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Urania - Asimov d'appendice
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SCIVOLA, STELLA, SCIVOLA - Isaac Asimov
Titolo originale: Twinkle, twinkle microwaves

Quando rileggo gli articoli che ho scritto negli ultimi diciotto anni e mezzo per le riviste di fantascienza non sono eccessivamente sorpreso di scoprire, ogni tanto, che uno di essi risulta sorpassato a causa dei continui progressi della scienza. E quando ciò mi succede, mi sento moralmente obbligato, prima o poi, ad ammetterlo e a riprendere a esaminare il problema su nuove basi.
Nel giugno del 1965, per esempio, ho scritto un articolo sulle varie specie di stelle nane. L'avevo intitolato «Squ-u-u-ush», e pubblicato nel numero di novembre 1965 di «Fantasy and Science Fiction». Più tardi venne incluso nella mia raccolta di articoli «From Earth to Heaven» (Doubleday, 1966). In esso trattavo, tra l'altro, di minuscole stelle chiamate «stelle neutroniche», sostenendo, in via di ipotesi, che una stella di tale tipo doveva trovarsi nella Nebulosa del Cancro. Questa, com'è noto, è una nube formata da gas molto attivi che si suppongono essere il residuo di una supernova, vista dalla Terra un migliaio di anni fa, all'incirca. Poiché la Nebulosa del Cancro emette raggi X, ci si poteva aspettare - dicevo - che anche le stelle neutroniche emettessero raggi X. Ma se nella nebulosa ci fosse stata una stella neutronica, i raggi X avrebbero dovuto provenire da un unico punto dello spazio, e in questo caso la Luna, passando davanti alla nebulosa, avrebbe interrotto di colpo il flusso dei raggi stessi.
Nel mio articolo dicevo anche: «Il 7 luglio 1964, quando la Luna si interpose tra la Terra e la Nebulosa del Cancro, venne inviato nello spazio un razzo per raccogliere dati..., ma purtroppo i raggi X furono fermati gradualmente. La sorgente di questi raggi X si estendeva per circa un anno luce e non era assolutamente una stella neutronica...
«All'inizio del 1965, poi, alcuni fisici dell'Istituto di Tecnologia della California calcolarono nuovamente la velocità di raffreddamento di una stella a neutroni... Stabilirono che essa avrebbe emesso raggi X solo per un periodo di tempo misurabile in settimane.»
Evidentemente le conclusioni che ne traevo non potevano che essere queste: non era molto probabile che una qualunque sorgente di raggi X potesse essere una stella neutronica, e un tale tipo di corpo celeste, anche se fosse esistito davvero, non sarebbe probabilmente mai potuto essere scoperto.
Ciò nonostante, proprio due anni dopo che avevo scritto l'articolo (e circa otto mesi dopo che era stata pubblicata la raccolta) le stelle neutroniche vennero scoperte, e oggi si conosce con certezza l'esistenza di un certo numero di esse. Mi sembra quindi logico e doveroso spiegare come ciò poté succedere, facendo un passo indietro nel tempo.

In un precedente articolo ho parlato della scoperta delle nane bianche, che sono stelle con la massa di una stella normale, ma il volume di un pianeta. La prima nana bianca ad essere scoperta, Beta di Sirio, ha una massa uguale a quella del nostro Sole, ma un diametro di soli 47.000 chilometri, quello di Urano.
Com'è possibile un fatto simile?
Una stella come il Sole ha un campo gravitazionale sufficientemente intenso da spingere la propria materia costitutiva verso l'interno, con una forza tale da distruggere gli atomi e da ridurli a un flusso elettronico entro il quale i nuclei molto più piccoli si muoverebbero liberamente. Ma, stando così le cose, anche se il Sole comprimesse se stesso fino a 1/26.000 del suo volume attuale e a ventiseimila volte la sua densità attuale, in modo tale da diventare una nana bianca, duplicato di Beta di Sirio, dal punto di vista dei nuclei atomici sarebbe ancora costituito principalmente da spazio vuoto.
