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Utopia & Dystopia
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I FUORILEGGE DEL MATRIMONIO - Luigi Renato Sansone

Fig. 1.

Luigi Renato Sansone è nato 1'8 febbraio 1903 a Lucera (Foggia), ove il padre svolgeva le funzioni di Pretore. Ha però sempre vissuto a Napoli ove ha compiuto gli studi e dove, dal 1936, esercita l'avvocatura.
Giovane socialista a 18 anni, avversò il fascismo e venne sottoposto, durante la dittatura, alla vigilanza della polizia. Nel 1943, con altri pochi compagni, ricostituì il Partito socialista a Napoli e nel Mezzogiorno. È stato più volte membro della Direzione del PSI e attualmente fa parte del Comitato Centrale.
Designato dal Comitato di Liberazione, nel 1943 fece parte della prima Giunta democratica che amministrò il Comune di Napoli. Fu in seguito nominato direttore dell'Alimentazione, e seppe riorganizzare con energia i servizi. Nel 1945, in qualità di Vice Alto Commissario per l'Alimentazione, dette impulso al movimento delle Cooperative di consumo.
Fu Sottosegretario all'Alimentazione nel Gabinetto Parri e poi, fino al febbraio 1947, Alto Commissario Aggiunto dell'Alimentazione portando, nell'esplicazione di questa sua attività, l'esperienza che gli veniva dall'aver provveduto al rifornimento alimentare della città più affamata e più sconvolta d'Italia.
È stato consultore nazionale e poi deputato alla Costituente per la circoscrizione di Napoli-Caserta. Rieletto nel 1948, è stato nuovamente eletto il 7 giugno 1953.

Prefazione

Le lettere qui pubblicate sono parte di quelle che ho ricevuto e continuo a ricevere dal giorno nel quale l'Europeo dette l'annunzio che avevo allo studio una proposta di legge per lo scioglimento del matrimonio in pochi e determinati casi.
Fu lo stesso l'Europeo che nel darne l'annunzio usò come titolo Il «piccolo divorzio» che ora è entrato nel linguaggio comune per indicare la proposta di legge n. 1189 presentata alla Camera dei Deputati il 26 ottobre 1954 e che è pubblicata in Appendice.
La scelta delle lettere non è fatta col fine di dimostrare o rafforzare una «tesi», ma si è solo voluto dare una documentazione e una testimonianza viva dello stato di sofferenza e inferiorità nel quale vivono tanti italiani per situazioni nelle quali si trovano cacciati e dalle quali non hanno possibilità di uscire; situazioni che hanno spinto me alla presentazione della proposta di legge e che ha fatto rivivere - da quella cenere sotto la quale era rimasto artificiosamente nascosto - il grave problema di una riforma della legislazione che tenga conto delle tante anomalie nel campo matrimoniale e principalmente della filiazione illegittima ed adulterina.

Così i «divorzisti» si sono schierati contro gli «antidivorzisti» e la questione - come era naturale che fosse - dalla stampa quotidiana settimanale a rotocalco è passata nel dominio di quella giuridica e filosofica e fra questa la più attiva quella dei giuristi cattolici i quali ne hanno trattato anche in appositi convegni.
Il problema, per me, però, come ho avuto modo di dire nella relazione che precede la proposta, non va posto nell'alternativa: divorzio-non divorzio, ma solo nella valutazione sul se è necessario e utile che lo Stato intervenga per legalizzare tante situazioni illegali. Solo cosi diventa problema veramente aderente alle necessità sociali uscendo da una polemica che è sterile per essere le due posizioni inconciliabili.
Pertanto il solo criterio che deve guidare, ripeto, è quello della opportunità o non di una modifica, in tal senso, delle nostre leggi.

La proposta da me avanzata ha avuto consensi e dissensi; a quelli che hanno posto e pongono una serie di dubbi, critiche e opposizioni, cercherò di dare le risposte nelle sedi opportune.
Qui, solo per meglio comprecisare le ragioni che mi hanno determinato a presentare la proposta, aggiungo a quanto già detto nella citata mia relazione e nella risposta a Mons. Staffa, le seguenti osservazioni:
1) Si è voluto sostenere che in Italia, una legge come da me proposta, non può sperare di giungere all'approvazione data la composizione attuale del Parlamento.
L'obiezione non mi sembra fondata perché si tende a «politicizzare» un provvedimento legislativo che viceversa è atteso da tanti italiani solo come un rimedio.
La verità è che sul problema dello scioglimento del matrimonio vi fu un gran parlare dal 1880 al 1914 e su di esso l'Italia ebbe a dividersi, come era logico che fosse allora, in laica e clericale e la questione stessa venne sbandierata come una delle forme di lotta tra Stato e Chiesa.
E se le tante proposte di legge che furono presentate alla Camera dei Deputati non giunsero all'approvazione (si veda la mia relazione) fu proprio per lo scatenarsi e per l'acuirsi di questa lotta che adulterò l'essenza e lo scopo delle proposte stesse.
La situazione di oggi però non può essere rapportata a quella del 1914; i rapporti fra Stato e Chiesa vanno raggiungendo un sempre più giusto equilibrio e una più esatta delimitazione, e l'azione che tende a unire tutte le masse per l'attuazione della Costituzione e per il rinnovamento sociale del nostro Paese, fa perdere al problema l'aspetto di una «crociata» per porlo su quello esclusivo di una limitata riforma del diritto positivo al fine di risolvere gravi situazioni illegali.
2) Mi si è opposto che la società italiana, al momento, non avverte la necessità della modifica da me proposta.
Non credo che ciò sia esatto.
Sono anni che vi è un vasto movimento per porre un rimedio legale alla situazione di inferiorità cui è soggetta la filiazione illegittima o adulterina.
Dopo la guerra 1915-18 apparve come inderogabile la emanazione della legge per la dichiarazione di assenza e della morte presunta (istituto che ha trovato successivamente collocazione negli articoli 48 e seguenti del Codice Civile) per dare possibilità alle mogli dei dispersi di uscire da una illegalità permanente. Si risanò cosi un vasto settore del nostro tessuto sociale.
Di poi con la affiliazione o piccola adozione si è trovato il modo di poter far fruire degli assegni familiari, delle indennità di assicurazione e degli altri benefici assistenziali i figli illegittimi o adulterini che tali non appaiono dietro, la mascheratura di un affidamento.
Infine si è avuta la legge 10 novembre 1955, quella cioè che dispone di non inserire negli atti di nascita la indicazione della paternità e maternità potendosi cosi, con tale artificio, non scrivere quella paternità ignota che ha rappresentato e rappresenta il tormento e la vergogna di milioni di italiani. È quindi un muoversi cauto e lento della nostra legislazione che mostra chiaramente la volontà della nostra società di vedere, per lo meno, attenuate le conseguenze di chi si è posto fuori legge.
È ovvio che questi rimedi non risolvono il problema, il quale d'altronde non può essere risolto - come qualcuno potrebbe essere indotto e con superficiale giudizio, a ritenere - in forma totale (libertà di sciogliere il matrimonio per mutuo consenso quando e come si crede), perché la società italiana fondamentalmente cattolica e condizionata dalla arretratezza economica di alcune classi soverchiate da altre, subirebbe uno sconvolgimento inutile e quindi un danno che si ripercuoterebbe proprio sulle classi meno abbienti, perché il Paese verrebbe ad essere distolto dal compiere riforme più urgenti e più indispensabili.
Però questa considerazione non può portare il legislatore a non seguire quel moto lento che la volontà popolare mostra nel voler vedere attutito il danno delle filiazioni fuori legge.
La mia proposta ha proprio questo fine: essa tende a esprimere questa volontà popolare, tenendo presenti le nostre esigenze religiose, morali, tradizionali e principalmente la norma fondamentale che cioè in tema di matrimonio si impone sempre una legiferazione cum grano salis.
3) Infine si è detto, specialmente da scrittori e giuristi cattolici, che il matrimonio o è indissolubile o non è, e quindi non è ammissibile per il nostro sistema né un «piccolo» né un «grande» divorzio. Questa osservazione tenderebbe a stroncare in nuce la proposta stessa.
Ma a mio parere si cerca, cosi facendo, di portare la discussione sul piano dogmatico o di spostarla verso quella «crociata» cui accennavo dianzi.
Il considerare un istituto giuridico, sia pure complesso e importante come quello del matrimonio proprio per i riflessi che ha nella nostra società, come immutabile, per una forza che sarebbe fuori del nostro vivere sociale, significa far rivivere quel diritto naturale, cui non possiamo riferirci o affermare la immutabilità di alcune leggi che è teorica irreale e pericolosa, non solo per il grave problema che ne occupa, ma anche per lo sviluppo del nostro vivere sociale.
Perciò il criterio dell'est, non est va scartato, perché non trova fondamento nel nostro diritto positivo ove le leggi possono nei modi costituzionali e parlamentari essere sempre modificate. D'altronde la mia proposta non vuole, né può sconvolgere il sistema matrimoniale in Italia; essa vuole essere solo, ed è chiaramente detto, un rimedio, un salvare dei naufraghi della vita; un tutelare meglio degli innocenti e infine un tentativo per dare allo Stato un mezzo per risolvere quei pochi casi nei. quali si ha la certezza quasi assoluta che il matrimonio è rotto e che esiste altra famiglia con prole adulterina.
È perciò il mezzo per far rientrare nella legalità i «fuori legge» del matrimonio, di quelli che hanno sbagliato in un momento della loro vita e che avvertono la umana impossibilità di «riabilitarsi» pur essendo dei buoni e onesti cittadini.
Né può negarsi a uno Stato moderno, come quello italiano, tale mezzo legale per la ricostituzione del suo tessuto sociale.
Perché è lo stesso matrimonio che porta in sé (come suo aspetto degenerativo) il rompersi e come lo Stato provvede ad arginare, correggere e risanare tutti i fenomeni morbosi, degenerativi, patologici e delinquenziali, che si verificano nella vita sociale, cosi non può non avvertire la «calamità») (per ripetere una felice espressione usata nel recente rapporto presentato al Parlamento inglese da una Commissione di inchiesta sul divorzio) dei matrimoni che si dissolvono con il conseguente sorgere delle famiglie ex legge.
Su questo punto non credo che siano state date risposte soddisfacenti. È stato detto che sciogliendo il matrimonio si verrebbe a premiare il «delinquente» (cioè colui che avrebbe infranto il matrimonio) dandogli la libertà; e che a nessuno verrebbe in mente di aprire le carceri per far cessare la delinquenza. Ciò però significa ragionare per assurdo, perché non può reggere il confronto fra chi infrange la legge penale e chi vien meno al solenne obbligo assunto col matrimonio. E poi si dimentica volutamente come complessi siano i rapporti fra uomo e donna e come difficile, possa divenire, talvolta, anche per ragioni indipendenti dalla propria volontà, nella realtà quotidiana, quel consortium omnis vitae che è la base del matrimonio.
Non basta dimenticare le coppie more uxorio o fingere di ignorare che vi sono tanti figli illegittimi e adulterini. Essi sono presenti nella nostra società; essi sono tanta parte di noi stessi. E allora che fare per essi? E in concreto:
Che può e deve fare lo Stato italiano per le «spose di guerra» che sono nelle condizioni di quella della lettera a p. 33 di questo volume o per i tanti cittadini italiani abbandonati i cui coniugi divorziati, nella patria di origine, hanno altra famiglia legale?
Che può e deve fare lo Stato italiano per quelle coppie che vivendo more uxorio da molti anni e avendo figli adulti vogliono, prima di morire, vedere riparato legalmente un loro errore dopo aver vissuta una vita esemplare?
Che può e deve fare lo Stato italiano per il coniuge di un ergastolano che non crede di restare fedele a chi dallo stesso Stato è reputato indegno della libertà per tutta la vita?
Che può e deve fare lo Stato italiano per il coniuge tradito che non vuole uccidere?
Deve disinteressarsi o deve emanare leggi precise affinché i giudici possano correggere queste imperfezioni del sistema?
Ed è più utile al sistema il disinteresse dello Stato, per cui il fenomeno degrada in corruttela del costume o è più necessario porvi un rimedio?
Ecco gli interrogativi che balzano evidenti dalle lettere pubblicate; ecco le testimonianze che si offrono al lettore affinché possa giudicare.

Napoli-Roma, maggio 1956
Luigi Renato Sansone

Lettere

U., 4 dicembre 1955

Onorevole Senatore,

Dalla Rivista Epoca n. 260 del 25-9-1955, Settimanale Mondadori, ora capitatami, ho rilevato di quanto si interessa al fine di ottenere dal Parlamento e dal Governo, l'approvazione del Piccolo Divorzio.
Il sottoscritto ex Combattente della Guerra 1915-18, sarebbe uno di quelli di cui al n. 3 della proposta, e per tanto per maggiormente rafforzarla, in pari data ho fatto esposto al Capo dello Stato ed al riguardo ne allego copia integrale con la speranza che possa dare una spinta a chi non intende ancora decidersi per l'approvazione della Sua Sana e Santa proposta che beneficierà chissà quante persone che vivono nel disonore.
Grazie assai On. Senatore e che il Signore la benedica.

[seguono nome, cognome e indirizzo]

U., 4 dicembre 1955

A Sua Eccellenza il Prof. Giovanni Gronchi
Capo dello Stato Italiano, Roma

L'uomo che si permette di scrivere è un povero Cittadino Italiano che per forza di cose ha dovuto crearsi una famiglia illegittima.
Lo scrivente è quindi L. P. fu D. e fu C., nato in U. il giorno 9 aprile 1886 il quale contrasse, lo sfortunato, matrimonio il giorno 7 marzo 1915 con la giovane M. R. fu V.
Nel divampo della Guerra (24 maggio 1915) contro l'Austria-Ungheria il sottoscritto venne richiamato in servizio militare e partì il 14-8 del detto anno, appena dopo cinque mesi del detto matrimonio.
In guerra fece il proprio dovere di Soldato Italiano, combattendo contro il vecchio nemico nostro invasore, ma disgraziatamente nella battaglia che si svolse nella notte del 19 marzo 1916, sul Valloncello Santa Maria di Tolmino venne fatto prigioniero dal nemico e internato al Campo di Concentramento di Mauthausen (Austria). Si conosce la vita che passarono i prigionieri, specie dopo la sconfitta di Caporetto.
Fu dura la prigionia colma di patimenti, però la nostra guerra 15-18 fu vinta!...
Durante il suddetto internamento la corrispondenza con la moglie del sottoscritto fu normale, regolare e nessun sentore venne a conoscere di come era la condotta della moglie stessa, rimasta in Italia.
Conclusosi l'Armistizio, il petente, con una tradotta militare, formatasi allo Scalo ferroviario di Mauthausen il giorno 4 novembre 1918, si avventurò, in quella marea di prigionieri, con l'ansia, con quell'amore per raggiungere la Madre Patria, i vecchi genitori, la giovane moglie. Sceso alla stazione di Pontebba, insieme ad altri si avviò a piedi, ma dopo un paio di giornate di cammino venivano rastrellati e condotti al Concentramento di San Prospero, paese vicino Carpi. Ed allorquando egli era in attesa di avere la prescritta licenza, dopo la quarantena, ricevette una lettera dal suo paese, che pur essendo anonima era chiara e precisa nelle tristi comunicazioni che riguardavano proprio la moglie del rimpatriante di una dura e lunga prigionia di guerra; giacché questa durante l'assenza del marito si era resa infedele al talamo coniugale, scegliendosi come ganzo l'Arciprete del Comune, tale S. M.
La notizia colpi in pieno l'onore del sottoscritto, quando è risaputo che i Meridionali, specie i Calabresi, pongono l'onorabilità della famiglia, proprio sulla donna.
Ebbe concessa la licenza ed il 24 dicembre 1918, arrivò nel natio paesello ma non per andare ad abbracciare la moglie adultera, ma in casa dei vecchi genitori. Del rimpatrio del marito, la M. non si commosse, né fece atto di avvicinamento, tutt'altro, rimase indisturbata nella propria casa. Durante la breve permanenza in paese, indagò sulle notizie avute comunicate le quali disgraziatamente risultarono a verità. Non volle lordarsi le mani nel sangue dei vigliacchi e terminata la licenza andò al Distretto Militare di C., aggregato al 19° Regg. Fanteria. Fu congedato il 16 agosto 1919. Riprese l'impiego, abbandonato il 14-8-1915, per ragioni di richiamo alle armi, nella qualità di Applicato di Segreteria al servizio del Comune di U.
Per circa due anni trascorse una vita seria ed ordinata, però i genitori invecchiavano e le cose si presentavano male, motivo per cui dovette trovarsi una compagna e la scelta cadde sull'onesta e giovane ragazza M. R. fu D. Allora, appena quel dopo guerra, si parlava di un eventuale divorzio, proprio in favore degli ex combattenti e fu con tale speranza che la ragazza si convinse di fare l'illecito passo.
Ciò avvenne nel gennaio del 1921.
La M., moglie adultera, infedele, querelò ad entrambi anche per adulterio e, portatosi il dibattimento all'Udienza del 13 ottobre 1921, il Pretore condannava la querelante in forza dell'articolo 353 C. P. Contro la sentenza del Pretore, la M. mosse appello ed il Tribunale di C. con decisione del 2 marzo 1922 dichiarò inammissibile l'appello condannando l'appellante alle maggiori spese.
La M., però, intuendo il risultato dell'appello si affrettò di procurarsi il Passaporto per l'Estero e nella fine del 1921, emigrò per San Paolo (Brasile). Dopo poco tempo emigrava pure l'Arciprete M.
La M. perciò, manca da questo Comune da circa 34 anni e dicesi che spacciandosi per vedova di guerra si sia rimaritata. Questa donna non ha dato più nuove di sé.
Il sottoscritto, con la compagna mandatale dal Signore, ha procreato sette figli, dei quali quattro viventi, tre maschi e una femmina.
E perché questi debbono continuamente subire l'onta della illegittimità che mortifica ed umilia in modo terribile, di fronte alla Società, l'onore della persona? Perché il sottoscritto che pensionato per raggiunto limite di età, non deve lasciare a morte sua, il frutto del sudato lavoro, alla donna che divise, durante tanti anni, i limitati piaceri e gli innumerevoli dispiaceri? La M. R. è la sposa di cuore che merita ogni riguardo e pertanto a lei deve andare la pensione in caso di un decesso giacché il sottoscritto è più vecchio di 13 anni.
Tale è la storia, Eccellenza, di un ex vecchio combattente e che spera sia presa in seria considerazione, dal Capo dello Stato, ed autorizzare, nei limiti del possibile, lo scioglimento del matrimonio primitivo acciò di poter riabilitare, con un umano provvedimento, lo stato di illegittimità del sottoscritto insieme a quello dei propri figli e dell'attuale moglie.
Spera dall'Ecc. Vostra.

[seguono lo stesso nome, cognome e indirizzo]

P.S. - L'adultera è morta per il sottoscritto, il sottoscritto è morto per la stessa.



