perfezione. A volte il Nero ci ricompensa apparendo davanti a noi in tutta la sua spaventosa bellezza di fuoco. Sì, Nipote, io ho avuto il privilegio di vederlo. Due anni fa apparve subito dopo la conclusione dei Giochi. E nella stessa circostanza apparve l'anno precedente a quello».
Zio Ingemar rimase un attimo a meditare su quella sublime bellezza. Poi riprese a parlare:
«Dato che noi riconosciamo lo Stato come il più alto potenziale per raggiungere il Male, noi veneriamo lo Stato come una creazione soprannaturale, anche se inferiore a quella divina».
Barrent fece cenno di aver compreso. Faceva fatica a restare sveglio. La voce bassa e monotona dello Zio Ingemar, che parlava di un luogo comune come il Male, aveva su di lui un effetto soporifero. Dovette compiere uno sforzo per tenere aperti gli occhi.
«Una persona si può domandare» continuò Zio Ingemar «se il Male è il più alto scopo della natura dell'uomo; perché il Nero permette che il bene esista nell'universo? Il problema del Bene ha turbato per secoli menti poco illuminate. Ora però io vi posso dare una spiegazione».
«Davvero, Zio?» chiese Barrent, con uno sforzo disperato per star sveglio.
«Prima di tutto» continuò Zio Ingemar «noi dobbiamo esaminare la natura del Bene. Dobbiamo guardare coraggiosamente in faccia il nostro grande nemico e scoprire quali siano i suoi veri connotati».
«Sì» disse Barrent, chiedendosi se non fosse il caso di aprire una finestra. Sentiva gli occhi incredibilmente pesanti. Li sfregò con forza, cercando di prestare maggiore attenzione.
«Il Bene è uno stato illusorio» proseguì la voce monotona di Zio Ingemar «che ascrive agli uomini gli attributi non esistenti di altruismo, di umiltà, e di pietà. Come facciamo a concludere che il Bene è illusorio? Affermando che nell'universo ci sono solo l'uomo e il Nero. Adorare il Nero significa adorare l'espressione finale di se stessi. Quindi, dato che abbiamo provato che il Bene è una illusione, dobbiamo necessariamente concludere che i suoi attributi sono inesistenti. Chiaro?»
Barrent non rispose.
«Mi avete seguito?» chiese nuovamente Zio Ingemar.
«Eh?» Barrent stava lottando con le palpebre che si volevano chiudere. Fece uno sforzo per rispondere. «Sì, Zio Ingemar. Ho capito».
«Ottimo. Compreso questo, noi ci domandiamo allora perché il Nero permetta al Bene, anche se allo stato di semplice illusione, di esistere in un universo che è del Male. La risposta la troviamo nella legge della Necessità degli opposti. Il Male non potrebbe essere riconosciuto senza qualcosa che lo contrasti. Il miglior contrasto sta nell'opposto. E l'opposto del Male è il Bene». Il prete sorrise trionfante. «È tutto molto semplice e chiaro, vero?»
«Senz'altro, Zio» confermò Barrent. «Volete ancora un po' di vino?»
«Ancora un goccio».
Zio Ingemar parlò per altri dieci minuti sulla natura e il fascino del Male innato nelle fiere delle pianure e delle foreste. E consigliò Barrent di prendere esempio da quelle semplici creature e di imitarle. Alla fine si alzò per accomiatarsi.
«Sono felice di aver parlato con voi» disse il prete scuotendo calorosamente la mano di Barrent. «Posso contare di vedervi alle nostre funzioni del lunedì sera?»
«Funzioni?»
«Naturalmente» esclamò Zio Ingemar. «Tutti i lunedì sera, a mezzanotte, noi officiamo una Messa Nera al Wee Coven della Kirkwood Drive. Dopo le funzioni le donne preparano qualcosa da mangiare, poi si balla o si cantano dei cori. È molto bello». Fece un ampio sorriso. «Vedrete, adorare il Male può essere divertente».
«Ne sono sicuro» rispose Barrent. «Ci verrò, Zio».
Rimasto solo, il giovane ripensò attentamente a quello che Zio Ingemar gli aveva detto. Su una cosa non c'erano dubbi: doveva assolutamente andare alle funzioni. Sperò solo che le Messe Nere non fossero così noiose come lo era stata l'esposizione del Male che Zio Ingemar gli aveva fatto. Quel giorno era venerdì. I due giorni seguenti Barrent fu molto occupato a catalogare una partita di erbe omeopatiche e radici. Il lunedì, mentre ritornava al negozio dopo colazione, gli sembrò di vedere la ragazza. Tentò di raggiungerla, ma la perse di vista in mezzo alla folla.
Rientrato al negozio, Barrent trovò una lettera che era stata fatta scivolare sotto la porta. Era un invito a recarsi al "Negozio dei Sogni", che si trovava nelle vicinanze. Diceva: "Caro Cittadino, cogliamo questa occasione per darvi il benvenuto nel quartiere, e formuliamo la speranza di poter estendere anche a voi i servizi di quello che crediamo sia il miglior Negozio di Sogni di Omega. Tutti i tipi di sogno sono a vostra disposizione, e a prezzo incredibilmente basso. Siamo specializzati nel far ritornare alla memoria i sogni della Terra. Come Libero Cittadino, voi vorrete certamente utilizzare i nostri servizi. Possiamo sperare di vedervi in settimana? - La direzione".
Barrent depose la lettera sulla scrivania. Non aveva idea di cosa fosse un Negozio di Sogni, né come i sogni venissero prodotti. Ma lo avrebbe saputo. Anche se l'invito era formulato in modo cortese, vi affiorava un certo tono perentorio. Non c'erano dubbi. La visita al Negozio dei Sogni doveva essere uno degli obblighi di un Libero Cittadino.
Naturalmente quell'obbligo poteva anche rivelarsi un piacere. Il Negozio dei Sogni lo interessava. E un ritorno alla Terra, sia pure in sogno, valeva qualsiasi prezzo che la direzione intendesse chiedere. Ma avrebbe dovuto aspettare. Quella sera doveva recarsi alla Messa Nera, e la sua presenza era stata perentoriamente richiesta. Barrent uscì dal negozio alle undici. Prima di recarsi alla funzione, che iniziava a mezzanotte, voleva fare quattro passi per Tetrahyde. Cominciò a camminare e si sentì invaso da un chiaro senso di benessere, che tuttavia svanì per la irrazionale e imprevedibile natura di Omega, prima di raggiungere il Wee Coven sulla Kirkwood Drive.

Capitolo VII

Quando Barrent iniziò la sua passeggiata la notte era calda, di un umido quasi soffocante. Nelle strade in ombra non spirava il più debole soffio di vento. Benché il giovane indossasse solo i pantaloni e la camicia, la cintura con la pistola e un paio di sandali, gli pareva d'essere avvolto in una pesante coperta di lana. La maggior parte degli abitanti di Tetrahyde, tranne quelli forse che si stavano recando alla funzione, si era già ritirata al fresco tra le pareti di casa. Le strade infatti erano quasi deserte. Barrent continuò a camminare lentamente. Le poche persone che incontrava, si affrettavano verso casa. E sembravano invase dal panico. Barrent cercò di scoprirne il motivo, ma nessuno di quelli a cui si rivolse si volle fermare.
«Ritirati dalla strada, idiota» gli gridò un vecchio, passandogli accanto.
«Perché?» domandò Barrent.
Il vecchio borbottò qualcosa, che lui non poté afferrare, e si allontanò in fretta.
Barrent riprese il cammino, e portò nervosamente la mano al calcio della sua pistola. Stava certo per accadere qualcosa, solo che lui non riusciva a immaginare di cosa si potesse trattare. Il posto più vicino in cui si sarebbe potuto ritirare a quel punto era Wee Coven, a circa mezzo chilometro di distanza. Gli parve conveniente affrettarsi a quella volta, e stare all'erta per evitare qualsiasi sorpresa.
Dopo qualche minuto, Barrent si trovò solo in una città dalle porte sbarrate. Si portò al centro della strada, e aprì il fodero della pistola per essere pronto a qualsiasi attacco. Forse quello era un giorno particolare in cui si festeggiava una ricorrenza simile a quella del Giorno dell'Atterraggio. Forse quella notte i Liberi Cittadini si stavano dando la caccia tra loro. Tutto era possibile su di un pianeta come Omega.
Pensò di essere pronto a qualsiasi sorpresa, ma quando l'attacco venne, fu da una parte insospettata.
Una debole brezza mosse l'aria stagnante della notte. Passò, e poi riprese, un po' più forte, questa volta. E rinfrescò le strade in modo sensibile. Il vento scese dalle montagne, e cominciò a soffiare nelle strade di Tetrahyde. Per alcuni minuti il clima della città diventò inaspettatamente piacevole. Ma la temperatura cominciò a scendere. Rapidamente. Dai pendii delle distanti montagne scese un vento gelido, che fece ancora abbassare la temperatura. È ridicolo, pensò Barrent. Meglio andare subito alla funzione. Affettò il passo mentre la temperatura continuava a precipitare. Dai quindici gradi a cui era già scesa, raggiunse lo zero, e nella strada comparvero i primi segni del gelo. Non può abbassarsi oltre, pensò Barrent.
Ma non fu così. Un rabbioso vento invernale si ingolfò nelle strade. La temperatura arrivò fino ai trenta gradi sotto lo zero, e nell'aria cominciò a turbinare il nevischio.
Gelato fino alle ossa, Barrent si mise a correre nelle strade deserte, lottando contro la sferza del vento. Le strade ormai erano ricoperte di ghiaccio che rendeva faticoso il procedere. Scivolò e cadde. Per rimanere in piedi dovette rallentare il passo. E ancora la temperatura si abbassò, e il vento aumentò di forza. Soffiava come un animale furioso. Il giovane vide una luce attraverso la fessura di una persiana. Si fermò per battere alla porta di quella casa, ma nessun rumore venne dall'interno. Si rese conto che gli abitanti di Tetrahyde non aiutavano mai nessuno: più gente moriva, più possibilità avevano i superstiti. Allora riprese a correre. Il vento gli fischiò nelle orecchie, e chicchi di grandine grossi come un pugno cominciarono a cadergli attorno. Infine fu troppo stanco per correre. Ma non poteva fermarsi in quel mondo di ghiaccio. Doveva camminare, e cercar di raggiungere il Wee Coven.
Camminò per ore, o forse per anni. All'angolo di una strada passò accanto ai corpi di due uomini appoggiati al muro e ricoperti di ghiaccio. Erano morti congelati per essersi fermati un attimo.
Barrent cercò di riprendere a correre. Sentì una fitta al fianco, simile a una ferita di coltello, e si rese conto che il gelo gli saliva lentamente per le braccia e per le gambe. Presto gli avrebbe raggiunto il petto, e allora sarebbe stata la fine. Fu colpito con violenza da alcuni eccezionali chicchi di grandine, e si trovò steso sul terreno ghiacciato. E il vento mostruoso stava togliendo al suo corpo il debole calore che ancora era capace di generare. All'angolo dell'isolato brillava la fioca luce del Wee Coven. Prese ad avanzare meccanicamente, trascinandosi con le mani e con le ginocchia. Ma non sperava più di poter raggiungere quella luce.
Continuò a strisciare, e alla fine si trovò di fronte alla porta. Cercò di sollevarsi, e raggiunse la maniglia con una mano.
Ma la porta era chiusa.
Bussò debolmente, e dopo alcuni istanti vide una finestrella aprirsi nel battente. Vide gli occhi di un uomo che lo fissavano, poi lo spioncino venne richiuso. Aspettò che la porta si aprisse. Ma questo non accadde. Passarono alcuni minuti, e la porta continuava a rimanere chiusa. Cosa stavano aspettando? Perché non aprivano? Barrent tentò di bussare nuovamente, ma perse l'equilibrio, e cadde steso a terra. Fissò il battente chiuso della porta. Poi perse conoscenza.

Quando riprese i sensi, Barrent si trovò disteso su di un letto. Due uomini gli stavano massaggiando le gambe e le braccia. Chino su di lui vide il volto ansioso dello Zio Ingemar.
«Vi sentite meglio?» chiese Zio Ingemar.
«Credo di sì» rispose Barrent. «Ma perché avete aspettato tanto ad aprire la porta?»
«Era nostra intenzione non aprire affatto» disse il prete. «È contro le leggi aiutare uno sconosciuto in pericolo. E dato che voi non eravate ancora entrato, praticamente eravate uno sconosciuto».
«Perché mi avete fatto entrare, allora?»
«Il mio assistente mi ha fatto notare che eravamo in numero pari. È necessario invece essere in numero dispari, preferibilmente in numero che termini per tre. Quando le leggi sacre e quelle profane sono in conflitto, quelle profane devono cedere. Così, nonostante le norme dello Stato, vi abbiamo fatto entrare».
«È una norma assurda».
«Non proprio. Come la maggior parte delle leggi di Omega, è fatta per mantenere basso il numero della popolazione. Omega, voi lo sapete, è un pianeta estremamente arido. Il continuo giungere di nuovi prigionieri porta degli svantaggi per i vecchi abitanti. E bisogna combattere questa eccedenza di numero».
«Non è una cosa ben fatta» osservò Barrent.
«Cambierete idea quando sarete diventato un vecchio abitante» ribatté Zio Ingemar. «E data la vostra resistenza, sono sicuro che lo diverrete».
«Può darsi» rispose Barrent. «Ma cos'è accaduto? In un quarto d'ora la temperatura è calata di circa cento gradi Fahrenheit».
«Per essere esatti, di centootto» precisò Ingemar. «La spiegazione è molto semplice. Omega percorre un'orbita eccentrica attorno a un doppio sistema stellare. Altre instabilità, così mi è stato detto, provengono da questo particolare movimento fisico del pianeta, ad esempio l'assestamento di montagne e di mari. Il risultato è appunto caratterizzato da questi improvvisi e violenti cambiamenti di temperatura».
«È stato calcolato» intervenne l'assistente di Ingemar «che Omega è l'ultimo dei pianeti che può ospitare una vita umana senza particolari mezzi artificiali. Se gli sbalzi tra il caldo e il freddo fossero più violenti, ogni forma di vita umana verrebbe completamente cancellata».
«Un mondo di pena perfetto» osservò Zio Ingemar. «I vecchi abitanti sentono quando sta per cambiare la temperatura e si chiudono nelle loro case».
«È... infernale!» mormorò Barrent.
«Lo avete descritto perfettamente» disse Ingemar. «Infernale, quindi adattato per l'adorazione del Nero. Se vi sentite meglio, Cittadino Barrent, noi potremmo cominciare con la funzione».
Sdraiato su di una panca riscaldata, Barrent ascoltò il sermone di Ingemar sulla necessità di compiere il male quotidiano. L'adorazione del male, disse Zio Ingemar, non doveva essere fatta solo le sere del lunedì. Al contrario! Doveva essere praticata e diffusa nella vita di ogni giorno. Non era da tutti essere grandi peccatori, ma nessuno doveva scoraggiarsi per questo. Piccoli atti di malvagità fatti durante una intera vita si sarebbero conglobati in un grosso peccato gradito al Nero. Nessuno doveva dimenticare che i più grandi peccatori, gli stessi santi demoni, avevano avuto degli umili inizi. Thrastus non aveva forse iniziato frodando piccole quantità di riso? Chi avrebbe mai detto che quell'uomo semplice sarebbe diventato l'Uccisore Rosso di Thorndyke Lane? E chi avrebbe mai immaginato che il dottor Louen sarebbe diventato una delle più importanti autorità mondiali in applicazioni pratiche di tortura? La perseveranza aveva permesso a questi uomini di salire a una posizione eminente, e sedere alla destra del Nero. E questo, concluse Ingemar, era una prova che il male poteva appartenere sia al povero come al ricco.
Qui finì il sermone. Barrent si scosse dalla sua sonnolenza quando vennero mostrati ai fedeli i sacri simboli, una spada dall'impugnatura rossa e un rospo di gesso. Poi tornò ad assopirsi.
Finalmente la cerimonia giunse alla fine. Vennero letti i nomi dei demoni che dovevano intercedere: Bael, Forcas, Buer, Marchocias, Astaroth, e Behemoth. Poi venne letta una preghiera perché i fedeli fossero preservati dagli effetti del Bene. E infine Zio Ingemar si scusò di non avere una vergine da sacrificare sull'altare rosso.
«Non abbiamo fondi sufficienti» disse «per comperare una vergine peone garantita dal governo. Tuttavia sono certo che lunedì prossimo ci sarà possibile compiere l'intera cerimonia. Ora il mio assistente passerà tra voi...»
L'assistente cominciò il giro con il vassoio per la questua. Come tutti gli altri presenti, Barrent contribuì generosamente. Gli sembrò opportuno agire in quella maniera. Zio Ingemar appariva chiaramente seccato di non avere una vergine per il sacrificio. Se si fosse arrabbiato ulteriormente gli sarebbe potuta balenare l'idea di sacrificare qualcuno della congregazione. Barrent non volle fermarsi per i cori e il ballo. Quando la funzione ebbe termine si avvicinò alla porta e mise fuori la testa con cautela. La temperatura era aumentata in maniera considerevole, e il ghiaccio che aveva ricoperto il suolo si era già sciolto. Barrent si volse per stringere la mano a Zio Ingemar, e corse a casa.

Capitolo VIII

Barrent ne aveva già abbastanza delle sorprese procurategli da Omega. Rimase chiuso in casa, lavorò con lena, e cercò di stare sempre in allarme. Ormai stava assumendo l'aspetto caratteristico degli abitanti di Omega: occhi socchiusi e pieni di sospetto, la mano sempre vicina al calcio della pistola, i muscoli pronti allo scatto e i piedi alla corsa. E come tutti i vecchi abitanti, stava acquistando il sesto senso, quello del pericolo. Una sera, dopo aver chiuso tutte le porte e le finestre, e aver inserito il triplo sistema di allarme, Barrent si sdraiò sul letto cercando di ricordare la Terra. Scrutando nei più profondi recessi della memoria riuscì a trovare alla fine tracce e frammenti di immagini. Vide grandi autostrade, frammenti di una immensa città a molti piani, la visione dello scafo di un'astronave. Ma le immagini non erano continue. Esistevano per una infinitesimale frazione di secondo, poi svanivano. Il sabato, Barrent trascorse la serata con Joe, Danis Foeren, e il suo vicino Tem Rend. I giochi d'azzardo prosperavano, e Joe era riuscito alla fine a diventare Libero Cittadino. Foeren invece era rimasto allo stato di Residente. Tem Rend però aveva promesso, qualora la sua domanda per entrare nell'Ordine degli Assassini fosse stata accettata, di prendere Foeren come assistente.
La serata trascorse abbastanza piacevolmente, e finì, come sempre, con chiacchiere sulla Terra.
«Sentite» disse Joe «noi tutti sappiamo com'è la Terra. Un complesso di gigantesche città galleggianti. Sono costruite su isole artificiali nei vari oceani».
«No, le città sono sulla terraferma» corresse Barrent.
«Sull'acqua» replicò Joe. «Gli esseri della Terra sono ritornati al mare. Tutti hanno speciali adattatori di ossigeno che permettono loro di respirare l'acqua salata. Le terre non sono più usate. Il mare provvede a tutto ciò che serve».
«Non è così» disse ancora Barrent. «Io ricordo immense città, ma erano costruite sulla terra».
«Sbagliate tutti e due» corresse Foeren. «Che bisogno avrebbe la Terra di città? Ormai sono state abbandonate da secoli. La Terra è un immenso parco. Tutti hanno una casa e diversi ettari di terreno. Si è lasciato che le foreste e le giungle riconquistassero la Terra. Gli esseri umani vivono con la natura invece di conquistarla. Non è così, Tem?»
«Quasi, ma non esattamente» rispose Tem. «Ci sono ancora delle città, ma si trovano sotto terra. Immensi stabilimenti e aree di produzione sotterranei. Tutto il resto è come ha detto Foeren».
«Non ci sono più stabilimenti» insisté Foeren, cocciuto. «Non ce n'è più bisogno. Tutto quello che necessita all'uomo è prodotto con il controllo del pensiero».
«È come dico io» ribatté Joe. «Ricordo ancora le città galleggianti! Io vivevo nel settore di Numui, dell'isola di Pasiphae».
«Credete che questo provi qualcosa?» domandò Rend. «Io ricordo di aver lavorato al diciottesimo livello sotterraneo di Nuova Chicago. Il mio turno di lavoro era di venti giorni all'anno, tutto il resto del tempo lo passavo fuori, nelle foreste...»
«Non è così» replicò Foeren. «Non c'erano livelli sotterranei. Ricordo distintamente mio padre che era Controllore di Terza Classe. Ricordo che la nostra famiglia viaggiava ogni anno su vagoni, e che percorreva parecchie centinaia di miglia. Quando avevamo bisogno di qualcosa, mio padre pensava a questa cosa, ed ecco che c'era. Aveva promesso di insegnarmi il sistema, ma credo che non l'abbia mai fatto».
«Be'» concluse Barrent «un paio di noi ha certamente dei ricordi sbagliati».
«Questo è certo» ammise Joe. «Il problema è: chi di noi ha ragione?»
«Non lo sapremo mai» disse Rend «a meno che non si possa tornare sulla Terra».
Questa frase concluse la discussione.
Verso la fine della settimana Barrent aveva ricevuto un altro invito dal Negozio dei Sogni. E più perentorio questa volta. Decise di togliersi l'obbligazione quella sera stessa. Controllò la temperatura e vide che era salita a oltre trenta gradi. Edotto però delle sorprese del pianeta riempì una borsa di abiti pesanti da portare con sé, e uscì.
Il Negozio dei Sogni si trovava nel settore più elegante del Corso della Morte. Barrent entrò in una piccola anticamera lussuosamente arredata e fu accolto dal sorriso artificiale di un giovane seduto dietro una scrivania.
«Posso esservi utile?» chiese. «Mi chiamo Nomis J. Arkdragen, assistente incaricato dei sogni notturni».
«Vorrei sapere qualcosa in merito ai sogni» disse Barrent. «Come avvengono, che tipi di sogni, e altre cose di questo genere».
«Naturalmente» rispose Arkdragen. «È presto detto, Cittadino...»
«Barrent. Will Barrent».
Arkdragen annuì, e controllò il nome su una lista che aveva di fronte. Poi fissò Barrent.
«I nostri sogni sono prodotti tramite l'azione di droghe che agiscono sul cervello e sul sistema nervoso centrale. Ci sono molte droghe che producono gli effetti desiderati. Le più comuni sono l'eroina, la morfina, l'oppio, la cocaina, la canapa e la peyote. Tutte sono prodotti della Terra. Di Omega invece abbiamo la Slipper Nera, la nace, il manicee, la trinarcotine, la djedalas, e tutti i vari prodotti del gruppo dei carmoidi. Ciascuna di queste droghe è induttrice di sogni».
«Capisco» disse Barrent. «Allora voi vendete droghe».
«Niente affatto!» rispose Arkdragen. «Niente di così semplice e niente di così poco raffinato. Nei tempi passati, sulla Terra, gli uomini si somministravano le droghe da soli. I sogni che ne risultavano erano, di conseguenza, incontrollati. Non avreste mai potuto sapere quale sarebbe stato il vostro sogno, né quale la sua durata. Non avreste potuto sapere se sarebbe stato un sogno o un incubo, un orrore o una delizia. Queste incertezze sono state superate dai moderni Negozi dei Sogni. Oggi le droghe sono dosate con cura, mescolate, e date in quantità differenti a seconda degli individui. Abbiamo ottenuto un'assoluta precisione nello stabilire la qualità del sogno. Passiamo dai sogni tranquilli procurati dalla Slipper Nera, alle allucinazioni multicolori della peyote e della trinarcotine, dalle fantasie erotiche procurate dalla nace e dalla morfina ai sogni per il risveglio della memoria procurati dalle droghe del gruppo dei carmoidi».
«È il sogno per il risveglio della memoria quello che mi interessa» disse Barrent.
Arkdragen corrugò la fronte.
«Non lo consiglierei alla prima visita».
«Perché»
«I sogni sulla Terra sconvolgono più di qualsiasi sogno immaginario. Di solito è necessaria un'assuefazione ai sogni. Io, per una prima seduta, consiglierei una piccola fantasia erotica. Questa settimana facciamo uno sconto su questo genere di sogni».
Barrent scosse la testa.
«Penso di preferire la realtà, a questo riguardo».
«Non ditelo neppure!» esclamò l'assistente con un sorriso da intenditore.
«Credetemi, una volta abituati alle esperienze del sogno, quelle reali diventano, al confronto, ben pallida cosa».
«Non mi interessa» rispose Barrent. «Quello che voglio è un sogno sulla Terra».
«Ma non avete ancora la tolleranza ai sogni!» protestò Arkdragen. «È la prima volta che provate».
«È necessaria l'assuefazione?» domandò Barrent.
«È importante» rispose Arkdragen. «Tutte le nostre droghe, com'è prescritto dalla legge, sono idonee a formare abitudine. Per apprezzare veramente una droga, voi dovete sentirne il bisogno. Il piacere che ne deriva aumenta in maniera considerevole. Ecco perché suggerisco di cominciare...»
«Voglio un sogno sulla Terra» ripeté Barrent.
«D'accordo» rispose Arkdragen, con rabbia. «Però non saremo responsabili dei traumi che vi possono derivare».
Guidò Barrent per un lungo corridoio fiancheggiato da porte, e arrivati alla fine entrarono in una stanza occupata da un uomo barbuto, in camice bianco, intento a leggere un libro.
«Buona sera, dottor Wayn» salutò Arkdragen. «Vi presento il Cittadino Barrent. Prima visita. Insiste per un sogno sulla Terra». Poi si girò e uscì dalla stanza.
«Bene» disse il dottore. «Penso di potervi accontentare». Depose il libro che stava consultando. «Sdraiatevi sul lettino, Cittadino Barrent».
Al centro della stanza c'era un lettino sovrastato da apparecchi complicati. Contro una parete, un armadio a vetri pieno di vasetti. Si sdraiò. Il dottor Wayn gli fece dapprima una visita generale, poi passò ai controlli specifici di suggestionabilità, esaminò l'indice ipnotico, la reazione agli undici gruppi base delle droghe, e la suscettibilità alle infezioni tetaniche e agli attacchi epilettici. Scrisse i risultati su un quaderno, fece dei calcoli, poi si avvicinò all'armadio di vetro e cominciò a mescolare le droghe.
«Può essere pericoloso?» chiese Barrent.
«Non dovrebbe esserlo» rispose il dottor Wayn. «Avete un aspetto sano. E siete sano infatti, con una leggera disposizione alla suggestionabilità. Naturalmente potete cadere in preda a un attacco epilettico causato forse da un cumulo di reazioni allergiche. Ma non c'è da preoccuparsi. Poi ci sono i traumi che a volte portano alla follia e alla morte. Sono casi che forniscono interessante materiale di studio. Certe persone infine rimangono legate ai loro sogni, e sono incapaci di liberarsi. Penso che ciò possa essere classificato, anche se non lo è, come un tipo di follia».
Il dottore aveva terminato di mescolare le droghe, e stava caricando una siringa ipodermica con la mistura. Barrent ebbe i primi dubbi sull'utilità della prova cui aveva voluto sottoporsi.
«Forse potrei rimandare la visita» disse. «Non sono sicuro di...»
«Non abbiate paura» assicurò il dottore. «Questo è il miglior Negozio di Sogni di tutta Omega. Rilassatevi. I muscoli induriti possono procurare il tetano».
«Penso che il signor Arkdragen abbia ragione» insisté Barrent. «Forse non avrei dovuto desiderare un sogno sulla Terra nella mia prima visita. Ha detto che è pericoloso».
«Be', dopo tutto» ribatté il dottore «cosa sarebbe la vita senza un po' di rischio? In questi casi l'inconveniente più comune è una lesione al cervello. E noi siamo in grado di curarla».
Avvicinò la siringa al braccio di Barrent.
«Ho cambiato idea» disse Barrent, e fece l'atto di alzarsi. Ma con un'abile mossa, il dottor Wayn gli infilò l'ago nel braccio.
«Non si deve cambiare idea quando si è in un Negozio di Sogni» disse.
«Cercate di rilassarvi...»
Barrent si rilassò. Rimase coricato sul lettino e udì un sibilo acuto nelle orecchie. Cercò di mettere a fuoco il volto del dottore. Ma quel volto era cambiato.

