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Urania - Asimov d'appendice
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L'OTTUSO UNIVERSO - Isaac Asimov
Titolo originale: The plane truth

A volte, quando sono occupato nella preparazione di questi articoli di divulgazione scientifica, mi capitano cose strane. Durante il pranzo di mezzogiorno, ad esempio, stavo osservando uno dei commensali, quando questi, dopo aver cosparso abbondantemente di sale una pietanza che lo aveva deluso, l'assaggiò di nuovo ed esclamò, soddisfatto: - Così è molto meglio!
Mi dimenai sulla sedia, a disagio. - In realtà intendete dire: «Così la preferisco di gran lunga!» - osservai. - Affermando semplicemente «Così è molto meglio», voi sostenete l'ipotesi infondata che il sapore del cibo possa oggettivamente migliorare o peggiorare, nonché l'ipotesi che la sensazione soggettiva del vostro gusto sia una guida sicura alla situazione oggettiva.
Poco mancò che non ricevessi in piena faccia quel piatto ormai salato a perfezione, e me lo sarei meritato. Il fatto è, vedete, che io ero saturo di ipotesi, assiomi e, più specificamente, del «quinto postulato di Euclide», che afferma:
«Se una retta che cade su due rette forma sullo stesso lato angoli interni minori di un angolo retto, le due rette, prolungate all'infinito, si incontrano sul lato su cui stanno gli angoli minori dell'angolo retto.»
Tutti gli altri assiomi di Euclide sono estremamente semplici, ma evidentemente egli si accorse che questo quinto postulato, per quanto in apparenza complicato, non poteva essere dimostrato ricavandolo da quelli e doveva perciò essere considerato un assioma esso stesso.
Dopo Euclide, per ben duemila anni, altri studiosi di geometria si sforzarono di dimostrare che l'illustre precursore si era arreso troppo in fretta, e lottarono per escogitare qualche metodo ingegnoso che permettesse di dimostrare il quinto postulato attraverso gli altri assiomi, cosicché esso potesse venir tolto dall'elenco, non fosse altro perché troppo lungo, troppo complicato e troppo non-immediatamente-evidente per aver l'aria di un buon assioma. Un modo di accostarsi al problema, fu di considerare questo quadrilatero:

D---C
A---B

Nel quadrilatero, due degli angoli, DAB e ABC, sono presentati come angoli retti, e il lato AD è uguale in lunghezza al lato BC. Considerati questi due fatti, è possibile dimostrare che il lato DC è uguale al lato AB e che anche gli angoli ADC e DCB sono angoli retti (cosicché il quadrilatero è in realtà un rettangolo); ciò, «se» viene usato il quinto postulato di Euclide.
Se questo, invece, «non» vie ne usato, con il solo aiuto degli altri assiomi si può soltanto dimostrare che gli angoli ADC e DCB sono uguali, ma non che sono in realtà angoli retti.
Sorge allora il problema se dal fatto che gli angoli ADC e DC sono uguali, sia possibile dimostrare anche che sono angoli retti. Se ciò è possibile, ne conseguirà che il quadrilatero ABCD è un rettangolo, e che il quinto postulato è vero. Ciò sarebbe stato dimostrato soltanto dagli altri assiomi e non sarebbe più necessario includere il quinto postula to di Euclide fra essi.
Nel medioevo, tale tentativo fu compiuto dagli arabi, che continuavano le tradizioni della geometria greca mentre l'Europa occidentale era immersa nel buio. Il primo a disegnare questo quadrilatero e a sudare sopra i suoi angoli retti, fu nientemeno che Omar Khayyam (1050-1123).
Omar fece osservare che se gli angoli ADC e DCB erano uguali, esistevano tre possibilità: 1) Che entrambi fossero angoli retti; 2) Che entrambi fossero minori di un angolo retto, cioè «acuti»; 3) Che entrambi fossero maggiori di un angolo retto, cioè «ottusi».
Egli poi sfoggiò tutta un'argomentazione per dimostrare che i casi di angoli ottusi e acuti erano assurdi, perché basati sull'ipotesi che due linee convergenti devono intersecarsi.