Eppure il Sole non si comprime fino a questo punto. Come mai? È la fusione nucleare continua, esistente al centro della stella, che alza in quella zona la temperatura fino a circa quindici milioni di gradi. L'effetto espansivo di questa temperatura bilancia la spinta verso il centro del campo gravitazionale e conserva al Sole le caratteristiche di un'ampia palla di gas incandescente con una densità globale di solo 1,4 volte quella dell'acqua.
Alla fine, comunque, la fusione nucleare al centro di una stella verrà a trovarsi senza combustibile. Questo è un processo complicato che non può essere qui approfondito, ma posso dire che al suo termine non lascerà niente per alimentare nel centro il calore indispensabile, quel calore, cioè, che consente alla stella di rimanere espansa. A questo punto la spinta gravitazionale non ha più niente che la ostacoli: avviene un collasso stellare e si forma una nana bianca.
Il fluido elettronico entro il quale si muovono i nuclei di una nana bianca può essere considerato come una specie di molla che indietreggia quando viene compressa e che si ritira tanto più violentemente quanto più fortemente viene compressa.
Una nana bianca conserva il suo volume e resiste a un'ulteriore compressione verso l'interno, da parte della spinta gravitazionale, grazie all'azione di questa molla, e non per l'effetto espansivo del calore. Ciò significa che una nana bianca non è necessariamente incandescente, anche se non vi è dubbio che può esserlo a causa della conversione dell'energia gravitazionale in calore durante il processo di collasso. Questo calore, però, viene disperso per irradiazione molto lentamente durante gli eoni, in modo che alla fine la nana bianca si trasformerà, apparentemente, in una «nana nera», pur conservando ancora, malgrado tutto, il proprio volume, per il fatto che il fluido elettronico compresso resta per sempre in equilibrio con la spinta gravitazionale.
Nella realtà, tuttavia, le stelle si presentano con masse differenti l'una dall'altra. Più grande è la massa di una stella, più intenso è il suo campo gravitazionale. Nel caso in cui il combustibile nucleare venga a mancare e la stella collassi, quanto più grande è la sua massa e, di conseguenza, più intenso è il suo campo gravitazionale, tanto più la nana bianca che nasce sarà piccola e fortemente compressa.
In effetti, se la stella è abbastanza compatta, la spinta gravitazionale sarà abbastanza intensa e il collasso energetico sufficiente a frantumare la molla del fluido elettronico, e allora la nana bianca non sarà in grado di conservare a lungo né la sua forma né il suo volume planetario.
Nel 1931, un astronomo americano di origine indiana, Subrahmanyan Chandrasekhar, presa in esame la situazione e fatti i necessari calcoli, annunciò che la frantumazione del fluido avrebbe avuto luogo solo se la nana bianca avesse avuto una massa maggiore di 1,4 volte quella del Sole. Questa misura è chiamata «limite di Chandrasekhar».
Non sono molte le stelle che hanno masse che superano questo limite: non più del 2% di tutte le stelle esistenti. Comunque sono proprio le stelle compatte che per prime esauriscono il materiale per la fusione nucleare. Più una stella è compatta, infatti, più rapidamente finisce il combustibile nucleare e più drasticamente collassa.
Nell'arco dei quindici miliardi di vita dell'universo questo collasso tra le stelle compatte deve essersi verificato uno sproporzionato numero di volte. Di tutte le stelle che hanno consumato il loro carburante nucleare e sono collassate, almeno un quarto, probabilmente di più, avevano avuto massa superiore al limite di Chandrasekhar. Che cosa accadde a queste stelle?
Quando una stella esaurisce la materia per la fusione nucleare si espande, ma, a quanto sembra, solo le sue zone più interne prendono parte al collasso finale. Le parti esterne, invece, rimangono nelle vicinanze del corpo celeste dando vita a una «nebulosa planetaria», entro la quale la stella luminosa collassata è avvolta da un grande volume di gas.
