Science Fiction Project
Urania - Asimov d'appendice
* * Back * *

STORIA E SUPERSTIZIONE - Isaac Asimov
Titolo originale: Pompey and circumstance

I razionalisti si trovano a volte in imbarazzo per questa loro qualità, perché la gente è convinta che siano in grado di spiegare qualsiasi cosa.
Non è così. I razionalisti affermano che il modo migliore per arrivare a una spiegazione si verifica attraverso la ragione, ma non c'è garanzia che certi particolari fenomeni si possano spiegare nello stesso modo, sempre.
Spesse volte a me (o a un qualsiasi razionalista) viene presentato un fatto curioso, e viene fatta la domanda: «Come lo spiegate?». Significa che se non dò una risposta immediata e soddisfacente, si può pensare che si stia distruggendo tutta la struttura della scienza.
Fatti curiosi sono capitati anche a me. Un giorno dell'aprile 1967 mi si è guastata la macchina e ho dovuto farla rimorchiare fino al garage. In diciassette anni di guida non avevo mai subito l'umiliazione di essere rimorchiato.
Quando pensate che sia capitato la seconda volta? Due ore dopo, in quello stesso giorno, per una ragione completamente diversa. Diciassette anni senza mai venire rimorchiato, e poi due volte di seguito in uno stesso giorno. Come lo spiegate, dottor Asimov? Spiriti maligni? Dei della vendetta? Una cospirazione extraterrestre?
La seconda volta, a dire il vero, ho esposto le tre teorie al mio imperturbabile garagista. L'opinione sua, anche lui è un razionalista, è stata che la mia macchina era tanto vecchia da cascare a pezzi. Così mi sono comprato una macchina nuova.
Consideriamo le cose in questo modo. A ogni singola persona di questo mondo capita ogni giorno un certo numero di eventi, grandi, piccoli, insignificanti. Ciascuno di questi eventi ha certe probabilità di ricorrenza, anche se non si può sempre stabilire quali siano le esatte probabilità per ciascun caso. In media, tuttavia, si può supporre che ogni evento, tra mille eventi, ha solo una probabilità su mille di capitare.
Questo significa che ciascuno di noi vive costantemente una certa piccolissima probabilità di eventi. È il risultato normale del caso. Se qualcuno di noi vivesse per un considerevole periodo di tempo senza che gli capitasse qualcosa d'insolito, questo sarebbe veramente insolito.
Prendiamo ora in considerazione non una sola persona, ma tutte le vite di tutte le persone che si sono vissute. Il numero di eventi, a questo punto, sale a circa settanta miliardi, e possiamo presumere che qualche volta, a qualcuno, può capitare qualcosa che è settanta miliardi di volte tanto improbabile quanto può esserlo una qualsiasi cosa che capita a qualche altro individuo. Anche un evento del genere non ha bisogno di spiegazioni. Fa parte del nostro normale universo che procede in modo del tutto normale.
Esempi? Noi tutti abbiamo sentito di stranissime coincidenze capitate a qualche lontano cugino di qualcuno. Cose che rappresentano una tale e insolita concatenazione di circostanze da farci ammettere l'esistenza della telepatia, o dei dischi volanti, o di Satana, o di «qualcosa».
Lasciate che vi parli anch'io di qualcosa. Non successa a un mio lontano cugino, ma a una notevole figura del passato, la cui vita è ampiamente documentata. A lui è capitato qualcosa di veramente insolito. Una cosa che, in tutti i libri di storia che ho letto, non ho mai visto messa particolarmente in risalto. Io, quindi, voglio presentacela come la cosa più insolita e sorprendente che sia mai capitata, e tuttavia non scuote la mia convinzione nella razionalità dell'Universo.
L'uomo in questione è Gneo Pompeo, il grande rivale di Giulio Cesare.
Pompeo nacque nel 106 a. C., e i primi 42 anni della sua vita furono caratterizzati da una costante buona fortuna. Certo, dovrei dire che di tanto in tanto inciampava, faceva indigestioni, o perdeva denaro scommettendo sui gladiatori. Comunque negli aspetti importanti della vita è sempre stato un vincitore.
Pompeo nacque in un periodo in cui Roma era logorata dalla guerra civile e dai disordini sociali. Gli alleati italici, che non erano cittadini di Roma, si erano sollevati contro l'aristocrazia romana che non voleva estendere il diritto di cittadinanza. Le classi più basse, che sentivano la stretta della rigida economia, ora che Roma aveva completato il saccheggio di quasi tutte le zone intorno al Mediterraneo, lottavano contro i senatori che si erano appropriati la maggior parte del bottino.