Certo, è perfettamente sensato supporre che due linee convergenti debbano intersecarsi; ma, sfortunatamente - buon senso o no - quell'ipotesi equivale matematicamente al quinto postulato di Euclide. Omar Khayyam finì, perciò, con il «dimostrare» il quinto postulato accettando l'ipotesi che esso fosse vero come una delle condizioni della prova. Il che è un «circolo vizioso», atteggiamento mentale inammissibile in matematica.
Un altro matematico arabo, Nasir Eddin al-Tus (1201-1274), tentò qualcosa di simile sul quadrilatero, usando un'ipotesi diversa e più complessa per escludere i casi dei due angoli acuti e ottusi. Ahimé! Anche la sua ipotesi era matematicamente equivalente al quinto di Euclide.
Arriviamo così all'italiano Girolamo Saccheri (1667-1733), un gesuita professore di matematica all'università di Pisa.
Egli era al corrente degli studi di Nasir Eddin, e anche lui affrontò il quadrilatero. Saccheri, tuttavia, introdusse qualcosa di interamente nuovo, qualcosa che, in duemila anni, nessuno aveva mai pensato di fare riguardo al quinto di Euclide.
Fino a quel momento si era trascurato il quinto di Euclide, in attesa di vedere che cosa sarebbe accaduto, oppure si erano fatte ipotesi dimostratesi poi equivalenti ad esso. Saccheri, invece, incominciò con l'ipotizzare che il quinto di Euclide fosse «falso», e a sostituirlo con qualche altro postulato che lo contraddicesse. Progettò poi di cercare di costruire una geometria basata sugli altri assiomi di Euclide più «il quinto alterno», fino a che arrivò ad una contraddizione (dimostrando, ad esempio, che un particolare teorema era contemporaneamente vero «e» falso).
Una volta arrivato alla contraddizione, il «quinto alterno» avrebbe dovuto essere escluso. Se ogni possibile «quinto alterno» viene eliminato in questo modo, il quinto di Euclide deve essere vero. Questo metodo di dimostrare un teorema mostrando che tutte le altre possibilità sono assurde, è una tecnica matematica accettabilissima; Saccheri era sulla strada giusta.
Saccheri cominciò, dunque, con l'ipotizzare che gli angoli ADC e DCB fossero entrambi maggiori di un angolo retto. Con questa ipotesi, più tutti gli assiomi di Euclide «escluso» il quinto, egli incominciò ad addentrarsi in quella che noi potremmo chiamare «geometria ottusa». Presto si imbatté in una contraddizione. Ciò significava che la «geometria ottusa» non poteva essere vera e che entrambi gli angoli ADC e DCB non potevano essere maggiori di un angolo retto.
Questo risultato era così importante, che il quadrilatero - usato già da Omar Khayyam in relazione al quinto di Euclide - è ora chiamato «quadrilatero di Saccheri».
Soddisfattissimo dei risultati ottenuti, Saccheri affrontò allora la «geometria acuta», partendo dall'ipotesi che entrambi gli angoli ADC DCB fossero minori di un angolo retto. Dovette accingersi al lavoro a cuor leggero, certo che, come nel caso della «geometria ottusa», avrebbe presto trovato una contraddizione anche nella «geometria acuta». In tal caso, il quinto di Euclide sarebbe stato dimostrato e la «geometria dell'angolo retto» non avrebbe più avuto bisogno di quell'affermazione scomodamente lunga come assioma.
Ma mentre Saccheri avanzava di proposizione in proposizione nella sua «geometria acuta», la soddisfazione lasciava il posto a una ansia sempre crescente, poiché non gli accadeva di imbattersi in alcuna contraddizione. Si trovava sempre più di fronte alla possibilità di costruire una geometria del tutto coerente con se stessa, basata su almeno un assioma che contraddiceva direttamente un assioma euclideo. Ne sarebbe risultata una geometria «non-euclidea» che poteva sembrare contraria al buon senso, ma che sarebbe stata internamente coerente e perciò matematicamente valida.
Per un attimo Saccheri rimase sospeso proprio sull'orlo dell'immortalità matematica e... indietreggiò spaventato.