In realtà, la massa di gas non collassato di una nebulosa planetaria non può essere molto grande; perciò, solo le stelle che superano di poco il limite di Chandrasekhar possono perdere in questo modo quel tanto di massa che basti a portarle al di sotto del limite stesso.
D'altra parte esistono stelle esplosive, novae o super-novae, che nel corso dell'esplosione perdono dal 10 al 90% della loro massa stellare complessiva. L'esplosione sparge polvere cosmica e gas in tutte le direzioni, come nella Nebulosa del Cancro, lasciando a subire il collasso solo una piccola zona interna, talvolta solo una minuscola zona interna.
A questo punto si può supporre che ogni qual volta la massa di una stella si trova al di sopra del limite di Chandrasekhar, un qualche processo naturale rimuova una quantità di materia sufficiente a permettere a qualsiasi parte collassata di trovarsi al di sotto del limite.
Ma che cosa succederebbe se non fosse sempre così? Cosa accadrebbe se non si potesse fare affidamento fino a tal punto sulla benevolenza dell'Universo? E se qualche volta collassasse invece un agglomerato di materia troppo compatta?

Nel 1934, gli astronomi Fritz Zwicky e Walter Baade presero in esame questa possibilità e stabilirono che la stella che subiva il collasso avrebbe semplicemente distrutto la barriera del fluido elettronico. Gli elettroni, sempre più compressi, sarebbero stati spinti a forza all'interno dei protoni dei nuclei atomici in continuo movimento all'interno del fluido, e formando così neutroni. A questo punto la massa principale della stella sarebbe stata composta da soli neutroni: cioè da quelli presenti in origine nei nuclei, più quelli formati dagli elettroni e dai protoni combinatisi insieme.
La stella collassante si sarebbe dunque ridotta, in pratica, a essere costituita da nient'altro che neutroni. E avrebbe poi continuato a collassare fino a quando i neutroni non fossero stati effettivamente in contatto gli uni con gli altri, diventando quindi una «stella neutronica». Se il nostro Sole collassasse fino allo stato di stella neutronica, il suo diametro si ridurrebbe a 1 /100.000 di quello che è oggi e sarebbe, da un'estremità all'altra, di soli 14 chilometri, pur mantenendo l'intera sua massa.
Un paio di anni dopo, J. Robert Oppenheimer e un suo allievo, George M. Volkoff, elaborarono la teoria delle stelle neutroniche, sviluppandola in ogni particolare.
In base a tale teoria sembra che le nane bianche si formino quando stelle relativamente piccole raggiungono la loro fine senza grandi sconvolgimenti, in modo tranquillo. Ma quando una stella molto compatta esplode in una supernova (come fanno solo le stelle compatte), il collasso è sufficientemente rapido da superare la barriera opposta dal fluido elettronico. E se anche viene eliminata una parte della stella tale da lasciare il resto del corpo celeste al di sotto del limite di Chandrasekhar, la velocità del collasso può portare al superamento della barriera. Perciò, alla fin fine, si potrebbe ritrovare una stella neutronica con massa inferiore a quella di parecchie nane bianche.
Ad ogni modo, il vero problema è quello della reale esistenza di tali stelle neutroniche. Infatti le teorie sono tutte molto affascinanti, ma se non vengono verificate da osservazioni o esperimenti, rimangono solo piacevoli ipotesi che divertono gli scienziati e gli scrittori di fantascienza. È però vero che non è facile fare esperimenti con stelle collassate. E come si può osservare un oggetto di pochi chilometri di diametro che sappiamo trovarsi a una distanza di molti anni luce?