Quando Pompeo compì dieci anni, suo padre stava cercando di barcamenarsi. Il vecchio Pompeo, un generale che nell'89 a. C. era stato console, aveva sconfitto gli italici non-cittadini, e aveva celebrato il trionfo. Ma non era aristocratico di nascita, e aveva cercato di mercanteggiare con il partito del popolo (oggi li chiameremmo progressisti). Questo fatto lo mise in serie difficolta, perché a un certo punto nessuna delle due parti ebbe più fiducia in lui. Ma nell'87 a. C. morì in seguito a una epidemia che aveva colpito il suo esercito. Così, a diciannove anni Pompeo si trovò orfano di un padre che gli aveva lasciato in eredità nemici in entrambe le fazioni della guerra civile.
Doveva fare una scelta, e farla con attenzione. I progressisti controllavano Roma, ma nella lontana Asia Minore, a combattere contro i nemici di Roma, c'era il generale reazionario Lucio Cornelio Silla.
Pompeo, non potendo sapere chi avrebbe vinto, rimase tranquillamente in disparte. Quando giunse la notizia che Silla stava tornando dall'Asia vincitore, prese immediatamente la sua decisione. Scelse Silla. Formò subito un esercito con i soldati che avevano combattuto con suo padre, proclamò a gran voce di essere dalla parte di Silla, e si schierò contro i radicali.
Fu il suo primo colpo di fortuna. Aveva scelto l'uomo giusto. Silla arrivò in Italia nell'84 a. C. Nell'82 a. C. aveva cancellato le ultime opposizioni in Italia, e si proclamava dittatore. Per tre anni fu il sovrano assoluto di Roma. Riorganizzò il governo e vi mise saldamente a capo l'aristocrazia dei senatori.
Pompeo ebbe dei benefici, perché Silla gli fu assai grato. Silla mandò Pompeo in Sicilia, e poi in Africa a distruggere le forze ormai disorganizzate che ancora si schieravano dalla parte dei progressisti. E Pompeo vinse senza troppe difficoltà.
Il successo fu facile, e le truppe furono tanto entusiaste di Pompeo da proclamarlo «il Grande». Così Pompeo divenne Gneo Pompeo Magno, l'unico romano ad avere questo appellativo. Si dice che abbia ricevuto questo nome per la straordinaria somiglianza fisica che aveva con Alessandro il Grande, somiglianza esistita probabilmente solo nella immaginazione di Pompeo.
Dopo le vittorie africane, Silla ordinò a Pompeo di sciogliere l'esercito, ma lui preferì restare circondato dai suoi uomini fidati. Di solito nessuno contravveniva con leggerezza agli ordini di Silla, perché questi non aveva esitazioni nel condannare a morte le persone. Pompeo, tuttavia, riuscì a sposare la figlia di Silla. Questo fatto costrinse Silla non solo ad accettare il titolo di «Grande» che il giovane si era conferito, ma anche a permettergli nel 79 a. C. la celebrazione del trionfo, anche se Pompeo si trovava al di sotto del minimo di età per una celebrazione di tal genere, la più ambita.
Quasi subito dopo, avendo la sensazione di aver portato a termine il suo lavoro, Silla abdicò da dittatore. La carriera di Pompeo invece non ebbe inciampi. Aveva acquistato una considerevole reputazione (basata sulle facili vittorie), e aveva desiderio di conquistare ancora altre facili vittorie.
Per esempio, dopo la morte di Silla un generale romano, Marco Emilio Lepido, si rivoltò contro il sistema instaurato da Silla. Il Senato reazionario gli mandò immediatamente contro un esercito. Era guidato da Quinto Catullo, con Pompeo comandante in seconda. Fino a quel momento Pompeo aveva sostenuto Lepido, ma ancora una volta era riuscito a intuire in tempo chi sarebbe stato il vincitore. Catullo sconfisse facilmente l'avversario, e Pompeo fece in modo da ottenere la maggior parte del merito di quella vittoria.