Era il volto di una persona anziana, rotondo, con profonde rughe che solcavano il collo e le guance. Un volto di persona amica, preoccupata. Era il volto del preside dell'Università di Barrent.
«Su, Will» disse il preside «devi essere prudente. Devi imparare a dominare il tuo temperamento».
«Lo so, signore» rispose Barrent. «Il fatto è che mi infurio quando...»
«Will!»
«D'accordo» disse Barrent. «Cercherò di dominarmi».
Uscì dall'Università e cominciò a girare per le strade. Era una città fantastica, piena di grattacieli, di strade a diversi livelli. Una città ricca. Una città ambiziosa che amministrava molti Stati lontani, e altri pianeti. Barrent prese a camminare sul marciapiede del terzo livello. Era ancora in collera per la storia di Andrew Therkaler.
Per colpa di Therkaler e della sua ridicola gelosia, la domanda che Barrent aveva fatto per entrare nel Corpo di Esplorazioni Spaziali era stata respinta. In un caso del genere, il preside non poteva far niente. Therkaler aveva molta influenza sul comitato che doveva fare la scelta. Dovevano passare tre anni prima che Barrent potesse rifare la domanda. Nel frattempo doveva rimanere sulla Terra, e senza poter trovare lavoro. Tutti i suoi studi erano stati in relazione alle esplorazioni extraterrestri. Non c'era posto per lui sulla Terra, e ora era stato bandito dallo spazio. Therkaler!
Barrent scese dal marciapiede dei pedoni, e salì sul nastro ad alta velocità che conduceva nel distretto di Sante. E mentre il nastro lo stava trasportando, strinse la piccola pistola che portava nella tasca. Le armi leggere erano illegali, e lui si era procurato la sua attraverso una complicata trafila. Aveva deciso di uccidere Therkaler.
Ci fu una sovrapposizione di facce grottesche, poi tutto il sogno si confuse. Quando le immagini tornarono chiare, Barrent si vide con la pistola puntata contro una persona che chiedeva grazia, e che improvvisamente cessò di gridare.
Un informatore assistette al delitto e ne informò la polizia. Gli agenti, nella loro uniforme grigia, lo presero in custodia e lo portarono di fronte al giudice. Il giudice lo condannò alla deportazione sul pianeta Omega e sentenziò, come d'obbligo, che a Barrent venisse tolta la memoria. Poi il sogno si trasformò in un caleidoscopio di orrori. Si trovò a salire su di una montagna scoscesa, poi cercava di uscire da un pozzo dalle pareti levigate, e dietro di lui, con il petto squarciato, c'era sempre il cadavere di Therkaler che cercava di afferrarlo. E accanto al cadavere vide il volto dell'informatore, e quello del giudice che lo aveva condannato. Scese di corsa una collina, fuggì in mezzo a una strada, sopra un tetto. E gli inseguitori erano sempre alle sue calcagna. Entrò in una stanza gialla e chiuse la porta. Ma quando si girò vide di essersi rinchiuso insieme con il cadavere di Therkaler. Un fungo stava fiorendo nella ferita del petto, e la testa era cinta da una corona di muffa rossastra. Il corpo cominciò ad avanzare e stava per afferrarlo. Allora Barrent si gettò a capofitto dalla finestra.
«Svegliatevi, Barrent. Uscite dal sogno!»
Ma Barrent non aveva tempo di ascoltare. La finestra si era trasformata in un grande anfiteatro dalle pareti lisce. E sulla sabbia grigia dell'arena il cadavere gli si stava avvicinando. Sugli spalti, solo due persone osservavano impassibili: il giudice e l'informatore.
«Non riesce a liberarsi».
«Be', io l'avevo avvisato...»
«Uscite dal sogno, Barrent! Sono il dottor Wayn. Siete su Omega, nel Negozio dei Sogni. Uscite dal sogno».
Omega? Sogno? Non c'era tempo di pensare a queste cose. Stava nuotando in mezzo a un lago mefitico, inseguito dal giudice e dall'informatore. I due sorreggevano il cadavere che stava lentamente perdendo la pelle.
«Barrent!»
Ora il lago si era trasformato in una spessa gelatina che gli afferrava le braccia e gli riempiva la bocca, mentre il giudice e l'informatore...
«Barrent!»
Aprì gli occhi e si trovò disteso sul lettino del Negozio dei Sogni. Il dottor Wayn era chino su di lui. Accanto, un infermiera era pronta con le siringhe e con una maschera di ossigeno. Dietro di loro Arkdragen si stava asciugando la fronte bagnata di sudore.
«Non credevo che ce l'avreste fatta» disse il dottor Wayn. «Veramente, non credevo».
«È uscito appena in tempo» commentò l'infermiera.
«Io l'avevo avvisato» disse Arkdragen, e uscì dalla stanza. Barrent si mise a sedere.
«Cos'è accaduto?» chiese.
Il dottor Wayn si strinse nelle spalle.
«È difficile dirlo. Forse eravate incline a una reazione circolare. E a volte le droghe non sono assolutamente pure. Però queste cose non accadono mai più di una volta. Credetemi, Cittadino Barrent, le esperienze con le droghe sono veramente piacevoli. Sono sicuro che la prossima volta ne proverete piacere».
Ancora scosso per quello che aveva passato, Barrent sapeva che non ci sarebbe stata una seconda volta. Qualunque potesse essere il costo della droga, non voleva correre il rischio di ricadere in quell'incubo.
«Ho preso assuefazione alla droga?» chiese.
«Oh, no» rispose Wayn. «L'assuefazione viene dopo la terza o la quarta visita».
Barrent lo ringraziò e uscì. In anticamera chiese ad Arkdragen quanto doveva pagare per la seduta.
«Niente» si sentì rispondere. «La prima visita è sempre offerta dalla casa».
Barrent uscì dal Negozio dei Sogni e si avviò verso la sua abitazione. Aveva molte cose a cui pensare. Ora, per la prima volta, aveva la prova di avere ucciso con premeditazione.

Capitolo IX

Essere accusati di un delitto di cui non ci si ricorda è una cosa. Ricordare il delitto di cui si è stati accusati, cambia completamente la situazione. Era difficile non credere alla prova che aveva avuto.
Barrent cercò di analizzare le sue sensazioni. Prima della visita al Negozio dei Sogni non si era mai sentito un assassino. Non aveva importanza ciò di cui le autorità della Terra lo avevano incolpato. Aveva pensato che, nella peggiore delle ipotesi, doveva aver ucciso in un improvviso accesso di rabbia. Ma studiare e compiere il delitto a sangue freddo... Perché aveva ucciso? Il suo desiderio di vendetta era così grande da fargli dimenticare tutte le leggi della civiltà terrestre? Apparentemente era così. Lui aveva ucciso, qualcuno lo aveva denunciato, e un giudice lo aveva condannato alla deportazione su Omega. Era un assassino su un pianeta di criminali. Per vivere in quel luogo e avere successo doveva semplicemente seguire la sua naturale inclinazione verso il delitto. Tuttavia Barrent trovava molto difficile seguire quella linea di condotta. Non provava nessun piacere nello spargimento di sangue. Il Giorno dei Liberi Cittadini, benché fosse uscito con la pistola per le strade, non riuscì a uccidere nessuno delle classi interiori. Non desiderava ammazzare. Pregiudizio ridicolo, considerando dove e chi era, ma non poteva evitarlo. Spesso Tem Rend e Joe gli ricordavano i suoi doveri di Cittadino, ma sempre lui provava disgusto per l'assassinio. Si sottopose alle cure di uno psichiatra, e venne a sapere che questa ripugnanza per il delitto aveva le sue radici in una fanciullezza infelice. Questa fobia era stata poi complicata dai trauma subito durante la sua esperienza al Negozio dei Sogni. A causa di questo, l'assassinio, il più alto privilegio sociale, gli era diventato ripugnante. Questa neurosi antidelitto, in un uomo eminentemente portato all'arte di uccidere, così disse lo psichiatra, avrebbe inevitabilmente finito col distruggerlo. Unica soluzione, vincere la neurosi. E consigliò un immediato trattamento in un ospedale per criminali non assassini.
Barrent si recò all'ospedale e sentì gli internati urlare e invocare bontà, giustizia, santità della vita, e altre oscenità. Non volle rimanere in quel luogo. Forse era ammalato, ma non in quella maniera!
I suoi amici dissero che quel suo atteggiamento di non collaborazione gli avrebbe procurato dei guai. Barrent era d'accordo con loro, ma sperò di arrivare a uccidere solo quando fosse stato strettamente necessario, e di sfuggire all'attenzione degli altolocati cittadini addetti all'amministrazione della legge.
Per diverse settimane i suoi piani sembrarono aver successo. Ignorò le perentorie note che gli venivano inviate dal Negozio dei Sogni, e non volle tornare alle funzioni religiose. Gli affari prosperavano, e Barrent occupava tutto il suo tempo libero a studiare gli effetti di veleni vari, e ad allenarsi con la pistola. Spesso pensò alla ragazza. Aveva ancora la pistola che lei gli aveva dato. Si chiese se l'avrebbe mai più rivista. Pensò alla Terra. Dopo la visita al Negozio dei Sogni ebbe occasionali ritorni di memoria: visioni di un palazzo logorato dal tempo, di boschi, di anse di fiume viste attraverso i salici. Questa Terra ricordata a metà lo riempiva di un ardente desiderio. Come per la maggior parte dei cittadini di Omega, il suo solo desiderio era quello di potervi tornare. Ma era impossibile.
I giorni passarono, e quando vennero i guai, vennero inaspettatamente. Una notte bussarono con forza alla porta. Mezzo addormentato, Barrent andò ad aprire, e quattro uomini in uniforme irruppero nella casa per dichiararlo in arresto.
«Perché?» chiese loro.
«Non assuefazione alla droga» gli spiegò uno degli uomini. «Avete tre minuti per vestirvi».
«Qual è la pena?»
«Lo saprete in tribunale» gli rispose. Poi fissò i compagni. «L'unica maniera per curare un non drogato è quella di ucciderlo, vero?»
Barrent si vestì.

Fu portato in un'aula del Dipartimento della Giustizia. Era l'aula chiamata Kangaroo Court in onore all'antica procedura giudiziaria anglosassone. Di fronte, dall'altra parte dell'atrio, c'era l'aula chiamata, sempre per antica derivazione, la Star Chamber. Oltre quella c'era infine la Corte d'Appello.
La Kangaroo Court era divisa a metà da un alto schermo di legno, dato che era fondamentale, su Omega, che l'accusato non dovesse vedere il suo giudice né i suoi accusatori.
«Fate alzare il prigioniero» disse una voce da dietro lo schermo. La voce esile, monotona, proveniva da un piccolo altoparlante.
«Will Barrent» disse il giudice «siete stato portato di fronte a questa Corte, sotto la grave accusa di non assuefazione alla droga e per la più lieve imputazione di empietà religiosa. Per quest'ultima abbiamo la dichiarazione giurata del prete. Per l'imputazione più grave abbiamo invece le testimonianze del personale del Negozio dei Sogni. Potete confutare queste accuse?»
Barrent pensò un attimo.
«No, signore, non posso».
«La minor colpa da voi commessa» riprese il giudice, «quella di empietà religiosa, può essere condonata, dato che non siete recidivo. Ma la non assuefazione alla droga è crimine ben più grave contro lo Stato di Omega. L'uso ininterrotto delle droghe è privilegio di ogni Cittadino. Ed è risaputo che i privilegi, perché non vengano persi, debbono essere continuamente esercitati. Perdere i nostri privilegi significa perdere la nostra libertà. Rifiutare, o comunque non usufruire in altro modo di un privilegio, equivale ad alto tradimento».
Ci fu una pausa. Le guardie si agitarono, annoiate. Barrent, che ormai considerava la sua situazione disperata, rimase sull'attenti, in attesa.
«Le droghe servono a molti scopi» continuò il giudice. «Non voglio enumerare quelle che sono le qualità desiderabili per chi le usa. Dal punto di vista dello Stato vi dirò che una popolazione assuefatta alla droga è una popolazione leale. Le droghe sono una delle maggiori fonti di gettito fiscale. Le droghe simboleggiano il nostro modo di vita. Vi dirò infine che le minoranze non assuefatte hanno sempre dato prova di ostilità verso le istituzioni di Omega. Vi ho dato tutte queste spiegazioni, Will Barrent, perché possiate meglio capire la condanna che vi sarà inflitta».
«Vostro Onore» disse Barrent «ho sbagliato nell'evitare l'assuefazione. Non invocherò l'ignoranza perché so che la legge non la riconosce come scusante. Però vi chiedo umilmente un'altra prova. Vi chiedo di ricordare che la assuefazione e la riabilitazione mi sono ancora possibili».
«La Corte lo riconosce» dichiarò il giudice. «Per questo la Corte è felice di esercitare i suoi pieni poteri di clemenza. Invece dell'esecuzione sommaria potrete scegliere fra due pene minori. La prima è punitiva, e stabilisce che voi, per riparazione al crimine commesso contro lo Stato, abbiate a soffrire la perdita della mano destra e della gamba sinistra, ma che non abbiate a perdere la vita».
Barrent fece un sobbalzo.
«Qual è l'altra pena?» domandò.
«L'altra pena, non punitiva, è che voi vi sottoponiate alla Prova dell'Ordalia. Inoltre, se sopravviverete alla prova, voi tornerete a coprire il vostro rango e la vostra posizione nella società».
«Scelgo la Prova dell'Ordalia» decise Barrent.
«Molto bene» rispose il giudice. «Il caso è chiuso».
Barrent fu condotto fuori dell'aula. Alle sue spalle udì ridere una delle guardie. Aveva forse scelto male? Poteva una prova essere peggiore della mutilazione?

Capitolo X

Su Omega non si sarebbe potuto infilare, per così dire, una lama di coltello fra il processo e l'esecuzione della pena. Barrent venne condotto in una grande sala circolare che si trovava al piano terreno nel palazzo del Dipartimento della Giustizia. La sala era illuminata da lampade collocate sull'alto soffitto a volta. Sotto, una parte del muro era scavata e adibita a tribuna per gli spettatori. Quando Barrent fece il suo ingresso nella sala, quasi tutti i posti erano occupati, e le maschere passavano tra le file per vendere il programma della giornata.
Per alcuni istanti Barrent rimase solo in mezzo alla sala, poi una delle pareti si aprì e una macchina avanzò verso di lui.
«Signore e signori, attenzione!» disse una voce, da un altoparlante. «State per assistere alla Prova dell'Ordalia 642-BG223, tra il Cittadino Will Barrent e GME213. Prendete posto a sedere. La prova comincerà fra pochi minuti».
Barrent guardò l'avversario. Era una macchina lucente, a forma di mezza sfera, alta più di un metro. Andava avanti e indietro senza posa su piccole rotelle. Una miriade di luci rosse, verdi e gialle, si accendevano a intervalli sulla superficie liscia di metallo. A Barrent ritornò vagamente alla memoria l'immagine di alcune creature abitanti gli oceani della Terra.
«Per coloro che visitano la nostra galleria per la prima volta» disse l'altoparlante «è necessaria una spiegazione. Il prigioniero, Will Barrent, ha scelto liberamente la Prova dell'Ordalia. Lo strumento di giustizia, in questo caso il GME213, è un esempio della più alta tecnica creativa di Omega. La macchina, Max, com'è chiamata dai molti amici e ammiratori, è un'arma di morte di esemplare efficacia, ed è capace di uccidere in ventitré modi differenti, la maggior parte dei quali molto dolorosi. La prova è affidata al caso. Ciò significa che Max non ha la possibilità di scelta del modo con cui uccidere. I ventitré modi differenti sono selezionati a caso, e collegati a un selettore di tempo che a caso varia i periodi da uno a sei secondi».
Improvvisamente Max si mosse verso il centro della sala e Barrent fece alcuni passi indietro.
«È nelle possibilità del prigioniero» continuò la voce «fermare la macchina. In questo caso il prigioniero vincerebbe la disputa e verrebbe lasciato libero, con tutti i diritti e privilegi del suo stato. I sistemi per fermarla variano da macchina a macchina. In teoria è sempre possibile che un prigioniero vinca. In pratica ciò è accaduto nel 3,5 per cento dei casi».
Barrent guardò in alto verso gli spettatori. A giudicare dai loro abiti tutti dovevano essere, uomini e donne, di grado molto elevato nel rango delle Classi Privilegiate.
E vide, seduta in un posto di prima fila, la ragazza che il giorno del suo arrivo a Tetrahyde gli aveva dato la pistola. Era bella come l'aveva sempre ricordata, però sul suo volto non traspariva traccia di emozione. Lo stava fissando con l'interesse con cui si sarebbe guardato un insetto sotto un vasetto di vetro.
«La prova ha inizio!» disse ancora la voce, dall'altoparlante. Barrent non ebbe più tempo per pensare alla ragazza. La macchina si stava muovendo verso di lui.
Barrent si ritrasse cautamente, compiendo un cerchio, e Max allungò verso di lui un tentacolo sottile sulla cui punta brillava una luce bianca. La macchina continuò ad avanzare cercando di spingerlo contro la parete. Improvvisamente si fermò. Barrent udì lo scatto degli ingranaggi e vide il tentacolo ritirarsi, poi dal corpo della macchina usci un braccio metallico snodato, terminante con una punta simile a quella di un coltello. Muovendosi con maggiore rapidità la macchina cercò nuovamente di spingerlo verso la parete. Il braccio scattò in avanti, ma Barrent riuscì a evitarlo. Udì il colpo della lama contro la parete, poi, appena vide che il braccio veniva ritirato, si mosse per raggiungere il centro della sala. Capì che la sola possibilità di fermare la macchina avrebbe potuto trovarla in quelle pause impiegate dal selettore per passare da un modo di uccidere all'altro. Ma come fermare una macchina liscia come il guscio di una tartaruga?
Max tornò alla carica. Ora la superficie emisferica era tutta cosparsa di una densa sostanza verde che Barrent riconobbe immediatamente per un veleno a contatto. Si mise a correre intorno alla pista cercando di evitare ogni contatto con la macchina.
La macchina si fermò. Un neutralizzante lavò la superficie facendo sparire il veleno. Poi la macchina tornò a muoversi verso di lui. Questa volta non era visibile nessun'arma, e apparentemente sembrava che Max avesse intenzione di schiacciarlo.
A Barrent cominciava a mancare il fiato. Si mosse da un lato, e la macchina si mosse con lui. Poi, quando Max scattò in avanti, Barrent si trovò con le spalle alla parete.
La macchina si fermò a pochi centimetri. Il selettore scattò e Max estrasse una specie di clava. Se quel gioco da gatto col topo fosse durato a lungo, la macchina lo avrebbe ucciso a suo piacere. Se voleva fare qualcosa, doveva farlo immediatamente. Quando ancora ne aveva le forze. Mentre pensava a questo, la macchina aveva alzato il braccio per vibrare la clava. Barrent non poté evitare completamente il colpo, e venne raggiunto di striscio alla spalla sinistra. Durante la selezione seguente, Barrent si lanciò sulla superficie liscia dell'avversario. Vide due buchi e, sperando che fossero le aperture dell'aria, vi infilò le dita. La macchina si fermò di scatto, e tutta la platea cominciò a vociare. Con il braccio intorpidito dal colpo ricevuto Barrent cercò di afferrarsi al corpo della sfera per tenere salde le dita nei buchi. Le luci verdi sul corpo di Max si erano fatte gialle, e poi rosse, e il ronzio degli ingranaggi era diventato un boato. Alla fine la macchina fece uscire due brevi tubi che servivano come presa d'aria d'emergenza. Barrent cercò di tappare le nuove prese con il corpo, ma la macchina, che aveva ripreso vita, con un rapido movimento rotatorio, se lo scrollò di dosso. Il giovane allora tornò al centro della sala.
Si sentiva esausto. Cercò di ritirarsi di fronte alla macchina che ora avanzava brandendo una enorme scure scintillante. Come l'ascia venne calata, Barrent scattò in avanti e afferrò il braccio con tutte e due le mani, nel tentativo di piegarlo. Il metallo scricchiolò, e al giovane parve che le giunture del braccio di Max stessero cedendo. Se fosse riuscito a romperlo, forse avrebbe reso innocua la macchina... Improvvisamente Max partì a marcia indietro. Barrent cercò di tenere salda la presa, ma venne lanciato lontano. Cadde con la faccia a terra, e l'ascia vibrata gli scavò una ferita nella spalla. Gli spettatori applaudirono e si prepararono a seguire una nuova trasformazione di Max. Barrent guardò un attimo verso il pubblico, e gli parve che la ragazza gli facesse un cenno. La osservò meglio, cercando di capire quello che gli stava comunicando. Faceva segno di voltare qualcosa. Voltare e distruggere. Poi non ebbe più tempo per guardare. Debole per la perdita di sangue, si alzò in piedi, e fissò gli occhi sulla macchina che stava nuovamente avanzando. Ma non si preoccupò del tipo di arma che Max avrebbe sfoderato. Tutta la sua attenzione era concentrata sulle ruote. Come il micidiale robot gli fu vicino, Barrent si lasciò cadere a terra. La macchina cercò di frenare, ma non fece in tempo. Le ruote di gomma passarono sul corpo disteso e Max fece un sobbalzo verso l'alto. Barrent soffocò un grido di dolore, e raccolse le forze per rialzarsi. Per un attimo la mezza sfera ondeggiò nell'aria, poi cadde, capovolta. Il giovane rimase un attimo a terra sfinito, poi, quando portò gli occhi sul nemico vinto, vide che stava estraendo delle braccia per potersi rimettere sulle ruote. Allora si lanciò sulla parte piatta del nemico; e cominciò a colpire con i pugni. Ma non ottenne niente. Cercò di strappare una delle ruote, ma non vi riuscì. E Max cercava con ogni mezzo di rimettersi sulle ruote per riprendere l'attacco.
Con la coda dell'occhio Barrent notò un segno della ragazza. Stava ripetendo il gesto di strappare qualcosa. Solo allora Barrent si accorse di una piccola valvoliera posta accanto a una delle ruote. La scoperchiò, e strappò via le valvole. Immediatamente la macchina si fermò.
E Barrent svenne.

Capitolo XI

Su Omega la legge è superiore a tutto. Conosciuta o sconosciuta, sacra o profana, la legge governa le azioni di tutti i cittadini, dai più miserabili ai più altolocati. Senza la legge non sarebbero potuti esistere i privilegi per quelli che avevano fatto la legge. Quindi la legge era assolutamente necessaria. Senza leggi Omega sarebbe precipitato in un caos inimmaginabile!
Questa anarchia avrebbe significato la fine della società su Omega. In particolare, sarebbe stata la fine dei vecchi cittadini che erano saliti alle cariche di governo e che formavano la classe dirigente. Quindi la legge era necessaria.
Però Omega era anche una società di criminali, composta esclusivamente da individui che avevano infranto le leggi della Terra. Una società in cui un criminale era re, il delitto ammirato e citato a esempio, una deviazione valutata secondo il successo che procurava. E questo sfociava nel paradosso di una società di criminali retta da leggi concepite per essere infrante.
Il giudice, sempre nascosto dietro lo schermo, spiegò tutti questi concetti a Barrent. Erano passate alcune ore dalla Prova dell'Ordalia. Barrent era stato portato nell'infermeria per la medicazione delle ferite. Non erano molto gravi: due costole rotte, un taglio profondo alla spalla sinistra, e diversi graffi e ammaccature.
«Di conseguenza» continuò il giudice «la legge deve essere contemporaneamente infranta e rispettata. Quelli che non la infrangono non riescono mai a salire di rango. Normalmente, dato che mancano di iniziativa per sopravvivere, vengono eliminati in una maniera o nell'altra. Per quelli che infrangono la legge, la situazione è leggermente diversa. La legge li punisce con assoluta severità, a meno che essi non riescano a evitare la pena».
Il giudice tacque per qualche secondo, e quando riprese a parlare la sua voce si era fatta più grave.
«L'uomo esemplare di Omega è l'individuo che capisce la legge, ne apprezza la necessità, conosce le pene per le infrazioni, le viola... e vince!
Questo è il criminale ideale e l'Omegano perfetto. E questo siete voi, Will Barrent, che avete vinto la Prova».
«Grazie» disse Barrent.
«Voglio però farvi sapere» continuò il giudice «che schivare la legge una volta non implica che voi possiate aver successo una seconda volta. A ogni tentativo, le difficoltà saranno sempre maggiori, come maggiori saranno le ricompense avendo successo. Vi consiglio, perciò, di agire con prudenza».
«Lo farò».
«Molto bene. Da questo momento siete elevato allo stato di Cittadino Privilegiato con tutti i diritti e le obbligazioni legate al rango. Potrete continuare il lavoro che avete svolto fino a oggi. Inoltre vi verrà offerta una settimana di vacanza gratuita nella regione del Lago delle Nuvole. Potrete trascorrere questa vacanza con qualsiasi donna a vostra scelta».
«Come?» chiese Barrent. «Cosa avete detto alla fine?»
«Una settimana di vacanza» ripeté il giudice «con la donna che sceglierete. È un riguardo considerevole, dato che su Omega il numero degli uomini supera di sei volte quello delle donne. Potete scegliere qualsiasi donna non sposata, che lei voglia o non voglia. Per fare questa scelta vi concedo tre giorni».
«Non ho bisogno dei tre giorni» rispose Barrent. «Voglio la ragazza che era seduta in prima fila. La ragazza dai capelli neri e gli occhi verdi. Avete capito chi voglio dire?»
«Sì» rispose il giudice. «So chi è. Si chiama Moera Ermais. Vi consiglio di scegliere qualcun'altra».
«C'è qualche motivo particolare?»
«No. Però fareste meglio a scegliere un'altra ragazza. Il mio ufficio vi fornirà una lista di cittadine giovani. Hanno tutte ottime referenze. Molte di loro sono diplomate al Women's Institute che, come forse sapete, tiene corsi biennali molto rigorosi sull'arte e la scienza delle geishe. Personalmente vi posso raccomandare...»
«Voglio Moera» disse Barrent.
«Giovanotto, state facendo una scelta sbagliata».
«Voglio tentare la sorte».
«Benissimo» concluse il giudice. «La vostra vacanza comincia domattina alle nove. Vi auguro sinceramente buona fortuna».

