Science Fiction Project
Urania - Racconti d'appendice
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DICONO... - Roberto Genovesi

In paese gira la voce che sia in atto una invasione aliena.
Dicono che numerosi oggetti volanti luminosi a forma di piatto siano atterrati di notte, non più di una settimana fa, nell'orto degli ulivi sulla strada per Lucca.
Agostino, il padrone di quelle terre, dice di averli visti, infuocati e saettanti, con i suoi stessi occhi, e di essersela data a gambe per la paura.
Ma io non credo a una sola delle parole che ha raccontato al brigadiere, tanto più che, il mattino dopo, i dischi volanti sembravano essersi volatilizzati come il disinfettante che si dà ai filari dell'uva.
Certo, ci sono delle grosse macchie bruciate vicino al ciglio della strada, ma potrebbe averle provocate lui con un piccolo incendio per non essere preso per scemo dalla gente del paese, che sarà pure rozza e analfabeta ma mica è cretina.
Alcuni creduloni, con Agostino in testa, dicono che gli alieni si sono mescolati ai paesani per portare avanti le loro macchinazioni di conquista. Secondo loro sarebbero in grado di assumere sembianze umane e di insinuarsi nei corpi delle persone senza nemmeno che i legittimi proprietari se ne accorgano, ma io credo che siano diventati tutti pazzi.
E colpa è tutta di quelle maledette televisioni private che continuano a trasmettere uno dopo l'altro quegli scellerati film di fantascienza, che servono solo ai più fragili per perdere la fede in nostro Signore, e agli altri per perdere, oltre a quella, anche la testa.
Sono già le cinque. Come mai Giovanni non arriva ancora?
E sì, perché alieni o non alieni, Giovanni e io non possiamo perdere la nostra giornaliera sfida a scacchi.
Sono cinque anni che ogni pomeriggio alla stessa ora ci vediamo per giocare, e sono cinque anni che quell'imbranato, presuntuoso uomo del volgo cerca di battermi senza riuscirci.
Ho studiato, io, non sono mica come loro. Se non fosse stato per la morte dei miei e se non avessi dovuto amministrare i loro averi qui, sarei andato in città e lì sarei senz'altro diventato qualcuno.
Il campanello della porta suona ripetutamente. Tre trilli alternati. È Giovanni.
Gli ho detto io di suonare in questo modo. Per farsi riconoscere. Io non credo che la storia degli alieni sia vera, ma se non altro solo Giovanni potrebbe essere al corrente del fatto che gli ho chiesto di suonare in un certo modo per farsi riconoscere. Non vorrei mettermi in casa una creatura che improvvisamente comincia a sputare bava verde e a mettere le squame.
Vado alla porta e la apro con circospezione. Giovanni si leva il cappello e si gratta la testa calva con quelle sue mani grosse e callose. Accenna a un sorriso e si pulisce i grossi stivali da lavoro sullo stuoino.
- Sei in ritardo, oggi - gli dico lasciandolo entrare. - Gli alieni ti hanno forse fermato per la strada?
Giovanni smette improvvisamente di sorridere e mi guarda con quei suoi occhi verdi, lucidi come la gelatina dei supermercati.
- Sto scherzando, avanti - lo rassicuro, invitandolo a sedere al solito tavolino dove già da un'ora ho disposto la scacchiera.
- Forza, muovi - gli dico, mentre riprende a grattarsi la testa. Lo conosco da una vita e non ha mai smesso di compiere quella inutile operazione in qualsiasi situazione si trovasse. Alle volte credo che abbia perso tutti i capelli proprio a forza di scorticarsi quel capoccione vuoto.
Giovanni mi guarda un momento e muove il pedone di fronte alla regina. Ha sempre fatto questa mossa. Vuole sempre attaccare subito e, anche dopo cinque anni di batoste, non capisce che non può fare così perché poi finisce per scoprirsi troppo e perdere in non più di sette mosse.
Guardo l'orologio a pendolo vicino alla mensola del camino battere le sei. È più di mezz'ora che giochiamo e Giovanni non è ancora capitolato, anzi ribatte mossa su mossa, certe volte mettendomi anche in difficoltà. In cinque anni non gli era mai successo. Che sia diventato improvvisamente un esperto di scacchi? Oppure in città hanno messo in vendita a mia insaputa una medicina per accrescere l'intelligenza e Giovanni ne ha fatto una scorta?
Ho visto che l'altro giorno caricava sul camion delle casse di legno molto voluminose, ma non sono riuscito a capire cosa contenessero. Forse tante scatole di quella medicina?