In quel momento c'erano disordini in Spagna, perché era diventata l'ultima roccaforte del progressismo. In Spagna il generale progressista Quinto Sertorio governava da solo. Sotto di lui la Spagna era virtualmente staccata. da Roma e beneficiava di un governo illuminato, perché Sertorio era un amministratore capace e liberale. Trattava le genti ispaniche con molta considerazione, aveva istituito il Senato in cui erano ammessi anche i loro rappresentanti, e aveva fondato scuole in cui i giovani ispanici venivano istruiti esattamente come i romani.
Gli abitanti della provincia ispanica, che per secoli avevano avuto fama di valorosi combattenti, lottarono strenuamente al fianco di Sertorio. Quando Silla mandò in Spagna gli eserciti romani, questi vennero subito sconfitti.
Così nel 77 a. C., Pompeo, suggestionato dalle facili vittorie di Catullo su Lepido, si offrì di andare in Spagna per domare Sertorio. Il Senato fu d'accordo, e Pompeo si mise in marcia con il suo esercito. Attraversando la Gallia trovò i reparti sfiduciati del vecchio esercito di Lepido.
Lepido era morto, ma aveva lasciato i suoi uomini sotto la guida di Marco Bruto, il cui figlio sarebbe diventato un giorno un famoso assassino.
Non fu difficile aver ragione di quei resti di esercito, e Pompeo offri a Bruto la vita in cambio della resa completa. Bruto si arrese, e Pompeo lo fece immediatamente uccidere. Una facile vittoria coronata da un tradimento, e la fama di Pompeo aumentò.
Raggiunse la Spagna. Qui Pompeo incontrò un valoroso generale romano, Metello Pio, impegnato senza successo nella lotta contro Sertorio. Pompeo volle avanzare baldanzosamente, e Sertorio, il primo valente generale che Pompeo incontrava, gli diede una dura lezione. La fama di Pompeo sarebbe crollata in quel momento, ma per sua fortuna giunse Metello con i rinforzi, e Sertorio fu costretto a ritirarsi. Pompeo proclamò immediatamente la vittoria, e se ne attribuì tutto il merito. La fortuna continuava a reggere.
Pompeo rimase in Spagna cinque anni, cercando di sconfiggere Sertorio, e per cinque anni fallì. Poi, ancora un colpo di fortuna: Sertorio fu assassinato. Con la scomparsa di Sertorio il movimento della resistenza spagnola crollò. Pompeo fu in grado di realizzare un'altra delle sue facili vittorie, e nel 71 a. C. fece ritorno a Roma proclamando di avere domato la rivolta della Spagna.
Ma, poteva Roma capire che gli erano occorsi cinque anni?
No, perché per tutto il tempo che Pompeo era rimasto in Spagna, l'Italia aveva attraversato un periodo spaventoso, e nessuno si era preoccupato di quello che avveniva in Spagna.
Un gruppo di gladiatori comandati da Spartaco si era ribellato. Molti diseredati si erano schierati dalla parte di Spartaco, e per due anni Spartaco (un abilissimo combattente) sconfisse tutti gli eserciti romani mandati contro di lui, e fece vivere tutti gli aristocratici nel più cupo terrore. Al culmine del suo potere aveva un esercito di 90.000 uomini, e controllava praticamente tutto il sud dell'Italia.
Nel 72 a. C. Spartaco si mise in marcia verso le Alpi con l'intenzione di stabilirsi, indipendente e libero, nelle regioni barbare del nord. I suoi uomini, tuttavia, ingannati dalle iniziali vittorie, preferirono restare in Italia per razziare altro bottino. Così Spartaco fece nuovamente marcia verso sud.
A questo punto i Senatori diedero il comando di un esercito a Marco Licinio Crasso, il commerciante più ricco e più corrotto di tutta Roma. In due battaglie Crasso sconfisse l'armata dei gladiatori, e nella seconda venne ucciso anche Spartaco. In quel momento, proprio mentre Crasso portava a termine il suo compito, Pompeo, che stava tornando con il suo esercito dalla Spagna, intervenne per dare il colpo di grazia agli sbandati. Immediatamente si presentò come l'uomo che aveva sconfitto i gladiatori dopo aver domato la rivolta della Spagna. Il risultato fu che a Pompeo venne concesso di celebrare il trionfo, e al povero Crasso no.