Alcune guardie scortarono Barrent fuori dell'ufficio del giudice e lo accompagnarono fino al suo negozio. Gli amici, che si erano aspettati di ricevere l'annuncio della sua morte, vennero ovviamente a congratularsi. Erano ansiosi di sapere come si fosse svolta la Prova, ma Barrent aveva ormai imparato che il segreto faceva parte della via al potere, e fece solo un breve resoconto.
Quella sera c'era un altro motivo di soddisfazione. La domanda di Tem Rend era stata accettata dall'Ordine degli Assassini, e lui, come aveva promesso, aveva preso Foeren quale suo assistente.
Il mattino seguente Barrent, nell'aprire il negozio, vide una macchina ferma di fronte alla sua porta. Gli era stata fornita per la vacanza dal Dipartimento di Giustizia. Sul sedile posteriore, bella ma chiaramente seccata, sedeva Moera.
«Siete impazzito, Barrent. Pensate che io abbia tempo per simili cose?
Perché avete scelto me?»
«Mi avete salvato la vita» disse Barrent. «Vi pare poco?»
«E suppongo che questo vi abbia fatto pensare che mi interessavo a voi. Be', non è così. Se avete della gratitudine per me dite all'autista che avete cambiato idea. Potete sempre scegliere un'altra ragazza».
Barrent scosse la testa.
«Siete la sola ragazza che mi interessi».
«Non volete cambiare idea, quindi?»
«Non ci penso neppure».
Moera sospirò e si lasciò cadere contro lo schienale.
«Vi interesso veramente?»
«È molto di più che un interesse».
«Se non volete cambiare idea non mi resta che venire con voi» mormorò Moera.
Voltò la testa dall'altra parte. Ma prima che fosse completamente girata, Barrent poté scorgere un lieve sorriso sulle labbra della ragazza.

Capitolo XII

Il Lago delle Nuvole era il luogo di vacanza più elegante di Omega. Prima di entrare nella zona di villeggiatura, tutte le armi venivano ritirate. Per nessun motivo erano permessi duelli. Le liti venivano normalmente risolte con decisione insindacabile dal più vicino barman, e un assassinio veniva immediatamente punito con la perdita della posizione sociale. Al Lago delle Nuvole si trovava qualsiasi divertimento, e si potevano praticare sport, come il nuoto, l'alpinismo, lo sci. La sera si poteva ballare nella grande sala divisa da vetrate che separavano i Residenti dai Cittadini e i Cittadini dai Privilegiati. C'era un drugbar ottimamente fornito, in cui si trovavano tutti i tipi di droghe, dalle più antiche alle ultime novità in materia. Per le compagnie allegre, ogni mercoledì e domenica sera, si svolgevano delle orge alla Grotta dei Satiri. Per i timidi, invece, la direzione organizzava convegni mascherati che si svolgevano nei corridoi oscuri, nelle cantine dell'albergo. Ma, cosa più importante, c'erano dolci colline con boschetti ombrosi, in cui passeggiare, e dove ci si sentiva finalmente liberi dalla tensione giornaliera dell'esistenza che si viveva a Tetrahyde. Barrent e Moera occupavano camere comunicanti, e la porta che le univa non era chiusa a chiave. Tuttavia la prima notte Barrent non volle oltrepassarla. Moera non gli aveva fatto capire di desiderare la sua compagnia. Su di un pianeta dove le donne avevano così facile accesso ai veleni, l'uomo doveva pensarci due volte prima di infliggere la sua presenza quando non era desiderata. Anche il proprietario di un negozio di antidoti doveva tener presente la possibilità di non riconoscere un sintomo in tempo. Il secondo giorno scalarono una collina. Si fermarono su di un prato che scendeva lontano fino a toccare le acque grigie del mare, e fecero colazione con quello che avevano portato. Poi Barrent chiese a Moera perché gli avesse salvato la vita.
«Può darsi che la risposta non vi faccia piacere» disse Moera.
«La voglio sentire ugualmente».
«Be', il giorno in cui vi ho visto nella sala della Società delle Vittime avevate un'aria vulnerabile e ridicola. Avrei aiutato chiunque in quelle condizioni».
«E la seconda volta?»
«Credo di aver avuto un certo interesse. Non romantico. Non lo sono affatto».
«Che tipo di interesse, allora?» chiese Barrent.
«Pensai che potevate essere ottimo materiale da reclutare».
«Vorrei che vi spiegaste meglio».
«Non vi posso dire molto. Appartengo a un'organizzazione, e siamo in cerca di persone che ci possono essere utili. Normalmente facciamo la scelta nel momento in cui i prigionieri scendono dall'astronave. In seguito i reclutatori, come me, vanno in giro per arruolare le persone osservate».
«Che tipo di persone cercate?»
«Non del vostro tipo, Will. Mi spiace».
«Perché non come me?»
«In un primo momento avevo pensato seriamente di reclutarvi» disse Moera. «Mi sembravate proprio il tipo di cui avevamo bisogno. Poi ho guardato i documenti che vi riguardano».
«Allora?»
«Non reclutiamo assassini. A volte abbiamo bisogno della loro opera per lavori specifici, però non li facciamo entrare nell'organizzazione. Ammettiamo certe circostanze attenuanti. La legittima difesa, per esempio. Ma a parte questo, chi ha commesse un omicidio premeditato, sulla Terra, non fa per noi».
«Capisco» disse Barrent. «Gioverebbe se dicessi che non ho la normale attitudine degli Omegani verso il delitto?»
«No» rispose Moera. «Dipendesse da me, vi farei entrare nell'organizzazione. Ma non ho questa possibilità... Will, siete sicuro di essere un assassino?»
«Credo di sì» disse Barrent. «Probabilmente lo sono».
«Peccato» mormorò Moera. «Comunque l'organizzazione ha bisogno di gente capace di sopravvivere. Non vi prometto niente, però voglio vedere quello che posso fare. Sarebbe interessante se riusciste a sapere perché avete ucciso. Potrebbero esserci delle circostanze attenuanti».
«Forse» rispose Barrent, in tono dubbioso. «Cercherò di scoprire qualcosa».
Quella sera, un attimo prima di coricarsi, Moera aprì la porta di comunicazione. Quando lui fece per parlare, la ragazza gli pose una mano sulla bocca. E Barrent, che aveva imparato a non discutere la buona sorte, non disse niente.

Il resto della vacanza passò rapidamente. Non parlarono più dell'organizzazione; in compenso, la porta comunicante rimase sempre aperta. La sera del settimo giorno, Barrent e Moera tornarono a Tetrahyde.
«Quando ti potrò rivedere?» chiese Barrent.
«Mi farò viva io».
«Non è una risposta soddisfacente».
«È tutto quello che posso dirti. Mi spiace, Will» disse lei. «Vedrò intanto quello che posso fare con l'organizzazione».
Barrent si dovette rassegnare. Quando la macchina si fermò davanti al suo negozio, ancora non sapeva dove la ragazza vivesse, né che tipo di organizzazione fosse la sua.

Nella tranquillità della sua camera, il giovane cominciò a esaminare i particolari del sogno che aveva fatto sotto gli effetti della droga. C'era tutto: il suo odio per Therkaler, l'arma proibita, l'incontro, il cadavere, e poi l'informatore e il giudice. Una sola cosa mancava. Non ricordava l'assassinio vero e proprio, quando aveva puntato l'arma e fatto fuoco. Il sogno si era fermato nel momento in cui si era trovato di fronte a Therkaler, ed aveva ripreso dopo la morte. Magari c'era stata una qualsiasi provocazione, una ragione per cui aveva ucciso quell'uomo. Doveva sapere. C'erano solo due mezzi per ottenere informazioni riguardanti la Terra. Una attraverso le visioni piene di orrore del Negozio dei Sogni. E questo era deciso a non riprovarlo. L'altra, attraverso i servizi dei mutanti. Barrent nutriva un normale disgusto per i mutanti. Erano completamente un'altra razza, e se venivano considerati intoccabili, non era solo per pregiudizio. I mutanti portavano in sé strane e incurabili malattie. Venivano evitati, e avevano reagito isolandosi. Vivevano in un loro quartiere, vera e propria città nella città di Tetrahyde. I cittadini di buon senso stavano lontani da quel quartiere, specie di notte. Tutti sapevano che i mutanti potevano essere vendicativi. Ma solo loro possedevano qualità divinatorie. Nei loro corpi deformi risiedevano poteri e ingegno insoliti. Abilità strane e abnormi, che gli uomini comuni evitavano durante il giorno ma ricercavano segretamente di notte. Si diceva che i mutanti godessero del particolare favore del Nero. Alcuni asserivano che la grande arte della Magia Nera, tanto vantata dai preti, potesse essere praticata solo dai mutanti. Naturalmente nessuno osava dire una cosa simile in presenza di un prete.
A causa delle loro strane facoltà, si diceva che i mutanti, più di ogni uomo o donna normali, fossero in grado di ricordare gli avvenimenti della Terra. E non solo potevano ricordare la Terra. Sapevano anche ricostruire la vita di un uomo, superare lo spazio e il tempo, rompere i muri dell'oblio e dire a un uomo quello che era stato veramente.
Altri invece non credevano che i mutanti avessero poteri particolari. Li giudicavano abili impostori che vivevano sulla credulità della gente. Barrent decise infine di scoprire come stavano le cose. Una notte, intabarrato e armato, uscì di casa per andare nel quartiere dei mutanti.

Capitolo XIII

Barrent, la mano stretta sul calcio della pistola, s'incamminò lungo le strade tortuose del quartiere. Passò in mezzo a una folla di storpi e di ciechi, passò accanto a un giocoliere che con l'aiuto di un terzo braccio rudimentale uscente dal petto faceva roteare nell'aria dodici fiaccole accese. Vide venditori ambulanti che offrivano i più disparati oggetti, vide gente che vendeva cibi esposti su luridi pezzi di carta.
Girato un angolo, Barrent si vide la strada bloccata da un vecchio altissimo. Il mutante era orbo. La pelle, nell'incavo dove avrebbe dovuto esserci il secondo occhio, era liscia e completamente senza peli. Ma l'occhio destro lo fissava con fermezza.
«Avete bisogno dei servizi di un vero indovino?» chiese il vecchio. Barrent fece un cenno affermativo.
«Seguitemi» disse il mutante. Girò in un vicolo e Barrent lo seguì tenendo l'indice saldo sul grilletto. Per legge i mutanti non potevano possedere armi ma, come il vecchio che lo stava precedendo, tutti nel quartiere portavano pesanti bastoni da passeggio con l'impugnatura metallica. Un'arma ottima a distanza ravvicinata.
Il vecchio aprì una porta, e fece cenno a Barrent di seguirlo. Il giovane rimase un attimo incerto, ripensando alle storie sentite su creduli Cittadini, caduti nelle mani dei mutanti. Poi entrò.
Alla fine di un lungo corridoio, il vecchio aprì una seconda porta e fece entrare Barrent in una piccola stanza scarsamente illuminata. Quando i suoi occhi si furono abituati alla semioscurità, Barrent poté distinguere le figure di due donne sedute davanti a un tavolo di legno. Sul piano del tavolo era posata una brocca d'acqua dentro cui si vedeva un pezzo di vetro sfaccettato.
Una delle donne era vecchia e completamente calva. L'altra era giovane e graziosa. Ma quando si avvicinò al tavolo, Barrent si accorse con un senso di sgomento che le gambe della ragazza erano unite sotto il ginocchio da una membrana squamosa, e che i piedi avevano la forma di una rudimentale coda di pesce.
«Volete che facciamo una ricerca sul passato, Cittadino Barrent?» chiese la più giovane.
«Come fate a sapere il mio nome?» domandò. Ma non ottenne risposta.
«Va bene» disse alla fine «vorrei sapere qualcosa del delitto che ho commesso sulla Terra».
«Perché volete saperlo?» chiese ancora la giovane. «Non è registrato negli incartamenti che vi riguardano?»
«Certo. Ma io voglio sapere perché l'ho commesso. Forse ci sono delle circostanze attenuanti. Forse si è trattato di legittima difesa».
«È veramente importante?»
«Penso di sì» rispose. Esitò un attimo, poi prese coraggio. «Il fatto è che io nutro pregiudizi contro l'omicidio. Preferisco non uccidere. Così vorrei sapere perché sulla Terra ho commesso un omicidio».
I mutanti si guardarono l'un l'altro.
«Cittadino,» disse alla fine il vecchio, con un sogghigno, «cercheremo di aiutarvi in tutto quello che possiamo. Anche noi mutanti nutriamo pregiudizi verso le uccisioni. Infatti sono sempre gli altri che uccidono noi. Quindi rispettiamo i cittadini che hanno gli stessi nostri sentimenti».
«Indagherete nel mio passato?»
«Non è molto facile» disse la giovane. «L'indagine del passato non sempre ci riesce. E quando riesce, spesso vengono rivelate cose che non sono quelle desiderate».
«Pensavo che i mutanti potessero guardare nel passato a piacere» disse Barrent.
«No» precisò il vecchio «non è vero. Per prima cosa, non tutti quelli che vengono classificati come mutanti lo sono veramente. In questi giorni qualsiasi anomalia o deformità viene definita mutantismo. È un sistema sbrigativo per isolare tutti coloro che non sono conformi al normale aspetto di un terrestre».
«Ma alcuni di voi sono dei veri mutanti?»
«Sì. Però ci sono differenti tipi di mutantismo. Alcuni mostrano anormalità dovute alle radiazioni: gigantismo, microcefalia, e cose simili. Ma solo pochi di noi possiedono qualità divinatorie, anche se tutti i mutanti affermano di averle».
«Voi...?»
«No. Myla può» disse l'uomo indicando la giovane. Myla stava guardando il cristallo immerso nell'acqua. Aveva gli occhi spalancati e il corpo di sirena si era fatto rigido.
«Comincia a vedere qualcosa» mormorò il vecchio. «L'acqua e il cristallo non sono che oggetti su cui concentrare l'attenzione. Myla è molto abile, anche se a volte confonde il futuro con il passato. Sono cose imbarazzanti che gettano il discredito sul divinatore. Ma non ci si può far nulla. Ogni tanto compare il futuro e Myla dice quello che vede. La settimana scorsa disse a un Hadji che sarebbe morto entro quattro giorni. Dovreste aver visto la faccia di quell'uomo».
«Gli ha detto anche come sarebbe morto?»
«Sì. Per una coltellata. Il poveretto è rimasto in casa per tutti e quattro i giorni».
«È stato poi ucciso?»
«Naturalmente. Dalla moglie. Mi hanno riferito che era una donna molto energica».
Barrent sperò che Myla non gli dicesse qualcosa sul futuro. La vita era già abbastanza difficile senza che le predizioni dei mutanti venissero a renderla peggiore.
Myla sollevò lo sguardo e scosse lentamente la testa.
«Vi posso dire poco. Non mi è stato possibile veder commettere il delitto. Ma ho visto un cimitero, e la tomba dei vostri genitori. Una tomba vecchia, forse di vent'anni fa. Il cimitero si trova alla periferia di un posto sulla Terra chiamato Youngerstun».
Barrent pensò un attimo, ma quel nome non gli ricordava nulla.
«Poi» continuò Myla «ho visto un uomo che ha assistito all'omicidio. Lui ve ne può parlare, se vuole».
«È la persona che mi ha denunciato?»
«Non lo so» rispose Myla. «Ho visto il cadavere dell'ucciso, si chiamava Therkaler, e c'era un uomo accanto. Quest'uomo si chiama Illiardi».
«È qui su Omega?»
«Sì. Ora lo potete trovare all'Euphoriatorium della Little Axe Street. Sapete dov'è?»
«Lo troverò» disse Barrent. Poi ringraziò la ragazza e offrì del denaro che Myla rifiutò. La giovane mutante aveva un'espressione preoccupata, e quando Barrent fu sulla soglia, lo chiamò.
«Siate prudente» disse.
Barrent si fermò, e un brivido freddo gli percorse la schiena.
«Avete visto qualcosa del mio futuro?»
«Poco» rispose la ragazza. «Solo ciò che riguarda i prossimi mesi».
«Cosa avete visto?»
«Non so spiegarlo. Ciò che ho visto è impossibile».
«Dite ciò che avete visto».
«Eravate morto. Tuttavia non eravate morto affatto. Stavate fissando un cadavere. Ma quel cadavere eravate voi».
«Cosa può significare?»
«Non lo so» disse Myla.

L'Euphoriatorium era un luogo in cui si vendevano droghe e afrodisiaci a buon mercato. La clientela era formata esclusivamente da peoni e Residenti, e Barrent si sentì a disagio mentre procedeva in mezzo alla folla per raggiungere un inserviente cui chiese dove poteva trovare Illiardi. L'inserviente gli indicò un tavolo d'angolo dove un uomo di corporatura robusta sedeva davanti a un bicchiere di thanapiquita. Barrent lo raggiunse e si presentò.
«Felice di conoscervi, signore» disse Illiardi col tono di rispetto che un Residente di Seconda Classe doveva a un Cittadino Privilegiato. «In che cosa posso esservi utile?»
«Voglio farvi alcune domande sulla Terra» disse Barrent.
«Non ricordo molto della Terra» rispose Illiardi. «Ma vi dirò tutto quello che so».
«Ricordate un uomo di nome Therkaler?»
«Certamente» rispose Illiardi. «Magro. Strabico. Un uomo meschino come pochi».
«Eravate presente quando è stato ucciso?»
«Certo. È stata la prima cosa che mi è venuta alla mente quando sono sceso dall'astronave».
«E avete visto chi l'ha ucciso?»
Illiardi lo fissò, stupito.
«Non avevo bisogno di vedere. Sono stato io a ucciderlo».
Barrent cercò di mantenersi calmo.
«Ne siete sicuro? Assolutamente?» domandò.
«Certo che lo sono» esclamò Illiardi. «E sarei pronto a lottare contro chiunque volesse arrogarsi questo merito. Ho ucciso Therkaler, ma lui meritava qualcosa di peggio».
«Quando l'avete ucciso» chiese Barrent «mi avete visto nei paraggi?»
Illiardi lo guardò attentamente, poi scosse la testa.
«No. Non mi sembra di avervi visto. Però non ne posso essere sicuro. Subito dopo aver ucciso Therkaler, tutto è diventato confuso».
«Vi ringrazio» disse Barrent. E uscì dall'Euphoriatorium.

Capitolo XIV

Aveva molte cose su cui riflettere, ma più lo faceva, e più tutto diventava confuso. Se Illiardi aveva ucciso Therkaler, perché lui, Barrent, era stato deportato su Omega? Se era stato commesso un errore giudiziario, perché non era stato rilasciato quando avevano arrestato il vero assassino?
Perché qualcuno sulla Terra lo aveva accusato di un delitto che lui non aveva commesso? E perché gli era stato immesso un falso ricordo nel subconscio?
Barrent non sapeva trovare una risposta a queste domande. Non si era mai sentito un assassino. Ora, la sensazione di essere innocente cambiò molte cose. Sentì meno tolleranza per i sistemi omegani, e perse ogni interesse a conformarsi a un tipo criminale di vita. L'unica cosa che desiderava adesso era quella di fuggire dal pianeta e riavere sulla Terra i diritti che gli spettavano.
Ma questo era impossibile. Giorno e notte le astronavi di guardia circolavano sopra la città. Anche ci fosse stato il modo di sfuggire a quella sorveglianza, sarebbe stato impossibile allontanarsi dal pianeta. Su Omega la tecnica aveva progredito soltanto fino al motore a scoppio. Le astronavi erano azionate da forze terrestri.
Barrent continuò il lavoro nel suo negozio di antidoti, ma il suo distacco dalla vita pubblica diventò presto evidente. Ignorò tutti gli inviti che gli venivano rivolti dal Negozio dei Sogni, e non volle mai prendere parte a una esecuzione pubblica. Quando venivano formate spedizioni per andarsi a divertire nel quartiere dei mutanti, Barrent accusava normalmente un forte mal di testa. Non prese mai parte alle cacce del Giorno dell'Atterraggio, e le visite dello Zio Ingemar non gli fecero cambiare il suo atteggiamento antireligioso.
Sapeva di cacciarsi nei guai. Li aspettava i guai, anzi, e il saperlo gli dava uno strano senso di gioia. Dopo tutto non c'era niente di male nell'infrangere le leggi di Omega, ammesso che uno riuscisse a evitare le pene.

Passò un mese, e Barrent ebbe modo di mettere alla prova la sua decisione. Mentre tornava al negozio, un giorno, vide un uomo staccarsi dalla folla e venirgli incontro. Barrent si scansò, ma l'altro lo prese per la spalla e lo fece girare su se stesso.
«Chi credete di spingere?» chiese l'uomo. Era piccolo e tarchiato, e indossava gli abiti di Cittadino Privilegiato. Cinque stellette d'argento sul calcio della sua pistola indicavano il numero degli assassinii autorizzati che aveva commesso.
«Non vi ho spinto affatto» gli rispose Barrent.
«Menti, amico dei mutanti!»
La folla intorno ammutolì appena venne pronunciato l'insulto mortale. Barrent fece alcuni passi indietro. L'uomo, con un movimento rapido, portò la mano alla pistola. Ma l'arma di Barrent uscì dal fodero mezzo secondo prima che quella dell'avversario. Lo colpì in mezzo agli occhi. Poi, sentendo un movimento alle spalle, si girò di scatto. Due Privilegiati stavano estraendo le pistole. Sparò ancora, automaticamente, mentre si lanciava al riparo della porta di un negozio. Gli uomini caddero. Un proiettile colpì lo stipite, e le schegge di legno gli ferirono una mano. Un quarto uomo stava sparando da un vicolo. Lo uccise con due colpi. Fu tutto. In pochi secondi aveva ucciso quattro persone. Benché non avesse affatto la mentalità dell'assassino, Barrent provò un senso di piacere e di esaltazione. Aveva sparato per difendersi. E aveva dato ai cacciatori di status qualcosa a cui pensare: la prossima volta non avrebbero messo tanto facilmente la mano alla pistola, contro di lui. Probabilmente avrebbero rivolto le loro attenzioni verso bersagli più facili, lasciandolo in pace. Quando ebbe raggiunto il suo negozio, trovò Joe che lo stava aspettando. Aveva un sorriso amaro sulle labbra.
«Ho visto il tuo lavoretto. Veramente ben fatto» commentò.
«Ti ringrazio» disse Barrent.
«Pensi che una cosa simile ti possa essere di vantaggio? Pensi di poter continuare a infrangere la legge?»
«Me la cavo, no?»
«Certo. Ma per quanto tempo ancora?»
«Fin quando voglio».
«Non credo» ribatté Joe. «Nessuno può infrangere continuamente la legge e sfuggire alla pena. Solo i folli possono crederlo».
«Dovrebbero scegliere uomini migliori per lavori del genere» disse Barrent riponendo la pistola nel fodero.
«Non sarà necessario. Credimi, Will, sono infiniti i modi in cui ti possono raggiungere. Una volta che la legge ha deciso di muoversi, non puoi far niente per fermarla. E non aspettarti un aiuto dalla tua amica».
«La conosci?» domandò Barrent.
«Conosco tutti» rispose Joe con rabbia. «Ho molti amici nel governo. E so che quella gente ne ha abbastanza di te. Ascoltami, Will. Vuoi proprio farti ammazzare?»
Barrent scosse la testa.
«Joe, puoi vedere Moera? Sai come raggiungerla?»
«Forse» rispose Joe. «Perché?»
«Voglio che tu le riferisca una cosa. Voglio che tu le dica che non ho commesso il delitto di cui sono stato accusato sulla Terra».
Joe lo fissò.
«Sei impazzito?»
«No. Ho trovato l'uomo che l'ha commesso. È un Residente di Seconda Classe, di nome Illiardi».
«Perché raccontarlo in giro?» chiese Joe. «Non c'è senso a perdere il credito che viene da un delitto».
«Io non ho ucciso quell'uomo» ripeté Barrent. «Voglio che tu lo dica a Moera. Lo farai?»
«Glielo dirò» rispose Joe. «Se mi sarà possibile trovarla. Senti, vuoi pensare a quello che ti ho detto? Forse sei ancora in tempo. Vai alla Messa Nera, o fai qualcosa di simile. Può esserti utile».
«Forse lo farò» disse Barrent. «Sei sicuro di poterglielo dire?»
«Glielo dirò» ripeté Joe. E uscì dal negozio degli antidoti scuotendo la testa.