L., 12 agosto 1954

On. Luigi Renato Sansone,

dai giornali ho appreso avete presentato un progetto di legge che prevede la possibilità del divorzio nei casi gravi dei matrimoni falliti in Italia. Perché io sono interessata perché da 14 anni convivo con un uomo, che da circa 24 anni è diviso dalla moglie per abbandono di questa del tetto coniugale volontariamente ed arbitrariamente, mi permetto scrivervi per informarvi io prego per la vostra salute e il vostro progetto di legge si avvera pei seguenti motivi:
1°. Perché desidero sposare con l'uomo che amo ed ho sinceramente amato, che mi riama.
2°. Perché ho quattro bellissimi figli, alla fotografia alligata, che desidero pigliano il nome del padre che di diritto spetta loro.
3°. Perché avere dei figli legittimi, perché ho sempre vissuto e vivo col padre senza il minimo contrasto, mi addolora vedendoli nelle scuole riconosciuti figli di N. N., solo perché una legge infamante impedisce ad un uomo il riconoscimento delle proprie creature.
Con fiducia il Santo Padre saprà smentire la cricca degli interessati che vivono d'imbrogli e di ricatti, attraverso i processi nei Tribunali Ecclesiastici, dove gli Avvocati Rotari cercano milioni d'onorari, con congruo acconto. Vi prego Onorevole di continuare ad avere forza per arrivare alla mèta col plauso di tutto il Popolo che come me prega per voi affinché il Signore vi dia forza e salute per evitare milioni di coniugi e di figli cessano di vivere nella vergogna e nel disonore per volontà della cricca che ha interesse l'Italia continua ad essere considerata un Paese della più volgare prostituzione, che in effetti è una conseguenza della incomprensione da parte delle Autorità Civili e Clericali, mentre in tanti Paesi Civilissimi e Cattolici il divorzio è una liberazione da imbrogli, simulazioni ed incomprensione.
Si pretende l'indissolubilità del matrimonio, anche nei casi previsti dal Diritto Canonico e dal Codice Civile e da casi gravi per ragioni d'incomprensione che poi apportano delitti a non finire, mentre all'Estero questioni matrimoniali si risolvono con piena soddisfazione dei coniugi, la Norvegia al primo posto, subito dopo l'Austria, l'Ungheria, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, ecc...
Quale è la colpa del coniuge innocente se è stato abbandonato?
Nel caso dell'uomo che amo, esso fu abbandonato subito dopo il matrimonio che fu una simulazione di consenso e di incomprensione dei doveri coniugali con mancato assolvimento. Dopo tanti anni, questa donna che è anche adultera per dare il proprio consenso all'annullamento dei matrimonio, spudoratamente richiede milioni anche pel riconoscimento dei miei figli. È una vergogna a scopo ricattatorio ed una vergogna per gli italiani tutti per evitare delitti cosi frequenti in casi del genere, dove non manca la comprensione e la fuorviazione della Giustizia a danno della moralità.
Con ossequi e preghiere al Signore per la vostra salute.
Devotissima

[seguono nome e cognome]

Fig. 2. [Leggenda apposta sul retro della fotografia]

All'On. Luigi Renato Sansone con preghiera di tenere presente il padre sposò irregolarmente con una Belga il 5-3-31 e subito dopo fu abbandonato, volontariamente ed arbitrariamente da questa moglie con la quale non esistono figli; mentre con mé esistono i 4 figli alla presente fotografia, di cui la prima nata il 12-6-1941, il 2° il 6-9-1944, il 3° il 15-1-1946 e il 4° il 22-3-1947.
È onesto figli che conoscono il proprio padre si chiamano figli di N. N.?
Per quale legge morale?
Con auguri pel progetto di Legge di cui al piccolo divorzio.



P., 28-10-1954

Onorevole Sansone,

Dopo la lettura dell'Europeo (L'Europeo pubblicò il 24 ottobre l'articolo Ecco il mio progetto del «piccolo divorzio» di L. R. Sansone) di questa settimana il mio cuore si è riaperto alla speranza. Ho sentito il bisogno di entrare in Chiesa e ringraziare il Signore e pregare, pregare perché questo sogno diventi realtà e quindi liberazione. Ma chi sarà il fanatico direi meglio, il bruto che oserà opporsi a questa legge giusta e santa? Chi oserà votare per la condanna a morte di molte creature tanto maltrattate e mortificate dall'avversa sorte?
Spero tanto, Onorevole. Ho 31 anni. Siamo giunti alla determinazione di dividerci dopo soli quattro mesi di matrimonio. Mi sono sposata a soli 17 anni. Mio marito convive con la donna che teneva prima di sposare, ha un figlio che frequenta la scuola media, so che è felice. Non dovrei dirlo, ma sento di allontanarmi sempre più dalla fede cristiana, forse finirò col perdere completamente la religione. Solo per me, dunque, esiste l'indissolubilità. Perché mi è negato tutto, il sorriso di un bimbo che avrei tanto desiderato? Cosa ho fatto per meritare questa terribile condanna, è questo che vuole la legge Cattolica?
Spero tanto Onorevole.
Il Signore dovrà assisterlo nel suo santo lavoro.

[senza firma]



F., 28 Febbraio 1955

Il caso del sottoscritto è unico in Italia e forse nel mondo: io sono separato da mia moglie da circa trenta anni in un primo tempo per profonda, più che profonda incompatibilità, poi per notissimo adulterio da parte di essa: mia moglie profittando della mia assenza in casa, essendo io allora un cantante e trovandomi all'estero, abbandonò il tetto coniugale per andare a vivere con l'amante e commettendo l'altro reato di vendere la mia proprietà che era a suo nome, ed anche tutto il mobilio ed una completa biblioteca musicale che arredava la mia casa. È facile comprendere se tutto questo è ammissibile e sopportabile per un povero marito.
Ma non è finita qui con questa sciagurata donna, poiché morto il suo amante ed ereditando da questi una certa fortuna, mia moglie, forse stanca e pentita o forse ipocritamente s'è fatta suora. Non si sa come sia riuscita a questo, io, naturalmente, non avendo dato nessun consenso per tale suo passo; forse, siccome io allora ero all'estero, mi fece risultare morto o disperso.
Ora, già da tanti anni essa è suora di clausura dell'ordine delle sepolte vive. Pace a lei! Ma io? Io, intanto, invecchio (ho 64 anni) sono solo e triste ed ho una grandissima ed urgente necessità di un vero affetto e di una sistemazione.
È ammissibile Onorevole ed è umano che in tali condizioni io non debba avere la mia libertà ed il grande, il solo beneficio, di cui tutti abbiamo bisogno, cioè quello di un vero affetto nel tesoro degli affetti familiari?
È giusto ed umano pel caso mio specifico che essendo stato all'estero per circa 30 anni e potendo quindi ottenere il divorzio naturalizzandomi cittadino di uno dei paesi dove sono stato tanti anni, non ho voluto per amore della mia patria Italia rinunciare alla mia vera nazionalità ed ora, per questo mio lodevolissimo sentimento patriottico, io debbo, qui proprio in Italia, nel mio amato paese nativo, subire l'ingiustizia di essere privato dell'umano beneficio di costituirmi una famiglia?
Ecco, Onorevole, perché il Suo progetto di legge è più che giusto ed indispensabile ed io, come tanti, spero giustizia dalla Sua alta intelligenza e dal Suo animo. Spero vivamente che la Camera dei Deputati vorrà comprendere l'assurdità di tante infelici situazioni in Italia per la mancanza di divorzio.
Resto a Sua completa disposizione per documentarLe quanto sopra esposto.
Devotissimo, Onorevole.

[seguono nome, cognome e indirizzo]

F., 4 marzo 1955

Onorevole!, caro Onorevole!

Scusi molto se mi permetto dirLe «caro Onorevole!», ma io sono artista e quindi sensibile ed affettuoso, e poi sono, inoltre, infelice e, nel mio dolore, mi sento già compreso e soccorso da Lei.
È per questo che il mio animo ora protende verso la Sua alta figura di uomo e di moralista.
La ringrazio, commosso, della Sua benevola risposta. Mi chiede Lei, Onorevole, se mia moglie sa che io sono vivo. Si! Essa sa benissimo che sono vivo.
Le cose, difatti, stanno precisamente come Le espongo qui subito. Mentre io era ancora all'estero, prima dell'ultima guerra, mi fu detto che mia moglie era morta. Per questo, quando ritornai in Italia, volendomi risposare, io chiesi i richiesti documenti a Palermo, ove nacqui. Senonché, non potei avere lo «stato libero», perché mia moglie risultava viva. Ignorando se ciò fosse vero in quanto, prima di avere appreso che essa era morta, avevo saputo che essa non era più in Italia e che quindi i nostri uffici avrebbero anche potuto non avere avuta comunicata la notizia della sua morte, avanzai domanda di morte presunta al Tribunale. Il Tribunale fece ricercare mia moglie dai carabinieri, i quali, dopo circa due mesi di ricerche, scoprirono che essa era monaca di clausura dell'ordine «Le sepolte vive». ad A.
Saputo questo, io interessai la Chiesa, per conoscere se ed inquanto ciò fosse vero. Più volte, alcuni religiosi si recarono al Monastero per conoscere la verità e lei, mia moglie, e la madre Superiora dichiararono che la suora in questione non era mia moglie: secondo alcune lettere a me indirizzate di religiosi (lettere che conservo) si sarebbe trattato di una suora con lo stesso cognome, ma con nome differente e non figlia legittima del fu mio suocero, ma figlia naturale. Tutto ciò, però, non era vero, come fu poi accertato da ulteriori ricerche ed accertamenti. Cosi, in un secondo tempo, io feci interrogare la suora in questione da un religioso, per chiedere a questa il consenso per l'annullamento di matrimonio. Ma la sciagurata donna rifiutò tale consenso.
Sta di fatto questo: che siccome la Chiesa non è in regola nei confronti di tale suora, ha interesse di nascondere tutto, anche perché detta suora disponendo di mezzi, versò tutto ai monasteri. Io avrei potuto e potrei andare in fondo ad un tale scandalo, ma non m'interesso, non m'interessa se la Chiesa poteva o non poteva accogliere questa donna fra le sue mura, né che essa ne venga dimessa. Io sono un galantuomo ed uomo che non posso rimproverarmi nulla verso nessuno, né verso i parenti, né verso gli amici, né verso le leggi, né verso la natura. Per questo, giudico tale donna come un essere sconcertante e mostruoso, poiché per tutto quello che essa commise nei miei confronti, non è perdonabile ed è odiosa.
Essa finisca pure i suoi giorni fra le mura del monastero. A me solo interessa la mia libertà, alla quale ho incontestabile ed umano diritto.
Rinnovo a Lei, Onorevole, i miei rispettosi ringraziamenti, e La prego volere gradire i sensi della mia profonda stima e della mia devozione.

[seguono lo stesso nome, cognome e indirizzo]



L., 22 marzo 1955

Gentilissimo Onorevole Sansone

So che lei à deposto alla camera progetto di Divorzio e ne conosco pure i dettagli. Ora su questi cinque punti da lei proposti il mio caso è forse uno dei migliori da tenere conto.
Sposata il 13 aprile 1936, separata agosto 1936 consensualmente tramite Tribunale di Milano, vivo da diciannove anni separata da mio marito, senza che avesse versato un solo giorno di pensione o di mantenimento per me. Sposata con forza e per obbligo di genitori senza che il nostro matrimonio fosse stato consumato, e perciò non ho una famiglia vivo sola all'estero per guadagnarmi il mio pane.
Ora giorni or sono, la Sacra Rota pubblicò in un giornale (Corriere d'informazione) che pure non essendo ricchi si poteva ottenere l'annullamento del matrimonio. Feci più volte le pratiche alla Curia di Milano, e mi risposero che avrebbero esaminato il mio caso ma quando non si hanno mezzi niente si ottiene. Visto l'articolo sul giornale rifeci la domanda e con grande disillusione la mia pratica non è stata accettata, e non potendo versare subito L. 10.000 non sono le 10.000 che mi spaventano ma sono le L. 100.000 che bisogna versare per i primi due processi (ossia prima Milano e poi Genova, in terzo allora posso chiedere il patrocinio gratuito solo per la difesa di Roma). Dunque tre processi e durata dei processi quattro (4) anni e con facilità di non annullamento non potendo procurare testimoni di matrimonio non consumato.
Ecco come concedono l'annullamento di matrimonio i preti che difendono il vincolo del matrimonio, senza rendersi conto quante povere figlie vivono una vita senza famiglia per colpa loro.
Ripeto ancora cosa deve fare una ragazza delle mie condizioni. Guadagno 250 franchi svizzeri al mese, devo pagarmi l'alloggio, devo nutrirmi, vestirmi, pagare le imposte, dare di tanto in tanto qualcosa ai miei genitori, e dovere allora fare debiti per un processo Ecclesiastico senza una sicurezza di riuscita?
Per un divorzio si che farei debiti, perché con documenti di mio marito firmati davanti al notaio e in mio possesso in questo momento rilasciatemi so che il mio divorzio sarebbe ottenuto senza nessun processo.
Credo di non averle preso tanto del suo tempo che penso è tanto prezioso ma cerchi di far votare al più presto il suo progetto di Divorzio.
Distintamente.

[seguono nome, cognome ed indirizzo]



S. di C., 3-1-1955

Onorevole Sansone,

Da trent'anni mia moglie a S. Francisco California gode il Divorzio e tutti i benefizii di legge Americani, al contrario io sottoscritto A. E. fu S., nato in C. M. provincia di A., sono rimasto fuori legge, a godere la legge di schiavitù Italiana. Colla speranza che il suo progetto sia preso in considerazione da tutti i deputati di buon senso siano di qualunque partito.
Auguri di buon proseguimento.

[seguono nome e cognome]

Se mi suggerisce qualche cosa in merito la ringrazio infinitamente.

[seguono nome e cognome]



A., 25-4-1955

Onorevole Luigi Renato Sansone,

Innanzi tutto chiedo venia se mi permetto di usufruire di un po' del suo prezioso tempo.
Mi chiamo P. A. fu G. di professione sono marittimo. Attualmente sono imbarcato su di una petroliera ove svolgo il mio diuturno lavoro in qualità di operaio macchinista.
Circa quattro anni orsono, a Palermo sparai a mia moglie che mi tradiva. Processato e condannato ad anni 5 e mesi quattro di reclusione per mancato omicidio. Da circa un anno che ho riacquistato la libertà appena fuori dal carcere mi separai legalmente da mia moglie la quale attualmente convive col suo amante.
La mia situazione è molto critica, insopportabile, ho la possibilità di sistemarmi con una donna di buona famiglia e non posso a causa della mia situazione che la mantengo segreta. So bene che nulla vi è da fare a causa dell'indissolubilità del matrimonio, come vuole il diritto canonico. Però so anche per sentito dire che lo stesso diritto canonico ammette l'annullamento del matrimonio per vizio di consenso. Amici miei intimi sono a conoscenza del mio caso tra i quali uno che dice di conoscere parzialmente il diritto canonico, mi ha detto che per me c'è una via d'uscita avendo i requisiti che contempla appunto l'articolo del vizio di consenso.
Quando sposai mia moglie essa non aveva compiuto ancora i quindici anni (nata il 23 marzo 1923, sposata il 15 dicembre 1937). Debbo dirle all'onor del vero che essa non voleva saperne di matrimonio con me, ma la situazione della sua famiglia allora erano pressoché come è la mia attualmente, e cioè il padre era in carcere e separato di fatto dalla moglie, di conseguenza le precarie condizioni finanziarie della madre non le permettevano il suo mantenimento e cosi obbligata con la forza a sposarsi con me, anch'io ero contrario, ma per certe circostanze fui obbligato a sposarla. Da Palermo il fratello maggiore me la condusse a Milano e con l'aiuto di altri suoi parenti me la fecero sposare.
Pensavo che coll'andare del tempo sarebbe riuscito un matrimonio perfetto, ma Essa continuava ad essere ostile, malgrado ciò ebbi tre figlioli in pochissimi anni, che abbandonò in tenerissima età, e attualmente sono in collegio. Questa è la mia dolorosa via crucis.
Onorevole è vero che avendo i sopracitati requisiti posso ottenere l'annullamento del matrimonio per vizio di consenso? In tal caso quali documenti dovrei produrre? Mi dicono che ci vogliono delle dichiarazioni che provano la veridicità del mio forzato matrimonio sottofirmate da testimoni, è vero anche questo? Io come testimoni, posso citare non altro che parenti stretti di mia moglie, potrebbero andar bene? È anche vero che debbono essere legalizzati da una autorità ecclesiastica? A quali spese andrei incontro? Rammentate che sono un operaio. Quanto tempo trascorrerebbe per raggiungere il mio desiderato?
Onorevole, sono un uomo che ho sofferto e ancora soffro, perciò la prego se è possibile di incoraggiarmi con una sua risposta, pertanto chiudo la presente ringraziandola anticipatamente.
Voglia gradire i miei ossequi.

[seguono nome, cognome e indirizzo]



B., Maggio 1955

Sig. Onorevole,

sono anche io una delle tante spose di guerra e seguo la sua proposta di legge sul piccolo divorzio.
Porti alla Camera il mio caso però non dica il mio cognome per le ragioni che dopo le dirò, né dica il mio paese di origine perché è un piccolo centro e non voglio far sapere le mie cose.
Sono di S. S. e mio padre squadrista e fascista fervente, coerente con le sue idee è stato il podestà di S. S. durante la repubblica di Salò.
Occupata S. S. dagli alleati mio padre dovette fuggire perché ricercato dai partigiani che lo avevano condannato a morte ed anche dal comando alleato che lo ricercava come «spia fascista».
Nella mia casa piombò la disperazione, la mia mamma quasi impazzì ed io come figlia unica che allora avevo ventuno anni non sapevo cosa fare per salvare mio padre.
Ero fidanzata con un giovane del mio paese che amavo molto ma in quei giorni ebbi l'impressione che anche egli si fosse allontanato da me, mentre di fronte a casa mia venne ad abitare un sottufficiale che io ritenevo essere americano.
L'americano mostrò subito d'innamorarsi di me e dopo quattro o cinque giorni con grande meraviglia ce lo vedemmo arrivare a casa e noi due che con terrore lo vedemmo entrare perché pensavamo che cercasse il babbo viceversa ci sentimmo dire che egli era un polacco al seguito del generale Anders, che era cattolico e che per essere stato in Italia e conoscere bene l'italiano fungeva da interprete presso il comando alleato. Dopo questa presentazione mi disse che era innamorato di me e ci fece comprendere che sapeva benissimo che eravamo la famiglia della «spia fascista», ma che egli ci avrebbe aiutati se io avessi corrisposto al suo amore.
Si determinò in me un inferno, combattuta fra l'amore per il mio fidanzato e la possibilità di salvare mio padre. Furono giorni che non posso raccontare perché cosi intensamente vissuti da non ricordarli più, però la situazione si aggravò talmente che io di fronte all'impegno del polacco, pur sentendo di non amarlo pensai di sposarlo. Però non andai in Chiesa perché mi sembrava di commettere un sacrilegio e sposai nel 1946 al comune di S. S.
Per la verità il mio sacrificio non fu vano: il babbo fu salvo riusci a raggiungere il Sud e nel 1947 ci riunimmo tutti qui a B. dove il babbo riusci a trovare lavoro e la nostra vita riprese. Senonché mio marito non potendo rientrare in Polonia e pretestando che doveva recarsi in America per ragioni di lavoro si allontanò di casa dal 1948 e mi ha lasciata da allora con un bimbo che è nato dal matrimonio e di lui non ho saputo più niente, né sono riuscita finora a rintracciarlo.
La mia situazione è ora questa: se io fossi stata meno scrupolosa e fossi sposata in Chiesa avrei potuto chiedere l'annullamento del matrimonio perché il mio consenso, come mi hanno spiegato, era viziato; mentre per essere io sposata solo al Comune per le leggi italiane non posso sciogliere il matrimonio perché la mia riserva mentale non costituisce un vizio del consenso. Ma come vanno queste nostre leggi: io non capisco niente.
C'è chi sposa in Chiesa e può annullare il matrimonio; altri non sposano in Chiesa e riescono all'estero perché hanno i soldi ad annullare il loro matrimonio; altri, che come me, sono sposati al municipio e non possono vedere applicate quelle leggi che sono applicate a quelli che sono sposati in Chiesa.
Ma non siamo tutti cattolici e tutti italiani? E allora perché non si applicano a tutti le stesse leggi?
Sia gentile mi dia delle delucidazioni; mi faccia comprendere e cerchi di fare il più che può per noi che ci troviamo vittime della guerra e dei tanti guai che si sono succeduti in Italia.
Attendo con ansia una sua risposta e ringraziandola la ossequio tanto.

