Science Fiction Project
Urania - Asimov d'appendice
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CHE COSA SCEGLIETE? - Isaac Asimov
Titolo originale: Best food backward

Nei miei momenti di autocommiserazione più nera, mi accorgo ogni giorno di più di essere il solo a difendere i baluardi della scienza dalle aggressioni dei nuovi barbari. Quindi, anche se per raggiungere il mio scopo potrei semplicemente riprendere passi e affermazioni contenuti in miei scritti precedenti, questo articolo voglio dedicarlo interamente alla citata difesa che, vi avverto, sarà totale e senza compromessi.

Punto 1.
Si potrebbe anche credere che in una pubblicazione come la rivista «New Scientist», un eccellente settimanale britannico i cui articoli sono tutti dedicati alle conquiste scientifiche, non ci sia spazio per le affettate idiozie antiscientifiche. Non è così.
Nel numero del 16 maggio 1974, uno dei più importanti collaboratori della rivista, dopo essersi lanciato in una difesa abbastanza incoerente di Velikovsky, finiva col dire: «La scienza, nella sua rapida corsa che dura da duecento anni, ha prodotto qualche aggeggio abbastanza grazioso, come i cibi in scatola e i dischi long-playing. Ma, in verità, cos'altro ha fatto che abbia un valore autentico per i settant'anni della vita media dell'uomo?»
Gli ho subito scritto una lettera in cui, tra l'altro, affermavo:
«... una cosa che potete ritenere di autentico valore sono proprio i settant'anni della vita media dell'uomo... nella quasi totalità dell'epoca storica questi anni sono sempre stati poco più di trenta. Possiamo dunque augurarci che mostriate un po' di riconoscenza per questi quarant'anni di vita extra che avete la possibilità di godervi?»
Pubblicata la mia lettera, dopo brevissimo tempo, cioè nel numero dell'11 luglio 1974, fece la sua comparsa la confutazione ariosa di un signore dell'Herefordshire, che chiamerò B. Affermava questi, con bella evidenza, che la vita più lunga presenta parecchi svantaggi, perché, per esempio, porta all'aumento della popolazione. Aggiungeva anche:
«... quei tempi d'oscurantismo che il signor Asimov cita perché in essi il periodo di vita spettante ad ognuno era di molto inferiore ai settant'anni, sono riusciti a produrre Chartres, Raffaello e Shakespeare. Quali sono i loro equivalenti moderni? Brasilia, Andy Warhol e la fantascienza?»
Rimarcando il suo sarcasmo contro la fantascienza e immaginando facilmente contro chi, in particolare, aveva avuto l'intenzione di dirigere la botta, mi sono sentito giustificato a togliermi i guanti di velluto. Perciò questa, in parte, è stata la mia risposta:
«B. continua facendo rilevare che gli uomini dalla vita breve dei secoli passati hanno prodotto capolavori d'arte, di letteratura e di architettura. Considera ciò come una semplice coincidenza, oppure afferma che il progresso culturale del passato è avvenuto proprio e soltanto perché gli uomini avevano una vita corta?
«Se B. è davvero dispiaciuto per il prolungamento della vita umana, reso possibile dalla scienza, e lo considera micidiale per l'umanità, cosa suggerisce di fare? In fin dei conti non sarebbe difficile lasciar perdere i progressi della scienza, permettere agli scarichi delle fogne d'infiltrarsi nelle tubature dell'acqua potabile, evitare le sale chirurgiche antisettiche, rinunciare agli antibiotici, e poi attendere che il tasso di mortalità aumenti fino a un livello tale da produrre alla svelta (secondo il novello metodo di ragionamento di B.) un altro Shakespeare.
«Se B. desidera davvero una cosa simile, sarà anche pronto a raccomandare che i benefici del maggiorato tasso di mortalità vengano applicati soltanto agli arretrati pagani di lontani paesi, alle razze inferiori di colore più scuro, che, con la loro aumentata velocità di passaggio su questa terra, potrebbero rendere il nostro globo più confortevole agli uomini dell'Herefordshire? Oppure il suo rigido senso di equità lo porterebbe a sostenere con forza che tutte le nazioni, la sua compresa, dovrebbero partecipare a questa nobile impresa? Sarebbe davvero disposto, per dare personalmente l'esempio, a rifiutare con coraggio e nobiltà d'animo di farsi allungare la vita dalla scienza?