Era troppo! Per accettare il concetto di geometria non-euclidea ci voleva del coraggio. Gli studiosi avevano erroneamente finito per confondere la geometri euclidea con la verità assoluta un punto tale, che qualsiasi confutazione di Euclide avrebbe messo in crisi il cuore e la mente degli intellettuali di tutta Europa. Dubitare di Euclide, era dubitare della verità assoluta, e se non c'era verità assoluta in Euclide, non se ne poteva subito dedurre che non ci fosse verità assoluta in nulla? E poiché l'affermazione più decisa della verità assoluta veniva dalla Religione, un attacco contro Euclide non si sarebbe potuto interpretare come un attacco contro Dio?
Saccheri era senz'altro un matematico di grande valore, ma era anche un gesuita e un essere umano, così gli mancò il coraggio e fece «il gran rifiuto». Quando la sua graduale elaborazione della «geometria acuta» arrivò al punto in cui non poteva più fermarla, egli con speciose argomentazioni convinse se stesso a credere di aver trovato un'incongruenza dove, in realtà, non l'aveva trovata affatto, e con grande sollievo concluse di aver dimostrato il quinto di Euclide. Nel 1733 pubblicò un libro sulle sue scoperte, intitolato «Euclides ab omni naevo vindicatus» (Euclide, lavato da ogni macchia), e in quello stesso anno morì.
Con quella ritrattazione, Saccheri aveva perduto l'immortalità e scelto l'oblio. Il suo libro passò virtualmente inosservato, fino a che un matematico italiano, Eugenio Beltrami (1835-1900), richiamò su di esso l'attenzione degli studiosi «dopo» che il fallimento di Saccheri era stato sfruttato da altri. Ora di lui sappiamo solo questo: che aveva puntato il dito sopra una verità matematica di importanza capitale un secolo prima degli altri, e che gli è mancato il coraggio di tenerlo ben fermo.
Avanziamo di quasi un secolo, fino al matematico tedesco Karl F. Gauss (1777-1855). Ci sono buoni argomenti per sostenere che Gauss fu il più grande matematico mai esistito. Perfino da giovane stupì l'Europa e il mondo scientifico con la vivezza del suo ingegno.
Egli prese in considerazione il quinto di Euclide suppergiù nel 1815 e arrivò a concludere, come Euclide stesso, che il quinto «doveva» diventare un assioma, perché «non poteva» essere dimostrato da questi. Inoltre, Gauss arrivò alla medesima conclusione da cui Saccheri si era ritratto: che esistevano altre geometrie coerenti con se stesse e che tali geometrie erano non-euclidee, in quanto un assioma alterno sostituiva il quinto!
Poi anche a lui venne meno il coraggio di pubblicare le sue convinzioni. Ma non lo trovo affatto meritevole di compassione, perché nel suo caso la situazione era diversa: Gauss aveva una reputazione infinitamente più solida di Saccheri, non era sacerdote e viveva in un'epoca e in un paese in cui l'influenza della Chiesa aveva un peso assai minore. Gauss, indipendentemente dal suo genio, era un vigliacco.
Dopo di che, arriviamo al matematico russo Nikolai Ivanovich Lobachevski (1793-1856). Nel 1826, anche Lobachevski prese a domandarsi se non potesse esistere una geometria non-euclidea eppure coerente. Pensando a ciò; elaborò i teoremi della «geometria acuta» come aveva fatto Saccheri un secolo prima; ma nel 1829, egli feee ciò che né Saccheri, né Gauss avevano mai fatto: pubblicò i suoi studi. Purtroppo, pubblicò solo un articolo in russo - intitolato «Dei principii della geometria» - su un periodico locale (lavorava all'università di Kazan, sperduta nella Russia provinciale).
Chi conosce il russo? Lobachevski rimase praticamente sconosciuto. Soltanto in seguito, nel 1840, pubblicò il suo lavoro in tedesco, richiamando su di sé l'attenzione del mondo della matematica.
Intanto, tuttavia, un matematico ungherese, Janos Bolyai (1802-1860), si dedicava suppergiù alle stesse ricerche. Bolyai è una delle figure più romantiche della storia della matematica, poiché egli era pure abilissimo nel suonare il violino e nel tirare di scherma, secondo la tradizione degli aristocratici ungheresi. Si dice che in una occasione abbia affrontato tredici spadaccini, uno dopo l'altro, vincendoli tutti e suonando il violino nell'intervallo tra le varie riprese.