[seguono nome e cognome]



S. G. a C., 15-9-1952

Egregio Onorevole,

io non so più a chi rivolgermi e Voi dovreste prendere cura di me. Io sono nata a S. G. a C. nel 1928, mio padre è pensionato della Previdenza Sociale e mia madre si industria a fare dei servizi a dei signori vicini. Io andavo a scuola però per mancanza di mezzi e per la guerra e per i continui bombardamenti nel 1941 non andai più a scuola ed aspettavo di poter lavorare.
Nell'ottobre del 1943 vennero gli Alleati e nella Caserma della Croce del Lagno a S. G. vennero gli americani che cominciarono a frequentare le nostre case. Uno di questi di 21 anni, bel giovane, oriundo italiano a nome J. P. si innamorò di me e per la verità io che allora avevo 14 anni e mezzo mi innamorai di lui. Egli cercò di farmi intendere delle cose che io allora per la mia età non compresi, però i miei genitori fecero molte premure su di lui dicendo che le cose dovevano essere fatte sul serio, e che quindi egli se voleva, doveva sposarmi.
Egli acconsentì, promettendomi che in America avremmo vissuto bene e felici. Cosi nell'aprile del 1944 noi sposammo nella mia Parrocchia. Io non avevo ancora compiuto i sedici anni.
Una signora vicina ci ospitò in una sua villa perché la ristrettezza della casa nostra composta di un vano a pianterreno non ci consentiva di poter restare con i miei genitori.
Stetti con mio marito due giorni, al terzo giorno egli usci di casa e mi disse che andava alla Caserma e che ci saremmo visti la sera
Ma la sera non si vide e da allora non l'ho visto più.
Incominciò il mio calvario, da principio non sapevo a che pensare, poi dopo due giorni che lo aspettavo andai alla Caserma e mi dissero che era partito per la Corsica; chiesi l'indirizzo mi dissero che non potevano darmelo perché era segreto militare. Ho tentato tutte le strade ma non sono riuscita a sapere più niente di lui; ho avuto giorni di disperazione e giorni di speranze, ma non sono mai riuscita a poter risolvere questa mia situazione. Dopo due anni di attese, di lettere, di istanze inviate anche al Presidente degli Stati Uniti, visto che tutto era vano e dato l'aggravarsi della situazione della mia famiglia sono riuscita a farmi assumere alle Cotoniere Meridionali dove ora presto servizio da operaia. Ora ho 24 anni non posso rifarmi una vita, non riesco ad avere alimenti, non so che cosa fare anche perché in America mio marito è introvabile.
Vi accludo copia di lettera del padre di mio marito che come vedrete è Agente carcerario in un paese dell'Alabama, ma questo mio suocero mi dice che non sa il figlio dove si trova. Cercate di fare tutto quello che potete per me e con i miei ringraziamenti infiniti tanti saluti.

[seguono nome e cognome]

S. G. a C., 22-10-1953

Egregio Onorevole,

ho ricevuto l'ultima Vostra di tre giorni fa e ho trovato dentro la Vostra lettera la copia della sentenza di divorzio ottenuta da mio marito in America e di cui Voi avete avuto copia dall'Ambasciatore italiano.
Ho visto che il divorzio è stato dato nientemeno quattro anni fa per colpa mia, perché io per due anni sarei stata lontana dal tetto coniugale.
Non capisco più niente, io sono tanti anni che vado in cerca di mio marito scomparso dopo due giorni ed ora mi sento dire che la colpa è mia perché per due anni non sono stata con lui. Ma come andavo io in America e che potevo fare per rintracciarlo più di quello che ho fatto? Scrissi a suo tempo al Re poi al Presidente della Repubblica poi al Presidente americano, ho scritto finanche a Sua Santità, a tutti ho scritto, nessuno mai mi ha potuto dare una buona risposta, né nessuno mi ha aiutato a rintracciare e raggiungere mio marito, ed ora senza sapere niente mi trovo divorziata ed anche per colpa mia.
Consigliatemi che posso fare, posso chiedere ora l'annullamento del mio matrimonio in Italia, posso ottenere gli alimenti? È mai possibile che io debba a 25 anni trovarmi sposata, ma senza marito effettivamente e senza potermi fare una vita?
Mi sento impazzire, non so come uscire da questa situazione, si studi qualche cosa per noi, si faccia qualche cosa che dia una speranza per vivere ancora.
Vi ringrazio assai e aspetto ansiosa notizie.

[seguono lo stesso nome e cognome]

S. G. a C., 18-12-1953

Egregio Onorevole,

ho seguito il Vostro consiglio e sono stata all'Arcivescovato di Napoli ed ho parlato con un Monsignore che è giudice al Tribunale Ecclesiastico. Ha preso molto a cuore il mio caso e ha studiato lungamente come poter fare per aiutarmi, però mi ha chiesto sotto la santità del giuramento se il matrimonio con mio marito era stato consumato ed io gli ho detto la verità cioè che nei due giorni che stemmo insieme il matrimonio venne consumato completamente.
Monsignore D. N. mi disse che allora non si poteva fare più niente che si poteva vedere solo se a Roma il Tribunale Superiore poteva fare qualche cosa.
Ho fatto un debito e sono stata a Roma e ho parlato con altri Monsignori i quali anche essi hanno cercato di aiutarmi e anzi hanno detto che era bene che io avessi passato una visita che poteva darsi che il matrimonio non era stato consumato ed allora forse la mia situazione poteva migliorare.
A Roma sono andata da un medico, dal Prof. F. G. consigliatomi da un prete del Tribunale, il quale mi visitò e ha trovato che il matrimonio era consumato. Ho portato la ricetta del medico al Tribunale ed anche lì dopo aver tanto studiato mi hanno detto che non c'era niente da fare pur dicendomi buone parole di incoraggiamento. Che posso fare allora, che devo fare? Ho speso circa 20.000 lire che dovrò scontare a 1.000 lire la settimana, non ho quindi più altra risorsa.
Mi raccomando ancora a Voi perché mi si possa aiutare, magari con un decreto speciale del Presidente della Repubblica al quale scrivo un'altra volta. Scrivo pure al Presidente della Camera, una legge per noi si deve pur fare, io non posso essere per tutta la vita la moglie di un uomo che mi ha beffata e mi ha ucciso peggio se mi avesse dato una coltellata.
Mi raccomando non mi abbandonate. Con tante benedizioni per quello che avete fatto e farete per me e tanti saluti.

[seguono lo stesso nome e cognome]

P. S. - Trovandomi a Roma sono andata all'Ambasciata Americana, ho aspettato tanto tempo perché nessuno voleva parlare con me, poi un signore mi disse che non potevano fare niente per me perché io non ero cittadina americana, non essendo andata in America con mio marito e che anzi essendo divorziata essi non potevano entrare in una sentenza dei Giudici Americani, perché essi credevano alla sentenza del giudice e non a me, e quando io ho insistito magari per avere un sussidio, questo signore mi disse che avrei dovuto rivolgermi al Governo italiano perché io sono cittadina italiana e non ho niente a che fare con l'America, io ho tanto insistito, ma non ci ho ricavato niente.



N., 11 novembre 1954

Onorevole Avvocato,

avrei voluto indirizzarvi la presente da vario tempo, ma me ne sono sempre astenuto pensando che questo mio «sfogo», pur riuscendo un sentito plauso per il Vostro progetto del «piccolo divorzio», sarebbe rimasto uno sfogo inutile e per Voi una perdita di tempo per leggere la presente.
Tuttavia ho voluto oggi profittare di un po' di calma nel mio giornaliero lavoro per esporre a Voi un altro ben eclatante caso di uno dei 4 milioni di italiani fuori legge!
Da sottotenente in servizio effettivo, nel lontano 1914 (io ho ora ben 65 anni!), reduce dalla Cirenaica, fui inviato di guarnigione in A.: avevo allora 25 anni, con una lunga permanenza fuori Patria, fra restrizioni e rinunzie senza fine: quasi per scherzo, assieme a colleghi e parigradi, mi diedi a «seguire» una bella fanciulla, la di cui famiglia in breve volgere di giorni mi indusse e condusse a farmi prima fidanzare «ufficialmente» e, a breve distanza di tempo, a... sposarmi!
Potete pensare con quali prospettive di vita comoda e con quanto cervello mi fossi accinto a quello che poi, a breve distanza di mesi, doveva risultare un suicidio! E tanto più, che essendo orfano di madre, nella pienezza della più sciocca euforia, avevo ritenuto di dover tenere celato il passo al mio povero Padre ed ai miei germani!
Appena sposato, venni rimobilitato per la grande guerra 1915-18: la sposa rimase quindi con i suoi in A., affidata alla protezione materna la quale protezione arrivava sino al punto di scrivere per la figlia le bozze delle lettere che mi pervenivano in zona d'operazione! È risultato dopo ed in modo ineccepibile e... pubblico che l'amata sposina aveva una tresca di vecchia data, tresca che naturalmente la mia lontananza favoriva nel più comodo dei modi!
Sorvolo su tutta una odissea di inganni e di menzogne e allora sconoscevo: sta il fatto che nel 1918, tornato capitano - ero il più giovane capitano nel mio Corpo! - ed assegnato al Corpo d'Armata di B., allorché mi accinsi a farmi seguire dalla signora moglie, riscontrai in lei una ben identificabile riluttanza, sino al punto di obbligarmi a consentire che da A. i suoi facessero a turno e se ne venissero a B. a tener compagnia alla propria congiunta: naturalmente il tutto a mie spese! Non ancora mi rendevo conto che gli eventi precipitavano sino a che, esaudendo una mia antica aspirazione, venni trasferito al Comando di Divisione di S. dove potetti riunirmi al mio vecchio Padre, del quale, tutto malgrado, ero figlio prediletto. Anche a S. i congiunti della signora moglie continuarono a fare la spola, ed ancora io continuavo ad essere cieco e peggio!
Dopo pochi mesi di permanenza in questa cittadina avvenne che in uno dei cambi di... guardia, mia moglie espresse il desiderio di voler rivedere la sua A.! E partì!
Non tornò più!
Nella piccola guarnigione venne subito notato qualche cosa di anormale nel mio menage familiare e lascio a Voi pensare con quanto mio... decoro e... vantaggio per una carriera iniziata tanto splendidamente. Comunque, allorché non potetti più giustificare l'assenza della Signora con plausibili motivi e pietose menzogne, visti inutili i miei tentativi di far rientrare la pecorella all'ovile, fui costretto ad affidare al buon avv... del foro salernitano la tutela dei miei interessi e del mio onore: venne spiccata denunzia contro la Signora per abbandono del tetto coniugale, e la lite, fra soste e riprese, si trascinò per lungo tempo senza che si arrivasse alla sentenza di separazione, mentre vani riuscirono i vari tentativi di riconciliazione.
Mi si impose intanto il trasferimento in altra sede, lontana, ciò che fra l'altro mi comportava anche la divisione dal mio vecchio padre!
La nuova guarnigione fu A., dove dopo poco tempo mi giunse notizia da R. [...] che... in una via di F. mia moglie era stata vetrioleggiata da un certo Sig..., suo antico amante: la notizia venne riportata dal quotidiano Corriere delle Marche, e poiché la predetta signora aveva preso a perseguitarmi con esposti alle Autorità Militari, con inaudita insistenza, lo sconcio episodio valse per lo meno a farmi riconoscere dalle stesse Autorità immune da colpe e quindi non perseguibile nemmeno disciplinarmente!
Scrivere e descrivere le terribili ore che attraversai. Onorevole Avvocato, sarebbe cosa onerosa e sempre inadeguata alla verità!
Sta il fatto che, da quell'epoca, della Signora non seppi più alcunché: risalendo quindi all'anno in cui si verificò l'abbandono del tetto coniugale, io porto la... palla al piede da ben 34 anni! Una vita distrutta, una carriera compromessa e rovinata del tutto e la certezza che il giorno in cui Iddio mi chiamerà al di là, la predetta Signora, se ancora viva, beneficierà anche delle mie sia pur modeste pensioni ordinaria e di guerra!
Aggiungo che 4 mesi orsono la predetta Signora a mezzo di un avvocato del foro romano ebbe a farmi invitare (dopo 34 anni!) a regolare verso la rediviva la posizione alimentare, minacciando tuoni e fulmini: risposi al predetto avvocato esponendo i fatti molto succintamente e dichiarandomi pronto - quindi - a subire tutte le conseguenze dei passi che si sarebbero voluti fare contro la mia persona! Non ci sono state repliche dall'altra parte, onde è presumibile che lo stesso legale si sia convinto della realtà dei fatti ed abbia sconsigliata la cliente da altri passi.
Ma con questo la mia posizione resta sempre, sempre quella, incresciosa ed irreparabile!
Oggi sono un Tenente Colonnello (avrei potuto essere generale): ho una famiglia mia... che non è mia, e poiché non ho ricchezze né altri beni, sono destinato a morire quando che sia col duolo di non poter lasciare a chi, bene o male, mi accudisce e rende meno tristi le mie ore, nemmeno un segno tangibile della mia riconoscenza!
Io ritengo che se ogni italiano ben pensante esaminasse serenamente questi non sporadici casi di intime tragedie, dovrebbe essere non difficile la adozione dei mezzi più acconci per lenire, sanare e porre un punto ben fermo a tanti cocentissimi dolori!
E faccio punto qui.
Vogliate perdonare la prosa sconnessa usata nella stesura della presente, Onorevole Avvocato, e vogliate credermi sempre Vostro con la massima considerazione.

[seguono nome, cognome e indirizzo]



F., 5 agosto 1955

All'Onorevole Luigi Sansone,

abbia la cortesia e la bontà di leggere questa mia, in risposta alla sua precisazione, comparsa nel settimanale Epoca, in merito alla proposta di legge per il cosi detto Piccolo Divorzio. Ho contratto matrimonio, nel 1941; ma nel 1948 per cattiva condotta della moglie e per adulterio (avendo essa avuto una bambina da uno svizzero) è stata pronunciata sentenza di separazione per colpa esclusiva della stessa, nessun obbligo agli alimenti e affidamento del bambino avente allora tre anni alle cure del padre.
Sono ormai trascorsi sette lunghi anni, nei quali, essendo privo di parenti di ogni sorta, ho dovuto con sacrifici senza retorici aggettivi, fare da papà e da mamma al bambino. Qui tra le montagne dolomitiche, non mi è stato possibile adire a nessuna soluzione, poiché i costumi falsamente moralistici mi avrebbero sommerso e procurato nuovi dispiaceri. La ex-moglie da un anno a questa parte, avendo dimorato ininterrottamente all'estero, ha ottenuto il divorzio e nel marzo dello scorso anno è pervenuto al Municipio di F. da parte dello Stato Civile di S. G. un regolare certificato di matrimonio, nel quale è precisato che non porta più il mio cognome. Mi sono informato al Tribunale per ottenere la trascrizione di quell'atto e che mi si dichiari risorti dalla morte civile, ma invano!
È mai possibile che io debba essere il marito della moglie di un altro? E che lei sia la moglie di due mariti? La prego Onorevole mi dia un bricciolo di speranza che vi è una via di uscita, mi dica che c'è una via di uscita attraverso qualche ricorso al Magistrato, affinché il mio Calvario abbia a finire, affinché possa avere una famiglia che non no mai avuto e sempre sognato, affinché il mio bambino abbia una mamma degna di questo nome.
Per quanto farà e per quanto mi potrà dire le sarò riconoscente per tutta la vita.

[seguono nome e cognome]



Convento francescano di M. (C.), 3-11-1954

Onorevole,

ho letto più volte sui giornali il Suo nome, come sostenitore del divorzio, sia anche piccolo, opponendosi a Dio, alla Chiesa e al Concordato.
«Quod Deus conjunxit, homo non separet» (Sacra Scrittura).
Individui che hanno cercato e cercano di lottare Dio. Gesù Cristo e la Chiesa ve ne furono e ve ne saranno sempre, ma tutti, prima o poi si spaccheranno il capo cozzando contro la roccia, a loro danno e a perdita delle anime (è questione di tempo).
Il Suo nome, Onorevole, avrà l'onore di essere enumerato nella storia politica, ma rimarrà l'onere di un peso nella presente e nella «Seconda vita». O pulviscolo della terra, dirà Dio, non ti avevo detto di non separare ciò che Io avevo unito?
Onorevole, e il Concordato?
Non si lasci trascinare da una convinzione di essere umano e misericordioso alle molte sventure e famiglie rovinate, perché minando la indissolubilità le sventure crescerebbero. Quale interesse si può vedere nella Madre Chiesa nel vietare il divorzio, se non perché Iddio non lo vuole ed Egli non lo vuole per il nostro bene (Iddio non è insipiente, crudele e cattivo).
Onorevole, non batta questa via, che non approda a nulla; ascolti la parola di un Padre dai capelli bianchi; non si ribelli a Dio e alla religione; accumoli opere di beni eterni per trovare alla morte Gesù non Giudice ma Salvatore.

In Cristo Gesù e in San Francesco.
Padre A. P. O. F. M. Convento di M.



N., 17-11-1955

Onorevole Sansone

Da quindici anni che vivo da solo, la moglie internata al manicomio senza speranza di guarigione. La prego di insistere ad oltranza affinché ottenere la legge del piccolo divorzio.
Dev.