«Di fatto, è mai corso alla mente di B. il pensiero che una risposta all'aumento eccessivo della popolazione, data dalle conquiste della scienza e della medicina, è quella di abbassare il tasso di natalità? Oppure, per caso, il controllo delle nascite ripugna al suo senso morale, e lui preferisce di gran lunga curare la sovrappopolazione con le bellezze affascinanti di una peste o di una carestia?»
Anche questa mia lettera venne pubblicata, ma non ebbe risposta.

Punto 2.
A volte ricevo personalmente lettere che esprimono l'insoddisfazione individuale dello scrivente per il mondo moderno, scientifico e tecnologico, e auspicano un rapido regresso, un bel passo indietro, ai tempi del mondo preindustriale, nobili e felici.
Per esempio, di recente ho ricevuto la lettera di un professore di non so che cosa, che si era comprato una fattoria e coltivava da sé quello che mangiava. Mi raccontava tutto giubilante che magnifica cosa fosse, e quanto fosse salutare, e come lui fosse felice di essersi liberato di tutti quegli orribili marchingegni. Ammetteva però di usare l'automobile, e se ne scusava.
Però non si scusava per il fatto di usare anche la macchina per scrivere, e nemmeno perché la lettera mi arrivava per mezzo dei nostri moderni sistemi di trasporto. Non si scusava perché usava la luce elettrica, né perché usava il telefono. Quindi presumo che leggesse alla luce di una fiaccola e che comunicasse per mezzo di segnalazioni luminose.
In risposta, gli inviai un cortese biglietto in cui gli auguravo tutte le felicità del contadino medievale. Ma questo suscitò una replica piuttosto pungente, che conteneva anche una critica negativa del mio libro «Il "Paradiso perduto", commentato da Asimov». (Ah, sì. Adesso ricordo: quel professore era uno studioso di Milton, e penso che abbia avuto a ridire per la mia invasione del «sacro recinto» della sua specializzazione).

Punto 3.
Una volta, durante un dibattito, seguito a una mia conferenza, un giovanotto mi domandò se onestamente fossi convinto che la scienza avesse fatto qualcosa per accrescere la «felicità» dell'uomo.
- Credete che sareste stato felice, voi, se foste vissuto ai tempi dell'antica Grecia? - gli chiesi io.
- Sì - rispose lui, sicuro.
- E quanto sareste stato felice se foste vissuto da schiavo nelle miniere d'argento degli Ateniesi? - chiesi ancora io, con un sorriso. E lui si mise a sedere, per rifletterci sopra.
Oppure pensate a quella persona che una volta mi ha detto: - Come sarebbe stato bello vivere cent'anni fa, quand'era facile trovare dei servitori!
- Sarebbe stato terribile! - dissi subito io.
- Ma perché? - mi domandò, sbalordita.
E io, con estrema praticità: - Avremmo potuto essere i servitori!

A volte mi chiedo se le persone che criticano il mondo moderno, scientifico e tecnologico, non siano proprio quelle che hanno sempre vissuto in mezzo alle comodità, che stanno meglio di tutti e che danno per scontato che, in mancanza di macchine, un'enorme quantità di persone (altre persone, non loro, beninteso!) sarebbero pronte a sostituirle.
Può essere anche che siano quelle persone che non hanno mai lavorato ad essere già del tutto pronte a sostituire le macchine con i muscoli umani (ripeto, non con i loro, naturalmente)! Queste infatti sognano di costruire la cattedrale di Chartres... come architetti e non come lavoratori coatti nelle cave di pietra. Vagheggiano la vita nell'antica Grecia... come Pericle e non come un suo schiavo. Bramano di tornare ai tempi della cara, felice, antica Inghilterra, e alla sua birra scura... come baroni normanni e non come servi sassoni.
In realtà, io mi chiedo quanta parte dell'opposizione delle classi ricche alla tecnologia moderna derivi dal disappunto stizzoso, causato dal sapere che tanti appartenenti alla feccia di questa Terra (io, per esempio) oggi guidano l'automobile, hanno la lavatrice automatica e guardano la televisione. Perché ciò riduce anche le differenze esistenti tra loro stessi e gli aristocratici della cultura, che con alti gemiti proclamano che la scienza non ha portato la felicità. Ha soltanto ridotto lo spazio al loro amor proprio. Proprio così!