Anche procedendo in via del tutto teorica, sarebbe davvero difficile, sebbene nella formazione di una stella neutronica venga trasformata in calore una quantità di energia gravitazionale sufficiente a fornire alla stella di recente formazione una temperatura superficiale di circa dieci milioni di gradi. Da ciò deriva che la stella emanerebbe una quantità enorme di radiazioni energetiche, cioè di raggi X, per l'esattezza.
Tuttavia, dal momento che i raggi X provenienti da sorgenti cosmiche non penetrano nell'atmosfera terrestre, questo fenomeno non è stato di alcun aiuto fino a quando gli osservatori interessati sono stati legati alla superficie terrestre. Ma, a cominciare dal 1962, razzi dotati di strumenti in grado di captare i raggi X sono stati mandati oltre l'atmosfera, e dopo che ebbero scoperto sorgenti cosmiche di raggi X, verme risollevato il problema se alcune di esse fossero o non fossero stelle neutroniche. Nel 1965 (come ho scritto in «Squ-u-u-ush») il peso dell'evidenza sembrò suffragare la teoria della non esistenza di tale tipo di stelle.

Nel frattempo, però, gli astronomi si erano sempre più orientati verso lo studio delle sorgenti cosmiche di onde radio, dato che, oltre alla luce visibile, alcune radioonde molto corte, chiamate «microonde», possono penetrare nell'atmosfera. Già nel 1931, infatti, un ingegnere americano specializzato in comunicazioni radio, Karl Jansky, aveva captato queste microonde provenienti dal centro della Galassia.
A quel tempo la scoperta non aveva suscitato molto interesse, soprattutto perché gli astronomi non disponevano ancora di strumenti e mezzi idonei a captare e a studiare queste radiazioni. Ma durante la seconda guerra mondiale la situazione cambiò con lo sviluppo del radar che, come si sa, si serve dell'emissione, della riflessione e dell'intercettazione di microonde. Così, alla fine della guerra, gli astronomi ebbero a disposizione una serie completa di strumenti di indagine celeste per un uso del tutto pacifico. Nacque allora la «radioastronomia» che fece in breve enormi passi avanti. Gli astronomi impararono infatti a usare apparati strumentali per l'intercettazione di microonde (i «radiotelescopi»), molto complessi e in grado di captare corpi celesti a distanze maggiori e di localizzarne la posizione con molta maggior precisione di quanto potessero e possano fare i telescopi ottici.
A mano a mano che la tecnica migliorava, l'intercettazione diventava sempre più esatta, non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Così, oltre a localizzare punti dello spazio che erano sorgenti di microonde, i radioastronomi ricevettero anche sicure indicazioni che dimostravano come l'intensità delle onde emesse potevano variare nel tempo. All'inizio del 1960 vennero persino in possesso di qualche elemento comprovante che la variazione poteva essere molto rapida, quasi una specie di lampeggiamento.
I radiotelescopi non erano però progettati per reagire a fluttuazioni di intensità molto rapide, perché nessuno, in realtà, aveva previsto questa esigenza. Perciò, subito dopo, si dovettero studiare e realizzare strumenti speciali, capaci di intercettare microonde a impulsi variabili come lampi. Il maggior merito di questo lavoro va ad Anthony Hewish dell'Osservatorio dell'Università di Cambridge, che diresse la costruzione di 2.048 singole unità radioriceventi, collegate in un unico apparato che copriva un'area di diciottomila metri quadrati (in altre parole di quasi un ettaro e mezzo).
Nel luglio 1967, il nuovo radiotelescopio fu messo in funzione con lo scopo di scrutare il cielo per scoprire casi di lampeggiamento.