[seguono cognome e nome]



R., 28-11-1954

On. Sansone,

Dal 26 ottobre scorso, per la sua proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati, per il divorzietto, ci fece rifiorire in noi una grande speranza!
Alla fine la nostra situazione civile fosse sistemata. Ci troviamo al terzo punto.
Nel 1916 C. S. (il quale è il mio convivente) si trovava al fronte richiamato alle armi per difendere la patria. La sua giovane sposa abbandonò il tetto coniugale insieme con due figli di tenera età una di 3 anni e l'altro di 2. Fu mandato a casa in permesso dal Com. del 2° Corpo d'armata per sistemare i figli, i quali li trasferì con il sussidio dalla sua vecchia mamma a Senigallia.
Dopo 54 mesi di zona di operazioni fu congedato! In che modo! La sua casa distrutta! Non aveva più nulla. Non sto a ripetere l'odissea di questo povero uomo dal suo ritorno dal fronte, sarebbe troppo lungo e inutile rievocare. Solo si può immaginare in che stato d'anima si trovava. Certo se l'avesse ritrovata i selci di Roma non li avrebbe Più camminati!
Quest'uomo mi faceva pena, eravamo vicini di casa, la sua disgrazia dal mio e suo vicinato era da tutti conosciuta.
Io ero rimasta vedova dalla maledetta spagnola il 18 ottobre 1918, il mio defunto marito mi aveva lasciato con tre tenere creature la più grande appena di 6 anni, rimasta sola al mondo, senza alcun sostegno, senza alcuna pensione Perché non era soldato nativo della Repubblica di S. Marino.
Che cosa avvenne? Nel 1920 e 21 si diceva che il governo per questi reduci che si trovano (e ne erano molti) avrebbe in qualche modo sciolto i loro matrimoni. Poi venne l'infausto fascismo e finì tutto li. Noi ci unimmo senza, alcun vincolo, la nostra unione è stata un vincolo vero e proprio, lui lavorava e io al dicembre del 1923 che ci siamo, uniti sono venuti 2 figli uno nel 1925 e l'altro nel 1929 senza paternità... Dove che ànno un padre che ce ne sono pochi, li ha fatto imparare il mestiere e oggi sono due bravi giovanotti! E lavoratori.
Io mi trovo su l'orlo della tomba ho 72 anni piena di acciacchi per l'artrite deformante, lui di 68 pensionato della previdenza sociale. Dal 1916 che non ha avuto più contatto con la moglie - e noi dal 1923 che siamo uniti sono 31 anni. Quante umiliazioni subite! Figli senza nome. Ci troviamo con l'I. P. C. ora dovendoci dare un'altro alloggio perché questo è pericolante. A noi non ci può dare un'altra casa perché non siamo sposati. Dove ci manderà a finire - non sappiamo se considererà come sobinquilino, è giusto questo? Sono giuste queste leggi?
Onorevole, fate sentire la vostra voce, le nostre vere e proprie ragioni. Avrà la benedizione di migliaia di famiglie.
Dite ai Democristiani (che cosi si dicono) se è vero che le anime non vadano perdute e vogliono che nessuno si danni, diano il loro voto e sia approvato questo divorzietto più presto che sia possibile che sono molte come me sull'orlo della fossa.
Onorevole, scusi queste mie parole sconclusionate sono una povera ignorante che le serba tanta riconoscenza per la sua umanità che mostra in questo caso: la ossequio.

[seguono nome, cognome e indirizzo]



G., 3 ottobre 1955

Illustre ed Egregio Onorevole,

Premesso che sono un cattolico osservante, desidero in due parole esprimerLe la mia dolorosa odissea che dura da ben 32 anni ed è inutile che aggiunga che centinaia di migliaia di questi casi vigono in Italia.
Se ritenesse opportuno di leggere la presente alla Camera, per ovvi delicati motivi, La prego di omettere le mie generalità.
Avevo diciassette anni allorché una indegna madre si adoperò perché avessi contatti intimi con una propria figlia, intimandomi poi con le minacce sulla vita, il matrimonio che ebbe luogo in Sicilia, il 28 Ottobre Millenovecentoventidue! (ogni commento lo ritengo superfuo e sia per la data che per la famiglia della ragazza il cui padre era un cocchiere!).
Dopo il matrimonio questa donna si diede alla bella vita; nata una bambina me l'ha abbandonata a pochi mesi. Per fuggire alla vergogna sono venuto a Genova ove trovai impiego ed ho cresciuto la figlia facendole da babbo e mamma. La figlia ora conta 32 anni (io ne ho 52), l'ho portata al punto di conseguire una laurea.
Durante questo lungo periodo la madre ha sempre condotto vita dissoluta, di lusso e di lussuria, cambiando vari amanti, non disdegnando di ricattarmi periodicamente, in forza ed in virtù delle leggi d'Italia che proteggono queste Vergogne.
Ho intrapreso procedimento di nullità davanti il Tribunale Ecclesiastico e la Sacra Romana Rota, con esito negativo.
Ho cercato di fare il divorzio a San Marino: nulla di fatto, in quanto la cosiddetta moglie resiste, appunto come ora si è avverato, con la speranza, anzi con la veduta certa che, al momento in cui non potrà per vecchiaia fare ciò che ha sempre fatto, in base alla sullodata legge, dev'essere il marito a provvedere; ed è onesto, umano tutto ciò? Che la legge, anche quando è documentato l'adulterio, continuato, reiterato, vuole che il coniuge tradito la mantenga?
Infatti essendo ora vecchia - ha 51 anni - l'ultimo amante l'ha piantata e cosi denuncia il marito per mancata assistenza e questo può anche essere passibile di arresto - ma è legge questa? Dopo oltre trent'anni?
E cosa dire di un modesto lavoratore o d'un modesto impiegato come io sono dal cui magro stipendio, per decoro e amor di quiete, deve distogliere lire 10.000 mensili per darle secondo legge ad un tal genere di donna?
Nel caso mio specifico sa cosa vuol dire per me? Che, dopo di avere fatto tutta una vita di sacrifici, nell'età dura, quando pensavo di vivere col millimetro in mano, ma tranquillo, ritornare ad una vita di preoccupazioni e di disagi. E tutto ciò in virtù delle nostre leggi.
Un rimedio a tanto grave errore è umano, Cristiano, democratico e risponde a vera giustizia.
Voglia scusarmi Egregio Onorevole se pur non conoscendoLa mi sono permesso portarLe via un po' del Suo prezioso tempo: ma è talmente la mia pena che non so più veramente a quale «Santo votarmi».
Grazie per quanto riuscirà a fare per questa disgraziata categoria di italiani, e La prego di accogliere, il mio rispettoso ossequio.

[seguono nome, cognome e indirizzo]



R., 22 ottobre 1954

Onorevole,

perdoni se mi permetto di richiamare la Sua cortese attenzione sul seguente punto del progetto di legge da Lei recentemente presentato alla Camera su «Il piccolo divorzio».
Se è esatto quanto scrive in proposito il quotidiano Il Tempo di Roma, in data odierna, il quinto caso da Lei previsto per la concessione dello scioglimento del matrimonio è quello dell'«altro coniuge che, per essere cittadino straniero, ha sciolto il matrimonio contratto in Italia».
Sembra a me che la dizione di questo caso debba essere completata con le parole: «o all'estero» oppure: «o nel paese del coniuge straniero». Ritengo infatti che se Ella ammette che sia giusto liberare una moglie, cittadina italiana, da un vincolo dal quale il marito - che aveva contratto, essendo straniero, matrimonio in Italia - si è sciolto, sia ancor più giusto che tale cittadina italiana, moglie di uno straniero che aveva contratto nel suo paese il matrimonio dal quale si è sciolto (approfittando, appunto, del fatto che il suo paese ammette il divorzio) sia pur essa liberata da tale vincolo.
Siccome il caso che mi interessa è proprio quest'ultimo, mi permetto precisarle che cosa è avvenuto (e può, beninteso, avvenire sempre):
Il marito, straniero, non solo ha divorziato nel suo paese, dove si era sposato con una italiana, ma si è colà risposato. Teoricamente, può ora avvenire che egli divorzi di nuovo dalla sua seconda moglie e venga in Italia ove è libero di sposare un'altra italiana! Sicché esisterebbero, contemporaneamente, in Italia, due mogli per forza dello nostre leggi, - dello stesso marito e che potrebbero essere entrambe italiane! È roba da pazzi!
Non dubito che Ella vorrà, prendendo in cortese considerazione quanto ho esposto, completare, come sopra mi son permesso di suggerire, la dizione del predetto quinto caso del Suo progetto e, ringraziandoLa a nome di centinaia, anzi di migliaia, di donne italiane che si trovano nel caso contemplato, La prego gradire i miei più distinti saluti.

[seguono nome e cognome]



A., [s. d.]

Il sottoscritto fa noto all'Ecc. V. Ill. il suo caso particolare. Avendo contratto regolare matrimonio religioso nel 1950 e coabitando con i suoceri, dopo soli 4 (quattro) mesi di convivenza colla moglie fu costretto a lasciare la stessa ai suoi genitori, perché accusato di T. B. C., sospettata da un loro medico di dubbia moralità.
A distanza di sei mesi dall'accordo verbale di separazione, i genitori e moglie intentarono causa di Separazione Legale, perché il sottoscritto non volle corrispondere a loro le quote complementari che percepiva dall'Amministrazione Comunale ove prestava e presta servizio in qualità di impiegato di gruppo C.
In seguito a determinazione del Presidente del Tribunale di sua giurisdizione, fu obbligato a corrispondere alla moglie L. 7.000 mensili, malgrado lo istante implorasse di volere ad ogni costo sua moglie, dichiarando di non volersi separare da lei e per non diventare un «Rinnegato».
Per due anni consecutivi il sottoscritto fu fedele al suo adempimento agli Alimenti, poi tanto fece, attraverso Religiosi, da ottenere la Riconciliazione colla moglie, assoggettandosi nuovamente a convivere con i genitori di lei.
In capo a 4 (quattro mesi) il sottoscritto dovette firmare un nuovo accordo comune di separazione consensuale, poiché fu costretto dai modi coercitivi che i suoceri esercitavano in famiglia, inducendo la moglie a preferire un assegno mensile di L. 6.000, anziché seguire il suo legittimo marito in una altra abitazione. La ragione della voluta separazione da Parte di loro: quisquiglie, pettegolezzi di poco conto, ma che degeneravano in continui litigi per via della scarsa cultura da parte della donna.
1°) A quello che diceva il sottoscritto, la moglie non voleva assoggettarsi, al contrario a quello che diceva lei ed i suoi genitori, il sottoscritto doveva sottostare.
2°) Era costretto di andare al Cinema con i genitori di lei.
3°) Non si doveva mangiare la frutta a tavola, perché si doveva risparmiare per poter sopraelevare la loro casa.
4°) Era costretto a cenare la sera tardi perché il padre rincasava tardi dal lavoro.
5°) Era costretto a consegnare lo stipendio a lei, e domandarle di volta in volta qualche cosa per comprarsi le sigarette, cosi faceva il suo papà, cosi doveva fare il sottoscritto.
E tante altre stupidate che non vale la pena di enumerarle. Tutte queste le ragioni per cui una donna si separa dal marito, ed ottiene da questi una modesta e duratura pensione.
Tutto questo è veramente bello in questo regime di civiltà.
E la Giustizia Terrena, poi tutela la donna!
Cosi stando le cose il sottoscritto dal 1953 ad oggi corri sponde alla moglie l'assegno da lei invocato e tanto sospirato di L. 6.000. E si aggiunga inoltre che l'atto di comune accordo non è stato nemmeno omologato dal Tribunale della sua Giurisdizione.
Così stando le cose il sottoscritto è costretto a vivere con i suoi genitori e paga la moglie che a sua volta vive con quelli di lei.
Questo accade ad A. (prov. di B.), in questi tempi, di riforme sociali.
La Giustizia Terrena ancora non colpisce a segno quanto dovrebbe essere di più santamente umano.
Inscindibile il vincolo del matrimonio religioso. Sì, ma permettere ad essere umani, che per fatalità incorrono nella incomprensione che da questo ricavano, di non rimanere eternamente disgraziati.
Questo è un doloroso Ululato che molti alzano inutilmente.
Questo ululato doloroso dovrebbe essere ascoltato da qualcuno che potrebbe capire solamente colla esperienza di chi lo vive e lo sopporta.
Ora lo istante fa presente all'Ecc. V. Ill. il suo caso di estrema particolarità, sottoponendo al vaglio di altri svariatissimi, degni di superiore attenzione, e meritevoli di rimedio, o di suggerimenti eventuali.
Si tutela la donna che vuole fare i comodi suoi, e non si tiene conto delle amarezze, causate da dissapori familiari, che attanagliano molti esseri umani.
Si tutela la donna che se ne vuole stare a casa dei suoi genitori, dopo sposata, perché sa che vi è una legge che le garantisce gli Alimenti, a scapito del povero citrullo che deve sgobbare per passarglieli.
Questo fa la donna Terziaria nell'Italia Meridionale.
Diventa Rinnegata della sua fede che pratica, a volte, per volere espresso dei suoi genitori.
E la Giustizia Terrena le dà ragione, il più delle volte!
Ma non sarà cosi quella di Dio!
La Giustizia di Dio sarà inesorabile, e quella sola è uguale per tutti.
Il sottoscritto ha voluto inviare questo esposto all'Ecc. V. affinché sia annoverato fra i tanti pervenuti per determinazioni future, poiché non è umano che un uomo sia costretto a vivere da solo, dopo sposato, per i capricci della donna che ha portato all'Altare, o per volere dei suoi genitori, che le suggeriscono queste infamie.
È colpa di costoro, a volte, di quanto di losco avviene nella vita!
Guai a loro nell'Al di là.
Coi sensi della più alta stima porgo all'Ecc. V. Ill. deferentissimi ossequi.

[seguono nome, cognome e indirizzo]



N., 18 dicembre 1954

Illustre onorevole,

sul Corriere di Napoli ho letto della sua proposta sul piccolo divorzio. Plaudo alla sua idea e voglia perseverare; solo con la sua idea si possono lenire tante sventure e rimediare tante situazioni che la vita crea.
Mi perdonerà se le parlo di me, ma son sicura che è un caso unico.
Sono nata nel 1921 e nel 1943 mi trovavo a V. ove mio padre alto ufficiale si trovava ad essere in pensione. Speravo di trovare una occupazione ma per verità non avevo urgenza di lavorare e quindi attendevo che la guerra passasse per crearmi un buon avvenire.
Arrivati in V. gli alleati ebbi modo di conoscere al Circolo degli Ufficiali un giovane tenente della polizia americana. Un bel giovane del quale mi innamorai anche per che egli mostrò di essere innamoratissimo di me.
Alle cose talvolta non si pensa e cosi suggestionata da lui, allorché egli mi disse che doveva per servizio trasferirsi a M. lo seguii contro la volontà di mio padre.
Ma dopo pochi giorni compresi, anche perché sono profondamente religiosa, che non potevo vivere ulteriormente in quella situazione falsa e peccaminosa.
Mi recai da un parroco a M. ed in confessione esposi la mia situazione e poiché il mio fidanzato «appariva» (per Quanto dirò dopo) cattolico, il parroco mi consigliò per lo meno di fare il matrimonio segreto in attesa della documenazione che avrebbe dovuto arrivare dall'America.
Convinsi lui e così dopo otto giorni (erano circa 15 giorni che io avevo lasciato la casa di V.) sposammo segretamente nella piccola chiesa di Merano per poi regolarizzare la posizione. Scrissi felice ai miei e così fui riammessa in casa mentre «mio marito» mi assicurò che aveva richiesto in America la sua documentazione.
Fu breve la mia felicità perché vedendo io trascorrere il tempo ed insistendo perché si trascrivesse il matrimonio in un momento di rabbia mi confessò che egli era non battezzato, che era protestante e quindi per lui quel matrimonio era tutto una commedia.
Fui ferita a sangue nel mio decoro di donna e nel mio senso religioso. Compresi l'uomo al quale mi ero legata per la vita e compresi in quale abisso ero caduta.
Ma con la forza di Dio cercai di abbracciarmi la mia Croce sperando di poterlo convertire alla religione cattolica e di assicurarmi un legame stabile. Fummo trasferiti a Roma e lì con tutta la mia pazienza dopo mesi e mesi di preghiere e di suppliche nel novembre del 1947 sposammo in Campidoglio, né potetti far trascrivere il matrimonio segreto perché egli non volle abiurare la sua religione ed alti prelati da me interpellati mi dissero che se io avessi fatto trascrivere quel matrimonio sarebbe stato uno spergiuro ed una offesa al Sacramento.
Dopo pochi mesi e cioè nel febbraio del 1948 mio marito partì per le Americhe da dove mi avrebbe fatto l'atto di richiamo.
Ma da allora, dopo qualche lettera, non ho avuto più notizie, né per anni sono riuscita a rintracciarlo.
Mi rivolsi disperata alla polizia segreta alla quale egli era appartenuto e cosi dopo ricerche si è riuscito a scovarlo a Boston dove è impiegato in una casa di commercio e si è appreso che al momento del matrimonio segreto religioso egli era sposato ed aveva pendente in America la causa di divorzio. Ottenuto questo divorzio sposò me a Roma civilmente, matrimonio che ha fatto annullare perché nel 1953 ha ottenuto divorzio contro di me in mia assenza e profittando che io non sapevo niente di lui e cosa facesse. La mia situazione è ora quanto mai assurda.
Io non posso risposare perché in Italia il divorzio non è valido, né posso fare annullare quel matrimonio segreto alla Sacra Rota perché egli non comparirà mai e quindi non potrà dire che non era battezzato, né io posso provarlo, né posso fare annullare il matrimonio civile (quello cioè fatto a Roma) perché non ho nessun motivo essendo un matrimonio valido.
Sono quindi impigliata in una situazione dalla quale non vedo via di uscita, le nostre leggi, diciamo così quelle italiane, non mi danno una soluzione, né posso placare la mia coscienza di religiosa e di credente fervente perché innanzi a Dio un vincolo l'ho contratto.
Non sono colpevole che di aver creduto ed amato un uomo, sono ora un rottame ad appena 33 anni, sola, senza marito senza figli, senza padre, son qui a Napoli presso una sorella e cerco lavoro, infelice per tutta la vita senza aver fatto nulla.
Vada innanzi con la sua legge perché potendo sciogliere quel matrimonio civile chiederò dopo al Santo Padre che si compenetri di me e mi dia con le Sue facoltà e con le facoltà del codice canonico di sposare nel santo nome di Dio e della nostra religione un altro uomo che possa riprendere la mia vita.
Avverrà ciò? Potrò sperarlo? Esiste una giustizia per tutti? O per alcuni devono esservi solo lagrime e pene amare?
Mi scusi, mi perdoni, consideri che da anni soffro disperatamente e si abbia molti distinti ossequi.