Il Senato tuttavia si stava innervosendo. Non era sicuro di potersi fidare di Pompeo. Il giovane aveva vinto troppe battaglie, e stava diventando troppo popolare. Per contro, non si fidavano neanche di Crasso. Nonostante le sue ricchezze, Crasso non era un aristocratico, e non sopportava di vedersi snobbato dalla classe dei Senatori. Così cominciò a fare la corte al popolo con azzeccate azioni filantropiche. E cominciò anche a fare la corte a Pompeo.
Pompeo aveva un intuito infallibile per intuire chi sarebbe stato il vincitore. Nel 70 a. C., Pompeo e Crasso si misero in lizza per il consolato (tutti gli anni venivano eletti due consoli), e vinsero. Una volta console, Crasso, per indebolire la forza dei Senatori aristocratici al governo, cominciò a modificare le riforme fatte da Silla dieci anni prima. Pompeo, che era stato anima e corpo con Silla quando si era trattato di fare le riforme, fece un bel voltafaccia e seguì Crasso, anche se non sempre in modo felice.
Ma Roma era sempre in difficoltà. L'ovest era completamente pacificato, però c'erano dei fastidi sul mare. La conquista romana aveva annientato tutti i vecchi governi stabili dell'est, e al loro posto non aveva costruito niente di altrettanto stabile. Il risultato fu il diffondersi della pirateria in tutto il Mediterraneo orientale. Era raro che una nave riuscisse a passare indenne; in particolare, i rifornimenti di grano per la stessa Roma divennero così precari da far salire i prezzi del cibo alle stelle.
I tentativi romani di eliminare la pirateria fallirono, anche perché ai generali incaricati di quella missione non vennero mai date forze sufficienti. Nel 67 a. C. Pompeo riuscì a farsi affidare l'incarico, ma a condizioni favorevoli. Il Senato, spaventato dalle sempre maggiori difficoltà di avere i rifornimenti di cibo, abboccò all'amo.
Pompeo ottenne per tre anni poteri dittatoriali su tutta la costa mediterranea, fino a una distanza di cinquanta miglia all'interno dei territori, e gli venne concessa l'intera flotta romana. Tanta era la fiducia dei romani in Pompeo che i prezzi del cibo crollarono non appena si venne a sapere pubblicamente che sarebbe partito contro i pirati.
Pompeo ebbe la fortuna di avere quello che gli altri generali non avevano ottenuto, e cioè forze adeguate e necessario potere. Comunque bisogna dire che agì in modo ammirevole. In tre mesi, non tre anni, liberò tutto il Mediterraneo dai pirati.
Se prima era molto popolare, in quel momento divenne l'eroe di Roma.
L'unico posto dove Roma aveva ancora dei guai era nell'Asia Minore orientale, dove il regno di Ponto combatteva da vent'anni contro i romani con successi alterni. Era stato contro il Ponto che Silla aveva conquistato le sue vittorie nell'est, tuttavia le genti del Ponto combattevano ancora. In quel momento un generale romano, Lucio Licinio Lucullo, aveva quasi portato a termine la lotta. Ma era un ufficiale molto rigoroso nella disciplina, e i soldati lo odiavano.
Nel 66 a. C. l'esercito di Lucullo si ribellò, proprio quando sarebbe bastato un solo colpo per distruggere le forze del Ponto. Lucullo venne richiamato a Roma, e al suo posto venne mandato il buon vecchio Pompeo. La sua fama lo precedette. Gli uomini di Lucullo lo accolsero con folle entusiasmo, e per lui fecero quello che per Lucullo non avrebbero mai fatto. Marciarono contro l'esercito del Ponto, e lo distrussero. Pompeo diede l'ultimo colpo e, come sempre, reclamò e ricevette l'intero merito della vittoria.
Tutta l'Asia Minore era adesso, o sotto il diretto controllo romano, o sotto il controllo di loro governi fantoccio. Pompeo decise, tuttavia, di ripulire tutto l'oriente. Marciò verso sud e nelle vicinanze di Antiochia trovò gli ultimi superstiti dell'Impero Seleucida, che si erano stabiliti in quella località due secoli e mezzo prima, dopo la morte di Alessandro il Grande. Erano governati da un essere innocuo che si chiamava Antioco XIII. Pompeo lo depose, e annesse l'Impero a Roma, come una provincia della Siria.
Più a sud c'era il regno di Giudea. Era indipendente da poco meno di un secolo, e veniva governato da una linea di re della famiglia dei Maccabei. Due dei Maccabei stavano lottando per la conquista del trono, e uno dei due si appellò a Pompeo.