Alcuni anni fa veniva pubblicata una rivista, l'«Intellectual Digest», diretta e scritta da gente in gamba, rivista che purtroppo non è sopravvissuta per più di un paio d'anni. Avendo stampato alcuni articoli contro la scienza, i responsabili ritennero probabilmente doveroso stamparne anche qualcuno a favore. E così mi chiesero di scriverne uno.
Io lo feci, e loro mi pagarono. Ma poi l'articolo non venne mai pubblicato. Sospetto (ma non lo so per certo) che abbiano avuto paura che l'articolo fosse offensivo per i loro lettori, la maggior parte dei quali dovevano essere membri di quella vastissima congrega di intellettuali dal cuore tenero, che considerano una dimostrazione di intelligenza non sapere niente di scienza.
Questi lettori, forse erano rimasti impressionati da un articolo di Robert Graves, ristampato nel numero di aprile 1972 dell'«Intellectual Digest», che sosteneva la necessità di un controllo sociale della scienza. (Sono d'accordo anch'io su questo, a patto che il controllo sia esercitato da chi sa qualcosa di scienza).
Graves è uno scrittore classico, cresciuto nella più pura tradizione delle classi elevate britanniche negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale. Sono perciò sicuro che lui sa molto di più sull'Ellenismo precristiano di quanto sappia sulla scienza del periodo postindustriale, e questo rende dubbia la sua autorevolezza in materia di scoperte scientifiche.
Ma ecco quello che scriveva Graves:
«Nei tempi antichi l'uso delle scoperte scientifiche era strettamente controllato per ragioni sociali, se non dagli stessi scienziati, da quelli che li governavano. Per questo la macchina a vapore inventata nell'Egitto dei Tolomei per pompare l'acqua in cima al famoso faro dell'isola di Pharos, venne presto abbandonata, evidentemente perché incoraggiava la pigrizia degli schiavi, che, fino a quel momento, avevano portato a spalle gli otri pieni d'acqua su per le scale del faro.»
Questa, ovviamente, è pura fantasia. La «macchina a vapore» inventata nell'Egitto dei Tolomei era solo un bel giocattolo, che non sarebbe riuscito a pompare acqua tirandola su per trenta centimetri, non parliamo quindi di portarla in cima al faro.
Ma ciò non ha importanza. Il racconto didattico di Graves è vero nella sua essenza, anche se falso nei particolari. L'Età Ellenistica (323-30 a. C.) ha veramente visto i timidi inizi di un'era industriale, e che questo primo progresso si sia subito arrestato può essere dovuto, almeno in parte, al fatto che la mano d'opera degli schiavi era tanto abbondante che non c'era grande richiesta di macchine.
Tra l'altro è anche possibile criticare l'avvento dell'industrializzazione da un punto di vista umanitario, a causa degli effetti che l'uso delle macchine avrebbe avuto sugli schiavi. Che cosa se ne sarebbe fatto uno di tutti quegli schiavi in più? Li avrebbe lasciati morire di fame? O li avrebbe uccisi?
(Chi può negare che gli aristocratici non abbiano cuore?)
Pertanto Graves, e altri come lui, sembrano affermare che nei tempi antichi il controllo sociale della scienza era diretto alla conservazione dell'istituto della schiavitù.
È proprio questo che vogliamo avvenga in futuro? Sono forse pronti, tutti questi idealisti antiscienza, a marciare e a combattere coraggiosamente sotto la bandiera «Viva la schiavitù»? Oppure, dato che la maggior parte degli idealisti antiscienza pensano a se stessi come artisti, gentiluomini di campagna, filosofi, o qualunque altra cosa del genere, ma mai come schiavi, l'insegna della loro bandiera sarà «Viva la schiavitù altrui»?
Naturalmente qualche profondo pensatore può confutare le mie asserzioni affermando che il tipo di lavoro dei campi, reso possibile dalla moderna tecnologia, non è certo meglio della fatica di un antico schiavo. Argomenti di questo genere vennero usati, per esempio, prima della Guerra Civile Americana, per denunciare l'ipocrisia degli Abolizionisti.