Dopo un mese soltanto, una giovane studentessa non ancora specializzata, Jocelyn Bell, che stava di turno ai comandi del telescopio, cominciò a ricevere scariche di microonde, e molto rapide, da un punto situato a metà strada tra le stelle Vega e Altair. Queste scariche, in realtà, erano così rapide da non avere precedenti, tanto che la studentessa non credette che provenissero dallo spazio, ma ritenne trattarsi di interferenze nel funzionamento del radiotelescopio provenienti da strumenti elettronici dislocati nei dintorni. Ma, notte dopo notte, ad ogni suo turno di lavoro al telescopio, i controlli dimostravano che la sorgente di microonde si muoveva con regolarità attraverso il cielo, in fase con la rotazione delle stelle. Sulla Terra niente avrebbe potuto imitare questo tipo di moto; perciò la causa doveva essere proprio qualcosa nel cielo. La giovane sottopose quindi il caso a Hewish e i due, insieme, esaminarono accuratamente il fenomeno per qualche tempo, tenendolo costantemente sotto controllo. Alla fine di novembre ricevevano ormai le scariche così chiaramente da riuscire a stabilirne sia la durata sia la velocità. Ogni scarica di onde radio durava un ventesimo di secondo e arrivava a intervalli di un secondo e un terzo. In altre parole si ripeteva quarantacinque volte circa al minuto.
Questa non era affatto la scoperta di un inaspettato lampeggiamento di una sorgente radio già captata in precedenza. No, quella particolare sorgente non era assolutamente mai stata rilevata prima, perché i radiotelescopi, non essendo progettati per captare scariche di onde talmente brevi, avrebbero registrato soltanto onde di intensità media, inadatti com'erano a rilevare il periodo "morto" tra due scariche successive. L'intensità media, però, raggiungeva solo il tre per cento dell'intensità massima delle raffiche, che pertanto passava inosservata.
La regolarità delle scariche si dimostrò di una precisione quasi incredibile. Arrivavano in modo così regolare che potevano essere cronometrate al 10 miliardesimo di secondo senza presentare variazioni significative tra un impulso e l'altro. Il loro periodo era di 1,3370109 secondi.
Il fatto era estremamente importante: se la sorgente fosse stata qualche complesso agglomerato di materia, una galassia, un gruppo di stelle, una nube di polvere cosmica, allora una parte di essa avrebbe emesso microonde in modo un pochino differente da quello di ogni altra sua parte. E se anche ognuna delle parti avesse subito variazioni regolari, l'insieme di queste variazioni avrebbe dato come risultato qualcosa di alquanto complesso. Di conseguenza, per essere così semplici e regolari, le scariche di microonde captate da Jocelyn Bell e Anthony Hewish, dovevano riguardare un numero molto ridotto di corpi, forse anche uno solo.
A prima vista, la regolarità delle scariche sembrò addirittura troppo perfetta per un corpo inanimato, tanto che fu avanzata l'ipotesi, un po' allarmante, che potesse in fin dei conti indicare l'esistenza di un fenomeno artificiale, non situato sulla Terra o nei suoi paraggi. E perché mai queste scariche non avrebbero potuto essere segnali extraterrestri che già in quel tempo certi astronomi stavano cercando di captare?
In un primo tempo soltanto, al fenomeno fu dato il nome "LGM" (o Little Green Men - omini verdi), ma la tesi di una provenienza extraterrestre di segnali intelligenti non poté essere sostenuta a lungo. Le scariche potevano infatti essere prodotte soltanto con l'impiego di una quantità di energia dieci miliardi di volte superiore a quella che si può produrre facendo lavorare insieme tutte le fonti energetiche esistenti sulla Terra. Se fossero state di origine intelligente avrebbero quindi richiesto un fantastico, smisurato dispendio di capitali. Tenendo inoltre conto che avevano una regolarità costante, tanto che in pratica non fornivano alcuna informazione, che si poteva concludere? Che un'intelligenza così progredita doveva essere altrettanto stupida per sprecare un'enormità di energia per non dare alcuna informazione?
A proposito delle scariche, Hewish non poté quindi fare altro che supporle di origine cosmica, derivanti probabilmente da una stella che diffondeva impulsi di microonde. Perciò chiamò l'oggetto «stella pulsar», definizione presto abbreviata in «pulsar».