Nel 1831, il padre di Bolyai pubblicò un libro sulla matematica. Il giovane Bolyai, che aveva meditato sul quinto di Euclide per diversi anni, persuase suo padre ad aggiungere un'appendice di ventisei pagine, dove erano descritti i principii della «geometria acuta». Erano passati due anni da quando Lobachevski aveva pubblicato il suo articolo, ma fino a quel momento nessuno aveva sentito parlare di lui e oggigiorno Lobachevski e Bolyai generalmente condividono il merito di aver scoperto la geometria non-euclidea.
Poiché i Bolyai pubblicarono in tedesco, Gauss prese subito visione del materiale. La sua lode avrebbe avuto un grande valore per il giovane matematico, ma Gauss - di nuovo - non ebbe il coraggio di affidare la sua approvazione alle stampatrici. Lodò, però, oralmente il lavoro fatto dall'ungherese. E poi non resistette. Disse a Bolyai che aveva avuto le stesse idee anni prima, ma che non le aveva pubblicate e gli mostrò i suoi studi.
Gauss avrebbe potuto fare meno di comportarsi così. La sua reputazione era incrollabile; anche senza la geometria non-euclidea, aveva lavorato quanto un dozzina di matematici messi insieme. Dal momento che gli era mancato il coraggio di pubblicare le sue idee, avrebbe potuto lasciare tutto il merito a Bolyai. Ma non lo fece. Genio o no, Gauss, sotto certi aspetti, era un individuo meschino.
Il povero Bolyai fu così umiliato da quella rivelazione, che abbandonò completamente gli studi sulla matematica.
E la «geometria ottusa»? Saccheri aveva fatto indagini su di essa e si era trovato impegolato nella contraddizione, cosicché era stata respinta. Tuttavia, poiché era stata stabilita la validità della geometria non-euclidea, non c'era modo di riabilitare anche quella «ottusa»?
Sì, il modo c'era, ma solo a patto di compiere una rottura ancor più radicale con Euclide. Nell'analizzare la «geometria ottusa», Saccheri si era servito di un'ipotesi implicita, già servita ad Euclide stesso: che una linea potesse avere una lunghezza infinita. Questa ipotesi non introduceva alcuna contraddizione nella «geometria acuta» o nella «geometria dell'angolo retto» (quella di Euclide), ma era d'impaccio nella «geometria ottusa».
Andava, allora, scartata anche quella. Bisognava lasciar perdere il buon senso, e formulare l'ipotesi che ogni linea dovesse avere una lunghezza massimo finita. In tal caso tutte le contraddizioni della «geometria ottusa» sparivano, e si aveva una seconda varietà valida di geometria non-euclidea. Ciò fu dimostrato per la prima volta nel 1854 dal matematico tedesco Georg F. B. Riemann (1826-1866).
Così ora abbiamo tre tipi di geometria, che possiamo distinguere usando affermazioni equivalenti alla varietà del quinto postulato usato in ciascun caso:
A - Geometria acuta (non-euclidea): attraverso un punto esterno a una data retta, si possono condurre un numero infinito di parallele a tale retta.
B - Geometria dell'angolo retto (euclidea): attraverso un punto esterno a una data retta, si può condurre una e soltanto una parallela a tale retta.
C - Geometria ottusa (non-euclidea): attraverso un punto esterno a una data retta, non si possono condurre parallele a tale retta.
Si può fare la distinzione in un altro modo equivalente.
A - Geometria acuta (non-euclidea): la somma degli angoli di un triangolo è minore di 180 °.
B - Geometria dell'angolo retto (euclidea): la somma degli angoli di un triangolo è esattamente uguale a 180 °.
C - Geometria ottusa (non-euclidea): la somma degli angoli di un triangolo è maggiore di 180 °.
Ora potrete domandare: «Ma quale geometria è vera?»
Se per vero intendiamo internamente coerente con sé stesso, tutte e tre le geometrie sono ugualmente vere.
Naturalmente sono incoerenti una rispetto all'altra e forse soltanto una corrisponde alla realtà. Perciò potremmo domandare: «Quale geometria corrisponde alle proprietà reali dell'universo?»