Non è una critica del tutto infondata. Tuttavia dubito che un qualsiasi bracciante del Massachusetts sarebbe volontariamente andato a fare il raccoglitore negro di cotone nel Mississippi, convinto che le condizioni di lavoro fossero uguali. Oppure che un raccoglitore negro di cotone del Mississippi si sarebbe rifiutato di andare a fare il bracciante agricolo nel Massachusetts, perché convinto che non ci fossero miglioramenti rispetto al suo stato di schiavitù.
John Campbell, l'ultimo direttore di «Analog Science Fiction», andava anche oltre. Lui credeva, o fingeva di credere, che la schiavitù avesse dei lati buoni, e che comunque tutti fossimo schiavi. Mi era solito dire: - Non sei forse schiavo della tua macchina per scrivere, tu, Isaac?
- Sì, John. Lo sono - rispondevo io - se nel mio caso usi il termine metaforicamente, e sostanzialmente nel caso di un nero nelle coltivazioni di cotone del 1850.
E lui continuava: - Ma tu lavori tante ore quante ne lavoravano gli schiavi, e senza un attimo di respiro!
Io dicevo: - Però non ho un capoccia con la frusta in mano, dietro di me, attento a che non mi prenda neanche un attimo di respiro!
Non sono mai riuscito a convincerlo, ma in compenso mi sono autoconvinto.

Ci sono anche persone che sostengono che la scienza è amorale, che non giudica in rapporto a una scala di valori e che non soltanto ignora i più profondi bisogni dell'umanità, ma li considera del tutto irrilevanti.
Prendete in esame il punto di vista di Arnold Toynbee che, come Graves, è un inglese di classe elevata che ha vissuto gli anni della sua formazione prima della Prima Guerra Mondiale. In un articolo pubblicato sull'«Intellectual Digest» nel dicembre 1971, scrive:
«Secondo la mia opinione, la scienza e la tecnologia non possono soddisfare i bisogni spirituali, ai quali tenta di provvedere la religione, di qualunque tipo essa sia».
Prendete nota che Toynbee è abbastanza onesto da dire «tenta».
E allora, cosa preferite, un'istituzione che non si pone come scopo la soluzione dei problemi spirituali, ma li risolve comunque, oppure un'istituzione che parla continuamente di problemi spirituali, ma non fa mai niente per risolverli? In altri termini, volete fatti o parole?
Considerate anche la faccenda della schiavitù umana. È certamente un problema su cui dovrebbero esercitarsi quelli che si interessano dei bisogni spirituali dell'umanità. È bene, è giusto, è morale che un uomo sia padrone e che un altro uomo sia schiavo? Certo, non è questa una domanda da porre agli scienziati, dato che non è un problema che possa essere risolto studiando le reazioni all'interno di una provetta o osservando lo spostamento di un ago sul quadrante di uno spettrofotometro. La domanda è per i filosofi e per i teologi, e noi tutti sappiamo quanto ampio spazio di tempo abbiano avuto questi ultimi per pensarci su!
Attraverso tutta la storia della civiltà, fino ai tempi moderni, la ricchezza e la prosperità di un numero relativamente piccolo di persone è stata costruita sul lavoro a livello animale e sulla miserabile esistenza di un enorme numero di contadini, di servi e di schiavi. Cosa hanno da dire le nostre guide spirituali a questo proposito?
Nella nostra civiltà occidentale, se non altro, la principale fonte di conforto spirituale è la Bibbia. Leggete allora la Bibbia, dal primo versetto del Genesi all'ultimo versetto dell'Apocalisse, e non troverete una sola parola di condanna della schiavitù come istituzione. Ci sono molte astrazioni sull'amore e sulla carità, ma non un solo suggerimento pratico quanto alla responsabilità di governo per il povero e lo sventurato.
Controllate tutti gli scritti dei grandi filosofi del passato, e troverete a malapena un sussurro di condanna dell'istituzione della schiavitù. Ad Aristotele sembrava addirittura evidente che ci fossero persone idonee, per carattere, a essere schiave.
Per la verità, era evidente esattamente il contrario. I capi spirituali molto spesso stringevano i ranghi a favore della schiavitù come istituzione, sia direttamente, sia indirettamente. Non mancava nemmeno chi giustificava il trasferimento coatto in schiavitù di intere popolazioni dall'Africa Nera all'America, sostenendo che in questo modo i negri venivano accolti tra i Cristiani, e che la salvezza delle loro anime era più che una ricompensa per la schiavitù dei loro corpi.