Sì, ma se così fosse stato avrebbe dovuto trasportare le casse dal camion a casa, e non il contrario come stava facendo.
Osservo Giovanni mentre muove l'alfiere e mi mangia la torre. Ammucchiati dalla sua parte ci sono sei pedoni, la regina, due cavalli e quest'ultima torre. Io gli ho portato via solo un alfiere e due pedoni. Indubbiamente mi sta battendo.
Ho visto un film ieri sera su una di quelle televisioni. Ora non ricordo quale. Credo si intitolasse L'invasione degli oltracarpi o qualcosa del genere. Anche lì gli alieni si sostituivano alle persone prendendo le loro stesse sembianze. Ed erano uguali, spiccicati. Se anche quelli che dicono essere scesi nell'orto di Agostino dovessero usare la stessa tecnica, ci fotterebbero tutti.
E se avessero già contagiato Giovanni? Per essere lui, questa sera è troppo forte.
E se le casse che trasportava l'altra mattina avessero contenuto dei corpi umani? Raggomitolati non avrebbero avuto difficoltà a entrarvi.
Potrebbe esserci stato anche il corpo del vero Giovanni, in una di quelle casse, e magari anche quelli di molte altre persone che conosco e con cui parlo senza accorgermi del loro cambiamento. Se dovesse continuare in questo modo, prima o poi mi ritroverei circondato da mostri e destinato a fare la loro stessa fine, o meglio la fine delle persone nei cui corpi si sono insinuati.
Senza farmi notare da Giovanni, nascondo la mano sinistra nella tasca del giaccone, pronto a tirarla fuori di scatto semmai la persona che mi trovo di fronte dovesse fare qualche mossa sospetta.
Mentre Giovanni continua a guardare assorto la scacchiera, io lo osservo attentamente, senza darlo troppo a vedere.
Le mani sono le stesse, con le stesse cinque dita callose e sporche di terra secca che ormai neanche la candeggina potrebbe togliere. La solita corporatura goffa e pesante, la solita bocca nervosa, i soliti occhi... ma non devo farmi ingannare.
Finisce la partita e Giovanni, per la prima volta in anni di sfide, mi dà scacco matto.
È praticamente raggiante. Si alza dalla sedia e comincia a saltellare battendosi il petto.
Cerco di calmarlo assicurandogli che si è trattato di un caso, e mentre rimetto a posto gli scacchi gli indico il suo posto per fare un'altra partita.
Giovanni vince anche questa, e poi, di seguito, altre due.
Più passa il tempo e più vedo la gioia sprizzargli da tutti i pori.
Decido di agire. Giovanni è sicuramente uno di quegli alieni che sono scesi l'altra notte, o meglio qualcuno di loro si è infilato nel corpo indifeso di colui che fino a qualche giorno è stato il mio amico Giovanni.
L'uomo che mi è di fronte mi guarda con terrore. Ha capito di non essere più in grado di ingannarmi ancora. Cerca di indietreggiare e di alzarsi dalla sedia, ma per lui è troppo tardi.
Tiro fuori dalla tasca il braccio e gli stringo la chela attorno al polso. Mentre sento l'osso sgretolarsi sotto la mia presa, la lingua mi saetta dalla bocca e va ad attorcigliarsi attorno al collo del mostro ormai in trappola.
Giovanni mi guarda inorridito, strabuzza gli occhi e cade soffocato sulla scacchiera mandando tutti i pezzi in terra.
Osservo la scena con soddisfazione. Il mio tempismo mi ha salvato la vita. E pensare che, se avessi atteso ancora qualche attimo, sarei molto probabilmente diventato uno dei loro.
Sospiro di sollievo e mi alzo. Nasconderò il corpo di Giovanni in cantina. Nessuno dovrà sapere per il momento, ma, quando tutti saranno consapevoli del tentativo di invasione, potrò dire di aver contribuito a sventarlo e forse mi faranno anche sindaco di questo paese di ignoranti contadini.
Sollevo il corpo attaccato dal male alieno e scuoto la testa.
Se non fossi stato messo in guardia dalle voci, ci sarei cascato come uno stupido. Questo pare in tutto e per tutto il corpo di Giovanni.
Dicono che gli alieni siano in grado di catturare i corpi delle loro vittime umane a loro stessa insaputa. Magari Giovanni era diventato uno di loro, obbediva ai loro ordini e, poveretto, nemmeno se ne rendeva conto.

FINE