La risposta è, di nuovo, che tutte vanno bene.
Immaginiamo, ad esempio, di volerci spostare sulla superficie terrestre da un punto A a un punto B, e supponiamo di volerlo fare in modo da percorrere la distanza minima.
Per semplificare i risultati, facciamo due ipotesi. Prima di tutto, immaginiamo che la Terra sia una sfera perfettamente liscia. Questo, in realtà, è pressoché vero: possiamo eliminare montagne, valli e perfino il rigonfiamento equatoriale, senza troppa distorsione.
In secondo luogo, ipotizziamo di dover compiere i nostri spostamenti sulla superficie della sfera, e non - ad esempio - scavando in profondità.
Per determinare la distanza più breve che va da A a B sulla superficie della Terra, potremmo stendere un filo da un punto all'altro e poi tirarlo. Se facessimo questo tra due punti segnati su una superficie piana, vale a dire sulla superficie di una lavagna piatta che si estenda all'infinito in tutte le direzioni, ne risulterebbe ciò che noi chiamiamo di solito una «linea retta».
Sulla superficie di una sfera, tuttavia, risulta una curva; eppure la curva è analoga a una linea retta, poiché la curva è la distanza più breve tra due punti segnati sulla superficie di una sfera. Noi troviamo difficile considerare una curva come analoga a una linea retta, perché abbiamo pensato «in linea retta» per tutta la vita. Usiamo una parola diversa, allora. Chiamiamo «geodetica» la distanza più breve tra due punti segnati su una superficie qualsiasi.
Su un piano, la geodetica è una linea retta; su una sfera e, in pratica, su qualsiasi superficie che non sia piana, essa è generalmente una curva.
Sulla superficie di una sfera, la geodetica corrisponde all'arco di un «cerchio massimo». Tale cerchio ha una lunghezza uguale alla circonferenza della sfera e si trova su un piano che passa per il centro della sfera stessa. L'Equatore è un esempio di cerchio massimo della Terra, e così pure i meridiani. Si può ottenere un numero infinito di cerchi massimi sulla superficie di una sfera: scegliendo una coppia qualsiasi di punti su di essa e unendo ciascuna coppia con un filo tenuto teso, si avrà in ogni caso l'arco di un cerchio massimo diverso.
È chiaro che sulla superficie di una sfera non esiste una geodetica di lunghezza infinita. Se questa viene prolungata, finisce per incontrare sé stessa girando intorno alla sfera e diventa una curva chiusa. Sulla superficie della Terra, una geodetica non può superare la lunghezza di Km. 40.076.
Inoltre, due geodetiche qualsiasi tracciate sulla stessa sfera, si intersecano, se prolungate all'infinito e lo fanno in due punti. Sulla superficie della Terra, ad esempio, due meridiani qualsiasi si incontrano al polo nord e al polo sud. Ciò significa che sulla superficie di una sfera, non è possibile tracciare alcuna geodetica parallela a una geodetica data, facendola passare per un punto esterno a quest'ultima. E nessuna geodetica che passi attraverso tale punto può non intersecare prima o poi la geodetica data.
Inoltre, se si disegna sulla superficie di una sfera un triangolo avente per ciascun lato l'arco del cerchio massimo, la somma degli angoli sarà maggiore di 180 °. Se possedete un mappamondo, immaginate un triangolo avente uno dei vertici al polo nord, un altro all'equatore e a 10 ° di longitudine ovest, e il terzo a 100 ° di longitudine ovest. Ne risulterà un triangolo equilatero con gli angoli di 90 °. La somma dei tre angoli è di 270 °.
Questa è esattamente la geometria elaborata da Riemann, se le geodetiche sono considerate analoghe alle linee rette. È una geometria di linee finite, senza parallele, e di somme di angoli di triangolo superiori a 180 °. Quella che abbiamo chiamato «geometria ottusa», allora potrebbe anche essere detta «geometria della sfera». E quella che abbiamo chiamato «geometria dell'angolo retto» o «geometria euclidea», potrebbe anche essere detta «geometria piana».