E inoltre, quando la religione provvede ai bisogni spirituali degli schiavi e dei servi, assicurando che il loro stato durante la vita terrena è volontà di Dio e promettendo loro una vita di eterna felicità dopo la morte, a patto che non commettano il peccato di ribellarsi alla volontà di Dio, chi beneficia maggiormente della situazione? Lo schiavo, la cui vita è resa più sopportabile dalla contemplazione del Cielo? O lo schiavista, che non ha più bisogno di preoccuparsi eccessivamente di migliorare il misero stato degli oppressi né di temere una rivolta?
Per concludere, quando è stato finalmente riconosciuto che la schiavitù è un'istituzione ingiusta, crudele e ingiustificabile? Quando è finita?
Agli inizi della Rivoluzione Industriale, quando le macchine hanno cominciato a sostituire i muscoli.
E allo stesso modo, quando hanno cominciato a essere possibili le democrazie su larga scala? Quando i mezzi di trasporto e di comunicazione di un'era già industriale hanno consentito di risolvere la meccanica di una legislatura rappresentativa su un'ampia estensione di territorio, e quando un mare di beni materiali a buon mercato, sfornati a getto continuo dalle macchine, hanno trasformato le «classi inferiori» in preziosi clienti che valeva la pena di coccolare.
Cosa pensate che potrebbe succedere se oggi girassimo le spalle alla scienza? Cosa succederebbe se una generazione giovane, piena di nobili ideali, abbandonasse il materialismo di un'industria che sembra preoccuparsi più delle cose che delle idee, per trasferirsi, facendo un bel passo indietro, in un mondo in cui tutti sospirano e parlano di amore e di carità? Ecco, senza le macchine della società industriale e materialistica, noi ritorneremmo a un'economia schiavista, e potremmo usare l'amore e la carità per tenere tranquilli gli schiavi.
Cos'è meglio, allora? La scienza amorale che ha messo fine alla schiavitù o la spiritualità che non c'è riuscita in migliaia di anni di chiacchiere inutili?
E la schiavitù non è neanche l'unico punto essenziale della questione.
Nell'era preindustriale tutta l'umanità era soggetta al perenne attacco delle malattie infettive. Tutto l'amore dei genitori, tutte le preghiere della comunità dei fedeli, tutte le eccelse astrazioni dei filosofi non avrebbero potuto impedire a un bambino di morire di difterite, o alla metà dei cittadini di una nazione di morire di peste.
È stata l'insensibile curiosità degli uomini di scienza, che, lavorando senza valori di confronto, hanno ingrandito e studiato forme di vita invisibili all'occhio umano, hanno scoperto le cause delle malattie infettive, hanno dimostrato l'importanza dell'igiene, dell'acqua pura e dei cibi sani, e dei sistemi efficienti di fognatura. È stato così che hanno scoperto i vaccini, le antitossine, gli specifici chimici e gli antibiotici. È stato così che hanno salvato centinaia di milioni di vite. Sono stati ancora gli scienziati a vincere la battaglia contro il dolore e a scoprire come alleviare le sofferenze fisiche quando le preghiere e la filosofia nulla possono. Non sono molti i pazienti che, dovendosi sottoporre a un'operazione chirurgica, chiederebbero il conforto spirituale al posto dell'anestetico!

Allora, solo la scienza è da magnificare?
Chi può contestare le bellezze dell'arte, della musica e della letteratura, che esistevano molto prima della scienza? E cosa ci può offrire la scienza che possa essere paragonato a questi capolavori di bellezza?
Anzitutto, è possibile affermare che la visione dell'Universo, resa più chiara dall'attento lavoro di quattro secoli di moderni scienziati, supera di parecchio in bellezza e maestà (per quelli che si prendono la briga di guardare) tutte le creazioni di tutti gli artisti umani messi insieme, o tutte le immaginazioni dei mitologi, se è solo per questo.
Oltre a ciò, è anche un fatto dimostrato che, prima dei giorni della tecnologia moderna, il fior fiore dell'arte e dell'intelletto umano era riservato ai pochi che erano nobili e ricchi. Sono state la scienza e la tecnologia moderne a rendere possibile la stampa di tanti libri a poco prezzo. Sono state la scienza e la tecnologia moderne a mettere l'arte, la musica e la letteratura alla portata di tutti e a rendere accessibile anche ai meno dotati le meraviglie del genio e dell'anima umani.