Pompeo penetrò immediatamente in Giudea e prese d'assedio Gerusalemme.
La città era una noce molto dura da spezzare. Era costruita su una roccia, possedeva riserve d'acqua naturali, era circondata da ottime mura, e veniva solitamente difesa con fanatismo.
Pompeo notò tuttavia che ogni sette giorni regnava la calma. Qualcuno gli spiegò che il sabato gli ebrei non potevano combattere, a meno che non fossero attaccati, e che anche in questo caso lo avrebbero fatto senza una vera convinzione. Forse dovettero impiegare parecchio per convincere Pompeo di una cosa tanto ridicola, ma una volta convinto usò alcuni sabati per avvicinare indisturbato le macchine d'assedio alle mura, e alla fine attaccò, un altro sabato. Non ci furono problemi.
Pompeo pose termine al regno dei Maccabei e annesse la Giudea a Roma, lasciando agli ebrei la loro libertà di religione, i loro templi, i loro sacerdoti, e il loro strano, ma utile, Sabato.
In quel momento Pompeo aveva 42 anni, e il successo gli aveva sempre arriso senza interruzione. Adesso salterò un piccolo episodio della vita di Pompeo. Episodio che riprenderò in seguito. Si tratta di un fatto in apparenza poco importante.

Pompeo rientrò in Italia nel 61 a. C., da vero trionfatore, proclamando (con una considerevole esagerazione) che quanto aveva trovato al confine orientale ora si trovava al centro dell'impero. Ebbe il più sfarzoso trionfo che Roma avesse mai visto fino a quel tempo.
Il Senato ebbe il terrore che Pompeo si nominasse dittatore e si mettesse dalla parte dei progressisti. Ma Pompeo non fece così. Una volta, vent'anni prima, quando aveva avuto un esercito, lui si era rifiutato di scioglierlo, anche a rischio di mettersi contro Silla. Ora qualcosa lo spinse a disfarsene e a prendere il ruolo di privato cittadino. Forse era convinto di avere raggiunto una posizione in cui il suo solo nome gli avrebbe permesso di dominare la repubblica.
Questa volta il suo fiuto lo tradì.
Per cominciare, Pompeo chiese al Senato di approvare tutto ciò che lui aveva fatto nell'est, le sue vittorie, i suoi trattati, le sue deposizioni di re, e le provincie che aveva stabilite. Chiese inoltre al Senato di concedere terre ai suoi soldati, perché lui le aveva promesse. Era sicuro che gli bastasse chiedere per ottenere.
Non fu così. Pompeo era adesso un uomo senza esercito, e il Senato si impiantò nel voler considerare ciascun atto separatamente, e con calma. In quanto alle terre, vennero rifiutate.
In più, Pompeo scoprì di non avere nessuno del governo dalla sua parte. Tutta la sua grande popolarità parve improvvisamente ridursi a zero, perché tutti, senza una plausibile ragione, gli voltarono le spalle. Il peggio fu che Pompeo non riuscì a farci niente. Era successo qualcosa, e lui non era più l'abile e stimata persona di prima del 64 a. C. Adesso era incerto, vacillante, e debole.
Anche Crasso non fu più suo amico. Crasso aveva trovato qualcun altro. Aveva trovato un uomo affascinante, abile parlatore, insuperabile intrigante. Si chiamava Giulio Cesare. Cesare era un playboy dell'aristocrazia, ma Crasso gli aveva pagato dei debiti enormi, e Cesare lo seppe ricompensare.
Mentre Pompeo lottava con il Senato, Cesare si trovava nella lontana Spagna a combattere contro tribù ribelli e ad accumulare ricchi bottini (come facevano di solito i generali romani) tanto da ripagare il debito con Crasso e rendersi indipendente. Al suo rientro in Italia trovò Pompeo furente contro il Senato. Fece allora una specie di trattato di alleanza con Crasso e Pompeo, e formò il «Primo Triunvirato».
Ma fu Cesare, e non Pompeo, a trarne profitto. Nel 59 a. C. fu Cesare a usare l'alleanza per farsi eleggere console. Una volta console Cesare riuscì a controllare il Senato con una facilità quasi sprezzante, e costrinse l'altro console, un reazionario, agli arresti domiciliari.