[seguono nome e cognome]



T., 20 marzo 1956

Caro On. Sansone,

riferendomi a quanto scrissi nella mia nota Il divorzio tra coniugi di diversa nazionalità in una recente decisione della Suprema Corte Francese, in Monitore dei Tribunali, Milano, 1955, n. 19, a proposito di scioglimenti di matrimonio pronunciati all'estero, Le segnalo un caso di divorzio unilaterale (e cioè valido soltanto per la moglie) del quale dovette recentemente occuparsi la Corte d'Appello di Torino.
Il cittadino italiano A. F. contrasse matrimonio in Bulgaria nel 1948 con la cittadina bulgara A. I. G. Detto matrimonio venne sciolto con sentenza 9 luglio 1948 del Tribunale regionale di Sofia che pronunciò il divorzio per colpa della moglie.
Il 29 ottobre dello stesso anno il predetto cittadino italiano contrasse matrimonio con la cittadina bulgara V. S. dalla quale ebbe due figli che hanno oggi rispettivamente cinque e sei anni.
Nessuno mise mai in dubbio la legittimità del secondo matrimonio sino a quando l'A. rimase con la moglie e i figli in territorio bulgaro. Le difficoltà cominciarono quando l'A., con la moglie e i figli, ottenuto un regolare passaporto per sé e per i suoi familiari dal console italiano, si trasferì con tutta la famiglia in Italia.
Egli infatti non poté ottenere la trascrizione negli atti di stato civile del suo secondo matrimonio e della nascita dei suoi due figli e invano chiese la delibazione della sentenza bulgara che nel 1948 aveva sciolto il suo primo matrimonio.
Per la legge italiana il signor A. è ancora il marito della prima moglie (la quale frattanto ha contratto in Bulgaria un secondo matrimonio) e la sua attuale moglie è una «concubina», coll'ulteriore conseguenza che i figli nati da costei non possono essere considerati come figli legittimi e non sono neppure riconoscibili (perché «adulterini»), mentre sul capo dell'infelice marito e della seconda moglie pende la minaccia di un processo per bigamia che avrebbe per conseguenza la distruzione morale e materiale di un'intera famiglia (II divorzio pronunciato in Bulgaria è rimasto valido Per la prima moglie, il cui secondo matrimonio è perfettamente legittimo secondo le leggi di quel paese e non può essere impugnato in Italia).
Le allego copia dell'articolo citato.
Coll'augurio che il Suo progetto di legge sia prontamente discusso ed approvato, La saluto molto cordialmente.

[seguono nome, cognome e indirizzo]



T., lì 7-11-1955

AL ONOREVOLE SIGNOR AVOCCATO LUIGI RENATO SANSONE

Perprimo la chiedo la scusa se mi sono permesa di scrivere e farmi spiegare da lei caro Signore e di spiegarmi la mia situazione, il gualle dura da esattamente 9-9-1944 ad oggi.
Acausa di un Matrimonio incontrato a Belgrado Yugoslavia, con il signor M. R. di C., La prego Carissimo Signore di volermi ascoltare fino al ultimo, ed di studiare il mio caso come tanti casi in Italia ed in Estero.
Mi sposai a Belgrado ed in cualifica di Partigiana e Partigiano sotto Comando Jugoslavo.
Io sotto scritta K. E. in M. nata O. C. Yugoslavia conobi mio marito cuale Prigiognero di Guerra sotto i Tedeschi: il 30-XII-43; Lo nascosi acasa mia e con lui altri 13 Prigiogneri e col tempo mi feci la Fidanzata del mio marito ma però ci fu un momento di disgrazi per noi in casa nostra una Principessa ci denunciò al Comando Tedesco; Alora con la denuncia siamo stati costretti a scapare dalla casa nostra in Bosco con i Partigiani Slavi; nel Bosco subbi delle insultazioni dalla parte dei partigiani jugoslavi; Ma tutto ciò non mi fece paura perche sapendo che solo li sono al sicuro e non in citta; perciò mi missi di buona lena e fare ciò che loro mi ano ordinato, mi mandarono nelle prime linie di Combatimento non solo me ma ben si tutte noi Donne e ragaze che erivamo con gli Italiani ci fecero delle Azzioni più dificili per vedere se ci saresimo scapate dalla linia di Combatimento. Ma noi Donne ci tenevamo duro e non ci siamo laschiate vincere dalla paura come lorosi credevano; nulla ci fece a retrocedere perche cera solo una voce che ci martellava in Testa se lo fai lo fai per te e vostro Avenire.
Cuando finalmente si ebbe la posibilità di Avanzare versso la Capitale di Belgrado ci fu una vera bataglia di Inferno di 6000 passa Italiani siamo rimasti in circa 4000; fu una cosa spaventevole, ma poi anche per noi fu un Mese di riposo come por tutti gli Slavi, Del resto dei Italiani si formo una Brigata, cioè la DIVISIONE DA ASSALTO ITALIA conil Comandante Giuseppe Maras, finalmente oteniamo il permesso dal Comando di poterci sposare, e certo che per noi ci fu una vera gioa e infinita Felicità corsi immediatamente a casa mia per cambiarmi ma fui anientata perche non trovai nulla più di mio, cosi ero costreta ad sposarmi nelle Vesti da Partigiana e ci inviamo verso la chiesa Catolica cuando erivamo davanti la Canonica entraiam nella Canonica de Prete Catolico, ma sapete cosa ci a risposto il Prete a me e a mio Marito che lui non Sposa gli Comunisti in sua casa di DIO.
Ameto Egregio Signore che gli abbi fato prendere la paura con le mie Vesti da Uomo cioè SMAESER Tedesco sulla spala ed una decina di Bombamano in torno di Vita ma pero noi si era venuti con sincere intenzioni disposarsi come buoni Cristiani ma non furono gli Santi ad indurlo in ragione non vole a sapere più; Alora cosa ci restava di fare altro se non di rivolgersi da un Prete Ortodosso e cosi abbiamo fato caro Signore, andai diretamente dal EPISCOPATO Ortodosso e chiesi la udienza da nostro Cardinale e fui ricevuta da lui stesso gli spiegai motivo della mia benuta da lui e mi feci spiegare come si potrebe sposare in nostra Chiesa cioè della mia Religione Ortodossa.
Il Cardinale mi spiego che potrei sposarmi nella Chiesa Ortodossa solo se lui avrebe presa la mia Religione, cioè se lui avrebe rinunciato alla sua Chiesa domandai al mio marito se era dacordo con cio che ci disse il Cardinale Ortodosso lui si dichiaro contento della proposta e dise di si al Cardinale.
Poi in seguito il Cardinale ci dise che noi non apena si sara arivati in ITALIA si dovra rifare il nostro rito nuziale secondo la LEGGE della CHIESA CATOLICA in ITALIA altimenti non sarà valevole il nosto Matrimonio in JUGOSLAVIA.
Cosi ci fece il rito secondo la LEGGE della CHIESA Ortodossa lo fecce Batezare ed solo cosi a potuto fari il rito del Matrimonio fra me emio Marito, cuando fu finito ci fece a ricordare di cio che ci aveva gia avertiti in anticipo.
Per cio il nosto Matrimonio none valevole in ITALIA ma solo in JUGOSLAVIA ed in piu noi non si aveva firmato nesun libro di COMUNE di BELGRADO come lo fano cui in ITALIA.
Ora Stimatissimo Signore Avocato Luigi Renato Sansone, dopo la partenza di Belgrado per il Fronte di Srem, Slavonia, Vojvodina, Slovenia, e fino il Clagenfurt, poi ci siamo rimpatriati in Italia a Terezuino di Udine, di li ci ano Congedato il 18 VII 1945 e solo il 25 VII 1945 siamo arivati a C. Sicilia.
Non apena arivati a C. abiamo incontrato la sua E. C. S. Fidanzata una certa G. la cuale lui credeva Morta dal Bombardamento di C. e cuando ci sono incontrati nella piena Strada si butarono in bracio come due disperati io non sapevo che era cuela ragazza in bracio di mio Marito solo dopo circa mezza Ora che errano in stato di disperazione me la presente come la sua Sorella,
Ed alora invece di cercare la sua vera Familia lei stessa ci fece andare in casa sua, io non la conoschevo e credevo, da vero la sua familia solo dopo due giorni mi dise che mi avrebe portata in casa di suo Fratello Pietro.
Gli disi che dovunque stese mio marito debbo stare anche io! Ma non fu cosi mi portò in casa di suo Fratello Pietro e li mi a laschiata come un Cane sola senza nessuno che mi possa copredere io non capivo il Siciliano Dialeto e loro non capivano me ma di mio marito non sentivo nulla ne sapevo dove fosse andato solo dopo tre giorni di pianti disi alla Zia di mio marito che Raffaele era in casa di sua Sorella.
Era la terza Notte che lui non tornava a casa da me alora mi decisi di andare io da lui in casa di sua Fidanzata e cosi feci andai da Loro e trovai suii Genitori dormire fuori in Cortile e loro due in casa di lei in uno solo Letto abraciati beati econtenti.
Rimasi impietrita come una Bambola di fronte loro due così, non avevo la forzza di agire ero solo una Bambina alora avevo 18 anni lo chiamai Ele alza ti e vieni a casa da tuo Fratello, mi dise che sarebe venuto subito che ci vado pure io avanti.
Io mi persi per la Citta e non so cuanto vagai da sola era la Alba cuando decisi di butarmi in Mare, in tempo si acorse un Vigile urbano e mi trasse alla Riva della Spiagia li gli spiegai la mia ragione di finire con la mia Vita! Allora sotto ordine del superiore fui portata a Comune della Citta! Là gli spiegai tutto ciò che mi era successo tra me e mio marito, sapete che cosa mi fecero a firmare lgi Signori di Comune di C.? Cioè una loro Dichierazione che io Sotto Sritta K. E. lachio la piena Liberta al Signor M. R. di poresi Sposare con cualuncue Donna Italiana e io a sime la firme del Signor Sindaco di C. didi la mi firma sul foglio.
Dopo la loro dichiarazione che mi fecero fare io feci Ritorno in mia Terra ma era meglio che nonlo avesi mai fato fui molestata dal mio Governo cuale la Spia Italiana Fachista ed Irendista che tut ora nonlo so cosa vol dire cio.
Cuando o visto che li non mi sara posibiie ad restare decisi di tornrre in Italia ma non mi fu facile perche noi non si aveva fata nesuna Rinovazione del nostro Matrimonio IN ITALIA dopo circa due Anni di continua lote fra il Governo di Italia ed li Governo di Jugoslavia ebbi la fortuna di ottenere la cittadinanza Italiana cuando credevo che potevo gia partire mi fu ritirato il PASSAPRTO di novo non ero cono scuta cittadina Italiana, di novo lota fra me e loro per riaverla ma solo dopo tre Anni ebbi di novo ma solo il Fogli di Rimpatrio valido SEI Mesi per me bastava, inmediatamente feci le mie Valigie e me ne andai in Italia subito senza aspetare tanto da Slavi ed Italiani.
Cuado ero arivata in Italia mi rifiutati di ragiungere mio marito a C. per la semplice ragione che cio non o fatto nel 45 lo farei ora Caro Signore per cio mi decisi di di restare in Altitalia lontano da lui.
Cui in veneto ci chiesi a tre Citta Residenza e Due Paesi e precisamente Udine, Padova, Treviso, Spresiano, e Nimis ma nessuno si penso di aiutare una povera Donna senza Tetto e protezione ma tutti si rifiutavano di aiutarmi in cualuncue maniera si imagina lei Caro Signore come mi rtovavo io qui in Italia e logico che sensa i Documenti non posso otenere nesuno Lavoro e in nesuno luogo,
Non sono una ignorante ragazza ho la Guarta Elementare 4 di Ginnasio 2 licieo, Parlo il Tedesco, Italiano, Spagnolo, Russo, e Jugoslavo, come vede sarei in grado di lavorare se mi darebero la posibilità ma per me enegata la pace da cuando Sposai il mio marito.
Per ciò se mi sono permesa di scriverle questa mia Triste Storia mi sono permesa avendo Leto IL DOCUMEN TO DIVORZIO IN ITALIA: ed eseguo i giornalli sui cuali ogni tanto srive che certi DIVI del CINEMA Internazionale si DIVORZIANO ed anche vengono Benedetti dal S. S. PIO 12. Mentre noi non è lecito il Divorzio perche sempliciamente siamo della Bassa Plebea.
Molti di noi in cuesta Citta abiamo amirato la vostra Conferenza sul riguardo del Divorzzio in ITALIA, e speliamo che anche per noi un di splenderà il SOLE.
Ora vorei il mio caso di matrimonio!
1/ A rinunciato la sua Religione ed a abraciato la mia! Ortodossa.
2/ Sposati in Chiesa Ortodossa secondo il Rito della Chiesa.
3/ None stato registrato il Matrimonio in Italia secondo la Legge Chiesa Catolicca e ne registrato in Comune di C.
4/ Il Matrimonio Incontrato in Belgrado Sposati il 9-9-1944 non fu consumato per causa di guerra e per il motivo che il Comando Partigiano di Jugoslavia non ameteva che i Conigu restasero in sieme nella stesa Compania del Bataglione ma ben si divisi uno dal altro circa 20 KM di distanza uno dal laltro. Per talle causa non fu consumato il Matrimonio in pieno Vigore secondo la Legge della Chiesa Caotlica in Italia.
Credo Egregio Signore che cuesto mio caso la possa interessare come una Materia nel Campo in cui ora sta svolgendo la cuestione dei Divorzii cui in Italia.
E le sarei infinitamente grata se sarebe cosi gentile di darmi cualce vaga idea del come stail mio caso in Italia?, se ci sarebe la posibilità di otnere il cosi deto il Anulamento di Matrimonio tra me ed mio Marito che atualmente sta in C. conla sua E. C. S. Fidanzata ed a due Bambini con lei.
Mi dica lei Caro Signore se a me dopo il suo ben studiato caso si potrebe fare qualche cosa per me ed il mio marito perche noi due senza schriverci tu per tu ma trambite il suo Fratello siamo da cordo di fare cualunche cosa, e ci sarà posibile pur di essere liberi per potersi di nuovo riffare una nostra Familia.
Di novo le chiedo la scusa se mi sono permesa di schrivere a Lei Signor Avocato ma dato che me la ano presentato ancora primo come uno Onesto Sposo, Padre e Profesionista e per di più Oggi cuando ho leto il Documento la prego che se lei a fiducia in noi poveri di prendersi della nostra causa e vedere che cosa potrebe fare per noi?
Visarei inmensamente grata se mi farebe grande favore perche mi creda che non posso più tirar avanti così senza casa e lavoro senza Documenti sono costreta a fare di tutto che si può imaginare di una Donna?, pur di non andare giù e per non finire male o in Cimitero.
Mi firmo con Distintissimi Saluti in atesa di una sua Gentile risposta

[seguono nome, cognome e indirizzo]



G., 25 marzo 1955

Onorevole Sansone

Ho appreso dai giornali che nel mese di aprile prossimo verrà discusso in Parlamento un emendamento di legge da Lei proposto, che prevede la risoluzione del rapporto matrimoniale in casi particolari, precisamente nei casi di grave infermità mentale e di condanna all'ergastolo di uno dei coniugi.
Mi permetta, Onorevole, di esprimerLe tutta la mia simpatia ed il mio plauso per questo suo atto di coraggio, inteso ad affrontare su basi realistiche e profondamente umane una questione così delicata ed importante, purtroppo finora trascurata dai rappresentanti del nostro popolo.
Sarò assai breve nell'esporLe il mio caso personale.
Il mio matrimonio, contratto durante l'ultima guerra con eccessiva leggerezza, giustificabile con la giovane età, è stato un grave errore e si è risolto in un completo fallimento; gravi ragioni morali hanno reso e rendono assolutamente impossibile una riconciliazione; dopo l'abbandono del tetto coniugale da parte di mia moglie vivo da lei separato di fatto e legalmente da quasi sei anni (ho 35 anni e lei ne ha 30).
In simili condizioni non sono io certo il solo, ma vi sono in Italia migliaia di casi analoghi al mio. È proprio impossibile rifarsi una vita nel nostro beneamato paese? La Prego, Onorevole, di ascoltarmi benevolmente: sono sicuro che un errore commesso in buona fede è sempre riparabile Se gli uomini vi mettono un po' di buon senso e di buona volontà, mettendo da parte i pregiudizi e modificando le loro leggi non sempre perfette. E l'assoluta indissolubilità del matrimonio non può essere che un umanissimo errore, perché in molti casi si rivela un'evidente offesa al buon senso, un'ingiusta punizione di innocenti, una coercizione barbara, feroce, un paganissimo sacrificio della libertà e della felicità individuale sull'altare di un principio che ormai malamente si regge solo in pochissimi paesi del mondo civile.
Alcuni sostengono che il divorzio è immorale e pericoloso per la società e se ne dichiarano assolutamente contrari senza discriminazioni. Ebbene noi domandiamo a costoro con quale diritto essi pretendono di imporre questa loro tesi ai loro simili; chi è contrario al divorzio è pienamente libero di non divorziare mai, nessuno glielo impone; e la questione non lo riguarda minimamente; nella stragrande maggioranza dei casi costoro parlano e giudicano per inesperienza personale specifica: sicuramente cambierebbero idea e sacrificherebbero i loro principi se venissero a trovarsi in certe particolari situazioni... Essi dicono di voler salvaguardare la morale e non si avvedono di avallare una schiavitù, che per definizione è immorale, non riflettono sulla gravissima immoralità di certe situazioni assurde, tanto assurde che la legge stessa praticamente è costretta a chiudere tutti e due gli occhi e tutti e due gli orecchi per non vedere e non sentire.
In quasi tutti i paesi ormai il divorzio è un diritto acquisito, reso possibile dall'elevazione intellettuale e morale della donna e dal progresso civile e sociale. Resta, tra pochissimi, il nostro paese con le vecchie restrizioni, con i vecchi pregiudizi. È necessario, è urgente che il nostro paese si allinei con gli altri paesi civili.
Una sfrenata libertà di divorziare, è giusto, può essere dannosa per la società; noi non chiediamo questo. Noi vogliamo che vi sia la possibilità di risolvere i casi più gravi, più assurdi; che finalmente questi infelici, queste vittime innocenti possano uscire dalla illegalità, dalla vergogna in cui li tiene prigionieri oggi, mediante una legge irragionevole, la nostra società incomprensiva, egoista e crudele, possano rivedere la luce della libertà, possano rifarsi una vita.
Onorevole, voglia estendere l'emendamento da Lei proposto anche ai casi di grave fatto morale; chieda che dopo cinque anni di separazione legale senza riconciliazione il coniuge senza colpa possa ottenere lo scioglimento del vincolo matrimoniale.
La prego, Onorevole, di voler credere alla mia buona fede e di voler trarre da queste mie parole un incoraggiamento per la sua prossima azione in Parlamento.
Devotissimo.