Capitolo XV

Tre giorni più tardi Barrent ricevette la visita di un vecchio molto alto che rimase in piedi, rigido come la spada cerimoniale che aveva al fianco. Indossava una giubba chiusa fino al collo, pantaloni neri e un paio di stivaloni scintillanti. Dall'abbigliamento, Barrent capì subito che si trattava di un alto funzionario.
«Il Governo di Omega vi manda i suoi saluti» disse l'ufficiale. «Io sono Norins Jay, Sottosegretario allo Sport. Sono venuto, come richiede la legge, per informarvi di persona della fortuna che vi è toccata».
Barrent annuì, a disagio, e invitò il vecchio ad accomodarsi nell'appartamento. Ma Jay preferì rimanere nel negozio.
«L'estrazione della Lotteria Nazionale è stata tenuta la notte scorsa» riprese Jay. «Voi, Cittadino Barrent, siete uno dei vincitori. Permettete che vi faccia le mie congratulazioni».
«Qual è il mio premio?» chiese Barrent. Aveva sentito parlare della Lotteria Nazionale, ma non sapeva in cosa consistesse.
«Il premio» disse Jay «è onore e fama. Il vostro nome è stato iscritto negli annuari civici. Testimonianze delle vostre uccisioni verranno tramandate ai posteri. Inoltre riceverete dal Governo la pistola speciale d'ordinanza e verrete decorato alla memoria con la medaglia d'argento».
«Alla memoria?»
«Naturalmente. La medaglia d'argento viene sempre concessa dopo la morte. Ma il valore della decorazione rimane immutato».
«Ne sono convinto. C'è qualcos'altro?»
«Solo una cosa» disse Jay. «Come vincitore della Lotteria voi dovrete prendere parte alla cerimonia simbolica della Caccia che apre le Gare annuali. La Caccia, come forse saprete, simboleggia il modo di vita Omegano. Nella Caccia noi vediamo tutti i complessi fattori della drammatica ascesa e caduta dallo stato di grazia uniti al fremito del duello e l'eccitazione dell'inseguimento. Anche i peoni possono partecipare alla Caccia. È l'unica festa aperta a tutti. L'unica festa che postula la facoltà generale dell'uomo di elevarsi al di sopra delle catene del suo stato».
«Se ho ben capito» disse Barrent «sono una delle persone scelte per essere cacciate».
«Sì».
«Avete detto che è una cerimonia simbolica. Significa forse che la preda non deve essere uccisa?»
«Niente affatto! Su Omega, il simbolo e l'oggetto del simbolo sono di norma la stessa cosa. Quando diciamo Caccia, noi intendiamo una vera caccia. Se non fosse così sarebbe solo una messa in scena».
Barrent rimase in silenzio, pensando alla situazione. Non era certo una prospettiva piacevole. In un duello avrebbe avuto la possibilità di sopravvivere. Ma nella Caccia annuale, a cui tutta la popolazione di Tetrahyde prendeva parte, non aveva scampo. Avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa di simile.
«Come sono stato scelto?» chiese.
«Il caso» rispose Norins Jay. «Nessun altro sistema è permesso per la scelta delle vittime che devono sacrificare la vita per la maggior gloria di Omega».
«Non posso credere di essere stato scelto per caso».
«La selezione è avvenuta come vi ho detto. Naturalmente la scelta è stata fatta su una lista di possibili vittime. Non tutti possono fare la parte della preda nella Caccia. Bisogna aver dimostrato un grado considerevole di abilità e resistenza perché il Comitato dei Giochi consigli una persona per la selezione finale. Essere Preda è un onore, ed è un titolo che non viene conferito con leggerezza».
«Non ci posso credere» protestò Barrent. «Voi del Governo volevate liberarvi di me. Ora pare che abbiate ottenuto il vostro scopo. Semplicissimo».
«Non è così. Vi posso assicurare che nel Governo nessuno nutriva risentimento nei vostri riguardi. Dovete aver sentito storie che si raccontano su funzionari vendicativi, ma non rispondono a verità. Voi avete infranto la legge, ma non è più una cosa che concerne il Governo. Ora riguarda esclusivamente voi e la legge».
Gli occhi di ghiaccio di Jay si illuminarono mentre parlava della legge. Irrigidì la schiena e assunse un tono ancora più fermo.
«La legge» disse «è al di sopra del criminale e del giudice, e li guida. La legge è inesplicabile, per cui un'azione può essere sia entro i suoi limiti come al di fuori. Si può dire infatti che la legge ha una vita sua propria, un'esistenza fuori dalla vita degli esseri che amministra. La legge governa ogni aspetto del comportamento umano. Quindi, per lo stesso motivo per cui gli esseri umani vivono secondo la legge, la legge è umana. Essendo umana, la legge ha le sue idiosincrasie, proprio come l'uomo. Per i cittadini fedeli, la legge è distante e difficile. Per quelli che resistono e la violano, la legge emerge dai sepolcri e parte alla ricerca dei trasgressori».
«È per questo» chiese Barrent «che sono stato scelto per la Caccia?»
«Naturalmente. Se non foste stato scelto per la Caccia, la legge avrebbe avuto a disposizione contro di voi altri mezzi e altri strumenti».
«Grazie per avermelo detto» disse Barrent. «Quanto tempo mi rimane prima dell'apertura della Caccia?»
«Fino all'alba. Comincia allo spuntar del sole e termina all'alba del giorno seguente».
«Cosa succederebbe se non venissi ucciso?»
Norins Jay sorrise.
«Non capita spesso, Cittadino Barrent. È un particolare di cui non vi dovete preoccupare».
«Ma cosa capita, se dovesse succedere?»
«Quelli che sopravvivono alla Caccia sono automaticamente iscritti alle Gare».
«E se dovessi sopravvivere alle Gare?»
«Non pensateci nemmeno» disse Jay, in tono amichevole.
«E se accadesse?»
«Credetemi, Cittadino. Non ci riuscirete».
«A ogni modo voglio sapere ciò che accadrebbe».
«Quelli che sopravvivono alle Gare sono aldilà della legge».
«Mi sembra allettante» osservò Barrent.
«Ma non lo è. La legge, anche la più minacciosa, è sempre una salvaguardia. I vostri diritti possono essere pochi, ma la legge garantisce la loro osservanza. È proprio per la legge che io non vi uccido in questo momento». Jay aprì il pugno per mostrare a Barrent la piccola pistola che vi teneva stretta. «La legge ha imposto dei limiti, e agisce da freno sia sul comportamento dei criminali che su quello dei tutori dell'ordine. Sì, la legge ha ora stabilito che voi dovete morire. Ma tutti devono morire. La legge, per sua natura lungimirante e introspettiva, ha stabilito il momento in cui dovete morire. Avete ancora un giorno di vita, senza la legge non lo avreste avuto».
«Cosa accadrebbe» chiese ancora Barrent «se io dovessi sopravvivere ai Giochi e passare aldilà della legge?»
«C'è solo una cosa aldilà della legge» rispose Norins Jay, assorto. «Il Nero in persona. Quelli che oltrepassano la legge appartengono a lui. Ma è meglio morire mille volte piuttosto che cadere vivo nelle mani del Nero».
Da lungo tempo Barrent considerava la religione come una superstizione senza senso. Ora però, ascoltando le parole di Jay, prese a rifletterci sopra. C'era differenza tra l'adorazione incondizionata del Male e la presenza del Male stesso.
«Se avete fortuna» continuò Jay «verrete ucciso subito. Ora voglio finire il colloquio dandovi le ultime istruzioni».
Sempre tenendo stretta la pistola, con la mano libera Jay tolse di tasca una matita rossa, e con gesto rapido e abile tracciò un segno sulle guance e sulla fronte di Barrent, prima ancora che il giovane avesse il tempo di tirarsi indietro.
«I segni significano che voi siete una Preda» spiegò Jay. «Sono indelebili. Questa è la pistola d'ordinanza che il Governo vi concede». Trasse un'arma dalla tasca e la depose sul banco. «La Caccia, come vi ho detto, inizia alle prime luci dell'alba. Da quel momento chiunque vi potrà uccidere, tranne un'altra Preda. Voi vi potrete difendere. Però vi consiglio di farlo con la massima circospezione. Il colpo e la fiammata delle pistole hanno tradito molte persone cui si dava la caccia. Se cercate un nascondiglio, assicuratevi che abbia una via d'uscita. Ricordate che altri conoscono Tetrahyde molto meglio di voi. I patiti della Caccia esplorano ogni possibile nascondiglio durante l'intero anno, e molte Prede vengono prese in trappola subito, alle prime ore. Buona fortuna, cittadino Barrent».
Jay raggiunse la porta, poi si voltò di nuovo.
«Posso aggiungere che c'è una possibilità di preservare vita e libertà per tutto il tempo della Caccia. Ma, dato che è proibito, non posso dirvi di cosa si tratta».

Dopo diversi tentativi Barrent si convinse che i segni sulla faccia erano veramente indelebili. La sera smontò la pistola ricevuta dal Governo e ne ispezionò ogni parte. Come aveva sospettato, l'arma era difettosa e la scartò preferendole quella che aveva usato fino a quel momento. Poi fece i preparativi. In un piccolo zaino mise cibo, acqua, un rotolo di corda, un coltello, una scorta di munizioni e una seconda pistola. Poi aspettò, senza particolare ragione, che Moera e la sua organizzazione venissero a toglierlo da quell'impaccio. Ma nessuno si fece vivo. Un'ora prima del levar del sole, Barrent si caricò lo zaino sulle spalle e uscì dal negozio.

Capitolo XVI

Gli studiosi autorevoli di Omega concordano sul fatto che le Prede subiscono un cambiamento di carattere. Se quegli uomini fossero capaci di guardare alla Caccia come a un problema astratto, certo arriverebbero a conclusioni più valide. Ma la tipica Preda, quale che sia la sua intelligenza, non è capace di separare l'emozione dal ragionamento. E si lascia prendere dal panico. La salvezza sembra trovarsi nella distanza e nelle profondità. E si allontana il più possibile da casa, o si va a nascondere nei condotti e canali sotterranei della città. Sceglie il buio anziché la luce, i luoghi deserti anziché quelli pieni di folla.
Questo particolare comportamento è conosciuto dai cacciatori esperti. E naturalmente guardano per prima cosa nei luoghi oscuri, deserti, nei passaggi sotterranei, nei negozi e nelle case abbandonate. E lì trovano e uccidono le Prede con inesorabile precisione. Barrent l'aveva previsto. E scartò il primo istinto che era quello di nascondersi nell'intricato sottosuolo di Tetrahyde. Quando uscì dal negozio si avviò deciso verso il palazzo illuminato in cui risiedeva il Ministero dello Sport.
Quando fu certo che i corridoi erano deserti, entrò rapido, lesse la tabella dei nomi e salì al terzo piano. Passò davanti a una dozzina di porte e si fermò di fronte a quella su cui era scritto "Norins Jay, Sottosegretario allo Sport". Rimase un attimo in ascolto, poi aprì la porta ed entrò. Jay possedeva dei riflessi straordinariamente pronti. Prima che Barrent avesse oltrepassato la porta, il vecchio aveva notato i segni che marcavano le guance del visitatore e aveva subito aperto il cassetto della scrivania. Barrent non aveva intenzione di ucciderlo. Lanciò verso Jay la pistola avuta poche ore prima, e lo colpì in mezzo alla fronte. Il vecchio cadde sul pavimento.
Chinatosi su di lui, Barrent si accertò che le pulsazioni di Jay fossero ancora forti. Poi, dopo averlo legato e imbavagliato, lo spinse sotto la scrivania. Frugò nei cassetti, e alla fine trovò il cartello con la scritta: "Seduta - Non disturbare". Lo appese fuori della porta e si chiuse a chiave nella stanza. Poi appoggiò la pistola alla scrivania e si mise a sedere in attesa degli eventi.
Venne l'alba, e il debole sole del mattino cominciò a illuminare Omega. Dalla finestra Barrent poté vedere le strade che si riempivano di gente. C'era nell'aria un'atmosfera carnevalesca, e l'allegro frastuono veniva punteggiato di tanto in tanto dai fischi delle pistole termiche e dai colpi di quelle a proiettili.
A mezzogiorno Barrent non era ancora stato scoperto. Guardò attraverso la finestra e si accorse che da quella parte poteva raggiungere il tetto. E fu felice di avere una via d'uscita, proprio come Jay aveva suggerito. A metà pomeriggio Jay riprese conoscenza. Si dibatté per un attimo cercando di liberarsi, poi rimase tranquillo sotto la scrivania. Poco prima di sera bussarono alla porta.
«Signor Ministro, posso entrare?»
«Non ancora» rispose Barrent con un tono di voce che voleva imitare quello del suo prigioniero.
«Pensavo vi interessassero le statistiche della Caccia» riprese l'uomo da dietro la porta. «Fino a questo momento i Cittadini hanno ucciso settantatré Prede, ne restano solo diciotto. È un miglioramento netto rispetto allo scorso anno».
«Benissimo» disse Barrent.
«La percentuale di quelli che si sono nascosti nelle fogne è molto più alta. Alcuni hanno voluto tentare il trucco di rimanere nella propria casa. Gli altri sono stati trovati nei soliti posti».
«Ottimo» esclamò Barrent.
«Fino a questo momento nessuno ha tentato la fuga» continuò l'uomo.
«Strano che le Prede pensino raramente a questa soluzione. Comunque questo ci evita di dover usare le macchine».
Barrent si chiese di cosa stesse parlando. La fuga? Dove si poteva fuggire? E che macchine?
«Abbiamo già studiato le possibili variazioni ai Giochi» soggiunse l'uomo. «Vorrei che approvaste la lista».
«Fate a vostro giudizio».
«Sì, signore».
Subito Barrent sentì i passi dell'uomo che si allontanava nel corridoio. Però era convinto di aver suscitato dei sospetti. La conversazione era durata troppo a lungo; avrebbe dovuto troncarla fin dall'inizio. Ora forse gli conveniva spostarsi in qualche altro ufficio.
Ma prima che potesse decidere qualcosa, fu bussato di nuovo.
«Sì?»
«Comitato Cittadino di Ricerca» disse una voce bassa. «Vi preghiamo di aprire la porta. Abbiamo ragione di credere che una Preda sia nascosta in questa stanza».
«È assurdo» disse Barrent. «Non potete entrare. Questo è un ufficio del Governo».
«Possiamo» esclamò la voce. «Nessuna stanza, ufficio o palazzo, può essere chiuso ai Cittadini il Giorno della Caccia. Volete aprire?»
Barrent si era già spostato vicino alla finestra e l'aveva aperta. Alle sue spalle udì il rumore di uomini che si avventavano contro la porta. Sparò due volte verso i battenti per dare agli inseguitori qualcosa a cui pensare, poi uscì dalla finestra.
I tetti di Tetrahyde, Barrent lo vide immediatamente, erano il luogo ideale per una Preda, perciò erano l'ultimo posto in cui una Preda si sarebbe andata a nascondere. Il labirinto di tetti comunicanti, i camini, le guglie, sembravano studiati apposta per una Caccia. Però adesso gli altri lo avevano seguito, e appena lo scorsero gli spararono contro. Barrent partì di scatto. Dei Cacciatori gli erano alle spalle, e altri lo stavano stringendo ai lati. Con un balzo il giovane superò i due metri che dividevano due palazzi, e cercando di non perdere l'equilibrio risalì il ripido pendio del tetto e si portò sull'altro versante.
La paura gli mise le ali ai piedi, e i Cacciatori vennero presto distanziati. Se avesse potuto tenere quel passo per qualche altro minuto sarebbe anche stato possibile abbandonare i tetti e cercare un nascondiglio più sicuro. Si trovò di fronte a un altro baratro di due metri da superare, e saltò senza esitazione. Atterrò bene, ma sprofondò con la gamba destra, fino all'anca, nell'intelaiatura di legno marcio del tetto. Raccolse le forze e cercò di liberare l'arto imprigionato, ma l'inclinazione del tetto lo fece scivolare.
«Eccolo!»
Barrent si afferrò alla intelaiatura con tutte e due le mani. I Cacciatori erano quasi a distanza utile di tiro. Nel momento in cui fosse riuscito a liberare la gamba, sarebbe stato un facile bersaglio. Quando i Cacciatori apparvero sul tetto della casa di fronte, Barrent era riuscito a praticare un grosso buco nel tetto. La gamba era libera, ma, non vedendo altre alternative, Barrent si lasciò cadere nel buco. Atterrò sopra un tavolo che si ruppe sotto il suo peso. Si alzò da terra. Si trovava nella sala di soggiorno di un Hadji. Una vecchia seduta su di una poltrona a dondolo lo fissava con gli occhi pieni di terrore. Barrent udì i Cacciatori che saltavano sul tetto della casa. Allora attraversò la cucina e raggiunse la porta posteriore. Nel giardino si mise a correre lungo la siepe. Qualcuno gli sparò dalla finestra del primo piano. Guardando in alto vide un ragazzino che cercava di prenderlo di mira con una grossa pistola termica. Probabilmente il padre gli aveva proibito di scendere nelle strade.
Barrent girò un angolo di strada, e si mise a correre lungo il vicolo. Gli sembrava una strada conosciuta. Guardandosi in giro si accorse di essere nel quartiere dei mutanti, non molto lontano dalla casa di Myla. Alle sue spalle udiva le grida degli inseguitori.
Raggiunse la casa della ragazza, e trovò la porta aperta.

C'erano tutti, l'uomo con un occhio solo, la vecchia, e Myla. Non furono sorpresi di vederlo entrare.
«Così vi hanno messo nella lista della Lotteria» disse il vecchio. «Be', è quello che ci aspettavamo».
«Lo aveva previsto Myla?» chiese Barrent.
«Non ce n'era bisogno. Si poteva immaginare, considerando il tipo di persona che siete. Coraggioso ma non spietato. È questo il vostro guaio, Barrent».
Il vecchio non usava più la forma d'obbligo con cui avrebbe dovuto rivolgersi verso un Privilegiato, e anche questo, date le circostanze, era abbastanza prevedibile.
«L'ho visto accadere anno per anno» continuò il vecchio. «Sareste sorpreso di sapere quanti giovani promettenti siano finiti senza fiato in questa stanza, stringendo una pistola che sembrava pesare una tonnellata, e con i Cacciatori a poca distanza. Si aspettavano il nostro aiuto, ma i mutanti amano stare lontano dai guai».
«Sta' zitto, Dem» disse la vecchia donna.
«Però penso che vi si debba aiutare» continuò il vecchio. «Myla ha deciso così per una ragione che lei sola conosce. Io e sua madre le abbiamo detto che era male, ma lei ha insistito. E dato che lei è la sola tra noi che può vedere nel futuro, noi dobbiamo fare a modo suo».
«Anche se vi aiutiamo» disse Myla «ci sono poche speranze che voi possiate uscire vivo dalla Caccia».
«Ma se vengo ucciso» chiese Barrent «come può avverarsi la vostra previsione? Ricordate? Mi avete visto mentre osservavo il mio cadavere».
«Lo ricordo. Ma la vostra morte non annulla la previsione. Se non dovesse accadere in questa vita, significa semplicemente che accadrà nella vostra nuova incarnazione».
Barrent non si sentì affatto confortato.
«Cosa devo fare?» chiese.
Il vecchio gli porse dei vestiti a brandelli.
«Mettete questi; poi farò un lavoretto sulla vostra faccia. Voi, caro amico, state per diventare un mutante».

Poco dopo Barrent tornò a uscire in strada. Era ricoperto di cenci. Ma sotto questi la sua destra stringeva la pistola, mentre l'altra mano sporgeva per reggere il piattino delle elemosine. Il vecchio gli aveva cosparso abbondantemente la faccia di plastica giallorosa, e gli aveva cambiato i lineamenti rendendoli mostruosi. La fronte era sporgente, e il naso appiattito e allargato fin quasi agli zigomi. Anche l'ovale del volto era stato cambiato, e i segni rossi sulle guance, ricoperti di plastica, erano scomparsi. Un gruppo di Cacciatori gli passò accanto, e quasi non lo degnò di uno sguardo. Barrent cominciò a sentir rinascere la speranza. Le ultime luci del debole sole di Omega stavano scomparendo dietro l'orizzonte. La notte gli avrebbe dato maggiori possibilità, e con un po' di fortuna, forse sarebbe riuscito a eludere i Cacciatori fino al mattino. Naturalmente c'erano poi le Gare, ma Barrent stava già pensando di non prendervi parte. Se quel travestimento bastava a proteggerlo da una intera città in caccia, non c'era ragione di pensare che lo potessero scoprire per le Gare. Forse, alla fine delle feste, avrebbe potuto ricomparire nella società di Omega. Era anche possibile che, per essere sopravvissuto alla Caccia e aver evitato le Gare, ricevesse particolari favori... Vide un altro gruppo di Cacciatori venire verso di lui. Erano in cinque, e tra questi, fiero nella sua nuova uniforme di Assassino, Tem Rend.
«Ehi!» gli gridò uno dei Cacciatori «hai visto qualche Preda passare da questa parte?»
«No, Cittadino» disse Barrent con tono rispettoso e chinando la testa, mentre la mano si serrava più forte sull'impugnatura dell'arma.
«Non gli credete» disse uno dei cinque. «Questi dannati mutanti non dicono mai la verità».
«Venite, lo scopriremo da soli» disse un altro.
Il gruppo si mosse, ma Tem Rend gli rimase accanto.
«Sei sicuro di non aver visto una Preda passare da questa parte?»
«Assolutamente» rispose Barrent, chiedendosi se Rend lo aveva riconosciuto. Non avrebbe voluto ucciderlo. Inoltre non era neanche sicuro di poterci riuscire. Tem Rend aveva riflessi tremendamente rapidi.
«Be'» riprese Rend «se vedi qualche Preda, consigliala a non travestirsi da mutante».
«Perché?»
«È un trucco che non funziona a lungo. Concede al massimo un'altra ora di vita. Gli informatori lo troverebbero. Se io fossi una Preda mi travestirei sì da mutante, ma non mi metterei certo a sedere all'angolo di una via. Fuggirei da Tetrahyde».
«Fareste così?»
«Certo. Alcune Prede fuggono ogni anno sulle montagne. Le autorità naturalmente non ne parlano, e la maggior parte dei Cittadini lo ignora. L'Ordine degli Assassini però è al corrente di ogni travestimento e di ogni trucco usati per sfuggire all'uccisione. Fa parte del mestiere».
«È molto interessante» commentò Barrent. Ora sapeva che Rend lo aveva riconosciuto sotto il travestimento. Tem era un buon amico, ma un pessimo assassino.
«Naturalmente» continuò Rend «non è facile uscire dalla città. E una volta fuori non è detto che una Preda possa ritenersi in salvo. Alle porte della città ci sono pattuglie di Cacciatori, e peggio ancora...»
Rend s'interruppe di colpo. Un gruppo di Cacciatori si stava avvicinando. Allora fece un cenno di saluto e si allontanò. Dopo che i Cacciatori si furono allontanati, Barrent riprese a camminare lentamente. Rend gli aveva dato un ottimo consiglio. Era logico che certi cercassero di uscire dalla città. La vita sulle montagne di Omega doveva essere estremamente difficile, ma era certo da preferire alla morte. Se fosse riuscito a raggiungere le porte della città, avrebbe dovuto stare attento alle pattuglie di Cacciatori. Poi Tem aveva parlato di qualcosa ancora peggio. Barrent si chiese cosa potesse essere. Forse Cacciatori addestrati per le battute in montagna? O il clima instabile di Omega? O piante o animali letali? Desiderò che Rend avesse potuto finire quella frase. Alle prime ore della notte raggiunse la porta sud della città. Chino in modo da far compassione, avanzò zoppicando verso il distaccamento di guardie che bloccava l'uscita.

Capitolo XVII

Non ebbe difficoltà con le guardie. Intere famiglie di mutanti stavano uscendo dalla città per cercare la salvezza in mezzo alle montagne fino al momento in cui la frenesia della Caccia non fosse finita. Barrent si unì a uno di questi gruppi, e presto si trovò a circa un miglio da Tetrahyde. Poi i mutanti si fermarono alle prime colline per stabilire il loro campo. Barrent proseguì da solo, e verso mezzanotte si trovò ai piedi di una delle più alte montagne. Aveva fame, ma il freddo e l'aria pungente gli toglievano ogni stanchezza. Cominciò a credere che sarebbe sopravvissuto alla Caccia.
Udì le voci di un gruppo di Cacciatori che stava girando attorno alla montagna. Nel buio riuscì a eluderli con facilità, e subito cominciò la scalata. Presto non udì più alcun rumore, tranne il sibilo del vento in mezzo alle rocce.
Erano circa le due. Mancavano solo tre ore all'alba.
E cominciò a piovere. Lentamente prima, poi scoppiò il temporale: un cambiamento prevedibile su Omega. Barrent si mise al riparo in una grotta e si considerò fortunato che la temperatura non fosse calata di colpo. Rimase seduto lì a sonnecchiare. Il trucco gli stava ormai colando dal volto. Ogni tanto riapriva gli occhi per lanciare una occhiata alla china della montagna che si stendeva sotto di lui. Poi, alla luce di un lampo, vide qualcosa avanzare in direzione della grotta.
Si alzò di scatto con la pistola in mano, e aspettò un altro lampo. Allora poté vedere il freddo metallo lucente, le luci rosse e verdi e i tentacoli metallici che si afferravano alle rocce per salire la china della montagna. Era una macchina simile a quella che Barrent aveva vinto nell'Arena del Dipartimento della Giustizia. Ora sapeva ciò che Rend aveva cercato di dirgli. E poté capire come mai fossero pochi quelli che riuscivano a scampare anche abbandonando la città. Questa volta Max non aveva certo i comandi controllati per rendere meno impari il combattimento. E valvole a portata di mano.
Come Max giunse a tiro, Barrent sparò. Il colpo raggiunse lo scudo corazzato della macchina senza provocare alcun danno e Barrent fu costretto a uscire dalla grotta per riprendere la salita.
La macchina lo seguì, arrancando sul pendio bagnato della montagna. Allora il giovane cercò di far perdere le sue tracce su un tratto molto frastagliato, ma non servì. Barrent si rese conto che Max doveva seguire un tipo di odore che lui emanava, forse l'odore della vernice indelebile che portava sulla faccia.
Su di un tratto molto ripido, Barrent fece rotolare dei sassi verso la macchina, nella speranza di provocare una valanga. Max riuscì a schivare la maggior parte dei ciottoli, e quelli che lo colpirono non ottennero alcun effetto. Alla fine Barrent si trovò in una gola chiusa. Impossibile ormai proseguire la salita. E aspettò. Quando la macchina lo ebbe raggiunto sollevò la pistola contro lo scudo di metallo e sparò.
Max vibrò per un attimo sotto il colpo ravvicinato dell'arma, poi fece cadere la pistola dalle mani di Barrent, e allungò un tentacolo afferrandolo al collo. Il metallo si strinse, e Barrent si sentì soffocare, ma ebbe il tempo di chiedersi se il tentacolo lo avrebbe strangolato o se gli avrebbe rotto il collo.
Improvvisamente la pressione cessò. La macchina si era ritirata di alcuni passi. Nello stesso istante Barrent vide le prime luci dell'alba. Era sopravvissuto alla Caccia. La macchina era programmata in modo da non uccidere dopo il sorgere del sole. Ma non liberò la stretta. E lo tenne prigioniero contro la montagna finché non giunsero i Cacciatori. Barrent venne scortato a Tetrahyde dove una folla plaudente e frenetica lo accolse come un eroe. Dopo una sfilata di due ore lui e altri quattro sopravvissuti vennero portati all'ufficio del Comitato di Premiazione. Dopo un breve discorso inneggiante all'abilità e al coraggio da loro dimostrato, il Presidente assegnò a ciascuno il titolo di Hadji e diede l'orecchino d'oro distintivo del nuovo rango. Alla fine il Presidente augurò a tutti una morte senza dolore nelle Gare.