Una cosa che Cesare fece fu quella di costringere gli aristocratici del Senato a soddisfare tutte le richieste di Pompeo. Pompeo ebbe il riconoscimento di tutte le sue imprese, e i soldati ebbero la terra, tuttavia non riuscì a trarne profitto. Infatti soffriva di umiliazione, perché gli era chiaro di dover aspettare a capo scoperto che Cesare gli elargisse graziosamente dei benefici.
Tuttavia Pompeo non poteva far niente, perché aveva sposato Giulia, la figlia di Cesare. Lei era bellissima, e Pompeo ne era pazzamente innamorato. Con lei accanto non poteva di certo attraversare la strada a Cesare.
Cesare si mise a dirigere tutto. Nel 58 a. C. propose che lui, Pompeo e Crasso si prendessero una provincia ciascuno per compiere conquiste militari. Pompeo avrebbe avuto la Spagna, Crasso la Siria, e Cesare la Gallia del sud, in quel periodo già in mano dei Romani. Tutti loro sarebbero rimasti in carica per cinque anni.
Pompeo esultò. Crasso, in Siria, si sarebbe trovato di fronte all'indomito regno dei Parti, e in Gallia Cesare avrebbe dovuto sostenere l'assalto dei guerrieri barbari del nord. Con un po' di fortuna, tutti e due avrebbero subito una disfatta, dato che nessuno di loro era un valente militare. In quanto a Pompeo, dal momento che la Spagna era tranquilla, lui avrebbe potuto starsene in Italia a controllare il governo.
Se Pompeo aveva ragionato in questo modo, bisogna dire che il suo vecchio fiuto era tornato a funzionare. Nel 53 a. C. l'esercito di Crasso venne annientato dai Parti che si trovavano a est della Siria, e lo stesso Crasso perse la vita.
E Cesare? No, in questo caso Pompeo sbagliò. Con grande sorpresa di tutta Roma, Cesare, che fino a quel momento non era stato altro che un playboy e un intrigante, si dimostrò, all'età di 44 anni, un genio militare di prim'ordine. Trascorse i cinque anni a combattere contro i Galli, annettendo i vasti territori che abitavano, e facendo vittoriose incursioni in Germania e in Britannia. Scrisse le sue avventure nei «Commentari», e improvvisamente Roma ebbe il suo nuovo eroe militare. Pompeo, rimasto in Italia senza far niente, si sentì quasi morire dal dispetto e dall'invidia.
Nel 54 a. C. Giulia morì, e Pompeo non ebbe più motivo di nascondere il suo rancore contro Cesare. In quel momento gli aristocratici del Senato, più timorosi di Cesare che di Pompeo, fecero a quest'ultimo proposte vantaggiose. Pompeo si unì a loro e sposò un'altra donna, la figlia di uno dei più importanti Senatori.
Quando Cesare rientrò dalla Gallia, nel 50 a. C., il Senato gli ordinò di sciogliere l'esercito e di tornare in Italia da solo. Era chiaro che se Cesare avesse ubbidito, loro lo avrebbero fatto arrestare, e probabilmente uccidere. Cosa poteva succedere sfidando il Senato e rientrando con tutto il suo esercito?
- Non abbiate paura - disse Pompeo ai Senatori - non devo far altro che battere un piede a terra e le legioni verranno a schierarsi al nostro fianco.
Nel 49 a. C. Cesare varcò il Rubicone, che rappresentava il confine dell'Italia, e lo fece con tutto il suo esercito. Pompeo picchiò prontamente il piede a terra, ma non successe niente. Oltre tutto quei soldati che si trovavano di stanza in Italia cominciarono ad accorrere sotto gli stendardi di Cesare. Pompeo e i suoi amici Senatori furono costretti a fuggire pieni di umiliazione verso la Grecia.
Cesare e il suo esercito li inseguirono con accanimento.
In Grecia Pompeo riuscì a radunare un discreto esercito. Cesare, invece, riuscì a portare sull'altra sponda soltanto una parte degli uomini, e Pompeo venne a trovarsi in vantaggio. Avrebbe potuto approfittare della superiorità numerica isolando Cesare dalle basi di rifornimento, tenendolo costantemente in assedio, senza mai rischiare battaglia, e ridurlo lentamente al logorio e alla fame.
C'era però il fatto che l'umiliato Pompeo, sempre memore delle vecchie glorie, desiderava ardentemente incontrare Cesare in campo aperto per dimostrargli quale fosse il valore di un «vero» generale. Oltre tutto c'erano anche i Senatori che lo incitavano alla battaglia. E Pompeo si lasciò convincere. Dopo tutto si trovava in vantaggio numerico di due a uno.