[seguono nome, cognome e indirizzo]



B., lì 28-10-1954

On. Sansone,

Ho letto sulla Stampa una recensione sul progetto di legge da Lei presentato alla Camera e concernente il «piccolo divorzio».
Io mi trovo esattamente nel caso previsto al n. 3 della recensione (15 anni ininterrotti di separazione di fatto).
Più precisamente è la donna che abita con me che si trova in questa ipotesi. Io sono scapolo e vivo con lei da circa 16 anni; mentre lei è di fatto divisa dal marito da più di venti anni.
Abbiamo una figlia di 15 anni.
Se noi sentiamo l'assurdità della nostra situazione sociale, misuriamo anche l'immoralità degli ostacoli che si frappongono alla legalizzazione della nostra posizione.
Detta immoralità risulta evidente quando si sappia che ho iniziato le pratiche per il possibile annullamento del matrimonio che vincola la mia donna. Recatomi da un avvocato famoso di N. per l'inizio della pratica, mi sono sentito chiedere L. 300.000. In un primo tempo, pur di sistemare la posizione ho accettato, ma dopo qualche giorno, facendo bene i conti del mio magro bilancio, ho dovuto rinunziare perché non so da dove tirare fuori le L. 300.000 ed ho perso cosi le L. 25.000 date in acconto all'avvocato.
Quindi è morale, è giusto, è legale che la mia posizione rimanga immorale ingiusta illegale perché non ho i soldi per pagare chi deve fare tutto ciò.
Bisogna essere ricchi per essere morali? Oppure questa è una morale che fa comodo ai ricchi?
Domandi questo a coloro che fanno le leggi nel suo e nel mio paese e, se lo ritiene opportuno, faccia pure il mio nome e legga pure la presente.
Spero che il suo progetto possa essere capito come lo capisco io e tante migliaia di famiglie che come me non fanno delle belle parole sulla moralità e sulla legalità ma che semplicemente amano con vero amore la loro famiglia e soffrono nel vedersi giudicati con freddezza dalla legge.
Gradisca i sensi della mia stima per il suo coraggio e della gratitudine della mia famiglia per la sua comprensione.
Che Iddio l'aiuti nel fare diventare legge il suo progetto.

[seguono cognome, nome e indirizzo]



B., lì 29 ottobre 1954

Onorevole,

ho davanti a me l'Europeo del 24 ottobre 1954 che espone il Suo pensiero sotto il titolo Ecco il mio progetto del piccolo divorzio.
Io condivido completamente le Sue proposte e la motivazione ad esse date.
Io difendo in qualità di patrocinatore gratuito un uomo sul quale andrebbe applicato il punto V° dell'ampliamento dell'art. 149 C. C., come da Lei esposto.
Il caso del mio cliente è il seguente:
Egli, italiano di nascita, ha sposato un'allogena cittadina italiana. Nel 1940 il matrimonio è stato separato consensualmente.
In base agli accordi Mussolini-Hitler, la moglie, alla quale nel procedimento di separazione era stato riconosciuto un diritto all'alimentazione di Lire 150 al mese, ha optato per la Germania; ivi, divenuta cittadina germanica, si è rimaritata dopo aver ottenuto il divorzio in base alle leggi germaniche, con un altro cittadino germanico, ex optante allogeno dell'Alto Adige.
Riavuta in base alla legge del 2 febbraio 1948 N. 23 il diritto di rioptare per la cittadinanza italiana, sotto il nome del secondo marito ha chiesto di riottenere la cittadinanza italiana, cosa che, pure con separata domanda, ha fatto il secondo marito.
Ad ambedue è stato concesso il riacquisto della cittadinanza italiana.
I due coniugi ex germanici in fatto non convivono senza che vi sia al riguardo una disposizione giudiziale.
Nel 1950 la predetta signora ha iniziato causa al primo marito di cittadinanza e di lingua italiana per ottenere un aumento degli assegni famigliari e per la corresponsione degli arretrati. Di qui nacquero due cause:
1) la prima per deliberazione della sentenza di divorzio, nella quale la Corte d'Appello di T. sosteneva che non erano state osservate per il procedimento di divorzio in Germania le disposizioni del trattato italo-germanico, sorvolando che tale trattato italo germanico era venuto a cessare con la dichiarazione di guerra.
Il Supremo Collegio adito per l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello di T., sorvolando questa errata motivazione si è occupato del merito della causa, dichiarando che il divorzio di un matrimonio concluso in Italia non era possibile nemmeno nel caso concreto, benché si avesse fatto valere che l'art. 2 della Legge 2 febbraio 1948 N. 23 aveva disposto (sempre al riguardo della revisione delle opzioni degli Alto atesini) quanto segue: «salvo il disposto dell'art. 5, effettuata la dichiarazione prevista nel comma precedente, si considera che le persone ivi contemplate abbiano sempre conservato la cittadinanza italiana, ferma restando la regolamentazione dei rapporti giuridici, comunque sorti nei riguardi di dette persone fra la data dell'acquisto della cittadinanza germanica e quella del riacquisto della cittadinanza italiana».
Comunque il Supremo Collegio ha confermato la sentenza della Corte d'Appello di T. che ha negato la deliberazione della sentenza di divorzio.
2) La seconda causa è quella per l'aumento degli alimenti, in questa causa, la quale per un certo tempo era sospesa in attesa della sentenza della Corte di Cassazione, il S. ha fatto valere quanto segue:
Va esaminato se è sorto un cambiamento del rapporto alimentare, nel frattempo, cioè quando la S. era cittadina germanica.
Va bene che la legge parte dalla fictio che la S. rimase sempre cittadina italiana, ma la legge stessa per tale fictio fa l'eccezione, se è comunque sorto un rapporto giuridico.
Tale rapporto giuridico ora è sorto ai sensi dell'art. 75 della legge matrimoniale germanica, alla quale allora sottostava la germanica moglie, la quale legge così dispone: art. 75 «Wiederverheiratung des Berechtigten» id est «nuove nozze dell'avente diritto». «Die Unterhaltspflicht erlischt mit der Wiederverheiratung des Berechtigten» id est «l'obbligo agli alimenti viene meno con le nuove nozze dell'avente diritto».
A parte la questione se l'art. 2 sopra citato si riferiva ai rapporti giuridici anche familiari (comunque sorti) e quindi la sentenza del Supremo Consiglio ha fatto mal governo della disposizione di legge, è certo che nasce la domanda se almeno il rapporto giuridico economico, cioè del pagamento degli alimenti va trattato alla stregua della legge germanica riconfermata al riguardo dell'art. 2 della legge italiana (ferma restando la regolamentazione dei rapporti giudici comunque sorti ecc. ecc.).
Qui non c'entra il concordato Lateranense, al Vaticano può interessare la dissolubilità del matrimonio, ma non può interessare la questione della alimentazione che è questione morale e nel caso concreto siamo di fronte ad una domanda immorale.
L'art. 31 del C. C., disposizioni sulla legge in generale, dice che in nessun caso gli ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente o le private disposizioni e convenzioni possono avere effetto nel territorio dello stato, quando siano contrari al buon costume.
Questo vale anche nel caso concreto ove che una donna rinuncia al vincolo matrimoniale, alla cittadinanza e poi non si rivolge al marito ex novo scelto, dopo aver ottenuto il divorzio e non fa uso della propria capacità lavorativa, ma va contro un marito separato al quale ha rinunciato e che sente bollire in sé il sangue vedendo che dopo 14 anni si viene a mungere. Qui si ribella la morale di ogni italiano. Cosa giovano lettere di persone autoritarie che riguardano il caso «veramente doloroso», nessun progresso vediamo nella partecipativa 12 marzo 1953 del Segretariato Generale della Camera dei Deputati N. 494 che la revisione del decreto legislativo 2 febbraio 1948 N. 23, è all'esame di una commissione speciale della Camera dei Deputati, quando sentiamo che il noto decreto è stato ratificato in blocco.
Cosa ci giova la lusinga partecipataci dall'alto, che la Magistratura non mancherà di rendere giustizia al mio cliente.
Cosa giova l'opinione del Presidente della Sacra Romana Rota Mons. Luigi Fogar, Arcivescovo di Patrasso, il quale ricevette dal Ministero di Grazia e Giustizia la lettera 27 gennaio 1954 che allego in copia e che rimetteva il mio cliente, dopo aver fatto l'umanamente possibile, alla volontà di Dio.
Qui è necessario di trovare una disposizione morale, Quando non si ritenga che l'art. 31 delle preleggi, non preveda che anche le disposizioni della legge italiana vanno applicate fino all'ultimo, ma non fino alla immoralità.
L'art. 31 dice cioè: «limiti derivanti dall'ordine pubblico e dal buon costume», non si riferisce però che alla legge di uno Stato estero.
Se il principio dell'art. 31 è assolutamente giusto, deve essere o applicato anche alla legge italiana, oppure deve il legislatore trovare la via per modificare le disposizioni di legge nel senso che la donna adultera, divorziata, anche quando una fictio legis, la fa passare come adultera di buona fede, come non divorziata, non abbia a percepire alimenti da colui che è stato messo in disparte.
Come dissi in precedenza a ciò servirebbe il punto 5 del Suo emendamento; io però prevedo le barricate che si opporranno alla Sua lotta; alla questione che però interessa il mio caso non si potrà opporre ostacolo dipendente dal Concordato.
Basterebbe una interpretazione autentica delle parole rapporti comunque sorti. È evidente che è intervenuta dopo la legge 2 febbraio 1948 una qualche intermettenza per togliere ogni significato alle parole di quella legge senza la quale centinaia se non migliaia di figli nati in Germania sarebbero illegittimi, senza la quale oggi, se quella moglie avesse dei figli, ne sarebbe padre il mio cliente.
Come ho esposto qualche tempo fa in una memoria per un altro personaggio, ciò che ripeto se non si interpreta il comunque sorti a tutti i rapporti giuridici (diversamente non comprenderei la parola comunque), in questo senso, od almeno riferentesi ai rapporti alimentari, la legge diventerebbe assurda e non ci sarà qualcuno che potrà sostenere che il legislatore abbia voluto l'assurdo.
Che altri rapporti, obbligazioni, forma degli atti, ecc., erano regolati dalla legge del luogo e del tempo, risulta già dalle disposizioni sulla legge in generale. È evidente quindi che l'art. 2 della legge 28 febbraio aveva di mira ben altri rapporti giuridici, cioè tutti i rapporti giuridici, (argumentum ex verbo comunque).
Ecco quello che io nell'interesse del mio cliente ho voluto esporLe, perché forse la questione trova un trattamento in seno ai Suoi propositi e particolarmente in seno al punto V° delle Sue proposte di emendamento.
Se invece Ella trovasse che l'emendamento così come da Lei proposto non avesse speranza di riuscita, almeno vi sarebbe un motivo per trovare motivo di un emendamento dell'art. 2 della Legge 28 febbraio 1948 in relazione all'articolo 150 del C. C.
Mi scusi, onorevole, il disturbo, ma dopo tanti tentativi di giungere per il cliente a giustizia, giustizia che nelle vie normali trova qua e là i suoi impedimenti, ho creduto di fare appello a coloro che salvaguardano leggi giuste e leggi umane e morali.
Mi creda Onorevole con ogni osservanza ed ossequi di Lei dev.mo

[seguono nome e cognome]



S., lì 19-3-1955

Onorevole Sansone

Lo scrivente è un portalettere delle PP. TT. di S., e trovandomi prigioniero della vita, senza aver fatto nulla, dopo un serio guaio matrimoniale - Chiedo a Voi On.le Sansone, quando verrà discussa la v. umana legge, presentata alla Camera per il piccolo divorzio.
Pensi che sposai sfortunatamente una giovane, che oltre ha non essere nello stato di verginità per giunta era malata di venerea purolenta sin dalla età 14enne per giunta non curata.
Perché non mi deve essere restituita la mia leggittima libertà? Cosa ho fatto?
Sicuro che sarà approvata da tutti la V. veramente giusta umana e democratica legge Vi saluto devotamente e in attesa di un Vostro riscontro sollecito.
D.mo

[seguono nome, cognome e indirizzo]



R., 28 ottobre [s. a.]

Egregio Onorevole,

Leggo sui giornali della sua proposta alla Camera per il «piccolo divorzio» e non so dirle quanto i miei voti l'accompagnino perché la legge venga approvata. Ma non solo io, ma centinaia migliaia di coppie costrette a vivere illegalmente, le sarebbero certamente riconoscenti.
Colei che scrive è separata dal marito da 23 anni e vive con un uomo separato dalla moglie da 26 anni! Unione che dura da 22 anni, e non possiamo legalizzarla finché non resteremo vedovi.
Quante amarezze abbiamo dovuto subire per questa situazione lei può immaginarlo, e noie e seccature. Per fortuna non abbiamo avuto figli, ma intanto se fossimo stati sposati avremmo tanto volentieri adottato un orfano, invece nulla. Nulla ci è concesso, nemmeno la comunione!
Mi permetta di dirle che come è ammesso il solo rito civile per essere coniugati, perché non deve essere ammesso Per la separazione? E giacché la parola «divorzio» urta tanto la suscettibilità degli anti divorzisti a oltranza, si Potrebbe chiamare «annullamento civile». Chi voglia essere in pace con la Chiesa, e à i grandi mezzi, faccia l'annullamento religioso, e per tutti gli altri, per la massa, diremo così, ci sia questa via di salvezza.
Prenda a cuore, Onorevole, questa causa e nessuno lo dimenticherà.
Non posso firmarmi perché tanto io come il mio compagno, siamo molto conosciuti.
Mi firmerò.

Una donna Italiana



[s. l.] 2-12-1954

Oggetto: QUATTRO MILIONI DI ITALIANI FUORI LEGGE?! (e 4.000.000 di voti dispersi).

1921: F. B. coniugato a Milano: il 12 ottobre con rito Civile, il 13 ottobre con rito Religioso.
1930: Diviso consensualmente con omologazione del Tribunale, con la motivazione di «incompatibilità di carattere» (per non danneggiare moralmente la Figlia nata nel 1924), mentre il vero motivo fu «per sleale abbandono del tetto coniugale e della figlia seienne» dopo che il marito aveva perdonato precedenti ripetuti gravi falli.
1932: Ottenne l'annullamento del matrimonio in Cecoslovacchia «per impotenza coeundi della moglie».
1932: Delibazione in Italia della Corte d'Appello di Milano.
Parecchio tempo dopo il suo passaggio in giudicato, quando si trattò di fare annotare sullo Stato Civile dei Coniugi l'avvenuto annullamento, l'Ufficiale di Stato Civile, interpretando l'impotenza coeundi in impotenza generandi avendo visto della nascita di una figlia, e disubbidendo all'ordine del Presidente della Corte d'Appello non solo rifiutò tale trascrizione, ma inoltrò la pratica alla procura del Re che a sua volta girò al Presidente della Corte d'Appello.
Questi diede l'incarico ad un Legale di fare in modo di revocare la delibazione (nonostante il suo passaggio in giudicato).
Venne nominato un Curatore speciale alla minore (figlia) promuovendo una causa per tutelare i diritti... lesi... della figlia, adducendo «collusione fra le parti»; e così la sentenza di delibazione venne revocata. 1933: Si ricorse in Cassazione e nonostante che il P. G. S. Ecc. D. accettasse il ricorso, la Corte, per non andare contro una seconda volta al «celebre avvocato oppositore» che già aveva persa la causa Canella-Bruneri, espresse parere contrario e revocava la sentenza.
Così, da oltre 24 anni il padre, che ha sempre provvisto alla Figlia, ed alla quale provvede ancora, si trova in questa paradossale situazione umiliante ed è così deluso della Giustizia Italiana, e dei suoi amministratori, che non sa più a che Santo rivolgersi, e da desiderare un Governo più UMANO e comprensivo.
IL MATRIMONIO è né più né meno che una Società ove viene richiesta la COLLABORAZIONE ONESTA dei due Soci.
Quando uno di essi «froda» deve potersi sciogliere la Società e non obbligare l'offeso e l'umiliato al delitto per sciogliersi da quella che, se non annullato il matrimonio, poi diventerebbe una condanna a vita.

[senza firma]



M., 25 ottobre 1954

Onorevole ed Egregio Avvocato,

faccio parte di quei quattro milioni di «fuori legge» che giornalmente vengono umiliati e tenuti al bando da una società che, facendo scudo di una moralità amorale, crede di essere in diritto di ignorare le sofferenze di milioni di creature che altro non chiedono se non giustizia.
Pensi la società di oggi - quella stessa che con sorrisi di superiorità ci vilipende e ci umilia, - che non è un merito l'aver potuto avere una vita tranquilla, trascorsa nella legalità e nel rispetto, ma che è un privilegio. E che nessun privilegiato, e tanto meno un privilegiato, ha diritto di scagliar pietre contro colui che la sorte avversa e una legge inumana ha messo ingiustamente al bando.
Il mio caso è uguale a quello di tanti altri. Un legame contratto a vent'anni, che in pochi mesi si è dimostrato da ambo le parti insostenibile, per diversità di caratteri, per incompatibilità nel campo culturale, intellettuale e, perché non dirlo, anche fisico. Pochi mesi di unione, vani tentativi per evitare il crollo, e poi, la scissione.
Avevo ventun'anni. Richiesto l'annullamento al Tribunale Religioso, ottenni risposta negativa. La causa durò due anni. Nel 1939 non mi fu facile sacrificare una buona parte del piccolo stipendio mensile per pagare le spese d'avvocato e di Tribunale. Molti furono i sacrifici. Spesa complessiva: seimila lire. Tutti i piccoli risparmi di una povera impiegata.
Anni tormentati furono quelli che seguirono. La sofferenza di sentirsi, ad ogni contatto con la vita, una irregolare era aggravata dalla necessità di un affetto sincero, cosa che doveva ritenersi preclusa per sempre.
Venne la guerra. Fui infermiera volontaria. Feci sacrifici e li feci con tanta gioia. Finalmente mi era consentito di dare tutto l'affetto che si era accumulato in quegli anni.
Oggi ho trentott'anni. Da diciassette - dopo la divisione consensuale - vivo coi miei genitori. Ho cercato in tutti questi anni di sfuggire all'affetto che più volte mi è stato offerto da cuori sinceri, attratti forse da un'aria di serietà e di sincera semplicità che - purtroppo - traspare in me e fa parte del mio carattere. Doti queste che mal si addicono al «ruolo» di «fuori legge» al quale siamo forzatamente assegnati, noi, quattro milioni di Italiani che chiediamo finalmente giustizia.
Da oltre tre anni voglio bene, riamata, ad un uomo serio, buono, onesto. Ultimamente i suoi genitori hanno saputo. Ed ora ci rendono la vita impossibile, pretendendo che ci si lasci. Per loro, io sono una specie di lebbrosa o comunque un rifiuto dell'umanità. Nella loro strana «morale» condannano a morte chi ha «sbagliato» legalmente, mentre se si fosse trattato di sbagli dovuti a leggerezza o, perché no, a vizio, non avrebbero probabilmente nulla in contrario alla relazione del figlio.
Ed è ben triste, ma vero, che solo chi ha molti milioni, può oggi continuare a vivere. Noi che invece siamo poveri, abbiamo solo il diritto di piangere e di stare a guardare. Come non si può impedire alla rosa di sbocciare, così non si può inaridire il sentimento del bene nel cuore di quattro milioni di uomini, per il solo fatto che una legge ingiusta e inumana li tiene segregati a vita.
Paesi più puritani del nostro, e più progrediti del nostro, hanno dato la possibilità al loro popolo di non doversi vergognare di errori che nessuno al mondo potrebbe definire «colpe».
Nessuno ha il diritto di ignorare l'anonima massa di figli illegittimi che entrano nella vita marchiati con l'ignominia di una colpa, la quale il novanta per cento delle volte è imputabile unicamente a una Legge inumana ed a coloro che, avendone la possibilità, nulla fanno per modificarla.
Per quanto vorrà fare per noi, Onorevole, grazie di cuore. Anche a nome di tanti esseri umani che soffrono.
Ancora grazie e che Dio La benedica.