Andò poi alla ricerca di indizi di lampeggiamenti in altre parti dei nastri registrati dagli strumenti e, dopo averli trovati, procedette a ritroso con adeguati controlli, acquisendo a suo tempo la quasi certezza di avere captato altri tre «pulsar». E il 9 febbraio 1968 annunciò al mondo la scoperta (per la quale, alla fine, nel 1974 ricevette il Premio Nobel per la fisica in coppia con un altro scienziato).
Altri astronomi si impegnarono allora in una ricerca appassionata, e altri pulsar furono ben presto scoperti. Oggi se ne conoscono più di cento e si è calcolato che in tutta la nostra Galassia ce ne possano essere qualcosa come centomila.
Il pulsar più vicino, a noi noto, si trova a una distanza di trecento anni luce, o giù di lì, dal Sole.
Tutti i pulsar sono caratterizzati da un'estrema regolarità di pulsazioni, ma il periodo esatto varia da pulsar a pulsar. Quello con il periodo più lungo che si conosca ne ha uno di 3,75491 secondi (sedici pulsazioni al minuto). Per quanto si sa, il pulsar con il periodo più corto è stato scoperto nell'ottobre del 1968 da astronomi di Green Bank, nello stato della Virginia. Si trova proprio nella Nebulosa del Cancro ed è stato il primo anello di collegamento tra pulsar e super-novae. Ha un periodo di soli 0,033099 secondi, il che significa circa 1.813 pulsazioni al minuto, cioè una rapidità di pulsazione di circa centotredici volte maggiore di quella del pulsar con il periodo più lungo, oggi conosciuto.
Ma cosa può produrre pulsazioni così rapide e regolari? Lasciando da parte l'idea di una causa intelligente, possono essere prodotte solo dal movimento perfettamente regolare di uno, o forse due, corpi celesti. Questi movimenti potrebbero consistere:
A) - nella rivoluzione di un corpo attorno a un altro con l'emissione di una scarica di microonde a un certo punto della rivoluzione
B) - nella rotazione di un singolo corpo sul proprio asse, con l'emissione di una scarica a un certo punto della rotazione
C) - nella pulsazione, dentro e fuori, di un singolo corpo con l'emissione di una scarica a un certo punto della pulsazione.
La rivoluzione di un corpo celeste intorno a un altro potrebbe essere quella di un pianeta intorno al proprio sole. E questo fu in realtà il primo, fugace pensiero, quando per un istante circolò nell'ambiente il sospetto che le scariche avessero un'origine intelligente. Ma, in assenza dell'intervento di un'intelligenza, non esiste alcuna logica possibilità che un pianeta ruoti su se stesso o giri intorno al proprio sole con una velocità tale da determinare pulsazioni tanto rapide e regolari.
Le rivoluzioni più veloci si verificano invece quando i campi gravitazionali sono estremamente intensi e, nel 1968, ciò voleva dire essere in presenza di nane bianche. Allora si riteneva che, posto di avere due nane bianche, ambedue al limite di Chandrasekhar e ruotanti una intorno all'altra, virtualmente in contatto, avesse luogo la più veloce rivoluzione esistente in natura. Ma anche questa non era ancora abbastanza veloce. Dunque, il lampeggiamento di microonde non può essere la conseguenza di un moto di rivoluzione.
E cosa si può dire dell'ipotesi di una rotazione? Supporre che una nana bianca moti su se stessa in un tempo minore di quattro secondi? Non può essere. Se ruotasse così velocemente, anche una nana bianca, malgrado il potente campo gravitazionale che l'avvolge, si distruggerebbe disperdendosi nello spazio.
Altrettanto si può dire dell'ipotesi della pulsazione.