Ma la scienza e la tecnologia non ci hanno forse portato anche indesiderabili effetti collaterali di ogni tipo, dal pericolo di una guerra nucleare all'inquinamento da rumore, causato dalle radioline a transistor a tutto volume?
Sì, e non è niente di nuovo sotto il sole. Sempre, l'ultimo progresso tecnologico in ordine di tempo, anche primitivo, ha portato con sé qualcosa d'indesiderabile. L'ascia di pietra ha portato più cibo all'uomo, e ha reso le guerre più micidiali. La scoperta del fuoco ha dato all'uomo la luce, il calore, cibi migliori, e la possibilità d'incendiare e di bruciare qualcuno sul rogo. Lo sviluppo del linguaggio ha reso l'uomo umano, e bugiardo, singolarmente e collettivamente.
Ma la scelta tra il bene e il male è lasciata all'uomo...
Nel 1847 il chimico italiano Ascanio Sobrero produsse per la prima volta la nitroglicerina. Ne scaldò una goccia, e questa esplose fragorosamente. Sobrero ne intuì, terrorizzato, tutte le possibili applicazioni belliche e smise subito gli esperimenti e le ricerche sul nuovo preparato.
Naturalmente ciò non servì. Altri continuarono il suo lavoro, e nel giro di cinquantanni la nitroglicerina, unitamente ad altri esplosivi ad alto potenziale, venne usata in guerra.
Ciò ha reso forse gli esplosivi totalmente dannosi? Nel 1866 l'inventore svedese Alfred Bernhard Nobel scoprì che, mescolando la nitroglicerina con farina fossile di diatomee, il miscuglio risultante poteva essere maneggiato senza pericolo, e lo chiamò «dinamite». Con la dinamite si può smuovere il terreno a una velocità molto maggiore di quella dei picconi e delle pale faticosamente usati in tutte le ere precedenti, e senza abbrutire l'uomo con quest'immane lavoro.
Negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo è stata proprio la dinamite ad aprire la strada alle ferrovie, a contribuire alla costruzione delle dighe, delle metropolitane, delle fondamenta degli edifici e dei ponti, e a centinaia di altre realizzazioni di dimensioni notevoli dell'era industriale.
In fondo, dipende dalla libera scelta dell'umanità se usare gli esplosivi per costruire o per distruggere. Se l'uomo opta per questa seconda scelta, la colpa non è degli esplosivi, ma della follia umana.
Naturalmente si può obiettare che tutto il bene che gli esplosivi possono fare non compensa i possibili danni. Si può anche obiettare che l'umanità è incapace di scegliere il bene ed evitare il male, per cui, essendo costituita da una massa di pazzi, gli esplosivi avrebbero dovuto esserle negati.
In questo caso rammentiamoci dei progressi della medicina, a partire dalla scoperta della vaccinazione di Jenner nel 1798, continuando con la teoria batterica delle origini delle malattie enunciata da Pasteur nel 1860, e così di seguito. Tutto questo ha raddoppiato la vita media dell'uomo, il che è bene, e ha portato all'incremento della popolazione, il che è male.
Per quanto mi consta, nessuno critica i progressi della medicina. Anche oggi, con tanta gente che si preoccupa dei pericoli che possono derivare dal progresso scientifico e tecnologico, non ho mai sentito alcuno protestare per le ricerche sulle cause e sulla terapia delle artriti, delle malattie dell'apparato circolatorio, delle malformazioni congenite e del cancro.
Eppure, il forte aumento naturale della popolazione è il pericolo più immediato che l'umanità deve oggi affrontare. Anche se riusciremo a evitare la guerra nucleare, a neutralizzare l'inquinamento, a imparare a economizzare le risorse naturali e a progredire in ogni ramo della scienza, verremo inevitabilmente distrutti in qualche decina d'anni se non controlleremo il tasso d'incremento delle nascite.
Tra tutte le follie umane, quella di permettere che il tasso di mortalità sia inferiore a quello di natalità, è certamente la peggiore.
Quindi, chi è a favore dell'abolizione dei progressi delle medicine e al ritorno a un'elevata mortalità naturale? Chi è pronto a marciare sotto la bandiera «Viva le Epidemie!»? (Naturalmente, potete anche ritenere che le epidemie vadano benissimo se colpiscono qualche altro continente; però ricordatevi che hanno la cattiva abitudine di estendersi con rapidità).