[seguono nome, cognome e indirizzo]



M., 31 dicembre 1955

Onorevole Prof. Sansone,

Direttamente interessato al Suo noto «progetto di Legge» riguardante la nullità del matrimonio, mi è gradito augurarLe ogni bene per il Nuovo Anno 1956.
Ho seguito attraverso la stampa - durante gli scorsi mesi - l'atteggiamento ostile di taluni giuristi o scrittori democristiani. Ma è necessario insistere con le solite polemiche.
Intanto bisogna battersi al fine di abolire la parola «DIVORZIO» che suona male nelle orecchie degli Alti Prelati della Sacra Rota. È necessario insistere per una «redenzione» affinché i cittadini veramente meritevoli di questa speciale «grazia» possano finalmente vivere in forma più decorosa.
Se si è trovata una soluzione per i figli di N. N. per quale motivo non è possibile trovare clemenza per coloro che si trovano nella posizione assurda di «falsi scapoli»?
Attraverso la polemica sarà bene trovare una forma per controbattere l'Osservatore romano il quale si ostina a considerare il matrimonio tassativamente indissolubile. Se cosi fosse, all'ingresso della SACRA ROTA dovrebbe venir affisso un cartello con la scritta:
«POICHÉ IL MATRIMONIO È UN SACRAMENTO, con la conseguente indissolubilità del vincolo, NON SI ACCETTANO ISTANZE PER IL TENTATIVO DI NULLITÀ». Analoga segnalazione presso i Tribunali Ecclesiastici Regionali.
Malgrado il segreto, l'austerità e la condotta severissima circa l'applicazione dei Canoni che regolano questa materia, in pratica assistiamo a situazioni di questo genere:
Coniugi cristiani, di nazionalità italiana, sani di mente e di corpo, sposatisi per amore e col consenso dei rispettivi genitori e parenti, procrearono felicemente. Ma dopo qualche anno si verificò uno screzio insanabile con la conseguente istanza ad un Tribunale Civile per ottenere la separazione.
La Magistratura, in base alle vigenti Leggi, sanzionò ufficialmente e legalmente il disaccordo dei coniugi, affidando i figli alle cure della madre.
Questi figli si adattarono alla nuova posizione di ORFANI DEL PADRE VIVENTE.
Poi dopo la prassi ecclesiastica si arrivò all'annullamento del matrimonio e da questa data, su approvazione Ecclesiastica, i figli si trasformarono entrambi in ORFANI DI GENITORI VIVENTI.
I predetti coniugi dopo qualche tempo si risposarono entrambi poiché la loro situazione civile risultava ormai NUBILE (la ex sposa ed ex madre) e CELIBE (l'ex sposo ed ex padre).
Durante la breve parentesi di celibato i figli potevano essere considerati figli di N. N.; ma non era cosi. Col nuovo matrimonio si ebbero due coppie di novelli sposi e di qui, nel rinnovato clima affettivo, nacquero i figli di secondo letto.
Non sono questi i pettegolezzi od il riporto di notizie apprese da terze persone, ma fatti che ho rilevato di persona poiché queste persone erano miei buoni amici e conoscenti fin dall'infanzia. Si è logicamente portati a pensare che i Giudici Ecclesiastici hanno sentenziato positivamente in base a FALSI CASTELLI GIURIDICI.
Onorevole Sansone, non sarebbe poi cosa tanto difficile fornire all'Osserraiore romano un elenco sul quale riportare una decina di questi casi, la Sede Ecclesiastica della Sentenza di nullità coi relativi numeri di protocollo e nomi dei componenti il Tribunale, date ed ogni altro particolare a conferma di quanto ho accennato.
Prima di inneggiare alla santità della famiglia (di cui i congressi del corrente anno) ci vuole prudenza.
Si pensi intanto che il novantanove per cento dei figli di N. N. sono frutto di relazioni adulterine. Infatti se un celibe commette l'errore, generalmente sposa la ragazza. Ma questo non è possibile allorquando l'uomo è regolarmente coniugato con prole. In Italia (e forse anche in molte nazioni estere) tutti gli uomini sposati hanno l'amante o l'amichetta. Le mogli italiane accettano intelligentemente questa forma di concubinaggio, sempre ché il marito le faccia star bene materialmente e non lasci mancar nulla alla santa famigliola. L'Italia è il paese del sole e dell'amore. Disponiamo di molti atleti dell'amore ed è quindi necessario disporre di ripieghi per saziare le proprie necessità fisiologiche.
Un mio carissimo amico (un noto democristiano fervente) sposatosi felicemente ebbe in dono dalla cara moglie undici figli. L'anno scorso seppi, in via confidenziale, che un nuovo suo grande amore con la segretaria particolare si era concluso felicemente con una nascita di un bel maschietto. Ma i figli di N. N. vengono magnificamente sistemati all'anagrafe, specie quando si dispone di molti quattrini! E così fu. Tutti felicissimi. Che Uomo il mio caro Amico. Anche gli Alti Prelati (dalla loro posizione di celibato) hanno una grande ammirazione per le famiglie numerose e dimostrano una certa benevolenza per i figli di N. N. della cui provenienza già abbiamo parlato!
Speriamo che col nuovo anno Ella possa trovare il momento favorevole per l'approvazione del Suo lodevole progetto di legge.
Io non ho figli legittimi o illegittimi. Sin dal 1940 risulto separato legalmente. Durante undici anni ho seguita la prassi ecclesiastica per tentare la nullità del vincolo, ma senza riuscirvi. La mia ex moglie è da tempo residente (con cittadinanza acquisita) in America ove convive felicemente con altro uomo e mai più rientrerà in Italia. Nella mia posizione di dirigente industriale chiedo unicamente una modifica ai certificati dello Stato Civile: il «CONIUGATO» con «CELIBE» e magari col divieto ecclesiastico di contrarre nuovo matrimonio.
I migliori saluti.

[seguono nome e cognome]



F., 9-11-1954

Esimio Avvocato

La prego di essere tanto gentile e non cestinare questo righe.
Mio padre era, prima del fascismo, un sindacalista per i ferrovieri Socialisti di F., amico dell'On.le Matteotti e dell'Avv. Console. Le tante angherie subite gli provocarono il mal di fegato tanto che nel 1936 ci lasciò senza vedere coronato il suo sogno di libertà. Io, suo figlio, subii la stessa sorte, solo quando gli Italiani poterono rialzare la testa ebbi un piccolo impiego. Ora io mi rivolgo a Lei per un'altra cosa.
Ho letto sui nostri giornali che Lei con mossa audace ma santa, à proposto alla Camera il «Piccolo divorzio».
Io mi sposai giovanissimo nel 1938 e dopo 5 anni d'inferno mia moglie nel 1943 mi abbandonò con un figlio di un anno. Solo col bambino piccolo ò fatto miracoli e l'ò portato onestamente fino a 13 anni. Ora non posso più seguitare a vivere solo, tanto più che mia madre à 73 anni, è diventala cieca e quasi inferma, la famiglia richiede lavoro, il bambino guida.
Desideravo rifarmi una famiglia; ma come fare? Una persona con me se è onesta non ci viene, perché con le nostre leggi capestro è sempre una amante, quelle che ci verrebbero anno un passato burrascoso ed io ricadere nel disonore non voglio e non me la sento; come fare? È possibile che io viva sempre cosi? Se avessi ammazzato uno a quest'ora sarei già libero e perché ò sposato una che non à mantenuto fede al giuramento, al sacramento matrimoniale devo pagare io? Ma se uno commette un reato è giusto che anche il coniuge deve andare in prigione pure lui? Mentre lei conduce una vita brillante io pago per il fallo che lei stessa à commesso. Io non posso seguitare in questa situazione, solo col bambino e una mamma vecchia ed inferma, ma oltre a questo avrò diritto anche io ad avere una compagna e sganciarmi da una donna che ci à riempito di disonore?
Mi aiuti avv. mi aiuti, pensi quando morirà mia madre come rimarrò. Se la figura la mia situazione? Mi aiuti Avvocato, mi aiuti.
Quale strada posso prendere, cosa posso fare, quando la sua proposta verrà discussa? Coraggio Avvocato, si ricordi che in Italia l'80% è con Lei. Di disgraziati siamo a milioni e da Lei aspettiamo che la vita ci torni a sorridere, coraggio.
Esimio Avvocato, è un disperato che Le scrive, non faccia cadere nel nulla queste mie righe. Fino a che mia madre era sana non ci pensavo tanto, ma ora ò assoluto bisogno di una sistemazione onesta, anche per il mio bambino. Mi basterebbe rifare una unione civile, un qualche cosa per poter far vedere alla donna che potrebbe venire con me, ai suoi parenti, al mondo che la cosa è legale. Attendo con fiducia una sua risposta, mentre mi scuso ringrazio.

[seguono cognome, nome e indirizzo]



C., 19 aprile 1955

Gentile Onorevole

Mi chiamo C. G. di N., da C. Mi sposai a C. nel 1938. In quell'epoca prestavo servizio in qualità di Specialista nella Regia Aeronautica. Mi congedai, venni richiamato in servizio per la guerra. Nel 1941 fui trasferito da C., e lasciai la Signora mia moglie con due bambini, la prima di due anni circa, e il secondo di qualche mese. Successivamente fui trasferito in Grecia.
Rientrai ammalato, passai da un ospedale all'altro, e quindi in convalescenza, e poiché in Sardegna non mi fu più possibile andare, dovetti accontentarmi da starmene a casa dei miei genitori.
Rientrai nuovamente in servizio, e vi rimasi fino al 1945 data del mio collocamento in Congedo. Pensai benissimo di venire prima da mia Madre, perché allora in Sardegna non si poteva andare. Fatalità volle che in quell'epoca, davano un premio a favore dei reduci disoccupati. Naturalmente questo premio lo davano i Comuni, ma occorreva la situazione di famiglia.
Io chiesi a C. il documento, e lascio immaginare a Lei On.le che cosa provai quando nel prendere visione di quest'ultimo, invece di due bambini, ce ne stavano tre. Il terzo era nato nel 1943 quando io già mancavo da C. dal 1941. Scrissi al Sindaco di C., il quale chiamò la Signora, a nome... contestandogli le mie accuse, che naturalmente essa non approvò. Allora fu invitata a denunziarmi, per abbandono, ma la Signora non si fece più viva. Il Sindaco di C., mi rispose che potevo senz'altro denunziare mia moglie e mi citò anche gli articoli.
Questa lettera io ce l'ho conservata. La denunziai alla Questura di C. (Ho la ricevuta conservata della Raccomandata), tanto per mettermi nella legalità, ancora non ho fatto fino a questo momento nessuna pratica, intanto la Signora si è data da fare, ed ha avuto altri due bambini, uno nel 1948, ed un'altro nel 1951.
Ecco Onorevole che cosa ho trovato ritornando dalla Guerra. E come me, centinaia di migliaia di giovani, si trovano in queste condizioni, e questo tutto per la guerra. Noi, On.le che tutto abbiamo dato alla Patria, la Patria a noi non dà niente, in quanto non ha cercato, e fino a questo momento ancora non cerca di risolvere questo importantissimo problema, dando a noi giovani la libertà di poterci creare una nuova vita, nell'onestà e nel bene, dopo tanti patimenti, dopo tante sofferenze, dopo tante tribulazioni sofferte.
Noi soldati fedeli, noi figli d'Italia, miracolosamente scampati dalla morte, abbiamo il diritto di chiedere questo? Non era forse dovere di tutti gli uomini politici, e di loro iniziativa, creare una legge appositamente per noi poveri disgraziati? Noi alla chiamata della Patria, rispondemmo presenti. Perché oggi la Patria non risponde alla nostra chiamata? Non chiediamo forse noi alla Patria di venirci incontro, nei nostri sacrosanti diritti? Chi può a noi disconoscere questo? Ecco in che situazione ci troviamo noi giovani, a causa della guerra, e questa è la riconoscenza per noi poveri figli disgraziati.
Ora a Lei On.le, voglio chiedere una spiegazione, e cioè: Posso io crearmi una vita nuova, sposando civilmente, in attesa che verrà risolto questo importantissimo problema? La prego di rispondermi Onorevole, e di perdonare l'ardire.
Accetti insieme alle mie scuse, i miei distinti saluti.
Dev.mo.

[seguono nome, cognome e indirizzo]



P., [s. d]

Caro Onorevole,

Mi scusi se sono un po' indiscreto, avrei una osservazione da fare, forse sbaglio io. Il Nuovo (Corriere della Sera) del 14 gennaio 1956 à Pubblicato un articolo sulle seconde nozze della figlia del Tenore Beniamino Gigli. Come mai à ottenuto l'annullamento di matrimonio? Allora anno violato le leggi di Cristo! Diffetti non ne avevano perché anno un figlio di sedici anni; forse si sono divisi per gelosia come spiegava il Corriere della Sera.
Mi Pare che quando si è risposato Tiron Pover i nostri giornali anno fatto molto rumore, e Pensare che l'artista del cinema non è un Italiano e anno delle leggi diverse dalle nostre. Ma la Signora Ester Gigli e il suo legittimo sposo Conte Dott. Benedetto Lorenzelli, sono veramente due Italiani. Ma la signora Gigli si è risposata con il cantante Plinio Clabassi in una Cappella del Santuario del divino amore alle Porte di Roma.
Ora io vorrei chiedere chiarimenti su questo fatto non comune in Italia, essendo anchio diviso legalmente dalla moglie cagionato dalla guerra, e quante volte ò chiesto da Parte dei nostri avvocati Socialisti per l'annullamento di matrimonio e mi è sempre stato detto che per nessun motivo non si Poteva avere l'annullamento. Poi non pargliamo da Parte Eclesiástica mi dicevano che il matrimonio è un sacramento di Cristo che non si può sciogliere.
Per la Gigli non è un sacramento perché à i miglioni da far mangiare ai Tribunali.
Ora io chiudo questa mia lettera col chiedere scusa degli errori, e mi auguro di leggere al Più Presto su una sua lettera il chiarimento di questo matrimonio. Grazie e cordialità.

[seguono nome, cognome e indirizzo]



R., lì 27-10-1951

Onorevole Sansone,

attraverso la stampa abbiamo potuto apprendere la Sua proposta di legge in merito al «piccolo divorzio» e, certo di riflettere il pensiero di tutti coloro i quali si trovano nelle mie stesse condizioni, mi permetto porgerLe il più sentito plauso per la prova di coraggio da Lei dimostrato, affrontando decisamente questa dilagante piaga, quale il matrimonio e le leggi che lo regolano, in uno Stato come il nostro.
Degli 8 articoli costituenti la legge «Casi di scioglimento del matrimonio», il primo comprensivo di una piccola gamma di casi, che pur abbracciando nella cruda forma un realismo obbiettivo ci lascia un po' insoddisfatti, perché tralascia quelli più comuni quali ad esempio:
a) l'immoralità di uno od entrambi i coniugi;
b) l'adulterio flagrante (a parte la pena);
c) vizio di consenso (o che so io);
d) matrimonio contratto con raggiro a scopo di lucro (colpa esistente prima e perdurar della stessa dopo il matrimonio) e tutte quelle questioni giuridiche ed umane in cui un libero cittadino al quale un matrimonio errato ha precluso ogni possibilità di rifarsi una vita, di avere una moglie legittima, un nucleo famigliare, dei figli non bastardi ed una ragione di esistenza.
Sarebbe ora che la nostra legge civile si occupasse di questi tristi casi sorvolando, o rendendo più duttili le vecchie forme burocratiche che allontanano l'uomo da Dio, facendolo piombare nella disperazione più cupa, nella automenomazione psichica, nella incompletezza civile, quasi fosse bandito dalla società o delinquente pericoloso.
Chi è in fondo un uomo separato dalla moglie?
Un relitto umano, un'autolesionista dannoso, un disperato abulico.
Cosa farà della propria esistenza sola, priva di ogni affetto leale, con l'incubo della vecchiaia marciante a gran passi verso gli animi resi già decrepiti da tali amare esperienze?
A quando il piacere di udire un'adorata vocina chiamarlo babbo? Senza la vergogna di sapersi frutto di un'amore illegale?
E, omettendo le altre ragioni, tra le quali le economiche, per chi, come noi disprezza la vita, non ama l'economia, il lavoro, la società e il tutto che lo circonda, l'esistenza non ha ragione di essere.
Saremo deboli nello spirito e forse è vero, ma che dire di coloro che ci obbligano a prostituirci in bordelli, in case equivoche, tra le braccia di peripatetiche al chiaro delle stelle, impedendoci di vivere come essere umani, negandoci la possibilità di riconoscere i nostri figli e, ironia della sorte permettendo che la nostra ex moglie ne sforni con tanto di marca di sicurezza!
Più che un problema civile esso rappresenta un rebus morale ed umano perché a 25 anni non si può vivere con la prospettiva di una castità assurda per tutto il resto della vita, a meno che non ci si senta anormali.
Donna e uomo che siano in queste assurde condizioni sanno cosa può significare il piccolo o grande divorzio, ma chi vive felice con la dolce sposa e ne avverte il calore, le tenerezze in ogni attimo del giorno, chi in essa trova una ragione di esistere, un tonico alle asperità quotidiane oppure al primo affanno può dividere con essa le pene che lo affliggono, ebbene questi non può comprenderci mentre dovrebbe e con lui tutti coloro che, pur avendo una compagna ideale la trascurano per una femmina qualunque.
Gli uomini di governo, nati e creati dal popolo, non possono essere sordi alle nostre preghiere.
Abbandonino un'istante i preconcetti di partito e vadano incontro alla gente semplice ed alle loro necessità, scindano le teorie di partito dalla pura forma religiosa che non c'entra per niente in simili circostanze; essi non debbono ridurci a mendicare l'amore.
Si rendano conto che la solitudine è molto triste come il vuoto della esistenza e fin quando un individuo regala figli ad un disgraziato fuorilegge, il quale a sua volta dà vita a bastardi infrangendo onore di fanciulle oneste celandosi nell'inganno, distruggendo la moralità fino alla vigliaccheria - oppure regalando figli ad un altro fuorilegge come lui, saremo nell'assurdità, nella civiltà retrograda di un popolo insano che si agita e vive nel peccato, governato da talpe sature di teorie e sorde ad ogni umana richiesta.
Ne parli alla Camera caro Onorevole!
Parli di noi fuorilegge, di noi mariti traditi o traditori, ribelli ad un vincolo che non sentiamo più per ragioni certamente non puerili, legati da un contratto indissolubile (ma che diventa il contrario a seconda dei personaggi che lo hanno stipulato) ad un essere per cui sentono ribrezzo o pietà e con il quale abbiamo rinunciato già a vivere.
Nell'attesa che la Sua legge faccia breccia negli animi di chi ci governa, culleremo l'illusione che questa luce non si affievolisca travolgendo nel buio del nostro spirito tutte le speranze che vi albergano e per un momento promettiamo di non desiderare la morte materiale (perché soltanto ad essa dovremo la nostra liberazione, e mi sembra sia condannato dalla Chiesa chi si augura tale soluzione) per noi, o per chi ci distrusse con un matrimonio errato, ogni possibilità di vita onesta.
In quanto alle dichiarazioni fatte dall'Es.mo prof. Gedda, presidente dell'Azione Cattolica, in merito alla Sua proposta di legge, gli suggerisca PRIMA: di non pronunciarsi a nome nostro, e se poi, proprio ci tenesse a far presente il suo parere, si sposi; (se non lo ha già fatto), si separi, viva qualche anno la vita d'inferno che viviamo noi, le ansie e le preoccupazioni nostre, conosca finalmente una vera donna, comprenda l'assurdità della propria posizione rispetto agli altri esseri umani, ai propri figli e poi, solamente allora potrà esprimere il giudizio più obbiettivo. SECONDA: un semplice REFERENDUM.
A Lei, giunga gradito il n/s ringraziamento e lo sprone a battersi per noi, poiché la presente sta a dimostrarLe la viva simpatia e la fiducia che La seguiranno sempre.
Suo devotissimo.