La battaglia venne combattuta a Farsalo, in Tessaglia, il 29 giugno del 48 a. C.
Pompeo faceva un particolare affidamento sulla cavalleria. Una cavalleria composta di giovani e valorosi aristocratici romani. Pieno di fiducia lanciò subito i cavalieri alla carica lungo i fianchi dell'esercito avversario, con l'incarico di aggirarlo e attaccarlo alle spalle, per costringere Cesare alla resa. Ma Cesare aveva previsto questa manovra e aveva schierato sui fianchi degli uomini armati di lancia. Avevano l'ordine di non lanciarle, ma di usarle come picche da punture direttamente alla faccia dei cavalieri. Intuiva che i giovani aristocratici non avrebbero sopportato l'idea di venire sfigurati in quel modo, ed ebbe ragione. La cavalleria sbandò.
Eliminata la cavalleria di Pompeo, i fanti di Cesare si lanciarono contro i più numerosi ma meno combattivi soldati dell'esercito pompeiano, e Pompeo, non abituato ad arginare le disfatte, fuggì. In un attimo si era distrutta la sua intera reputazione militare, e risultò chiaro che era Cesare, e non Pompeo, il vero generale.
Pompeo pensò di riparare in una delle terre mediterranee non ancora sotto il completo controllo romano, l'Egitto. Ma in quel momento l'Egitto era nel pieno di una guerra civile. Un giovane re di tredici anni, Tolomeo XII, stava combattendo contro una sorella più anziana, Cleopatra, e l'avvicinarsi di Pompeo creava dei problemi. Gli uomini politici che sostenevano il giovane Tolomeo non avevano il coraggio di scacciare Pompeo e accollarsi la sua perenne inimicizia. D'altra parte non osavano dargli asilo per timore che Cesare venisse a dare un aiuto a Cleopatra.
Così lo lasciarono sbarcare, e lo uccisero.
Questa fu la fine di Pompeo, a 56 anni.
Fino all'età di 42 anni era stato sempre fortunato. Ogni sua impresa veniva coronata dal successo. Dopo i 42 anni fu costantemente sfortunato. Ogni tentativo si trasformava in insuccesso.
Che cosa era accaduto quando aveva 42 anni? I fatti che avvennero nel periodo di tempo, che abbiamo saltato volutamente, nella narrazione cronologica, possono dare la spiegazione. Bene, torniamo dunque indietro e colmiamo la lacuna.

E riprendiamo ora l'episodio saltato.
Siamo nel 64 a. C.
Pompeo si trova a Gerusalemme, ed è pieno di curiosità per la strana religione degli ebrei. Quali strane cose fanno, oltre a celebrare il Sabato? Comincia a raccogliere informazioni.
C'era il tempio, per esempio. Era piccolo e molto meno imponente di quelli romani, tuttavia gli ebrei lo veneravano oltre ogni limite. Tra l'altro differiva dai templi che conosceva per l'assoluta mancanza di statue di dei. Sembrava che gli ebrei adorassero un dio invisibile.
- Davvero? - disse Pompeo divertito.
Alla fine gli venne detto che nel Tempio esisteva una stanza interna, il Sancta Sanctorum, nascosto da un velo. Nessuno poteva andare dietro quel velo. Solo il Sommo Sacerdote, e nel Giorno dell'Espiazione. Alcuni dicevano che gli ebrei adoravano in segreto la testa d'asino che c'era nascosta, ma che dovevano logicamente affermare che nella stanza esisteva soltanto la presenza invisibile di Dio.
Pompeo, poco incline alle superstizioni, decise che per scoprirlo c'era un modo soltanto. Entrare nella stanza segreta.
Il Sommo Sacerdote rimase allibito, gli ebrei levarono grida di sgomento, ma Pompeo fu irremovibile. Era curioso, e aveva un esercito a disposizione. Chi lo poteva fermare? Così entrò nel Sancta Sanctorum.
Gli ebrei ebbero la certezza che sarebbe stato colpito da un fulmine, o che Dio, offeso, lo avrebbe ucciso.
Ma non fu così.
Uscì dalla stanza in perfetta salute. Non aveva trovato niente, apparentemente, e non gli era successo niente.
Apparentemente.

FINE