Allora, vogliamo farla, questa scelta? Conserviamo le conquiste della medicina e pochi altri significativi esempi del progresso scientifico, e abbandoniamo tutto il resto della tecnologia? Dobbiamo ritirarci in campagna e vivere negli splendori senza peccato della vita agreste, dimenticando la città perversa, con tutte le sue macchine?
Però, neanche nei campi dovrebbero esserci le macchine. Niente trattori supercompressi, né mietitrici automatiche, né falciatrici meccaniche, eccetera, eccetera. Non dovrebbero esserci nemmeno i fertilizzanti e i diserbanti chimici, prodotti di una tecnologia avanzata. Non dovrebbero esserci gli impianti di irrigazione, le dighe moderne, e così via. Si dovrebbe rinunciare alle coltivazioni geneticamente selezionate e intensive, perché richiedono una quantità di fertilizzanti e un'ottima irrigazione. Così dovrebbero andare le cose, altrimenti ci ritroveremmo daccapo sul gobbone l'industrializzazione e i suoi complessi apparati.
A queste condizioni, però, l'agricoltura mondiale potrebbe sopperire al massimo al mantenimento di circa un miliardo di persone su questa nostra Terra, mentre capita che oggi, sulla Terra, noi si sia giusto giusto quattro miliardi.
Perciò, se vogliamo diventare un pianeta di agricoltori felici, sarà necessario eliminare dal nostro mondo almeno tre miliardi di persone. C'è nessun volontario? Ehi, voi! Non è corretto spingere avanti gli altri perché si offrano volontari! C'è nessuno che offra se stesso spontaneamente per essere eliminato?
Lo sapevo: non c'è.

Nello stesso articolo che ho già citato, quello in cui parla di bisogni spirituali, Toynbee dice anche:
«Il motivo per il quale la scienza riesce a dare risposta alle proprie domande sta nel fatto che queste domande non sono le più importanti. La scienza non si è ancora occupata dei problemi fondamentali della religione, oppure, quando lo ha fatto, non è riuscita a dar loro una risposta veramente scientifica».
Ma cosa vuole il professor Tonybee? Con le conquiste della scienza abbiamo posto termine alla schiavitù, abbiamo dato sicurezza, salute e agi materiali a un numero di persone più alto di quanto si fosse mai potuto immaginare durante tutti i secoli precedenti l'avvento della scienza, abbiamo messo l'arte e il tempo libero a disposizione di centinaia di milioni di uomini. Tutto questo è il risultato di risposte a domande «che non sono le più importanti». Forse è così, professore, ma io sono un uomo modesto, e queste domande prive d'importanza a me sembrano abbastanza valide, se questo è il loro risultato.
E in che modo, poi, la religione ha risposto alle sue «domande fondamentali»? Quali sono state queste risposte? La maggioranza dell'umanità è forse più morale, più virtuosa, più onesta e più buona a causa dell'esistenza della religione, o l'attuale situazione dell'umanità non è piuttosto una testimonianza del fallimento di migliaia d'anni di pure e semplici chiacchiere sulla virtù?
Esiste un qualche indizio che un particolare settore dell'umanità che segua una particolare confessione religiosa sia più morale, più virtuoso e più onesto di altri settori dell'umanità che seguono altre particolari confessioni religiose, oppure, se è solo per questo, non ne seguono alcuna in particolare? O che lo sia stato in passato? Io non ho mai sentito parlare dell'esistenza di indizi del genere. Se non fosse riuscita a conquistarsi note di merito migliori di quelle della religione, la scienza sarebbe scomparsa da chissà quanto tempo.
Il re è nudo, ma il timore superstizioso impedisce alla gente di farglielo notare.

E adesso tiriamo le somme...
La strada presa dalla scienza e dalla tecnologia moderne può anche non piacervi; ma non ne esistono altre.
Citatemi un qualunque problema del mondo, e io vi risponderò che se la scienza non può risolverlo, non esiste nient'altro al mondo in grado di risolverlo. Quindi potete scegliere: una vittoria possibile con la scienza e la tecnologia, o una sicura disfatta senza di loro.
Che cosa scegliete?

FINE