Capitolo XVIII

Le guardie fecero uscire Barrent dall'ufficio del Comitato e lo scortarono fino a una cella situata sotto l'Arena. Gli dissero di essere paziente: le Gare erano già cominciate e il suo turno sarebbe venuto presto. C'erano nove uomini stipati in quella cella costruita per ospitare al massimo tre persone. Tutti erano seduti o sdraiati in silenziosa apatia, quasi rassegnati alla morte. Uno solo sembrava non essersi conformato alla situazione e, come Barrent entrò, gli si fece incontro.
«Joe!»
Il piccolo truffatore sorrise con amarezza.
«Un brutto posto per rivederci, Will».
«Cosa ti è accaduto?»
«Su Omega la politica è una brutta faccenda» disse Joe. «Specialmente nei periodi vicini alle Gare. Pensavo di essere al sicuro, invece...». Scosse le spalle. «Sono stato scelto questa mattina per le Gare».
«C'è possibilità di non farle?»
«Sì» rispose Joe. «Ho detto di te alla tua ragazza. Forse i suoi amici possono fare qualcosa. Per me, sono in attesa di una sospensione».
«È possibile?» chiese Barrent.
«Tutto è possibile. Comunque è meglio non sperare».
«Come sono le Gare?» chiese Barrent.
«Esattamente ciò che ci si può aspettare» rispose Joe. «Combattimenti contro altri uomini, battaglie contro vari tipi di flora e di fauna di Omega, duelli con pistole a raggi e a calore. Tutto è stato copiato dai vecchi spettacoli sulla Terra, così mi hanno detto».
«E se qualcuno sopravvive» disse Barrent «passa aldilà della legge».
«Esatto».
«Ma cosa vuol dire?»
«Non lo so» rispose Joe. «Pare che nessuno sappia molto su questo argomento. Tutto quello che sono riuscito a scoprire è che i vincitori delle Gare vengono presi dal Nero. E sembra che non sia una cosa piacevole».
«Ben poche cose di Omega sono piacevoli».
«Non è un brutto posto» disse Joe. «Tu non sei ancora entrato nell'ordine...»
Fu interrotto dall'arrivo di un distaccamento di guardie. Era ormai tempo di entrare nell'Arena.
«Niente sospensioni» sospirò Barrent.
«Be', è andata così» commentò con amarezza Joe.
Furono fatti allineare dietro la porta di ferro che separava l'ala delle celle dall'Arena vera e propria. Ma un attimo prima che il capitano delle guardie facesse aprire la porta, videro giungere di corsa da un corridoio laterale un uomo grasso e ben vestito, che agitava un foglio.
«Cos'è?» chiese il capitano.
«Un'ordinanza» disse il grassone porgendo la carta al capitano. «Qui troverete l'ordine di sospensione e di estinzione» disse togliendo altre carte dalla tasca. «Qui la dichiarazione del fallimento, l'ipoteca sui beni mobili, l'ordine di habeas corpus, e il pignoramento del salario».
Il capitano spinse indietro l'elmetto e corrugò la fronte.
«Non riesco mai a capire quello che voi avvocati dite. Cosa significa?»
«Che deve essere rilasciato» disse il grassone indicando Joe. Il capitano guardò le carte con un'occhiata distratta.
«Va bene» disse «portatelo via. Ai vecchi tempi non succedevano cose simili! Niente avrebbe potuto fermare l'ordine fissato delle Gare».
Con un sorriso trionfante Joe uscì dalla fila dei prigionieri e si avvicinò all'avvocato.
«Non avete nessuna ordinanza per Will Barrent?»
«No. Il suo caso è all'esame di altre persone. Mi spiace, ma non potrà venir presa alcuna decisione prima della fine delle Gare».
«Allora forse sarò morto» borbottò Barrent.
«Questo, ve lo posso assicurare, non impedirà che il caso venga escusso» disse l'avvocato, con orgoglio. «Vivo o morto, otterrete i vostri diritti».
Il capitano si volse ai prigionieri.
«Bene, andiamo» ordinò.
«Buona fortuna» gridò Joe. Poi la fila dei prigionieri oltrepassò la soglia dell'Arena.

Barrent sopravvisse ai duelli a corpo a corpo in cui un quarto dei prigionieri morì. Poi, uomini armati di spada, vennero messi a confronto con la fauna più feroce di Omega. Tra quegli animali c'erano l'hintolyte e l'hintosced, pachidermi dalle enormi zanne che abitavano il deserto a sud di Tetrahyde. Alla morte del quindicesimo prigioniero, tutti gli animali erano stati uccisi. Barrent combatté contro un saunus, nero rettile volante delle montagne dell'ovest. Per un attimo quasi venne sopraffatto da quella creatura dai denti avvelenati. Poi, appena in tempo, riuscì a trovare la soluzione. Smise di colpire il corpo del rettile e concentrò tutti i suoi sforzi sulle ali, più delicate. E quando finalmente riuscì, il saunus perse l'equilibrio di volo e andò a cozzare contro il muro che divideva l'Arena dagli spalti. Allora fu relativamente facile vibrare il colpo di grazia nell'unico occhio del rettile. Subito si levò all'indirizzo di Barrent l'applauso entusiastico della folla. Il giovane si ritirò in panchina per una pausa, e prese a osservare quelli che stavano combattendo contro i trichometredi, piccole creature della grandezza di un topo, incredibilmente veloci, e di una voracità spaventosa. Furono impegnate cinque squadre di prigionieri.
Dopo un breve interludio di duelli a corpo a corpo, l'Arena venne sgomberata. E fecero il loro ingresso i criatins. Erano animali anfibi, molto lenti, ma protetti da una corazza di scaglie spesse parecchi centimetri. Avevano una lunga coda a frusta che, oltre a servire da antenna, risultava inesorabilmente fatale, a chiunque si fosse avvicinato. Barrent dovette combattere contro uno di questi animali che aveva liquidato quattro suoi compagni. Aveva osservato attentamente i combattimenti che avevano preceduto il suo, e aveva scoperto l'unico punto a cui l'antenna del criatin non poteva giungere. Barrent aspettò il momento opportuno poi balzò proprio di fronte all'animale. E come lo scudo si aprì per permettere all'animale di spalancare la gigantesca bocca, Barrent menò un fendente proprio nell'apertura. Il criatin spirò con prontezza veramente lodevole, e la folla manifestò la sua ammirazione lanciando i cuscini nell'Arena.
La vittoria lasciò Barrent solo sulla sabbia insanguinata. Tutti gli altri prigionieri erano morti, o feriti in maniera troppo grave per poter continuare il combattimento. Rimase ad aspettale, chiedendosi quale animale il Comitato delle Gare gli avrebbe messo di fronte.
Un viticcio spuntò dalla sabbia, e poi un altro. In pochi secondi un grosso tronco crebbe nell'Arena. Altri viticci vennero spinti sulla sabbia. E come incontravano carne, viva o morta che fosse, la portavano a cinque piccole bocche situate alla base del tronco. Si trattava di un carrion delle paludi dell'estremo nord, trasportato con grandi difficoltà. Si diceva fosse vulnerabile al fuoco, ma Barrent non aveva fuoco a disposizione. Brandendo la spada con entrambe le mani Barrent mozzò alcuni tentacoli, ma subito altri crebbero al loro posto. Allora cominciò a colpire all'impazzata, per evitare di essere circondato. Era stanco, e i tentacoli tornavano a crescere più veloci che mai. Quella maledetta pianta sembrava indistruttibile. La sua sola speranza stava nei pigri movimenti dell'albero. Uscì dall'angolo nel quale stava per essere intrappolato, e si lanciò verso una seconda spada che giaceva seminascosta nella sabbia, a una ventina di metri. La raccolse e in quel momento sentì il grido di avvertimento della folla. Un tentacolo gli afferrò la caviglia. Subito se ne liberò con un colpo di spada, ma altri tentacoli gli avevano circondato la vita. Allora puntò i talloni nella sabbia, e picchiò le spade una contro l'altra nel tentativo di provocare una scintilla. Ma al primo colpo una delle spade si ruppe a metà.
Provò ancora, mentre i tentacoli lo trascinavano verso le bocche, e alla fine una pioggia di scintille sprizzò dall'acciaio. Una toccò un tentacolo. Con incredibile rapidità la liana venne avvolta dalla fiamma, che poi si spostò verso la pianta. Le cinque bocche si contorsero mentre il fuoco stava per raggiungerle. Se la situazione si fosse protratta, Barrent sarebbe morto bruciato in mezzo all'Arena. Ma le fiamme avevano cominciato a lambire le pareti di legno che cingevano lo stadio, e le guardie furono costrette a intervenire per salvare gli spettatori, e di conseguenza lui.
Barcollando per la stanchezza Barrent si portò in mezzo all'Arena, chiedendosi cosa lo aspettava adesso. Ma nulla accadde. Dopo alcuni istanti, dal palco del Presidente venne fatto un segnale e tutta la folla proruppe in un applauso.
Le Gare erano finite. Barrent era sopravvissuto.
Tuttavia nessuno abbandonò il proprio posto.
Gli spettatori erano in attesa di vedere Barrent passare aldilà della legge. Poi udì la folla mormorare riverente, e si girò di scatto. Allora vide un piccolo punto luminoso apparire a mezz'aria. Crebbe, e divenne troppo brillante per essere fissato. Barrent ricordò le parole di Zio Ingemar. "A volte il Nero ci ricompensa apparendo davanti a noi in tutta la sua spaventosa bellezza di fuoco. Sì, Nipote, io ho avuto il privilegio di vederlo. Due anni fa apparve dopo la conclusione dei Giochi. E nella stessa occasione apparve l'anno precedente..."
Il punto era diventato una sfera rossa e gialla del diametro di circa sei metri. A un tratto il centro si assottigliò, e la parte superiore divenne scura. C'erano due globi, adesso. Uno luminoso e uno nero, congiunti da un sottile filamento. E mentre Barrent fissava il globo nero, lo vide trasformarsi nella inconfondibile testa cornuta del Nero... Cercò di fuggire ma la mostruosa figura si lanciò in avanti e lo avvolse. Cercò di gridare. Ma svenne.

Capitolo XIX

Riprese conoscenza in una stanza dal soffitto molto alto immersa nella penombra. Era coricato su di un letto e due persone, intente a discutere, gli stavano accanto.
«Non c'è più tempo per aspettare» disse uno dei due. «Dovreste capire l'urgenza della situazione».
«Il dottore ha consigliato altri tre giorni di assoluto riposo».
Era una voce di donna. Dopo un attimo Barrent riconobbe la voce di Moera.
«Tre giorni possiamo aspettare».
«Inoltre deve venire istruito».
«Mi avete detto che è intelligente. L'istruzione non dovrebbe richiedere molto tempo».
«Potrebbe durare settimane».
«Impossibile. L'astronave atterra fra sei giorni».
«Eylan» disse Moera «voi volete affrettare troppo i tempi. Non possiamo farlo ora. Al prossimo Giorno dell'Atterraggio saremo molto più preparati...»
«La situazione potrebbe non essere più sotto controllo» ribatté l'uomo.
«Mi spiace, Moera, dobbiamo usare Barrent immediatamente, o rischieremo di non poterci affatto servire di lui».
«Usarmi per cosa?» chiese Barrent. «Dove sono? Chi siete voi?»
L'uomo si volse verso il letto. Nella debole luce Barrent vide un vecchio magro che si chinava verso di lui.
«Sono felice che vi siate risvegliato» disse il vecchio. «Mi chiamo Swen Eylan. Sono il Comandante del Gruppo Due».
«Cos'è il Gruppo Due?» chiese Barrent. «Come avete fatto a portarmi fuori dell'Arena? Siete agenti del Nero?»
Eylan sorrise.
«Non esattamente agenti. Vi spiegherò tutto in poche parole. Prima, però, è meglio che mangiate e beviate qualcosa».
Un'infermiera entrò con un vassoio. E mentre Barrent mangiava Eylan prese una sedia e parlò del Nero.
«Il nostro Gruppo» disse Eylan «non può essere considerato il propagatore della religione del Male. Sembra che questa si sia divulgata spontaneamente. E dato che c'era, noi, occasionalmente, ne abbiamo fatto uso. I preti sono stati ottimi collaboratori. Dopo tutto i predicatori del Male considerano la corruzione un valore positivo. Inoltre, agli occhi dei preti di Omega, l'apparizione di un falso Nero non è anatema. Al contrario, nella ortodossa adorazione del Male, il culto delle false immagini è tenuto in gran conto, specialmente se sono grandi, sinistre, impressionanti come quella che vi ha raccolto nell'Arena».
«Come avete fatto a produrre quella visione?» chiese Barrent.
«È stata ottenuta per frizione di superfici e piani di forza» rispose Eylan.
«Per maggiori particolari dovreste chiedere ai nostri tecnici».
«Perché mi avete salvato?» chiese Barrent.
Eylan si rivolse a Moera, ma la ragazza si strinse nelle spalle.
«Vorremmo servirci di voi per un lavoro importante» rispose Eylan, agitandosi, a disagio. «Prima di parlarvi di questo però penso che dobbiate sapere qualcosa sulla nostra organizzazione. Dovreste avere una certa curiosità».
«Infatti» rispose Barrent. «Siete una specie di élite di criminali?»
«Siamo un'élite» disse Eylan «ma non ci consideriamo criminali. Su Omega sono stati mandati due tipi di persone completamente differenti. Ci sono veri criminali, colpevoli di omicidi, rapine, eccetera. Queste sono le persone tra le quali avete vissuto. Poi ci sono i colpevoli di reati di deviazionismo: indisciplina politica, eterodossia scientifica, attitudini irreligiose. Questi compongono la nostra organizzazione, chiamata, allo scopo di poterla identificare, Gruppo Due. Per quel che possiamo ricordare, i nostri delitti consistevano nell'avere opinioni diverse da quelle che prevalevano sulla Terra. Eravamo degli anticonformisti. E probabilmente costituivamo un elemento instabile, e una minaccia per il potere. Quindi siamo stati deportati su Omega».
«E vi siete separati dagli altri deportati».
«Sì. Era necessario. Per prima cosa ci sarebbe stato impossibile controllarli, e non avremmo potuto ammettere di essere controllati da loro. Inoltre, cosa assai più importante, avevamo un compito che avremmo potuto svolgere solo nel più assoluto segreto. Non avevamo idea di quali mezzi fossero dotate le astronavi che girano in continuazione attorno a questo pianeta. Per mantenere intatta la nostra sicurezza finimmo sottoterra, letteralmente. La stanza in cui ci troviamo è a circa sessanta metri sotto la superficie del pianeta. Ci teniamo nascosti, tranne alcuni agenti speciali come Moera, incaricati di reclutare i prigionieri politici e separarli dagli altri».
«Io non sono stato separato» osservò Barrent.
«Naturalmente. Eravate condannato per omicidio, e questo vi poneva automaticamente con quelli del Gruppo Uno. Il vostro comportamento tuttavia non era tipico del Gruppo Uno. Ci sembravate però ottimo per il nostro scopo, così, di tanto in tanto, vi abbiamo dato il nostro aiuto. Però volevamo essere sicuri prima di farvi partecipe del nostro progetto. La repulsione che provavate per il delitto deponeva a vostro favore. Inoltre abbiamo voluto interrogare Illiardi; ormai non sembra possano esserci dubbi sul fatto che sia stato lui a commettere l'omicidio di cui siete stato accusato».
«Qual è il vostro scopo?» chiese Barrent. «Cosa volete fare?»
«Vogliamo tornare sulla Terra».
«Ma è impossibile».
«Noi non lo crediamo» disse Eylan. «Abbiamo studiato tutto con attenzione. E a dispetto delle astronavi di guardia, penso che sia possibile far ritorno sulla Terra. Lo sapremo con certezza fra sei giorni, quando sarà fatto il tentativo».
«Sarebbe meglio aspettare altri sei mesi» disse Moera.
«Impossibile. Il ritardo di sei mesi potrebbe essere disastroso. Ogni società ha uno scopo. Quello della popolazione criminale di Omega è l'autodistruzione. Mi sembrate sorpreso, Barrent. Non riuscite a credere a simile eventualità?»
«Non ci avevo mai pensato. Dopo tutto io facevo parte di quella società».
«È evidente» continuò Eylan. «Considerate le istituzioni: tutte centrate sul delitto legalizzato. Le feste sono scuse per uno sterminio in massa. Anche la legge che limita l'assassinio comincia a sfaldarsi. La popolazione vive sull'orlo del caos. Ed è giusto che sia così. Non c'è più sicurezza. L'unico mezzo per vivere è uccidere. L'unico modo per migliorare la posizione sociale è uccidere. L'unica cosa sicura è uccidere... Uccidere molto e con sempre maggiore rapidità».
«State esagerando» protestò Moera.
«Non credo. Mi sono accorto che il conservatorismo delle istituzioni di Omega, anche quello che regola l'omicidio, non è che una illusione. Non c'è dubbio che tutte le società in via di estinzione conservino l'illusione di continuare, fino alla fine. Bene, la società di Omega ci si sta avvicinando rapidamente».
«Fra quanto?» chiese Barrent.
«Il punto limite sarà raggiunto fra circa quattro mesi» rispose Eylan. «Il solo modo per cambiare il corso degli avvenimenti sarebbe quello di dare alla popolazione un nuovo indirizzo, una nuova causa».
«La Terra» mormorò Barrent.
«Esatto. Ecco perché il nostro tentativo deve essere fatto immediatamente».
«Ignoro ancora molte cose» disse Barrent «ma sono con voi. Sono felice di poter fare parte della spedizione».
Eylan tornò ad agitarsi, a disagio.
«Penso di non essermi spiegato chiaramente» disse. «Voi sarete la spedizione. Voi e solo voi...»

Capitolo XX

Come Eylan gli spiegò, il Gruppo Due aveva un grande difetto. Gli uomini che lo componevano, per la maggior parte, erano persone di una certa età. C'erano dei giovani, naturalmente, ma avevano avuto pochi contatti con la violenza e poche possibilità di sviluppare l'autosufficienza necessaria. Sicuri nel sottosuolo, la maggior parte di loro non aveva mai maneggiato un'arma, non aveva mai lottato per la vita, non si era mai trovata in quelle situazioni disperate che Barrent aveva vissute. Erano giovani coraggiosi, ma senza esperienza. Avrebbero intrapreso con entusiasmo la spedizione verso la Terra ma con poche possibilità di riuscita.
«E voi pensate che io abbia queste possibilità?» domandò Barrent.
«Penso di si. Siete giovane e forte, intelligente, e pieno di risorse. Avete un quoziente di sopravvivenza molto elevato. Se c'è qualcuno che può aver successo, siete voi».
«Perché un uomo solo?»
«Non c'è senso a mandare un gruppo. Le probabilità di essere scoperti aumenterebbero considerevolmente. Usando un uomo solo, avremo la massima sicurezza. Se doveste avere successo, potremmo ricevere tutte le informazioni necessarie sulla natura del nemico. Se il successo dovesse mancare, se foste catturato, il vostro tentativo potrebbe venir considerato come l'azione di un singolo. E noi saremmo liberi di tentare una rivolta generale su Omega».
«Come farò a tornare sulla Terra?» domandò Barrent. «Avete un'astronave nascosta da qualche parte?»
«Mi spiace, no. Abbiamo intenzione di farvi viaggiare verso la Terra a bordo della prossima astronave di prigionieri».
«Ma è impossibile!»
«Non del tutto. Abbiamo studiato attentamente ogni atterraggio. Tutti seguono un identico sistema. I prigionieri vengono fatti scendere, scortati dalle guardie. Allora lo scafo, anche se circondato da un cordone di guardie, è praticamente indifeso. Per darvi modo di salire a bordo noi creeremo un'azione di disturbo. Non dovremo far altro che distrarre l'attenzione delle guardie per il tempo che vi sarà necessario a salire».
«Anche se dovessi riuscire, verrei catturato non appena le guardie ritornassero sullo scafo».
«Non credo» disse Eylan. «Lo scafo è un'immensa struttura con un'infinità di ottimi nascondigli. L'elemento sorpresa sarà a vostro favore. È la prima volta nella storia di Omega che viene tentata un'evasione».
«E quando avrò raggiunto la Terra?»
«Sarete vestito come un membro dell'equipaggio» disse Eylan. «Ricordate, l'inevitabile inefficienza della burocrazia lavora in vostro favore».
«Lo spero» commentò Barrent. «Supponiamo ora che io raggiunga incolume la Terra e che possa raccogliere le informazioni desiderate. Come farò a farvelo pervenire?»
«Le invierete per mezzo dell'astronave successiva» disse Eylan. «Abbiamo intenzione di catturarla».
Barrent tacque, sovrappensiero.
«Cosa vi fa pensare che la mia fuga e la vostra sommossa possano avere successo contro una organizzazione potente come quella della Terra?»
«Dobbiamo tentare» rispose Eylan. «Tentare o finire con tutto il resto di Omega. Sono d'accordo che le probabilità sono contro di noi. Ma non abbiamo altra scelta. Fare il tentativo o morire senza averlo fatto».
«Inoltre la situazione offre altre possibilità» intervenne Moera. «Il governo della Terra è certamente repressivo. Questo ci suggerisce che debbano esistere dei movimenti clandestini di resistenza. Voi dovreste mettervi in contatto con uno di questi gruppi. Una rivolta simultanea sulla Terra e su Omega darebbe al governo un serio grattacapo».
«È probabile» disse Barrent.
«Dobbiamo sperare nel meglio» ribatté Eylan. «Siete con noi?»
«Certo. Preferisco morire sulla Terra piuttosto che su Omega».
«Lo scafo dei prigionieri atterra fra sei giorni. Nel frattempo vi daremo tutte le informazioni che abbiamo raccolto sulla Terra. Parte sono frutto di ricordi, parte rivelate dai mutanti, il resto è stato ricostruito con la logica».
«Quando cominciamo?» chiese Barrent,
«Subito» rispose Eylan.

Barrent ricevette un'istruzione sommaria sulla formazione fisica della Terra, sul suo clima, e sui maggiori centri abitati. Poi venne mandato dal colonnello Bray, già comandante delle Forze Spaziali. Bray gli parlò delle probabili forze militari della Terra in base a quanto aveva dedotto dal numero delle astronavi che ruotavano attorno a Omega, e del loro probabile livello e sviluppo tecnologico. Diede una stima di quello che dovevano essere le forze di stanza sulla Terra, e fece una possibile divisione tra quelle terrestri, di mare e dell'aria. Il capitano Carrell, esperto in armi, parlò dei differenti tipi di armi, della loro probabile portata, e di come potevano essere distribuite tra la popolazione della Terra. Il tenente Daoud, infine, parlò dei dispositivi di allarme, dove potevano essere stati collocati, e come si sarebbe dovuto fare per evitarli. Poi Barrent venne rimandato da Eylan per l'istruzione politica. Da lui seppe che probabilmente la Terra era sotto un regime dittatoriale. Apprese i metodi applicati da una dittatura, le sue forze e le sue debolezze, i ruoli della polizia segreta, l'uso del terrore, l'uso degli informatori. Quando Eylan ebbe finito, Barrent si recò da un'altra persona che lo istruì sui metodi di distruzione della memoria. Data la premessa che la distruzione della memoria veniva regolarmente impiegata per rendere inefficiente ogni opposizione, il suo istruttore deduceva che sulla Terra doveva esistere un movimento clandestino di resistenza, e spiegò a Barrent come avrebbe forse potuto mettersi in contatto con dissidenti. Alla fine gli vennero forniti tutti i particolari su come il Gruppo Due lo avrebbe fatto salire sull'astronave.
Quando giunse il Giorno dell'Atterraggio, Barrent provò un senso notevole di sollievo. Il pensiero di agire era già una liberazione.

Capitolo XXI

Barrent osservò l'enorme prigione avvicinarsi alla superficie e toccare terra senza rumore. Brillava cupa nel sole del pomeriggio, come un monito della potenza della Terra. Il portello venne aperto, e la scala si svolse verso il suolo. I prigionieri, scortati dalle guardie, cominciarono a uscire per portarsi sul piazzale. Come al solito la maggior parte della popolazione di Tetrahyde si era radunata nelle vicinanze per assistere alla cerimonia dello sbarco e applaudire i prigionieri. Barrent si mescolò alla folla e andò a mettersi dietro le file dei prigionieri e delle guardie. Si toccò una tasca per accertarsi di avere ancora la pistola ad ago costruita appositamente per lui da alcuni tecnici del Gruppo Due. Era stata realizzata completamente in plastica per sfuggire al rilevatore dei metalli. Le altre tasche erano piene di strumenti che Barrent sperava di non dover usare.
Dall'altoparlante una voce cominciò a scandire i numeri dei prigionieri, proprio come aveva fatto quando lui era sbarcato. Rimase in ascolto, le ginocchia leggermente piegate, pronto a scattare nel momento in cui sarebbe incominciata l'azione di disturbo.
L'altoparlante aveva chiamato quasi tutti i prigionieri, ne restavano soltanto dieci. Barrent mosse alcuni passi in avanti. L'altoparlante continuò. Quattro prigionieri. Tre...
Appena venne letto il nome dell'ultimo prigioniero, cominciò l'azione di disturbo. Una densa nuvola di fumo nero oscurò il cielo. Quelli del Gruppo Due avevano dato fuoco alle baracche vuote del blocco A-2. Aspettò ancora. Poi venne il momento. In mezzo a due file di case disabitate si verificò una tremenda esplosione, con uno spostamento d'aria spaventoso. Ancor prima che le macerie cominciassero a ricadere, Barrent stava correndo verso l'astronave. Quando avvennero la seconda e la terza esplosione, Barrent si trovava già nascosto all'ombra dello scafo. Rapidamente si tolse di dosso i vestiti caratteristici degli Omegani per rimanere con la divisa che gli era stata confezionata, in tutto simile a quella delle guardie carcerarie. Poi si affrettò verso la scaletta.
L'altoparlante intanto aveva preso a impartire ordini alle guardie sbigottite. La quarta esplosione scagliò Barrent a terra. Si rialzò immediatamente e, salita di corsa la scala, si trovò all'interno dell'astronave. Fuori, il capitano delle guardie urlava i suoi ordini, e gli uomini, le armi puntate verso la folla, avevano cominciato a ritirarsi verso lo scafo. Ma Barrent non sentiva più nulla. Si trovava in un lungo corridoio. Girò a destra e si mise a correre verso il centro dell'astronave. In quel preciso momento sentì lontano il rumore del pesante passo di marcia delle guardie. Adesso, pensò, sarebbe stato opportuno che le informazioni avute si rivelassero esatte, o la spedizione sarebbe finita prima ancora di cominciare. Passò di corsa davanti a una fila di celle vuote, e raggiunse una porta con la targa: "Sala Ritrovo Guardie". Una luce verde accesa sullo stipite indicava che gli apparecchi per l'alimentazione dell'aria erano in funzione. Raggiunse la porta accanto, ed entrò. Era una stanza piena di parti di ricambio dei motori. Chiuse la porta. Le guardie si stavano avvicinando. Le udì parlare mentre entravano nella sala ritrovo.
«Quale sarà stata la causa di quelle esplosioni?»
«Chi lo sa? Quei prigionieri sono pazzi».
«Farebbero saltare il pianeta, se potessero».
«Sarebbe una liberazione».
«Be', un gran danno non sarebbe certo. Quindici anni fa c'è stata un'esplosione simile a quella di oggi. Ricordi?»
«Non ero ancora in servizio».
«Comunque è stata anche più violenta. Due guardie furono uccise insieme a un centinaio di prigionieri».
«Perché l'hanno fatto?»
«Non so. Sembra che gli Omegani si divertano a far saltare in aria le cose».
«La prossima volta cercheranno di far saltare noi in aria!»
«Già! Con le astronavi di guardia che ruotano attorno al pianeta?»
«A ogni modo, per questa volta possiamo essere felici di poter tornare al posto di controllo».
«Hai ragione. È bello uscire dall'astronave e vivere un poco».
«Non è male la vita al posto di controllo. Comunque preferisco sempre la Terra».
«Be', non si può avere tutto».
L'ultima delle guardie entrò negli alloggiamenti, e si sentì chiudere la porta. Dopo pochi secondi l'astronave cominciò a vibrare. Stava partendo. Barrent aveva appreso qualcosa di utile. Pareva che tutte le guardie, o quasi, sarebbero scese al posto di controllo. Avrebbe voluto sapere anche se un altro distaccamento avrebbe preso il loro posto. Comunque lo scafo sarebbe stato perquisito per sventare una eventuale fuga di prigionieri. Forse sarebbe stata una perquisizione pro forma, dato che in tutta la storia di Omega nessuno aveva mai tentato una evasione, però era meglio pensare al modo di non farsi scoprire.
Ma ci avrebbe pensato più tardi. Le vibrazioni erano cessate, e Barrent capì che lo scafo si era staccato dalla superficie di Omega. Lui era a bordo, clandestino, in viaggio verso la Terra.
Fino a quel momento tutto si era svolto secondo i piani.