Soltanto l'esistenza di un campo gravitazionale di gran lunga più intenso di quello delle nane bianche consente una razionale e definitiva spiegazione del lampeggiamento delle microonde. E ciò lasciò agli astronomi una sola via di uscita, quella che Thomas Gold, astronomo di origine austriaca, espose per primo.
I pulsar, ipotizzò Gold, erano le stelle neutroniche di cui Zwicky, Baade, Oppenheimer e Volkoff avevano parlato una generazione prima, e fece notare che una stella neutronica è abbastanza piccola e ha un campo gravitazionale abbastanza intenso da essere in grado di ruotare sul proprio asse in quattro secondi, o anche meno, senza disintegrarsi.
Per di più, una stella neutronica deve avere un campo magnetico simile a quello di qualsiasi altra stella normale, ma compresso e concentrato tanto quanto lo è la sua materia. Perciò il campo magnetico di una stella neutronica deve essere molto più intenso di quello delle stelle normali.
La stella neutronica, grazie alla sua spaventosa temperatura di superficie, girando sul proprio asse emetterebbe elettroni dai suoi strati più esterni (nei quali protoni ed elettroni esisterebbero ancora). Questi elettroni, intrappolati dal campo magnetico, potrebbero sfuggire unicamente in prossimità dei due poli magnetici, opposti tra loro, della stella neutronica.
Non essendo necessario che i poli magnetici coincidano con gli effettivi poli di rotazione (questo, ad esempio, è il caso della Terra), ogni polo magnetico potrebbe muoversi a spaventosa velocità (in secondi o frazioni di secondo) intorno al polo di rotazione, e nel fare ciò libererebbe elettroni (proprio come una bocca innaffiatrice ruotante spruzza l'acqua). Appena lanciati fuori, gli elettroni devierebbero secondo la curva dello stesso campo magnetico della stella, perdendo, nel processo, dell'energia che riapparirebbe sotto forma di microonde che, non essendo intercettate dai campi magnetici, procederebbero nello spazio a velocità elevatissime.
Così, ogni stella neutronica, finirebbe per emettere due fasci di onde radio dai due emisferi opposti del suo minuscolo globo. E nel caso in cui, ruotando, facesse passare uno di questi fasci attraverso il nostro asse di collimazione, la Terra riceverebbe una brevissima scarica di microonde a ogni rotazione. Alcuni astronomi calcolarono poi che solo una stella neutronica su cento invia microonde nella nostra direzione; per cui dalla Terra sarà possibile captare soltanto un migliaio delle centomila stelle neutroniche probabilmente esistenti nella nostra Galassia.
Gold aggiunse che, se la sua teoria fosse stata esatta, una stella neutronica avrebbe dovuto perdere in continuazione energia dai poli magnetici, e la sua velocità di rotazione avrebbe dovuto proporzionalmente rallentare. Ne consegue che quanto più il periodo di un pulsar è rapido, tanto più è probabile che il pulsar sia giovane, che più rapidamente stia perdendo energia e che, di conseguenza, stia rallentando il suo moto.
Questo proverebbe che la stella neutronica della Nebulosa del Cancro, che ha il periodo di pulsazione più corto che si conosca, non avendo ancora mille anni di vita, è con ogni probabilità la più giovane che si possa osservare dalla Terra. Al momento della sua formazione doveva ruotare un migliaio di volte al secondo, almeno; poi la rotazione è rapidamente diminuita fino a raggiungere le trenta volte al secondo di oggi.
La stella neutronica della Nebulosa del Cancro è stata perciò studiata con molta cura, e si è scoperto che effettivamente il suo periodo si sta allungando: oggi aumenta di circa 36,48 miliardesimi di secondo ogni giorno e perciò, di questo passo, raddoppierà nel giro di milleduecento anni. Lo stesso fenomeno è stato notato in altre stelle neutroniche, i cui periodi sono più lenti di quello della stella della Nebulosa del Cancro e la cui velocità di decelerazione rotazionale è anche minore. La prima stella neutronica scoperta da Bell, oggi detta CP1919, sta rallentando la sua rotazione con un ritmo tale per cui raddoppierà il suo periodo solo tra 16 milioni di anni.