Nel 1865, Eugenio Beltrami attrasse l'attenzione su una forma chiamata «pseudosfera», che ha l'aria di due trombe unite bocca contro bocca all'estremità più larga; ciascuna tromba si prolunga all'infinito verso l'esterno, nell'una o nell'altra direzione, stringendosi sempre più, ma senza mai chiudersi completamente. Le geodetiche che passano sulla superficie della pseudosfera rispondono alle esigenze della «geometria acuta».
Le geodetiche tracciate su una pseudosfera sono di lunghezza infinita, ed è possibile che due particolari geodetiche si prolunghino all'infinito senza intersecarsi e perciò siano parallele. Infatti è. possibile tracciare sulla superficie di una pseudosfera due geodetiche che si intersechino e far sì che né l'una, né l'altra intersechi una terza geodetica tracciata esternamente a quelle. Infatti, poiché si può tracciare un numero infinito di geodetiche tra le due che si intersecano, tutte intersecantesi nello stesso punto, esiste un numero infinito di geodetiche possibili che passano attraverso un punto, tutte parallele a un'altra geodetica che non passa attraverso tale punto.
In altre parole, la «geometria acuta» può essere considerata come «geometria della pseudosfera».
Ma ora, ammesso che tutte e tre le geometrie siano ugualmente valide, nelle circostanze adatte a ciascuna, quale descrive meglio l'Universo come insieme?
Questo non è sempre facile dirlo. Se si traccia un triangolo con geodetiche di una data lunghezza su una sfera piccola e poi ancora su una sfera grande, la somma degli angoli del triangolo sarà maggiore di 180 ° in entrambi i casi, ma soprattutto in quello della sfera piccola.
Se si immagina una sfera che si ingrandisca sempre più, un triangolo di date dimensioni tracciato sulla sua superficie avrà una somma di angoli sempre più prossima a 180 °, e infine anche la misurazione più perfetta non potrà individuare la differenza. In breve, una piccola sezione di una sfera molto grande è quasi piatta come un piano, e diventa impossibile scorgere la differenza da questo.
Ciò vale per la Terra, ad esempio. Proprio per via delle sue dimensioni enormi, le piccole porzioni di essa che possiamo considerare ci sembrano piatte; per questo ci è voluto tanto tempo prima che il genere umano si convincesse che aveva forma sferica, nonostante le apparenze.
Ebbene, esiste un problema simile riguardo all'universo in generale.
La luce viaggia da un punto all'altro nello spazio - dal Sole alla Terra, o da una galassia lontana a un'altra - coprendo distanze molte volte superiori a quelle possibili sulla superficie terrestre.
Noi presumiamo che la luce viaggi attraverso i parsec spostandosi in linea retta, ma, naturalmente, essa si sposta lungo una geodetica, che non è necessariamente una linea retta. Se l'Universo ubbidisce alla geometria euclidea, la geodetica è una retta. Se l'Universo ubbidisce, invece, a una geometria non-euclidea, le geodetiche saranno curve, di una specie o dell'altra.
Gauss pensò di formare triangoli con raggi di luce che viaggiano nello spazio dalla sommità di una montagna a un'altra, e di misurare la somma degli angoli così ottenuti. Certo questa risultò proprio di 180 ° circa; ma erano esattamente 180 °? Impossibile dirlo. Se l'Universo fosse una sfera avente un diametro di milioni di anni-luce, e se i raggi luminosi seguissero le curvature di tale sfera, nessuna misurazione diretta concepibile oggigiorno potrebbe individuare la quantità infinitesimale di cui la somma degli angoli supera i 180 °.
Nel 1916, tuttavia, Einstein elaborò la Teoria Generale della Relatività, e trovò che per spiegare il meccanismo della gravitazione doveva supporre un Universo in cui la luce (e ogni altra cosa) viaggiasse su geodetiche non-euclidee.
Secondo la teoria di Einstein, l'Universo è non-euclideo ed è infatti un esempio di «geometria ottusa».
Per dirla in breve, dunque, la geometria euclidea - lungi dall'essere la verità eterna e assoluta che per duemila anni gli uomini ritennero fosse - è soltanto la geometria del piano, estremamente ristretta e astratta, una mera approssimazione della geometria di realtà importanti quali l'Universo e la superficie della Terra.

FINE