Per quattro ore Barrent rimase nascosto nel magazzino in cui era entrato. Si sentiva stanco, e le giunture cominciavano a fargli male. L'aria nel locale aveva un sapore acido e nauseante. Con uno sforzo, Barrent si alzò per andare vicino a una presa d'aria, e provò a controllare il soffio con una mano. Subito si accorse che era stata chiusa. Allora tolse di tasca un apparecchio di controllo. L'ossigeno di quel locale stava calando rapidamente. Con cautela aprì la porta del magazzino e guardò fuori. Anche se indossava una divisa in tutto simile a quella delle guardie, non poteva sperare di passare inosservato in mezzo a uomini che si conoscevano bene fra di loro. Doveva rimanere nascosto. Ma aveva bisogno di aria.
Il corridoio era deserto. Passò davanti alla porta degli alloggi delle guardie, e udì il mormorio della conversazione che si svolgeva all'interno. Sullo stipite di quella porta la luce verde continuava a brillare. Barrent proseguì lungo il corridoio, e cominciò ad avvertire i primi sintomi di asfissia. L'apparecchio che stringeva ancora nella mano indicava che l'ossigeno mancava quasi completamente nel corridoio.
Su Omega, il Gruppo Due aveva calcolato che il sistema d'aerazione avrebbe funzionato in tutto lo scafo. Ora Barrent poteva constatare che non era vero. Con poche persone a bordo non era necessario rifornire d'aria tutto lo scafo, bastava rifornire i locali dove si trovavano le guardie e gli uomini dell'equipaggio. Barrent affrettò il passo, ansimando alla ricerca di un po' d'aria. La situazione peggiorava rapidamente. Passò di fronte a diverse porte aperte, ma la luce verde sullo stipite era spenta. La testa gli doleva in maniera terribile e le gambe sembravano diventate di gelatina. Cercò di studiare un piano d'azione. Gli sembrò che il reparto-piloti offrisse maggiori possibilità. Forse gli uomini d'equipaggio non erano armati. E anche se lo fossero stati, dovevano essere meno pronti di riflessi delle guardie. Forse poteva far prigioniero qualche ufficiale, forse poteva impadronirsi dell'astronave... Valeva la pena di tentare. Doveva tentare.
In fondo al corridoio incominciava la scala. Superò una dozzina di livelli, tutti deserti, e alla fine si trovò di fronte a un cartello con la scritta: "Sezione Comando". Trasse di tasca la pistola di plastica e prese ad avanzare nel corridoio. Cominciava a perdere la lucidità. Ombre nere gli si formavano davanti agli occhi, e il corridoio sembrava rovesciarglisi addosso. Si trovò a camminare carponi verso una porta su cui era scritto: "Cabina Comando - Ingresso vietato a tutti eccetto gli Ufficiali di bordo". Il corridoio sembrava immerso in una nebbia grigia. Barrent raccolse tutte le forze che gli restavano e si sollevò per afferrare la maniglia. La porta cominciò ad aprirsi. Strinse il calcio della pistola e si preparò all'azione. Ma come la porta si aprì una nebbia nera lo avvolse inesorabilmente. Pensò di vedere delle facce atterrite e di udire delle voci che gridavano:
"Attenti! È armato!". Poi l'oscurità si richiuse su di lui, e Barrent cadde in avanti.

Capitolo XXII

Il ritorno alla coscienza avvenne di colpo. Barrent si sollevò, e si rese conto immediatamente di trovarsi nella cabina di comando. La porta metallica alle sue spalle era chiusa, e adesso lui poteva respirare senza difficoltà. Il locale era deserto. Forse, pensando che sarebbe rimasto svenuto a lungo, erano andati a chiamare le guardie.
Si alzò, e istintivamente raccolse la pistola. Dopo averla osservata attentamente corrugò la fronte e la ripose in tasca. Perché, si chiese, lo avevano lasciato nella cabina comando, la parte più importante dell'astronave? E perché gli avevano lasciato la pistola?
Cercò di ricordare le facce intraviste prima di svenire. Erano figure indistinte, vaghe e sfuocate, con voci cavernose, da sogno. C'erano state veramente delle persone in quella stanza?
Più ci pensava, più si convinceva che quelle figure gli erano nate nella coscienza nel momento in cui stava per svenire. In quella stanza non c'era mai stato nessuno. Lui era solo, nel centro vitale dello scafo. Si avvicinò al grande pannello dei comandi. Era diviso in dieci sezioni, ciascuna zeppa di quadranti con gli indici su cifre di incomprensibile lettura, e di interruttori, pulsanti, reostati e leve. Barrent esaminò lentamente le dieci sezioni. L'ultima sembrava essere il controllo generale delle altre nove. Sotto uno dei quadranti c'era scritto:
"Coordinazione, Manuale/Automatica". La parte automatica era illuminata. E c'erano quadranti simili per la navigazione, per il controllo delle collisioni, per l'entrata e l'uscita dal subspazio, per l'entrata e l'uscita dallo spazio normale, e per l'atterraggio. Tutti erano disposti sul comando automatico. Poi scoprì lo schermo che indicava il progresso del volo in ore, minuti e secondi. Il tempo per giungere al posto di controllo. Uno era di ore 29,4 minuti, 51 secondi. Fermata, tre ore. Tempo dal posto di controllo alla Terra, 480 ore.
Le luci dei quadranti si accendevano e spegnevano, automaticamente. E Barrent ebbe l'impressione che la presenza di un uomo fosse un sacrilegio in quel tempio delle macchine.
Controllò il quadrante dell'aria. Era disposto per il rifornimento sufficiente a una persona. Ma dov'era l'equipaggio? Barrent poteva capire le necessità di guidare un'astronave con mezzi automatici. Una struttura così enorme e complessa doveva essere autosufficiente. Ma gli uomini l'avevano costruita, e gli uomini avevano predisposto tutti i comandi automatici. Perché non erano presenti per il caso che fosse stato necessario variare i programmi stabiliti?
Poteva capitare che le guardie dovessero fermarsi più a lungo su Omega. Poteva capitare di dover saltare il posto di controllo e fare ritorno direttamente sulla Terra, o di doversi dirigere verso un'altra destinazione. Chi avrebbe modificato i programmi, chi avrebbe dato i nuovi ordini, chi possedeva un'intelligenza responsabile per dirigere le operazioni?
Barrent si guardò attorno, e scoprì il ripostiglio che conteneva i respiratori a ossigeno. Ne prese uno, e dopo averlo provato uscì nel corridoio. Percorse tutto il corridoio sino alla porta su cui era scritto "Alloggio Equipaggio". La stanza era nuda e deserta. I letti, disposti in file ordinate, erano senza lenzuola e coperte. E negli armadi non c'erano indumenti o altri oggetti personali. Uscì da quella stanza, ed entrò nell'alloggio degli ufficiali e del Comandante. Ma anche lì niente indicava che quei locali fossero abitati. Tornò nella cabina comando. Era evidente ormai che l'astronave non aveva equipaggio. Forse le autorità della Terra, sicure dei loro calcoli di rotta e piene di fiducia nelle astronavi, avevano deciso che i piloti erano superflui. Però a Barrent questo sistema sembrava piuttosto strano. Era incomprensibile che si permettesse il volo di un'astronave senza la supervisione di un essere umano.
Decise di non trarre conclusioni finché non avesse saputo di più. Per il momento era più importante pensare a sopravvivere. Aveva portato con sé dei cibi concentrati, ma non aveva molta acqua. Avrebbe trovato qualcosa nelle cucine? Poi doveva ricordarsi del distaccamento di guardie presente nella parte inferiore dell'astronave. E doveva pensare al miglior modo di agire nel momento in cui lo scafo si sarebbe fermato al posto di controllo.

Barrent non fu costretto a mangiare i cibi che aveva portato con sé. Nella mensa ufficiali le macchine distribuivano ancora cibo e acqua alla semplice spinta di un bottone. Non riuscì a scoprire se fossero cibi naturali o chimici. Avevano un buon sapore ed erano nutrienti; non si preoccupò d'altro. Esplorò gran parte dei piani superiori, ma, dopo essersi perso diverse volte, decise di non correre altri rischi. Il centro vitale dell'astronave era la cabina comando, e Barrent rimase in quella stanza per la maggior parte del tempo.
Riuscì a trovare un oblò. Muovendo una leva che apriva gli schermi di protezione, Barrent poté vedere lo spettacolo delle stelle che brillavano nell'oscurità dello spazio. Stelle senza fine che si estendevano oltre ogni limite della sua immaginazione. Guardandole, Barrent si sentì orgoglioso. Quelle stelle sconosciute erano sue, in certo senso.
Mancavano solo sei ore all'arrivo al posto di controllo. Barrent osservò le lancette dei quadranti che si spostavano, mentre altre macchine si mettevano in azione per preparare lo scafo all'atterraggio. Tre ore e mezzo prima dell'arrivo, Barrent fece un'interessante scoperta. Trovò l'apparecchio che lo metteva in comunicazione con tutto lo scafo. Sintonizzandolo sull'ascolto poté seguire la conversazione che si svolgeva nella sala delle guardie. Sia per precauzione, sia per mancanza di cognizioni, le guardie non parlavano di politica. Vivevano al posto di controllo per tutto il tempo in cui non erano di servizio sull'astronave. Alcuni degli argomenti di cui parlarono riuscirono del tutto incomprensibili a Barrent. Tuttavia continuò ad ascoltare, affascinato da ciò che quegli uomini dicevano.
«Sei mai andato a nuotare in Florida?»
«L'acqua salata non mi è mai piaciuta».
«L'anno prima di venir arruolato nelle Guardie, vinsi il terzo premio alla Fiera delle Orchidee di Dayton».
«Sto comperando una villa ad Antartica».
«Perché non ci danno mai i permessi per andare sulla Terra?»
«Lo sai. Il delitto è una malattia. Ed è infettiva».
«E con questo?»
«Se stai accanto ai criminali puoi subire l'infezione. E potresti contaminare qualcuno della Terra».
«Ma non è giusto!»
«Non ci si può fare niente. Gli scienziati sanno quel che fanno. Dopo tutto il posto di controllo non è poi così brutto».
«Se ti piacciono le cose artificiali... aria, fiori, cibi...»
«Be', non si può avere tutto. La tua famiglia è con te?»
«Vogliono tornare sulla Terra».
«Dopo cinque anni al posto di controllo, dicono che non si può ritornare sulla Terra. La gravità ti schiaccerebbe».
«Eppure vorrei tornare alla gravità. In qualsiasi momento».
Da quelle conversazioni Barrent comprese che le guardie dal volto arcigno in fondo erano soltanto esseri umani, proprio come i prigionieri che vivevano su Omega.
La maggior parte delle guardie non amava il proprio lavoro. Come gli Omegani, desideravano fare ritorno sulla Terra.
Accantonò queste informazioni per seguire il volo. L'astronave aveva raggiunto il posto di controllo e i meccanismi automatici lavoravano febbrilmente per la difficile manovra dell'attracco. Infine, a manovra compiuta, tutti i motori si spensero. Attraverso gli apparecchi di comunicazione Barrent sentì le guardie che uscivano dalla sala. Le seguì lungo il corridoio fino alla scala, e sentì l'ultima esclamare:
«Ecco la Squadra di Controllo. Che ci dite, ragazzi?»
Non sentì la risposta. Le guardie erano uscite, e nei corridoi risuonò un nuovo rumore, il passo pesante di quelli che le guardie avevano chiamato "Squadra di Controllo".
Sembravano parecchi. Cominciarono l'ispezione dalla sala macchine, muovendosi metodicamente verso l'alto.
Dai rumori sembrava che aprissero ogni porta e che frugassero in ogni armadio.
Barrent strinse la pistola con la mano sudata e si chiese dove avrebbe potuto nascondersi. Ormai era certo che stavano guardando dappertutto. La sua unica possibilità era quella di passare non visto alle loro spalle, e andarsi a nascondere in una parte dello scafo già perquisita. Indossò un respiratore e uscì nel corridoio.

Capitolo XXIII

Un quarto d'ora più tardi Barrent cercava ancora il modo di arrivare non visto ai livelli già ispezionati. La squadra aveva finito di controllare i piani inferiori e si stava avvicinando al ponte di comando. Li poteva udire muoversi al piano immediatamente sottostante. Allora si avviò lungo il corridoio, cercando un posto in cui nascondersi. Avrebbe dovuto esserci una scala alla fine di quel passaggio. Forse da lì avrebbe potuto scendere fino a un piano già ispezionato. Affrettò il passo chiedendosi se per caso non si stesse sbagliando sull'ubicazione della scala. Ancora non aveva un'idea molto chiara della planimetria dello scafo. Se avesse sbagliato, sarebbe finito in trappola.
Arrivò in fondo al corridoio, e vide la scala. I passi alle sue spalle risuonavano ormai vicini. Si lanciò giù dai gradini. E andò a battere la testa contro l'enorme petto di un uomo. Si tirò indietro di scatto, sollevando la pistola di plastica, pronto a sparare. Ma si trattenne. Di fronte a lui non c'era un essere umano. Era alto più di due metri e indossava un'uniforme nera su cui spiccava la scritta: "Squadra Ispezioni-Androide B 212". Il volto di plastica era una stilizzazione di quello umano. E sulla fronte brillavano due occhi di un rosso impossibile. Oscillava sulle gambe avanzando lentamente verso di lui. E Barrent indietreggiò chiedendosi se la pistola sarebbe riuscita a fermarlo. Ma non ebbe la possibilità di scoprirlo. L'androide gli passò accanto continuando lentamente a salire le scale. Allora Barrent vide la scritta incisa sulle spalle dell'avversario: "Reparto Controllo Roditori". Quell'androide era stato predisposto per lo sterminio dei topi. La presenza di un clandestino non gli aveva fatto nessuna impressione. Forse anche gli altri erano come questo.
Si nascose in un ripostiglio vuoto del piano inferiore e vi rimase finché non udì tutti gli androidi lasciare lo scafo. Poi tornò di corsa nella cabina comando. Nessuna guardia salì a bordo questa volta, e quando giunse l'ora di partenza il grosso scafo si staccò dal posto di controllo. Destinazione Terra.
Il resto del viaggio risultò monotono. Barrent mangiò, dormì e, prima che l'astronave entrasse nel subspazio, rimase a lungo in contemplazione delle stelle attraverso l'oblò. Cercò di creare mentalmente delle immagini del pianeta al quale si stava avvicinando, ma non ci riuscì. Che tipo di gente poteva essere quella che aveva costruito l'astronave su cui si trovava, ma che non aveva stimato necessario metterci un equipaggio? Perché si era mandata una squadra di ispezione con possibilità di controllo così limitata?
Perché si deportava parte della popolazione e poi si trascurava di controllare le condizioni in cui i deportati vivevano e morivano? Perché cancellare dalle menti dei prigionieri ogni ricordo della Terra?
Barrent non riuscì a trovare risposta alle sue domande. L'orologio della cabina comando continuava a girare contando le ore e i minuti di durata del viaggio. Lo scafo entrò nel subspazio poi ne uscì per iniziare l'orbita di decelerazione attorno al pianeta verde e azzurro che Barrent fissava con occhi pieni di emozione. Era difficile convincersi che stava per rimettere piede sulla Terra.

Capitolo XXIV

Lo scafo atterrò verso mezzogiorno di una giornata di sole, in una località del continente nordamericano. Barrent aveva deciso di sbarcare appena fosse scesa l'oscurità, ma sullo schermo del pannello si accese un antico e ironico avviso: "Passeggeri ed equipaggio devono sbarcare immediatamente. Lo scafo verrà sottoposto al processo di decontaminazione entro venti minuti".
Non sapeva cosa volesse dire processo di decontaminazione. Però, dato che veniva ordinato di scendere anche all'equipaggio, un respiratore non avrebbe garantito la sicurezza. Tra i due mali, quello di lasciare lo scafo sembrava il minore.
Il Gruppo Due gli aveva procurato vestiti che avrebbe dovuto indossare al momento dello sbarco. Quei primi minuti sulla Terra sarebbero stati cruciali. Nessuna astuzia gli sarebbe servita se quei vestiti fossero risultati strani, sorpassati. Il Gruppo Due non era riuscito a stabilire come vestissero gli abitanti della Terra. Alcuni avevano suggerito che Barrent indossasse un abito che secondo loro si avvicinava con una certa approssimazione a quello che doveva essere l'abbigliamento dei terrestri. Altri avevano avanzato l'opinione che dovesse tenere la divisa usata durante l'intero viaggio. Barrent, da parte sua, era di un terzo avviso. Sentiva che una tuta di meccanico sarebbe stata la meno vistosa in un astroporto, e, forse, quella che con il passare degli anni aveva subito minori variazioni. Certo, la tuta lo avrebbe imbarazzato una volta che si fosse trovato in città, ma era meglio pensare a un problema alla volta. Si tolse rapidamente la divisa di guardia e indossò la tuta. Nascose la pistola, e si avviò verso l'uscita reggendo in mano una borsa di plastica per la colazione. Ma prima di scendere esitò un attimo, chiedendosi se avrebbe fatto meglio a lasciare la pistola sull'astronave. Poi decise di portarla con sé. Una ispezione lo avrebbe tradito comunque, con la pistola però avrebbe avuto la possibilità di aprirsi la strada.
Trattenne il fiato e uscì dal portello, cominciando a scendere la scala. Non vide guardie, né squadre d'ispezione, né polizia, né reparti militari, né funzionari di dogana. Non c'era nessuno. Da un lato, sul fondo del campo, si ergeva una fila di astronavi scintillanti al sole. Di fronte notò il cancello dal quale avrebbe dovuto uscire. Era aperto. Si avviò verso il cancello con passo veloce, ma senza dimostrare eccessiva fretta. Non poteva credere che tutto fosse così semplice. Forse la polizia segreta della Terra aveva altri mezzi per controllare i passeggeri in arrivo. Raggiunse il cancello. Vide soltanto un uomo di mezza età con un ragazzo di circa dieci anni. Sembrava quasi che stessero aspettando lui. Barrent non riuscì a credere che quelli potessero essere funzionari del governo; però, cosa sapeva lui della Terra? Superò il cancello. L'uomo gli si avvicinò subito, tenendo il bambino per mano.
«Scusate» disse.
«Si?»
«Vi ho visto scendere dall'astronave. Vi spiace se vi faccio alcune domande?»
«Dite pure» rispose Barrent, avvicinando la destra alla tasca della tuta dove teneva la pistola. Gli era nato il sospetto che quell'uomo fosse un agente di polizia. La sola cosa che lo lasciava perplesso era la presenza del bambino. A meno che non fosse un allievo agente...
«Il fatto è» riprese l'uomo «che mio figlio Ronny deve svolgere una ricerca sulle astronavi per il diploma delle scuole inferiori».
«Così ho voluto vederne una» disse Ronny.
«Ha voluto vederne una» ripeté il padre. «Io gli ho detto che non sarebbe stato necessario, dato che informazioni e fotografie sono sull'enciclopedia. Ma lui è voluto venire».
«Questa visita mi fornisce un argomento per l'introduzione» spiegò Ronny.
«Naturalmente» convenne Barrent. Cominciava a meravigliarsi per il modo di agire di quell'uomo.
Per un agente della polizia segreta, era una maniera piuttosto strana di affrontare un argomento.
«Lavorate sull'astronave?» chiese il ragazzo.
«Esatto».
«A che velocità vanno?»
«Nello spazio o nel subspazio?» chiese Barrent.
La domanda sembrò mettere Ronny in imbarazzo. Strinse le labbra e rimase un attimo soprappensiero.
«Non sapevo che andassero nel subspazio» disse alla fine. Rimase ancora un attimo in silenzio. «Per la verità, non so nemmeno che cosa sia il subspazio» aggiunse.
Barrent e il padre del ragazzo sorrisero comprensivi.
«Be'» riprese Ronny «a che velocità vanno nello spazio?»
«Centomila miglia all'ora» rispose Barrent, la prima cifra che gli era venuta in mente. Il ragazzo e il padre annuirono.
«Molto veloci» commentò il padre.
«Naturalmente sono molto più veloci nel subspazio».
«Naturalmente» disse l'uomo. «Le astronavi sono infatti molto veloci. Ma devono esserlo. Le distanze da coprire sono grandi. Vero, signore?»
«Distanze enormi» disse Barrent.
«Come viene spinta l'astronave?» chiese Ronny.
«Alla solita maniera» spiegò Barrent. «L'anno scorso sono stati installati reattori tripli, però vengono considerati come mezzi di propulsione ausiliari».
«Ho sentito parlare di questi reattori tripli» disse l'uomo. «Apparecchi tremendi».
«Infatti» rispose Barrent senza addentrarsi in particolari. Ormai era certo che quell'uomo era solo un semplice cittadino, senza particolari conoscenze sulle astronavi, che aveva portato il figlio all'astroporto.
«Come fate per l'aria?» chiese Ronny.
«Generiamo quella che ci serve» spiegò Barrent. «Però quello dell'aria non è un problema grave. L'acqua ci preoccupa di più. Come sapete, l'acqua non può essere compressa. È difficile stivarne una quantità sufficiente. Poi ci sono i problemi di navigazione quando lo scafo emerge dal subspazio».
«Cos'è il subspazio?» chiese Ronny.
«In effetti» rispose Barrent «è soltanto un livello differente dello spazio. Ma potrai trovare tutto questo nella tua enciclopedia».
«Certo, Ronny» disse il padre del ragazzo. «Non possiamo trattenere oltre il pilota. Sono sicuro che ha molte cose importanti da fare».
«Ho premura, sì» disse Barrent. «Guardate tutto quello che volete. E auguri per la tua tesi, Ronny».
Nonostante tutto, Barrent camminò per una cinquantina di metri aspettandosi di essere raggiunto da un colpo d'arma alla schiena. Ma quando si voltò, il padre e il figlio erano intenti a osservare la grande astronave. Rallentò il passo, profondamente turbato. Fino a quel momento tutto si era svolto in modo troppo facile. Facile in modo sospetto. Ma non vedeva cos'avrebbe potuto fare se non continuare a camminare. La strada che si allontanava dall'astroporto passava davanti a una fila di magazzini e fiancheggiava un bosco. Barrent camminò finché fu certo di essere fuori di vista, poi abbandonò la strada per addentrarsi tra le piante. Per quel giorno aveva avuto sufficienti contatti con gli abitanti della Terra. Non voleva forzare la fortuna. Voleva pensare, dormire in mezzo alle piante, e recarsi in città il mattino seguente. Si addentrò nel bosco. Attorno sentiva il rumore degli animali e il cinguettio di invisibili uccelli, in mezzo alle piante, lontano, vide un cartello bianco con la scritta:
"Parco Nazionale di Forestdale. Gitanti e Campeggiatori sono i Benvenuti".
Barrent, anche se poteva benissimo immaginare che era assurdo pensare a un bosco vergine nelle vicinanze di un astroporto, provò un certo disappunto. Anzi, su di un pianeta vecchio e progredito come la Terra, forse non c'erano più terre vergini.
Il sole era ormai basso sull'orizzonte e le ombre si erano enormemente allungate. Barrent trovò un posto riparato, ai piedi di un grosso albero, e dopo aver fatto un giaciglio di foglie, vi si distese. Aveva molte cose cui pensare. Perché, ad esempio, non erano state messe delle guardie alla stazione interstellare, il punto più importante di contatto con la Terra? I dispositivi di sicurezza erano forse sistemati attorno alle città? E lui era già sotto sorveglianza? Forse lo tenevano d'occhio aspettando il momento più opportuno per arrestarlo. Poteva anche darsi che...
«Buona sera» disse una voce vicino al suo orecchio.
Barrent balzò di lato e cercò di afferrare la pistola.
«Una serata incantevole» continuò la voce. «Qui al Parco Nazionale di Forestdale la temperatura è di venticinque gradi centigradi, umidità 23 per cento, barometro fisso su ventinove virgola nove. I vecchi campeggiatori, ne sono sicuro, avranno già riconosciuto la mia voce. Ai nuovi amanti della natura che sono tra voi, chiedo il permesso di presentarmi. Sono Quercia, la vostra vecchia amica. A tutti, vecchi e nuovi, do il mio benvenuto in questo parco nazionale».
Barrent si mise a sedere chiedendosi che trucco fosse mai quello. La voce sembrava veramente venire dall'albero.
«Le gioie della natura» continuò Quercia «sono alla portata di ognuno. Potete godere della solitudine completa, pur essendo a soli dieci minuti dai trasporti pubblici. Per quelli che amano la compagnia abbiamo giri turistici attraverso le varie radure. Raccomandate agli amici questo Parco Nazionale. I veri amanti della natura potranno trovare ogni comfort».
Nella pianta si aprì un piccolo portello e ne uscirono un sacco a pelo, un thermos, e una scatola di cibi.
«Vi auguro una piacevole serata» disse Quercia. «Godete le meraviglie della natura. Ora la National Symphony Orchestra diretta da Otto Krug vi farà ascoltare "Le radure dell'altopiano", di Ernst Nestrichala, incisione effettuata dalla National North American Broadcasting Company. La vostra amica Quercia vi saluta e augura la buona notte».
Da altoparlanti nascosti tra i rami giunsero le note della musica. Barrent scosse la testa, poi, decidendo di prendere le cose come venivano, mangiò, bevve il caffè del thermos, e si coricò nel sacco a pelo. Non riuscì ad addormentarsi subito. Pensava a quella foresta musicale, rifornita di cibi e bevande, vicina ai mezzi di trasporto pubblici. Certo la Terra faceva molto per i suoi cittadini. E se invece fosse tutta una enorme trappola tesa per lui?
Si rigirò diverse volte cercando di abituarsi alla musica. Poi questa si mescolò al rumore delle foglie mosse dal vento, e Barrent si addormentò.