Via via che un pulsar rallenta la propria rotazione, la potenza delle sue scariche di microonde diminuisce e, quando il periodo supera i quattro secondi di durata, diventa impossibile captare la stella neutronica. Ciò nonostante è assai probabile che potremo captare stelle neutroniche per ancora dieci milioni di anni.
Ora, in seguito ai risultati degli studi sul rallentamento delle scariche di microonde, gli astronomi sono abbastanza convinti che i pulsar siano stelle neutroniche, e il mio vecchio articolo «Squ-u-u-u-ush» mantiene la sua validità.
Qualche volta, del tutto incidentalmente, può accadere che una stella neutronica aumenti improvvisamente di molto poco la velocità del suo periodo, per poi riprendere il suo normale rallentamento. Questo fenomeno è stato notato per la prima volta nel febbraio del 1969 quando si osservò che il periodo della stella neutronica Vela X-l cambiava improvvisamente. Questa rapidissima alterazione venne detta, in gergo, «glitch», da un termine «yiddish» che significa «scivolare». Oggi questa parola è entrata di diritto nel vocabolario scientifico.
Alcuni astronomi ritengono che le «glitches» siano il risultato di un «terremoto stellare», cioè di un cambiamento nella distribuzione della massa all'interno della stella neutronica, misurabile in una contrazione del diametro di un centimetro o anche meno. Oppure che siano la conseguenza della penetrazione nell'interno della stella neutronica di una meteora piuttosto grande il cui «momento» verrebbe a sommarsi a quello della stella stessa.
Naturalmente non c'è motivo di pensare che gli elettroni, allontanandosi da una stella neutronica, debbano perdere energia solamente sotto forma di microonde. Dovrebbero anzi emettere onde elettromagnetiche appartenenti a tutto lo spettro. Dovrebbero, per esempio, emettere anche raggi X, come in realtà accade alla stella neutronica della Nebulosa del Cancro. Il 10-15% circa di tutti i raggi X emessi dalla Nebulosa del Cancro proviene infatti dalla sua stella neutronica, mentre il rimanente 85%, e anche più, che proviene dai gas turbolenti che circondano la stella non ha fatto altro che confondere le idee e scoraggiare quegli astronomi che nel 1964 si erano messi in cerca di una stella neutronica proprio là, all'interno della citata nebulosa.
E ancora, una stella neutronica potrebbe emettere lampi di luce visibile. Nel gennaio 1969 venne rilevato che dentro la Nebulosa del Cancro una stella oscura di sedicesima grandezza lampeggiava davvero a intervalli coincidenti esattamente con gli impulsi radio. I lampi erano tanto brevi e gli intervalli tra l'uno e l'altro tanto ridotti che per captarli si rese necessario l'uso di una speciale attrezzatura, dato che, alla normale osservazione telescopica, la stella sembrava essere a luce fissa.
Per concludere, la stella neutronica della Nebulosa del Cancro è il primo «pulsar ottico» che sia stato scoperto, ovvero la prima stella neutronica realmente visibile all'occhio umano, e, almeno fino a oggi, rimane l'unico.

Questa non è la fine della «Squ-u-u-u-ush» era sbagliato sotto un altro aspetto, ben più spettacolare di quello delle stelle neutroniche, correggendo il quale sarò in grado di fare un altro passo avanti. E infatti, così come tempo addietro ho trattato della scoperta di quel piccolo, compatto mostro celeste che è la nana bianca, e come oggi ho trattato qui della scoperta di quel super-mostro celeste, più piccolo e più compatto del precedente, che è la stella neutronica, una prossima volta parlerò della scoperta di quel piccolissimo, compattissimo extra-super-mostro che è il «buco nero».

FINE