Capitolo XXV

Al mattino, la quercia amica gli fornì la colazione e tutto il necessario per radersi. Barrent mangiò, e dopo essersi lavato e rasato si incamminò verso la città vicina. Aveva in mente un piano ben preciso. Doveva procurarsi una tenuta che lo facesse passare inosservato e stabilire dei contatti con le forze della Resistenza. Una volta fatto questo, avrebbe dovuto scoprire quanto più possibile sulla polizia segreta, sulle forze militari, e cose simili.
Il Gruppo Due gli aveva dato utili istruzioni su come agire. Ma quando raggiunse i sobborghi della città, Barrent si domandò se i metodi del Gruppo sarebbero risultati giusti. Finora la Terra che aveva visto aveva ben pochi punti di contatto con quella che il Gruppo aveva ricostruito. Percorse una strada interminabile fiancheggiata da piccole ville. A tutta prima ebbe l'impressione che quelle case fossero identiche, poi si accorse di piccole differenze architettoniche. Tali differenze, tuttavia, invece di distinguere le case una dall'altra, servivano semplicemente a mettere in risalto la monotona somiglianza. C'erano centinaia di case fin dove poteva giungere il suo sguardo, e tutte avevano un pezzetto di prato ben curato davanti. Quella somiglianza lo immalinconì. Improvvisamente sentì nostalgia per la ridicola varietà di stili su Omega.
Raggiunse il centro commerciale. Anche i negozi ripetevano lo stile delle case. Bassi, discreti, e molto simili. Solo guardando nella vetrina si poteva distinguere un negozio di articoli sportivi da uno di generi alimentari. Passò di fronte a un edificio sulla cui porta spiccava una scritta rossa.
"Confessionale Robot - Aperto 24 ore al giorno". Gli sembrò una specie di chiesa.
La procedura che quelli del Gruppo Due avevano stabilito per mettersi in contatto con la Resistenza era molto semplice. I rivoluzionari, gli era stato detto, si trovano per lo più tra gli elementi più depressi di una civiltà. La povertà nutre lo scontento. Quelli che non hanno, vogliono prendere a quelli che hanno. Quindi il posto più logico in cui trovare i sovversivi dovevano essere i bassifondi. Ottima teoria. Solo che Barrent non riuscì a trovare i bassifondi. Camminò per ore, passò di fronte a negozi, a villette graziose, a parchi, a fattorie, e poi ancora davanti a case e negozi. Ma niente aveva un aspetto migliore o peggiore. Verso sera si sentì stanco, e aveva i piedi indolenziti. E non poteva dire di aver scoperto qualcosa di significativo. Per poter penetrare nella realtà complessa della Terra avrebbe dovuto domandare qualcosa agli abitanti. Era un passo pericoloso, ma non poteva farne a meno.
Si fermò accanto a un negozio di abiti e studiò il modo di agire. Avrebbe finto di essere un forestiero, appena arrivato nel Nord America dall'Asia o dall'Europa. Così gli sarebbe stato facile fare domande senza destare sospetti.
Un uomo stava venendo nella sua direzione e Barrent lo fermò. «Scusate» disse. «Sono forestiero. Sono appena arrivato da Roma».
«Davvero?» fece l'uomo.
«Sì. E non riesco a raccapezzarmi» riprese Barrent, con un sorriso di scusa. «Non riesco a trovare un albergo modesto. Se poteste darmi qualche indicazione...»
«Cittadino» disse l'uomo, irrigidendo l'espressione «vi sentite bene?»
«Come ho detto, sono forestiero. E sto cercando...»
«Sentite» lo interruppe l'altro «sapete meglio di me che non ci sono più forestieri».
«Davvero?»
«Certo che no. Sono stato a Roma. Ed è esattamente come qui a Wilmington. Le stesse case e gli stessi negozi. Nessuno può sentirsi forestiero».
Barrent non trovò niente da rispondere. Sorrise, nervoso.
«Inoltre» continuò l'uomo «sulla Terra non ci sono più alberghi a buon mercato. Perché dovrebbero esserci? Chi ci andrebbe?»
«Già» disse Barrent. «Penso di aver bevuto un po' troppo».
«Nessuno beve più» commentò l'uomo. «Non vi capisco. A che gioco state giocando?»
«Che genere di gioco pensate che sia?» chiese Barrent adottando la tecnica che il Gruppo gli aveva insegnata. L'uomo lo fissò, corrugando la fronte.
«Credo di aver capito» disse alla fine. «Dovete essere senz'altro un Intervistatore».
«Mmm».
«Certo, è così!» riprese l'uomo. «Dovete essere uno di quei cittadini che vanno attorno a domandare le opinioni della gente. Per studi, ricerche e cose di questo genere. Esatto?»
«Avete uno spirito di osservazione molto acuto» disse Barrent.
«Non è stato molto difficile. Gli Intervistatori vanno sempre in giro per osservare le attitudini della gente. Vi avrei riconosciuto subito se aveste avuto la divisa d'Intervistatore». L'uomo lo fissò. «Perché non indossate la divisa?»
«Mi sono appena diplomato» spiegò Barrent. «E non ho ancora avuto la possibilità di comperare i vestiti».
«Be', dovete comperare i vestiti. Altrimenti come può riconoscervi un cittadino?»
«Quella che ho fatto con voi è stata una prova» rispose Barrent. «Vi ringrazio per la collaborazione. Forse avrò la possibilità di intervistarvi in futuro».
«Quando vorrete» disse l'uomo. Poi fece un cortese inchino e si allontanò. Ripensando a quella conversazione, Barrent decise che la professione di Intervistatore era fatta apposta per lui. Gli avrebbe dato il diritto di fare domande, incontrare persone, e scoprire come si viveva sulla Terra. Naturalmente sarebbe stato necessario usare una certa prudenza per non palesare la sua ignoranza. Ma lavorando con circospezione, in pochi giorni sarebbe riuscito a sapere molte delle cose che gli interessavano. Prima di tutto gli serviva la divisa da Intervistatore. Sembrava molto importante. Ma non aveva soldi per comperarla. Quelli del Gruppo non erano riusciti a fare duplicati del denaro terrestre. Non erano neppure riusciti a ricordare come fosse fatto.
A ogni modo gli avevano fornito il mezzo per ovviare alle difficoltà. Varcò la soglia del negozio di abiti accanto a cui si era fermato. Il proprietario era un tale piccolo, con gli occhi azzurri. Accolse Barrent con un largo sorriso e gli chiese in cosa poteva essergli utile.
«Ho bisogno di abiti da Intervistatore» spiegò Barrent. «Mi sono appena diplomato».
«Certo, signore» disse il proprietario. «Siete venuto nel posto adatto. La maggior parte dei negozi piccoli non tengono questo genere di abiti. Qui, da Jules Wonderson, potete trovare le divise delle cinquecentoventi maggiori professioni elencate nell'Almanacco dello Status Civile. Io sono Jules Wonderson».
«Piacere» disse Barrent. «Avete un abito della mia taglia?»
«Sono certo di averlo» rispose Wonderson. «Volete una divisa Regolare o Speciale?»
«Una Regolare penso che vada bene».
«La maggior parte dei nuovi Intervistatori preferisce la divisa Speciale. I piccoli tocchi finti fatti a mano inducono a maggior rispetto il pubblico».
«In questo caso prendo quella Speciale».
«Bene» disse Wonderson. «Se volete aspettare un minuto...»
Poco dopo Barrent si trovò rivestito di una divisa nera orlata di una sottile striscia bianca. Ai suoi occhi inesperti quella divisa era del tutto identica alle altre che Wonderson aveva negli armadi di banchieri, commercianti, negozianti, impiegati, eccetera. Agli occhi di Wonderson invece le differenze che la distinguevano erano evidenti come i simboli appariscenti del rango su Omega. Barrent pensò che fosse solo questione di abitudine.
«Ecco» disse Wonderson. «Vi sta a pennello. Un tessuto che vi durerà tutta la vita. Il tutto per trentanove e novantacinque».
«Magnifico» approvò Barrent. «Ora a proposito di denaro...»
«Sì, signore?»
Barrent prese coraggio.
«Non ne ho».
«Non ne avete? Molto strano».
«È così» disse Barrent. «Ad ogni modo ho con me alcuni oggetti di valore». Dalla tasca estrasse tre anelli con brillanti, fornitigli dal Gruppo.
«Queste pietre sono diamanti purissimi, come qualsiasi gioielliere vi potrà attestare. Se volete trattenerne uno fino a quando non avrò i soldi...»
«Ma, signore» disse Wonderson «diamanti e cose simili non hanno alcun valore. Lo hanno perso fin dal '32, quando Von Blon scrisse l'opera definitiva che distrusse il concetto di valore da rarità».
«Certo» mormorò Barrent, che non sapeva cos'altro dire. Wonderson guardò l'anello.
«Immagino che stiate parlando di valore sentimentale».
«Proprio così. Sono appartenuti alla mia famiglia per generazioni».
«In questo caso» disse Wonderson «non voglio privarvene. Vi prego, niente obiezioni! Il sentimento è un'emozione inestimabile. Non potrei dormire la notte se dovessi tenere con me uno di questi ricordi di famiglia».
«Ma si tratta di pagare».
«Mi pagherete con comodo».
«Avete fiducia in me, anche se non mi conoscete?»
«Ma certo» disse Wonderson. Poi sorrise. «State provando uno dei vostri metodi d'Intervistatore, vero? Be', anche un ragazzo sa che la nostra civiltà è basata sulla fiducia. È assiomatico: ci si deve fidare anche di un estraneo».
«Siete mai stato imbrogliato?»
«No, naturalmente. Oggigiorno non esiste il crimine».
«In questo caso» chiese Barrent «cosa mi dite di Omega?»
«Come avete detto?»
«Omega. Il pianeta-penitenziario. Ne avrete sentito parlare».
«Credo di sì» rispose Wonderson, con cautela. «Avrei dovuto dire che il crimine quasi non esiste. Penso che ci saranno sempre tra noi alcuni tipi di criminali congeniti. Ho sentito dire però che questi tipi, facilmente riconoscibili, non superano mai il numero di dieci, dodici all'anno, in una popolazione di due miliardi di abitanti». Fece un ampio sorriso. «Le possibilità di incontrarne uno sono veramente molto rare».
Barrent pensò alle astronavi cariche di prigionieri che costantemente volavano tra la Terra e Omega per scaricare il loro carico umano e tornare a prelevarne dell'altro. Si chiese dove Wonderson avesse letto quelle statistiche. E si chiese dove fosse la polizia. Da quando aveva lasciato l'astronave non aveva notato nessuna divisa militare. Avrebbe voluto domandare qualcosa a questo proposito ma giudicò prudente non farlo.
«Vi ringrazio molto per il credito che mi fate» disse. «Tornerò a pagare al più presto possibile».
«Sono certo che lo farete» rispose Wonderson stringendogli la mano.
«Fate con comodo. Non abbiate premura».
Barrent lo ringraziò di nuovo e uscì dal negozio.
Ora aveva una professione. Inoltre, se tutte le altre persone la pensavano come Wonderson, poteva godere di un credito illimitato. Si trovava su un pianeta che sembrava, a prima vista, un'utopia. Però era un'utopia che presentava alcune contraddizioni. Avrebbe scoperto di più i prossimi giorni. In fondo all'isolato trovò un albergo, il Qui-si-Sosta. Affittò una camera per una settimana. A credito, naturalmente.

Capitolo XXVI

Il mattino seguente Barrent chiese dove si trovava la più vicina biblioteca pubblica. Con la conoscenza della storia e dello sviluppo della civiltà terrestre si sarebbe fatto un'idea di ciò che lo aspettava e su come orientare le ricerche.
La divisa da Intervistatore gli diede accesso alle sale proibite al pubblico in cui erano tenuti i libri di storia. Ma i libri lo delusero. La maggior parte parlava della storia antica della Terra e precisamente dai primissimi tempi fino alla scoperta dell'energia atomica. Barrent lesse qua e là. E mentre leggeva qualche ricordo gli tornò alla memoria. Volò dal periodo greco di Pericle all'Impero Romano, Carlomagno, I Secoli Bui, l'invasione dei Normanni, la Guerra dei Trent'anni e il periodo napoleonico. Lesse con maggior attenzione ciò che riguardava le Grandi Guerre Mondiali. Il libro però terminava allo scoppio della prima bomba atomica. Gli altri volumi dello scaffale trattavano con maggiore ampiezza i vari periodi storici su cui si era appena documentato.
Dopo una lunga ricerca Barrent riuscì finalmente a trovare un libro intitolato "Il dilemma del dopoguerra", Volume I, di Arthur Whittler, che cominciava dal punto in cui tutti gli altri libri terminavano. Dallo scoppio delle bombe atomiche su Hiroshima e su Nagasaki.
Barrent tornò a sedere, e prese a leggere con attenzione. Venne a conoscenza della Guerra Fredda degli anni Cinquanta, quando diverse nazioni erano in possesso delle armi atomiche e all'idrogeno. L'autore affermava che tutte le nazioni del mondo erano dominate da un enorme e assurdo conformismo. In America c'era la forsennata opposizione al comunismo. In Russia e in Cina la forsennata opposizione al capitalismo. Poi, a una a una, tutte le nazioni del mondo vennero attirate in un campo o nell'altro. Per scopi di sicurezza interna le nazioni adottarono le più moderne tecniche di propaganda e di indottrinamento. Per sopravvivere si ritenne necessaria una rigida aderenza alle dottrine approvate dallo Stato. Le pressioni che vennero fatte perché l'individuo si conformasse divennero energiche e nello stesso tempo subdole. I pericoli della guerra cessarono. Le diverse società della Terra cominciarono a formare un unico superstato. Ma le pressioni verso il conformismo anziché diminuire divennero maggiori. Era una necessità dettata dal continuo sbalorditivo aumento della popolazione e dai molti problemi dell'unificazione tra le diverse linee nazionali ed etiche. Differenze di opinioni potevano essere dannosissime, troppi gruppi avevano ora la possibilità di costruire le bombe all'idrogeno.
In queste condizioni i comportamenti devianti non potevano venir tollerati. Ma alla fine si giunse all'unificazione completa. La conquista dello spazio continuò. Dall'astronave lunare si giunse a quella planetaria e all'astronave stellare. E la Terra divenne sempre più rigida nelle sue istituzioni. Una civiltà più inflessibile di qualsiasi civiltà medioevale puniva ogni forma contraria ai costumi esistenti, alle abitudini, a ciò in cui si credeva. Le deviazioni venivano considerate crimini gravi quanto il delitto, e comportavano la stessa pena. E si tornarono a usare le vecchie istituzioni quali la polizia segreta, la polizia politica, e gli informatori. Qualsiasi mezzo era adatto per giungere al conformismo.
Per gli anticonformisti c'era Omega.
La pena di morte era stata abolita da molto tempo, e nelle prigioni non c'era posto per ospitare il numero sempre crescente di criminali. I capi della Terra decisero alla fine di trasportare questi criminali su un pianeta penitenziario, copiando il sistema usato dai Francesi in Guiana e Nuova Caledonia, e dagli Inglesi nell'Australia e nel Nord America. Non era possibile governare Omega dalla Terra, ma le autorità non se ne preoccuparono. Si limitarono ad adottare sistemi per cui nessun prigioniero potesse fuggire.
Qui finiva il primo volume. Una nota diceva che il secondo volume dal titolo La civiltà dello "Status" avrebbe trattato la Terra contemporanea. Il secondo volume non era negli scaffali. Barrent ne chiese la copia al bibliotecario ma si sentì rispondere che il libro era stato distrutto nell'interesse della salute pubblica. Uscì dalla biblioteca, e raggiunse un vicino parco. Si mise a sedere, e con gli occhi fissi a terra cominciò a pensare.
Si era aspettato di trovare una Terra simile a quella descritta nel libro di Whittler. Si era preparato a uno stato di polizia, a rigidi controlli di sicurezza, a un'atmosfera di agitazione crescente. Tutto questo, evidentemente, sembrava cosa passata. Fino a quel momento non aveva visto neppure un poliziotto, né un dispositivo di controllo, e la popolazione che aveva incontrata non aveva l'aria di essere sottomessa. Era tutto il contrario di ciò che si era aspettato. Sembrava di essere in un mondo completamente diverso.
Salvo il fatto che le astronavi continuavano a portare su Omega il loro carico di prigionieri dal cervello lavato. Chi li aveva arrestati? Chi li aveva giudicati? Da quale tipo di società uscivano i criminali?
Avrebbe dovuto scoprirlo da solo.

Capitolo XXVII

Il mattino seguente Barrent cominciò le sue esplorazioni. La tecnica era molto semplice. Bastava suonare il campanello di una porta e prendere a fare domande. Avvisava subito gli intervistati che le sue domande sarebbero state mescolate a quesiti apparentemente senza senso, ma strettamente necessari ai fini della statistica. In questo modo Barrent trovò che poteva domandare qualsiasi cosa sulla Terra, e che poteva farlo senza palesare la propria ignoranza.
C'era sempre il pericolo che qualche funzionario gli domandasse le sue credenziali; o che qualche poliziotto balzasse fuori quando meno se lo aspettava. Ma doveva correre il rischio. Partendo dalla Orange Esplanade, Barrent cominciò il lavoro di interviste casa per casa.

(Cittadina A. L. Gotthreid, 55 anni, professione: casalinga. Donna forte, imperiosa ma cortese, con aria di sicurezza)
«Volete farmi delle domande sulla classe e sullo status» disse. «Non è così?»
«Sì, signora».
«Voi Intervistatori fate sempre delle domande sulla classe e sullo status. A quest'ora dovreste sapere tutto. Comunque, oggi, dato che tutti sono uguali, c'è solo una classe. Quella di mezzo. La sola domanda che si può fare è quindi questa... A che rango della classe di mezzo si può appartenere?
Alto, basso, o medio?»
«Come lo si può determinare?»
«Da parecchie cose. Dal modo in cui una persona parla, mangia, veste, da come si comporta in pubblico. Si può sempre riconoscere un appartenente alla classe di mezzo superiore dalle maniere e dai vestiti. Non ci si può sbagliare».
«Capisco. E la classe media bassa come si distingue?»
«Per prima cosa, mancano di ingegno creativo. Vestono abiti confezionati senza prendersi il disturbo di fare le modifiche necessarie. Lo stesso si può dire per le loro case. Arredate in maniera sciatta. No, non si dovrebbe ricevere gente simile».
«Grazie, Cittadina Gotthreid. Voi come vi classifichereste?»
«Oh, non ci ho mai pensato... classe media superiore, direi».

(Cittadino Dreister, 43 anni, professione: commerciante in calzature. Magro, cortese, aspetto giovanile)
«Sì, signore. Myra e io abbiamo tre bambini che frequentano la scuola. Tutti e tre maschi».
«Potete dirmi in cosa consiste la loro educazione?»
«Imparano a leggere e scrivere, e come diventare ottimi cittadini. Imparano a scegliersi una carriera. Il primo vuol continuare il mio lavoro. Gli altri due faranno il lavoro dei genitori di mia moglie. Imparano inoltre a mantenere il proprio status e le tecniche per progredire. Questo è quello che imparano nelle classi aperte».
«Ci sono delle classi che non sono aperte?»
«Naturalmente. Ci sono le classi chiuse. Tutti i bambini le frequentano».
«Cosa imparano in queste classi?»
«Non so. Come ho detto, sono chiuse».
«I bambini non parlano mai di quello che imparano in quelle classi?»
«No. Parlano di qualsiasi cosa, ma non di questo».
«Avete idea di cosa possa venir loro insegnato?»
«Mi spiace, non so. Immagino, ma è solo una mia idea, che si tratti di qualcosa che riguarda la religione. Dovreste domandare ai maestri».
«Vi ringrazio. Come classifichereste voi il vostro status?»
«Classe media media».

(Cittadina Maryjane Morgan, 57 anni, professione: insegnante. Donna alta e ossuta)
«Sì, signore. Penso di aver detto tutto ciò che si insegna alla Little Beige Schoolhouse».
«Tranne quello che si insegna nelle classi chiuse».
«Come avete detto?»
«Le classi chiuse. Non ne avete parlato».
«Mi spiace, ma non posso».
«Perché no, Cittadina Morgan?»
«È forse una domanda tranello? Tutti sanno che i maestri non possono entrare nelle classi chiuse».
«Chi può entrare?»
«I bambini, naturalmente».
«Chi insegna, allora?»
«Il governo si incarica di ciò».
«Certo. Ma chi, specificamente, insegna in queste classi?»
«Non ne ho idea. Non è certo un mio compito. Le classi chiuse sono un'istituzione antica e rispettata. Penso che si insegni qualcosa di natura religiosa. Ma è solo una mia congettura. Qualunque cosa sia, non mi riguarda. Né riguarda voi, giovanotto, Intervistatore o meno».
«Vi ringrazio, Cittadina».

(Cittadino Edgar Nief, 107 anni, professione: ufficiale in congedo. Alto, curvo, con occhi brillanti e bastone)
«Più forte, per favore. Cosa mi avete domandato?»
«Le Forze Armate. Vi ho chiesto...»
«Ah, ecco. Sì, ero colonnello del Ventunesimo Commando Spaziale del Nord America, un reparto regolare dei Corpi di Difesa Terrestre».
«Vi siete ritirato dal servizio?»
«No, il servizio ha fatto ritirare me».
«Come avete detto?»
«Avete capito bene, giovanotto. È stato sessantatré anni fa. Le Forze Armate Terrestri furono smobilitate, tranne la polizia».
«Perché?»
«Non c'era più nessuno contro cui combattere mi hanno detto. Una grossa sciocchezza».
«Perché, signore?»
«Un vecchio soldato sa che un nemico può spuntare da un momento all'altro. Potrebbe accadere ora».
«Non si potrebbe ricreare l'esercito?»
«Certo. Ma la generazione presente non ha più il concetto del servire sotto le armi. Non ci sono più Comandanti, tranne qualche vecchio rimbambito come me. Ci vorrebbero anni per formare un esercito efficiente».
«Intanto la Terra è completamente aperta a qualsiasi invasione che può venire dall'esterno?»
«Sì. Ci sono le forze di polizia. Ma dubito seriamente che possano sostenere un conflitto a fuoco».
«Potete dirmi qualcosa della polizia?»
«Non ne so niente. Non mi sono mai preoccupato di questioni che non fossero militari».
«Però, è presumibile che ora la polizia svolga anche funzioni militari. Non credete?»
«Sì. Tutto è possibile».

(Cittadino Moertin Honners, 31 anni, professione: scrittore. Magro, faccia infantile. Capelli biondissimi)
«Voi siete scrittore, Cittadino Honners?»
«Sì, signore. Però se non vi spiace, preferisco la parola "autore"».
«Certo. Voi, Cittadino Honners, scrivete per un periodico di grande diffusione?»
«Certo che no! Quelli sono scritti da incompetenti per il discutibile diletto del pubblico della classe media bassa. Quelle storie, nel caso non lo sapeste, sono ricopiate riga per riga da lavori di scrittori popolari del ventesimo e ventunesimo secolo. Quelli che fanno questo lavoro si limitano a cambiare gli avverbi e gli aggettivi. Di tanto in tanto, così mi è stato detto, cambiano un verbo o un nome. Ma è raro. Gli editori di quei periodici hanno paura delle innovazioni».
«Voi non fate questo lavoro?»
«Assolutamente no! Il mio non è un lavoro commerciale. Sono uno Specialista di Conrad».
«Mi volete dire cosa significa, Cittadino Honners?»
«Ne sono felice. Il mio lavoro particolare è quello di ricreare i lavori di Joseph Conrad, un autore vissuto nell'Era preatomica».
«Cosa significa, ricreare?»
«In questo momento sono impegnato nella mia quinta ricreazione di Lord Jim. Per fare questo devo immergermi nel lavoro originale. Poi lo scrivo come lo avrebbe scritto Conrad se fosse vissuto in questi giorni. È un lavoro che richiede una estrema diligenza, allo scopo di ottenere la più completa resa artistica. Come potete vedere, questo lavoro richiede la perfetta conoscenza del vocabolario di Conrad, degli intrecci, dei personaggi, e così via. E tuttavia non deve essere una ripetizione del lavoro originale. Deve dire qualcosa di nuovo, proprio come l'avrebbe detto Conrad».
«Avete successo?»
«La critica mi è favorevole e l'editore mi incoraggia».
«Capisco. La ricreazione è dunque un'arte?»
«È il fine di ogni artista».

(Cittadino Willis Ouerka, 8 anni, professione: scolaro. Vivace ragazzo dai capelli neri)
«Mi spiace, signor Intervistatore, i miei genitori non sono in casa in questo momento».
«Non ha importanza, Willis. Ti spiace se ti faccio una domanda o due?»
«Fate pure. Cosa avete sotto la giacca, signore? È gonfia».
«Sono io che faccio le domande, Willis, se non ti spiace. Allora, ti piace la scuola?»
«Sì».
«Che materie impari?»
«A leggere e scrivere, "ama il tuo status", e poi arte, musica, architettura, ballo e teatro. Le solite cose».
«Tutto questo nelle classi aperte?»
«Certo».
«Frequenti anche le classi chiuse?»
«Naturalmente. Ogni giorno».
«Ti spiace parlare di queste classi?»
«No. Cos'è quel gonfiore? Un'arma? So cosa sono. Alcuni giorni fa dei miei compagni avevano delle fotografie di armi, e io le ho potute vedere. È un'arma quella che avete?»
«No. È il vestito fatto male, ecco tutto. Allora ti spiace parlare delle classi chiuse?»
«No».
«Cosa imparate?»
«Non ricordo».
«Non dire bugie, Willis».
«È la verità, signor Intervistatore. Entriamo in quelle classi e ne usciamo due ore dopo per la ricreazione. Questo è tutto. Non riesco a ricordare altro. Ho parlato anche con gli altri miei compagni, ma anche loro non ricordano».
«Strano...»
«No, signore. Se si potesse ricordare non sarebbero chiuse».
«Forse hai ragione. Ricordi com'è fatta la classe o chi è il maestro?»
«No, signore. Non ricordo niente di niente».

(Cittadino Cuchulain Dent, 37 anni, professione: inventore. Prematuramente invecchiato. Occhi dalle palpebre pesanti)
«Sì, esatto. Sono un inventore specializzato in giochi. L'anno scorso ho inventato il "Triangolate... altrimenti!", È un gioco molto popolare. Non lo conoscete?»
«No».
«È un gioco di abilità. Si simula un oggetto perso nello spazio e i giocatori devono ritrovarlo usando i piccoli calcolatori che hanno a disposizione. Ci sono molte luci che si accendono e si spengono, pulsanti, interruttori, e altre cose del genere. Si è venduto moltissimo».
«Avete inventato qualcos'altro, Cittadino Dent?»
«Quando ero giovane avevo inventato una mietitrice tre volte più efficiente di quelle in uso. Volete ridere? Pensavo veramente di poterla vendere».
«Non è stata venduta?»
«Naturalmente no. Allora non sapevo ancora che l'ufficio brevetti accettava solamente nuovi giochi».
«Siete rimasto contrariato?»
«Un po'. Poi mi sono reso conto che le mietitrici in uso andavano benissimo. Non c'è bisogno di invenzioni più ingegnose ed efficienti. La gente è felice dello stato attuale delle cose. Inoltre le nuove invenzioni non porterebbero nessun beneficio all'umanità. Le nascite e le morti sono rigorosamente stabili; tutti hanno abbastanza da vivere. Per costruire una nuova invenzione sarebbe necessario riconvertire una intera officina. E questo è impossibile, dato che le macchine sono tutte automatiche e predisposte a un solo lavoro. Ecco perché accettano solo invenzioni di nuovi giochi».
«Che ne pensate di tutto questo?»
«Che cosa volete che pensi? Le cose stanno così».
«Vorreste che cambiassero?»
«Forse. Ma, essendo un inventore, sono comunque schedato come temperamento instabile».

(Cittadino Barn Threnten, 41 anni, professione: ingegnere nucleare, specializzato nello studio di astronavi. Nervoso, aspetto intelligente, occhi scuri)
«Volete sapere qual è il mio lavoro? Mi spiace che mi facciate una simile domanda, Cittadino, perché io non faccio altro che camminare avanti e indietro nello stabilimento. Lo statuto sindacale impone la presenza di un uomo per ogni robot. Ecco, io faccio la presenza».
«Siete insoddisfatto, Cittadino Threnten?»
«Sì. Vorrei fare l'ingegnere atomico. Ho studiato per questo. Poi, quando presi la laurea, scoprii che le mie conoscenze erano indietro di cinquant'anni. Ora, anche se mi sono messo alla pari con i tempi, non saprei dove svolgere la mia professione».
«Perché?»
«Per il semplice motivo che gli stabilimenti atomici sono tutti automatizzati. Non so se la popolazione ne è a conoscenza, ma è così. Dal materiale grezzo al prodotto finito, tutte le operazioni avvengono con mezzi automatici. La sola partecipazione dell'uomo in questo programma è il controllo della quantità in rapporto all'indice di popolazione».
«Cosa accade quando si guasta una macchina automatica?»
«Viene riparata da squadre di robot».
«E se questi si rompessero?»
«Quei maledetti sono auto-riparantisi. A me non rimane altro che guardare e compilare un rapporto. Il che è un lavoro ridicolo per un uomo che si considera ingegnere».
«Perché non vi siete messo a lavorare in un altro campo?»
«È la stessa cosa. Mi sono informato. Tutti gli ingegneri sono nella mia stessa posizione. Osservano dei processi automatici che non possono capire. Nelle industrie alimentari, nelle fabbriche di automobili, nelle costruzioni, sempre la stessa cosa. Ingegneri che non sono affatto ingegneri».
«Questo vale anche per i voli nello spazio?»
«Certo. Nessun membro del Sindacato Piloti Spaziali ha più lasciato la Terra da cinquant'anni a questa parte. Credo che abbiano persino dimenticato come si piloti un'astronave».
«Capisco. Tutte le astronavi sono automatiche».
«Esattamente. Automatiche in maniera irrevocabile e permanente».
«Cosa accadrebbe se una di queste astronavi si venisse a trovare in una situazione imprevista?»
«È difficile a dirsi. Le astronavi non possono pensare, questo voi lo sapete, possono solo seguire un programma prestabilito. Se un'astronave si venisse a trovare in una situazione non programmata, penso che rimarrebbe paralizzata. Temporaneamente, almeno. Credo che ci sia un selettore in grado di superare ogni nuova situazione, ma non si è mai avuto il caso di sperimentarlo. Nel migliore dei casi reagirebbe con troppa lentezza. Nel peggiore, non reagirebbe affatto. E questo sarebbe una cosa magnifica».
«Parlate seriamente?»
«Certo. Sono stanco di stare a osservare una macchina che ogni giorno fa la stessa cosa. Molti dei professionisti che io conosco la pensano come me. Vogliono fare qualcosa. Una cosa qualsiasi. Voi sapete che un secolo fa astronavi pilotate stavano esplorando i pianeti degli altri sistemi solari?»
«Sì».
«Ecco. È quello che dovremmo fare noi ora. Muoverci, esplorare, avanzare».
«Sono d'accordo. Però non pensate di aver detto alcune cose piuttosto pericolose?»
«Lo so. Ma non me ne importa. Che mi portino su Omega se vogliono. Qui non posso fare niente di buono».
«Voi avete sentito parlare di Omega?»
«Tutti quelli che lavorano alle astronavi sono a conoscenza di Omega. Viaggi di andata e ritorno Terra-Omega, ecco cosa fanno le nostre astronavi. Personalmente do la colpa al clero».
«Al clero?»
«Nella maniera più assoluta. Questi pazzi santoni con le loro fandonie senza fine sulla chiesa dello Spirito dell'Umanità Incarnata. Ce n'è abbastanza per far desiderare l'inferno».

(Cittadino Abbot Boeren, 51 anni, professione: ecclesiastico. Maestoso, rotondo, indossa una tunica zafferano e sandali bianchi)
«Sì, figlio mio, sono l'abate della locale chiesa dello Spirito dell'Umanità Incarnata. La nostra chiesa è l'unica ed esclusiva espressione religiosa del governo della Terra. La nostra chiesa parla a tutti i popoli della Terra. È composta da tutte le migliori dottrine delle religioni primitive, maggiori e minori, mescolate in modo da formare una fede unica».
«Cittadino Abbot, non sono sorte contraddizioni in una dottrina l'atta con diversi credi religiosi?»
«C'erano. Ma i fondatori di questa nostra chiesa hanno eliminato tutte le materie controverse. Noi vogliamo l'intesa, non il dissenso. Nella nostra religione non ci sono mai stati scismi perché noi accettiamo tutto. Si può credere in ciò che si vuole purché si conservi la fede nello spirito dell'Umanità Incarnata. La nostra fede è l'adorazione dell'Uomo. Lo spirito che noi riconosciamo è quello del divino e sacro Bene».
«Volete darmi una definizione del Bene, Padre Abbot?»
«Certo. Il Bene è quella forza che abbiamo in noi e che ci ispira ad agire in conformità e nell'osservanza. L'adorazione del Bene è essenzialmente adorazione di se stessi, quindi è la sola e vera fede. L'Io che si adora è l'essere sociale ideale. L'uomo è felice di essere nella sua nicchia nella società, tuttavia è sempre pronto a migliorare il suo status. Il Bene è dolce, dato che è la pura riflessione dell'universo amorevole e pietoso. Il Bene cambia continuamente di aspetto, benché venga a noi in... Ma avete una strana espressione».
«Scusate, Cittadino Abbot. Credo di aver già sentito questo sermone. Almeno, uno molto simile».
«Ma è la verità. Ovunque la si ascolti».
«Certo. Un'ultima domanda. Potete dirmi qualcosa sull'istruzione religiosa dei bambini?»
«Questo è un incarico svolto dai robot-confessori».
«Sì?»
«Il metodo ci è giunto dall'antico Trascendentale Freudiano. Il robotconfessore istruisce i bambini e gli adulti alla stessa maniera. Ascolta i loro problemi ed è il loro amico costante e il loro istruttore religioso. Essendo robot, i confessori sono in grado di dare una risposta esatta a ogni domanda».
«Capisco. E cosa fanno i preti umani?»
«Osservano i robot-confessori».
«Questi robot-confessori sono presenti nelle classi chiuse?»
«Non sono competente per rispondere a questa domanda».
«Ma esistono?»
«Veramente, non so. Le classi chiuse sono proibite ai preti come agli adulti».
«Per ordine di chi?»
«Per ordine del capo della Polizia Segreta».
«Capisco...»

(Cittadino Enyen Dravivian, 43 anni, professione: impiegato statale. Magro, occhi sottili, invecchiato e stanco oltre la sua età)
«Buona sera, signore. Avete detto di essere un impiegato statale?»
«Esatto».
«Nell'amministrazione dello stato o in quella federale?»
«In tutte e due».
«Capisco. Occupate da molto tempo il vostro impiego?»
«Da circa diciotto anni».
«Capisco. Volete dirmi esattamente in cosa consiste il vostro lavoro?»
«Certo. Sono il capo della Polizia Segreta».
«Siete... ma certo, signore. Molto interessante. Io volevo...»
«Non cercate di impugnare la pistola, ex Cittadino Barrent. Vi posso assicurare che nella zona attorno a questa casa non funzionerebbe. E se cercaste di usarla ferireste voi stesso».
«Come?»
«Anch'io ho i miei mezzi di protezione».
«Come fate a sapere il mio nome?»
«So di voi fin quasi dal momento in cui avete messo piede sulla Terra. Non siamo completamente privi di risorse, dovreste saperlo. Potete entrare per discutere con maggiore comodità. Non volete entrare?»
«Preferirei di no».
«Mi spiace, ma dovete farlo. Venite, Barrent. Non morsico».
«Sono in arresto?»
«No. Entrate a far quattro chiacchiere. Accomodatevi».

Capitolo XXVIII

Dravivian lo fece accomodare in una grande sala rivestita con pannelli di legno. I mobili erano scuri, pesanti, di stile medioevale. A una parete era appeso un arazzo rappresentante una scena di caccia.
«Vi piace?» chiese Dravivian. «I mobili sono dei miei genitori. Mia moglie ha copiato l'arazzo da un originale che si trova al Metropolitan Museum. E i miei due figli hanno curato l'arredamento. Volevano mobili che ricordassero l'antica Spagna. Il mio contributo non è visibile. Mi occupo solo della musica barocca».
«Oltre al lavoro di polizia» osservò Barrent.
«Sì, oltre a quello».
Dravivian tornò a voltarsi verso l'arazzo.
«Parleremo di questo fra poco. Prima di tutto mi dovete dire cosa ne pensate di questa stanza».
«È molto bella» disse Barrent.
«Sì. E poi?...»
«Be'... non sono un buon giudice».
«Dovete giudicare» disse Dravivian. «In questa stanza potete vedere le civiltà della Terra in miniatura. Ditemi quello che ne pensate».
«Mi sembra senza vita» disse Barrent.
Dravivian si volse verso Barrent e sorrise.
«Sì, esatto. E questa è la stanza di una persona di condizione elevata. Un gran lavoro creativo si è reso necessario per dar vita a questi archetipi antichi. La mia famiglia ha voluto ricreare un pezzo di Spagna del passato, come altri hanno voluto ricreare angoli della civiltà Maya, di Vecchia America, di civiltà Oceanica. Tuttavia la vacuità di tutto questo è evidente. Le nostre fabbriche producono gli stessi beni di anno in anno. Dato che tutti hanno le stesse cose è necessario, per migliorare, per esprimere la nostra personalità, modificare e abbellire da noi questi prodotti. Ecco cos'è la Terra, Barrent. Tutte le nostre energie e le nostre abilità sono incanalate verso scopi decadenti. Copiamo gli oggetti antichi e intanto le frontiere dei lontani pianeti rimangono inesplorate, non conquistate. Da lungo tempo abbiamo cessato di espanderci. La stabilità ha portato il ristagno in cui saremo costretti a soccombere. Siamo ormai così altamente socializzati che la spinta individuale si è rivolta verso gli scopi più inutili e allontanata da qualsiasi realizzazione davvero significativa. Penso che abbiate visto qualcosa da quando siete giunto sulla Terra».
«Sì. Però non avrei mai pensato di sentirlo dire dal Capo della Polizia Segreta».
«Sono un uomo imprevedibile» rispose Dravivian con un sorriso. «E la Polizia Segreta è una istituzione altrettanto imprevedibile».
«E molto efficiente. Come avete fatto a scoprirmi?»
«Per la verità è stato molto semplice. La maggior parte degli abitanti della Terra è condizionata alla sicurezza fin dalla fanciullezza. Quasi tutte le persone che avete incontrato hanno trovato in voi qualcosa di strano. Eravate fuori posto in maniera troppo evidente, come un lupo in mezzo alle pecore. La gente lo notava e lo veniva a riferire direttamente a me».
«Molto semplice» disse Barrent. «E adesso?»
«Prima, voglio che mi diciate qualcosa di Omega».
Barrent raccontò cos'era la vita sul pianeta-penitenziario, e vide Dravivian annuire e sorridere appena.
«Sì, è quello che mi aspettavo» disse. «Le stesse cose erano accadute nell'America del Nord e in Australia. C'è una differenza, naturalmente, voi eravate stato allontanato dalla madre patria in maniera più radicale».
«Cosa farete ora?» chiese Barrent.
Dravivian si strinse nelle spalle.
«Non ha alcuna importanza. Potrei uccidervi. Ma non penso che questo fermerebbe il vostro Gruppo su Omega. E non appena gli Omegani dovessero muoversi in forza, scoprirebbero la verità».
«Quale verità?»
«Dovrebbe essere ovvia ormai» disse Dravivian. «La Terra non ha più combattuto guerre da circa ottocento anni. L'organizzazione delle astronavi che girano attorno a Omega non è che una semplice facciata. Gli scafi sono completamente automatizzati, idonei ad affrontare condizioni possibili parecchi secoli fa. Un attacco diretto porterebbe facilmente alla cattura di una delle astronavi, e questo faciliterebbe la cattura di tutte le altre. A questo punto nessuno potrebbe fermare gli Omegani, e una volta sulla Terra non ci sarebbe niente con cui combatterli. Questa è la ragione per cui tutti i prigionieri in partenza vengono privati della memoria. Se essi ricordassero, la vulnerabilità della Terra sarebbe troppo evidente».
«Se sapete questo, perché i capi non fanno qualcosa?»
«Era la nostra prima intenzione. Ma non c'è mai stata una vera spinta a fare qualcosa. Abbiamo preferito non pensarci. Credevamo che quello stato potesse protrarsi indefinitamente. Non volevamo pensare al giorno in cui gli Omegani sarebbero ritornati sulla Terra».
«Cosa farete voi e le vostre forze di polizia quel giorno?»
«Anch'io sono solo una semplice facciata» rispose Dravivian. «Io non ho forze di polizia. La mia carica di Capo è semplicemente onoraria. Da circa un secolo non c'è più stato bisogno di forze di polizia».
«Ne avrete certo bisogno quando torneranno gli Omegani».
«Sì. Ci saranno ancora delitti e situazioni gravi. Però penso che alla fine ci si riuscirà ad amalgamare. Voi su Omega avevate uno scopo, l'ambizione di raggiungere le stelle. Credo che abbiate bisogno di una certa stabilità e di una capacità produttiva, e la Terra ve le può dare. Ma qualunque sarà il risultato, l'unione è inevitabile. Abbiamo vissuto troppo a lungo in un sogno, ed è giunta l'ora di svegliarci».

Capitolo XXIX

Con l'aiuto del Capo della Polizia, Barrent inserì un messaggio nella prima astronave in partenza per Omega. Il messaggio parlava delle condizioni sulla Terra e della necessità di un'azione immediata. Fatto questo Barrent fu pronto per il suo ultimo compito: trovare il giudice che lo aveva condannato per un delitto che lui non aveva commesso, e il falso informatore che lo aveva portato davanti al giudice. Barrent sapeva che il momento in cui avesse ritrovato quei due avrebbe ritrovato anche la parte mancante della sua memoria. Prese l'espresso notturno per Youngerstun, dove giunse alle prime ore del mattino seguente. Superficialmente le case di quella città assomigliavano a quelle di qualsiasi altra. Tuttavia erano differenti. Barrent le sentiva familiari. Riconosceva quella città. Sentiva di essere nato e cresciuto in quel luogo.
Ecco il negozio di Grothmeir, e dall'altra parte della strada la casa degli Havening. Ed ecco la casa di Billy Havelock. Billy era stato il suo miglior amico. Con lui aveva sognato di diventare astronauta, e gli era stato vicino fino a quando non lo avevano mandato su Omega.
Ed ecco la casa di Andrew Therkaler. Più oltre, la scuola in cui aveva studiato. Ricordò le aule. E ricordò come ogni giorno fosse entrato nella classe chiusa. Tuttavia non ricordava cosa vi avesse imparato. Ed ecco, vicino a due grandi olmi, il punto in cui era stato commesso l'assassinio. Barrent raggiunse il luogo e subito ricordò com'era avvenuto. Stava andando verso casa, e a un tratto aveva udito un grido. Si era voltato e un uomo, Illiardi, era sopraggiunto di corsa gettandogli qualcosa. Barrent aveva afferrato istintivamente l'oggetto e si era trovato con un'arma illegale tra le mani.
Aveva fatto alcuni passi e si era trovato davanti il cadavere di Andrew Therkaler.
Cos'era accaduto poi? Confusione. Panico. La sensazione che qualcuno lo stesse osservando. Là, in fondo alla via, c'era il rifugio dove si era diretto allora. Si avviò da quella parte e si trovò di fronte a una cabina di robotconfessore. Entrò. Il locale era molto piccolo, e nell'aria aleggiava un vago odore d'incenso. Vide una sola sedia, e di fronte a questa un pannello molto illuminato.
«Buongiorno, Will» gli disse il pannello.
Come udì la voce meccanica del pannello, Barrent fu preso da un senso di scoraggiamento. Ora ricordava. Il pannello sapeva tutto, capiva tutto, ma non poteva perdonare. Quella era la voce con cui aveva parlato e che poi lo aveva condannato. Nel suo sogno aveva identificato la voce del robot con quella di un giudice.
«Vi ricordate di me?» chiese Barrent.
«Certo» rispose il robot. «Eri un mio parrocchiano prima di essere tradotto su Omega».
«Mi ci avete mandato voi su Omega».
«Per omicidio».
«Ma non avevo commesso quel delitto. Non lo avevo commesso, e voi dovevate saperlo».
«Certo, lo sapevo» rispose il robot. «Ma i miei poteri sono rigorosamente definiti. Io condanno secondo le prove, non per intuizione. Per legge, il robot-confessore deve prendere in considerazione solo le prove evidenti che gli vengono fornite. Nel dubbio, deve condannare. Infatti, la sola presenza di fronte a me di un individuo fa presupporre che sia colpevole».
«Avevate delle prove contro di me?»
«Sì».
«Chi ve le ha date?»
«Non ti posso dire il nome».
«Dovete!» gridò Barrent. «I tempi stanno cambiando sulla Terra. I prigionieri stanno per tornare. Lo sapevate?»
«Me lo aspettavo» ammise il robot.
«Dovete dirmi il nome di chi mi ha denunciato» disse Barrent estraendo di tasca la pistola.
«Una macchina non può essere obbligata con la forza».
«Ditemi il nome!» gridò ancora Barrent.
«Non posso, per il tuo stesso bene. Il pericolo potrebbe essere troppo grande. Credimi Will...»
«Il nome!»
«D'accordo. Troverai l'informatore al numero 35 della Maple Street. Però ti consiglio di non andare. Non puoi sapere...»
Barrent premette il grilletto. Le luci del pannello si accesero e si spensero diverse volte, poi una striscia di fumo salì verso il soffitto e si perse nell'aria. Barrent uscì dalla cabina e ripose la pistola nella tasca. Poi si diresse verso la Maple Street.

C'era già stato. Conosceva quella strada che saliva dolcemente verso la collina. E tutte le case cui passava di fronte gli erano familiari. Si fermò di fronte al numero 35. Il silenzio che circondava la casa era sinistro. Allora, per provare un'illusione di sicurezza, tolse di tasca la pistola e avanzò stringendola nella mano.
Raggiunse la porta d'ingresso, e, vedendola aperta, entrò. Nella penombra vide il contorno dei mobili che arredavano la stanza, un quadro alla parete, e una statua su un piedistallo di ebano. Con la pistola sempre in pugno si avviò verso la stanza accanto.
E si trovò di fronte all'informatore.
Fissandolo in volto Barrent ricordò. E in una sovraimpressione di ricordi vide se stesso ragazzo quando entrava nella classe chiusa. Poteva ancora udire il ronzio della macchina, vedere lo scintillio delle luci, e udire la voce insinuante che gli parlava nell'orecchio. In un primo momento la voce lo aveva riempito di orrore. Quel che suggeriva era impensabile. Poi lentamente si era abituato a tutto ciò che avveniva nelle classi chiuse. E imparò. La macchina si insinuava profondamente in lui. Cosa gli insegnava?
Per il bene della società, tu devi essere poliziotto e testimonio di le stesso. Devi assumerti la responsabilità di ogni delitto che potresti aver commesso.
La faccia dell'informatore lo fissava impassibile. Era il suo stesso volto che lo fissava riflesso nello specchio appeso alla parete. Lui era stato l'accusatore di se stesso. Quel giorno, con una pistola nella mano, mentre fissava il corpo dell'uomo che avrebbe voluto uccidere. Ed era andato nella cabina del robot-confessore a proclamarsi colpevole. Si era accusato sulla base delle probabilità.
Il robot aveva emesso la sentenza e lui era uscito dalla cabina. Istruito da quello che aveva appreso nelle classi chiuse, lui si era preso in custodia e si era trasferito al centro di controllo del pensiero di Trenton. Qui degli abili androidi gli avevano tolto completamente la memoria. E, a lavoro ultimato, un Barrent automatizzato era uscito da quel centro per recarsi spontaneamente all'astronave che lo avrebbe portato su Omega. Poi si era addormentato fino al momento dello sbarco...
Ora, fissando il suo volto nello specchio, gli venne alla mente l'ultima lezione che si era svolta nella classe chiusa.
Le lezioni della classe chiusa non devono mai venire a conoscenza dell'individuo. Dovesse prenderne coscienza, l'organismo umano deve compiere immediatamente un atto di auto-distruzione. Ora capiva perché la sua conquista della Terra era stata così facile. Lui non aveva conquistato niente. La Terra non aveva bisogno di forze di sicurezza perché il poliziotto era nella mente di ogni individuo. Dietro la superficie della civiltà terrestre c'era una civiltà di robot. Venire a conoscenza di questo significava la morte. E in quel momento cominciò la lotta per il possesso della Terra. Il subcosciente lo incitò a portare la pistola contro la sua tempia. Ecco da cosa il robot-confessore lo aveva messo in guardia, e cosa la ragazza mutante aveva previsto. Il giovane Barrent, condizionato all'obbedienza, doveva uccidersi. Il vecchio Barrent, quello che aveva passato la vita su Omega, cercava di resistere. Le due parti di lui combattevano per il possesso dell'arma, per il controllo del corpo, per impossessarsi della mente.
La pistola raggiunse la tempia, il dito si portò sul grilletto. Ma il Barrent omegano, il Barrent-2 riuscì a farla abbassare.

Capitolo XXX

Il condizionamento prese il sopravvento e portò i due Barrent in lotta attraverso il tempo soggettivo fino ai momenti del passato in cui la morte era stata vicina, la vita temporale indebolita, la predisposizione verso la morte già stabilita. Il condizionamento forzò Barrent-2 a rivedere quei momenti. Ma questa volta il pericolo era aumentato da tutta la forza negativa della mezza personalità dell'informatore: Barrent-1.

Barrent-2 si trovò con una spada nella mano al centro di una Arena coperta di sangue. Era il periodo delle Gare di Omega. Un saunus con la faccia ghignante di Barrent-1 venne verso di lui. Barrent-2 tagliò la coda di questa creatura mostruosa e subito la vide tramutarsi in tre trichomotredi con la sua faccia. Ne uccise due. Il terzo lo morse alla mano sinistra. Uccise anche questo, e rimase a osservare il sangue di Barrent-1 che colava sulla sabbia dell'Arena...

Tre uomini cenciosi sedevano su di una panca e una donna gli stava porgendo una piccola pistola. "Buona fortuna" gli disse, "spero sappiate come usarla". Barrent fece un cenno di ringraziamento prima ancora di accorgersi che quella ragazza non era Moera, ma la mutante che gli aveva predetto la morte. Uscì in strada per affrontare i tre Hadji.
Due erano sconosciuti. Il terzo, Barrent-1, fece alcuni passi avanti ed estrasse rapidamente la pistola. Barrent-2 si lanciò a terra e schiacciò il grilletto di quella strana pistola. Sentì vibrare la mano e vide la testa e le spalle dell'Hadji Barrent diventare nere. Ma prima di poter prendere nuovamente la mira si sentì strappare di mano la pistola. Il colpo sparato da Barrent-1 aveva colpito la canna della sua pistola.
Con la forza della disperazione si lanciò verso l'arma che giaceva ad alcuni passi, ma in quel momento vide il secondo Hadji, ora con la faccia di Barrent-1, che stava prendendo la mira. La mano morsa dal trichomotredo gli doleva, ma riuscì a sparare. Poi si volse per affrontare il terzo Hadji divenuto a sua volta Barrent-1. Il braccio gli procurava un dolore indicibile, ma si sforzò di premere il grilletto...

Stai facendo il loro gioco si disse Barrent-2. Il condizionamento alla morte ti annienterà, ti ucciderà. Devi vedere oltre, superarlo. È una cosa che non sta accadendo, è solo nella tua niente... Ma non c'era tempo per pensare. Si trovava in un'ampia sala circolare del Dipartimento di Giustizia, per affrontare la Prova. Verso di lui stava avanzando una macchina lucente a forma di semisfera. E in mezzo alle luci rosse, verdi e gialle poté vedere l'odiato volto di Barrent-1. Il Barrent-1 macchina estrasse un lungo tentacolo che terminava in una luce bianca abbagliante. Il tentacolo scattò in avanti, e al posto della luce apparve la grossa lama di un coltello. Barrent-2 si piegò e udì l'urto del metallo contro la parete di pietra. Non è quello che pensi si disse Barrent-2. Non è una macchina. E tu non sei di nuovo su Omega. Stai solo combattendo con l'altra metà di te stesso. Non è nient'altro che un'atroce illusione.
Ma non poteva crederci. Il Barrent macchina gli si stava di nuovo avvicinando. Aveva il corpo metallico cosparso di una sostanza verde che Barrent-2 riconobbe immediatamente come veleno a contatto. Si allontanò di corsa per evitare di essere toccato.
Non è pericoloso, si disse.
Un neutralizzante lavò la superficie metallica liberandola di tutto il veleno. Poi la macchina cercò di schiacciarlo. Barrent tentò di allontanarla ma fu colpito da una forza tremenda, e sentì le costole spezzarsi. Non è vero! Ti stai lasciando sopraffare dai riflessi condizionali! Non sei su Omega! Sei sulla Terra, nella tua casa, e ti stai guardando allo specchio!
Ma il dolore che sentiva era reale, e sembrava reale il braccio metallico che lo colpì alla spalla.
Si allontanò barcollando.
Provò orrore, non di morire, ma di morire troppo presto. Prima di poter avvisare gli Omegani del pericolo annidato nelle loro menti. Non c'era nessun altro da mettere in guardia contro la catastrofe che si sarebbe abbattuta su ciascuno nel momento in cui avesse ritrovato i ricordi della Terra. Per quello che ne sapeva, nessuno aveva sperimentato una cosa simile ed era sopravvissuto. Se lui ci fosse riuscito, si sarebbero potute adottare delle contromisure, avrebbe trovato il modo di liberare gli uomini dal condizionamento. Si irrigidì. Allenato fin dalla fanciullezza alla responsabilità sociale, non poteva permettersi di morire quando ciò che sapeva era vitale per quelli di Omega.
Non è una macchina vera.
Tornò a ripeterselo mentre il Barrent macchina gli veniva incontro a tutta velocità dal fondo della scala. Si sforzò di vedere, oltre la macchina, quelle lezioni che a scuola avevano creato un mostro nella sua mente. Non è una macchina vera.
E riuscì a crederci...
Sferrò un pugno contro la faccia riflessa nel metallo. Ci fu un momento di dolore acuto, poi perse conoscenza. Quando rinvenne, si trovava solo nella sua casa sulla Terra. Il braccio e la spalla gli dolevano, e gli parve di aver diverse costole rotte. Sulla mano sinistra era ancora visibile il segno del morso del trichomotredo. Ma con la destra ferita e sanguinante era riuscito a colpire lo specchio. E lo aveva infranto assieme a Barrent-1, interamente e per sempre.

FINE