[seguono nome, cognome e indirizzo]

Ciò premesso, può asserire senza timore che non sono gli uomini a perdere la fede nella religione, ma gli stessi uomini che la predicano e la rendono inaccettabile.



S., 25-10-1954

On. Sansone,

a conoscenza della proposta di legge da lei avanzata sul piccolo divorzio, mi permetto di portare a sua conoscenza il mio caso.
Sono sposato in Francia 1927 mia moglie esigendo da parte mia la naturalizzazione francese il mio rifiuto si concluse con la separazione in 1932. In 1948 sepi che mia Moglie otenne il divorzio.
Ora io domandai il passaporto ma senza il consenso di mia moglie non mi sarà rilasciato perché io sono sempre suo sposo perché fino al 1948 io ero il padre dei figlioli dell'amante di mia moglie. Dal 1948 a oggi io sono il padre dei figli del marito di mia moglie, perché oggi lei è sposata.
Mi scuso questa frase, ma en français on dit cela c'est du vrai vaudeville. Tanto per un solo esempio. La prego scusarmi. Riceva on. le mie cordiali simpatie.

[seguono nome, cognome e indirizzo]



V., 6-10-1955

Sono separato fin dal 1934 da mia moglie, la quale fu già adultera ancora prima di tale data, e poi ho perdonato in seguito anche a pressioni da una parte e dall'altra delle nostre famiglie, abbandonando la città ove faccio servizio e trasferendomi in un'altra. Sperando un ravvedimento da parte di questa incosciente donna che ora convive con l'amante, che sarebbe il secondo, dopo aver abbandonato il tetto coniugale senza giustificato motivo, si rese adultera per la seconda volta, colta sull'atto dai funzionari della questura.
Il Tribunale di V. ci separò condannando l'ex mia moglie alla perdita di tutti i diritti e anche quello del nome. Tale sentenza, in seguito a ricorso, fu confermata dalla Corte di Appello di V.
Questi due adulteri avvennero non con la stessa persona, ma con due persone diverse, e credo quasi fermamente che una terza persona abbia violato la mia casa durante il mio servizio.
Ora vorrei chiedere a coloro che trovano difficoltà a rendermi quella libertà che sento di aver diritto, se avrebbero sopportato offese simili, come onesto cittadino riconosciuto anche dall'amministrazione - Poste e Telegrafi - che ho servito per quasi 40 anni.
Io credo che sarebbe cosa onesta dare la libertà al galantuomo negandola a chi ha mancato al dovere e non colpire l'uno e l'altro nella stessa forma. Sarebbe come dire: Colpire il peccatore e anche il giusto; cosi vuole la chiesa o per meglio dire gli uomini della Chiesa.
Faccia qualche cosa Onorevole e stia sicuro che godrà la simpatia di tanti, che sono nelle stesse mie condizioni.
Perdoni se le faccio leggere tutto questo con perdita di tempo prezioso per Lei.
Riceva gli ossequi più devoti da un suo ammiratore, e tanta salute.

[seguono nome, cognome e indirizzo]



F., lì 29-10-1954

On. Deputato

Ho appreso dai giornali come Lei abbia presentato al parlamento un disegno di legge che consentirebbe il divorzio almeno in alcuni casi di particolare gravità. Chi scrive è stato abbandonato dalla moglie da oltre 22 anni senza aver trovato mai la possibilità di sciogliere un vincolo non più operante da tanti anni e quindi divenuto un grave ostacolo alla vita di entrambi i coniugi. Lo scrivente non ha nemmeno potuto tentare lo scioglimento del matrimonio attraverso i tribunali ecclesiastici, scioglimento da altri ottenuto con non eccessive difficoltà, giusto perché non legato dal vincolo religioso. In definitiva per me la mancanza del vincolo religioso ha costituito una aggravante e non una facilitazione, come sarebbe stato lecito pensare, allo scioglimento del matrimonio.
In conseguenza di ciò per la donna che ora vive presso di me non ho nessun assegno, e alla mia morte ella non potrà godere di nessuna pensione pure essendo io impiegato dello Stato. Queste sono le leggi umane che ci governano. Il colmo è che nemmeno la mia moglie divisa, potrà godere della mia pensione (cosa del resto ingiusta ed immorale) perché ella è a sua volta impiegata dello Stato e non può cumulare due pensioni.
Ad ogni modo, per lo Stato, la mia pensione dovrebbe, semmai, spettare alla donna che mi ha abbandonato da oltre 22 anni e non a quella che ha avuto cura di me ed avrà da curarmi fino alla morte.
Mi auguro e le auguro che il suo giusto intervento abbia il successo che merita nel nome della giustizia e dell'umanità. Semmai il mio caso la potesse interessare sono a sua disposizione per ogni ulteriore chiarimento.
Grato di un cenno di ricevimento la prego scusarmi dei disturbo e gradire i miei rispettosi ossequi.

[seguono cognome, nome e indirizzo]



M., 14 ottobre 1955

Ill.mo signor Onorevole Sansone,

mi voglia scusare se troppo familiarmente mi rivolgo a Lei, ma La ritengo un amico, un amico potente e generoso. La lettera che accludo non è per Lei, Onorevole, che ben sa come stanno le cose e quanta verità contengano le mie righe; vorrei solo pregarLa, se possibile, di farla leggere a chi maggiormente si oppone al Suo progetto sul «piccolo divorzio».
Certo peccherei di presunzione pensando che le mie povere parole servano a qualcosa, ma i Suoi avversari sono tanti ed io mi sento di osare nell'intento di esserLe utile.
Lei mi ha aperto nel cuore una grande speranza, solo per questo Le sono tanto grata e sogno più che mai il giorno che per me sarà veramente il più felice.
Lei immagina, quale?
Molti auguri per Lei e... per me.

[seguono cognome, nome e indirizzo]

Quando alcuni giornali hanno invitato ad un referendum a proposito del «piccolo divorzio» molti degli interessati, me compresa, hanno desistito dal parteciparvi perché le continue finzioni a cui costringono certe situazioni e lo stato d'inferiorità che procurano inevitabilmente, non invogliano certo alla pubblicità.
Ora però avvicinandosi il momento del dibattito si questo progetto di legge, mi sentirei colpevole di vigliaccheria se non tentassi, con le mie modeste possibilità, a contribuire al buon esito di una causa che farebbe apprezzare la tanto vantata «giustizia» ad innumerevoli persone che per ora non possono che dolersi della facilità con cui questa bella parola viene spesso usata a sproposito.
Sono nata e vissuta in un ambiente modesto ma dei più sani, eppure, nella mia piccola cerchia, ho conosciuti parecchie persone alle quali una falsa situazione, sia come figli, sia come coniugi, ha procurato e procura una vita delle più infelici. Del resto non si sarebbe arrivati al divorzio in tutto il mondo (o quasi), se questi casi pietosi non si fossero verificati ovunque ed in tal misura da rendere doveroso il provvedervi.
Il mio caso particolare è dei più comuni e non può commuovere chi non abbia seguito da vicino le mie peripezie, eppure, sebbene viva accanto all'uomo che amo e che mi ama, sono tormentata ed infelice. Da 15 anni egli vive separato dalla moglie per valide ragioni ed io che ho avuto il solo torto di volergli bene e di aiutarlo a rifarsi una vita subisco ogni giorno qualche umiliazione.
Avevo 18 anni quando l'ho conosciuto; è stato il mio primo ed unico amore; perché dovrei vergognarmi? Perché non mi viene concessa l'assoluzione? Perché la legge continua a proteggere chi ha fatto del male e nega tutti diritti a me che per ascoltare il cuore ho rinunciato a tutti ciò che di più bello sogna una fanciulla, e, non avendo grandi mezzi, penso con terrore alla vecchiaia poiché la legge mi considera e mi considererà un'estranea per l'uomo al quale avrò dato tutta la vita dopo averlo aiutato a risalire dal nulla?
Non è forse peggio del divorzio una separazione che dopo tanti anni mantiene ancora validi i diritti e i dover dei coniugi costringendo entrambi a vivere in modo illegale e umiliante? Anche «lei» convive con un uomo e per fortuna da ambo le parti non ci sono figli, ma in molti casi i figli ci sono!
Ecco il caso di una mia stretta parente il cui padre, morto qualche mese fa, aveva abbandonato moglie e figlia quando questa ultima contava 4 anni.
Essa ha sempre conosciuto un secondo padre: un bravissimo uomo, scapolo, che amando la madre ha allevato ed istruito la figlia come se fosse sua.
Questa ragazza però ha sempre sofferto, dai primi anni di scuola in poi; non ha mai potuto essere spensierata come le bimbe della sua età perché aveva un segreto più grande di lei da custodire.
Solo ora che è sposata e madre di due figli e che la sua mamma ha potuto regolarizzare la sua unione, essa può dirsi felice, ma le rimane pur sempre un triste ricordo della sua gioventù. E questi tipi di ricordi lasciano tracce incancellabili nel carattere e nei sentimenti.
Ed ecco un altro caso di nostri conoscenti.
Sposata da un anno, una giovanissima donna viene a trovarsi sola e lontana dalla sua città mentre sta per dare alla luce un figlio, perché il marito viene condannato a molti anni di carcere a causa delle sue malefatte. Nasce una bambina e per qualche anno questa povera donna si dibatte nella più dura miseria, finché una famiglia benestante le offre un lavoro sicuro e la ospita con la sua bambina. Il capo famiglia è vedovo e anziano e, sposatisi i figli, fra l'uomo e la giovane donna che rimane in casa va fatalmente creandosi un legame di sincero affetto. La figlia ama e rispetta il suo benefattore, viene educata nel migliore dei modi e si fa una perfetta signorina. Ed ecco che, dopo 15 anni, esce dal carcere il padre e marito e, sapendo che la moglie non tornerà con lui, comincia a pesare sul vecchio signore e lo assilla con continue richieste di denaro, fa scenate alla moglie, spia la figlia e intimorisce entrambe al fine di ricattarle.
È giusto tutto questo secondo la morale e secondo la coscienza?
Non oso sperare che le mie parole vengano ascoltate, giacché penso che chi nega il suo favore al progetto di «piccolo divorzio» abbia da contrapporre argomenti forse più validi di quelli da me esposti. Ma francamente io non li vedo e non mi basta il confronto tra la pena di morte che vige ancora in molte nazioni ed il divorzio, che viene concesso nelle stesse nazioni.
Non vedo proprio nessuna relazione fra le due cose poiché il ripristino della prima non recherebbe bene a nessuno (se non alle mogli degli ergastolani), mentre la seconda, se contenuta nei limiti proposti dall'On. Sansone, non farebbe che definire situazioni ormai riconosciute insanabili.
La gente non cambia perché cambia una legge, e secondo me, nessun Matrimonio «vero» potrebbe soffrire dell'innovazione, mentre invece qualche matrimonio pericolante potrebbe avvantaggiarsene in quanto la pur lieve possibilità di svincolo indurrebbe i contraenti a comportarsi reciprocamente con maggior serietà e con minor spavalderia.
Perché non appoggiare una causa tanto giusta?
Nonostante sappia che i vari tentativi fatti in proposito dal 1873 ad oggi hanno sempre trovato accaniti oppositori anche quando la battaglia era stata vinta per 8 a 1, confido che l'evoluzione ed il progresso inducano, oggi, ad un esame più sereno della situazione.
Ringrazio caldamente chi gentilmente mi ha voluto ascoltare e mi scuso per l'ardire.

[seguono lo stesso nome, cognome e indirizzo]

Appendice documentaria

A complemento e integrazione delle testimonianze contenute nel presente volume, allo scopo di fornire un panorama quanto più possibile completo sulla questione, vengono qui raccolti i seguenti documenti: Proposta di legge d'iniziativa del deputalo Luigi Renato Sansone annunziata il 26 ottobre 1954: «Casi di scioglimento del matrimonio»; Vicende della proposta di legge; D. Staffa (mons), Divorzio né grande né piccolo; L. R. Sansone, Non si tratta di divorzio.

Appendice 1. Proposta di legge d'iniziativa del Deputato Sansone annunziata il 26 ottobre 1954. Casi di scioglimento di matrimonio (in Atti Parlamentari. Camera dei Deputati N. 1189 Legislatura II: Documenti, disegni di legge e relazioni, [s. n.])

Onorevoli Colleghi,
la proposta di legge che vi presentiamo merita tutta la vostra attenzione. Essa tende a regolarizzare la posizione di migliaia di famiglie italiane che vivono fuori della legge senza che per esse possa esservi allo stato della nostra legislazione, alcuna possibilità di rimedio.
Abbiamo perciò pensato di proporre alla vostra approvazione cinque precisi e tassativi casi nei quali il matrimonio può essere sciolto ampliando la norma di cui all'articolo 149 del Codice civile che, come vi è noto, prevede lo scioglimento del matrimonio solo per la morte di uno dei coniugi.
I cinque casi non crediamo che meritino una lunga e dettagliata esposizione: essi hanno una propria eloquenza.
Col primo caso si dà facoltà al coniuge di chiedere lo scioglimento del matrimonio se l'altro coniuge è stato condannato, con sentenza definitiva, a quindici anni e più di reclusione. Per meritare l'altro coniuge pena cosi alta (durante la quale, si noti, vi è interdizione legale, giusta l'articolo 32 del codice penale) ha dovuto compiere un delitto fra i più gravi e se esso si è posto contro la società così apertamente, non può di certo invocare la tutela di un bene o di un istituto dopo aver disprezzato e violate le norme fondamentali del vivere civile.
Lo stesso argomento vale per il secondo caso da noi ipotizzato: se un coniuge ha tentato di uccidere l'altro coniuge, non si può esigere che restino validi quegli impegni solenni assunti di fronte all'altro coniuge ed alla società con la pubblica accettazione del disposto degli articoli 143, 144, 145 del Codice civile. Il mancato o tentato uxoricidio è atto in sé e per sé cosi grave da determinare una naturale impossibilità di ulteriore convivenza fra i coniugi.
Il terzo caso tende a normalizzare situazioni di fatto che si sono venute a creare nel fluttuare di questa nostra intensa vita. Vi sono cittadini, che, o per ragioni di lavoro o per altri molteplici motivi che sfuggono ora alla nostra indagine, hanno lasciata la casa e sovente l'Italia, da molti anni, senza dare più notizie di loro, o dandone saltuariamente ma senza giammai rientrare in famiglia e senza comunque adempiere ai doveri imposti dalla legge e dalla morale al coniuge o al genitore lontano.
Il far trascorrere quindici anni in questa illegale situazione dà la certezza che il vincolo matrimoniale è distrutto e solo una finzione giuridica tende a tenerlo in vita. Abbiamo scelto il lungo termine di quindici anni di abbandono ininterrotto proprio per acquisire la prova attraverso un lungo e pervicace comportamento illegale che nulla v'è più da sperare per la ricostituzione della famiglia.
Non è applicabile al caso quello dello assente per cui si può ottenere la dichiarazione di morte presunta (come è detto espressamente fra l'altro nell'articolo 8 della nostra proposta), perché, mentre l'ipotesi prevista dall'articolo 58 del Codice civile interessa chi non ha dato per dieci anni proprie notizie, noi abbiamo pensato di regolamentare i casi invece, nei quali, pur avendosi notizie saltuarie, praticamente vi è abbandono della casa coniugale o di quelli ancora più gravi nei quali si sa che l'altro coniuge vive in altro luogo, sovente, con una nuova famiglia creata illegalmente.
Abbiamo voluto porre un termine superiore a quello fissato per conseguire la dichiarazione di morte presunta, per avere e dare la certezza assoluta della rottura insanabile del vincolo matrimoniale.
Abbiamo anche considerato il caso di coniugi che sono da quindici anni interrottamente separati di fatto o per separazione personale consensuale o dichiarata dal magistrato. Anche per questa ipotesi abbiamo ritenuto giusto e opportuno fissare il lungo termine proprio per aversi con tutta tranquillità la certezza che non è più possibile ricomporre il matrimonio che è finito.
Vorremmo farvi notare, onorevoli colleghi, che per il nostro Codice civile è sufficiente che non si abbiano notizie per dieci anni di una persona per presumerne la morte con tutte le conseguenze di legge (citati articoli 58 e seguenti del Codice civile) e basta poi per il nostro Codice penale lasciar decorrere un determinato lungo termine senza che sia stata messa in moto l'azione penale per aversi prescrizione estintiva del reato (articolo 157 del Codice penale).
Ebbene il solo trascorrere del tempo che è valido a produrre conseguenze giuridiche cosi importanti (e prescindiamo da tutte le innumerevoli prescrizioni brevi che si determinano in tema di diritto privato) non dovrebbe poi essere tenuto in considerazione in tema matrimoniale? Lo Stato che rinunzia a punire un omicida solo se vi è stata una prolungata inerzia nell'attività punitiva come può non considerare questo elemento cronologico anche per il diritto matrimoniale? Quindici anni di abbandono o di separazione sono quasi una vita; sono certamente la parte più valida della vita!
Questo termine lungo che noi vi proponiamo esprime proprio che non si può sperare di sciogliere facilmente un matrimonio, ma che solo dopo anni di sofferenze - che hanno virtualmente distrutto un'esistenza - vi è la speranza di un rimedio o di una sanatoria.
Il quarto caso è doloroso e può apparire anche poco umano a chi si rinchiude dietro le gelosie del facile e falso sentimentalismo, mentre in sostanza è un caso a nostro avviso, profondamente giusto Se il coniuge è affetto da malattia mentale inguaribile e da cinque anni è degente in casa di cura o ospedale psichiatrico, appare sotto ogni aspetto doveroso considerare come non possibile il permanere del vincolo coniugale.
Ci si potrà obiettare che è ingiusto considerare la sola malattia mentale e non le altre malattie e che è disumano considerare come ipotesi di scioglimento un male sopravvenuto dopo il matrimonio. Abbiamo considerato il solo caso della malattia mentale perché la scienza e la tecnica medico-chirurgica non sono ancora riuscite a dominare completamente tali forme di mali, mentre in ogni altro campo della patologia umana si è raggiunto tale progresso per cui tutte le malattie - a meno che non stronchino più o meno rapidamente come ad esempio le degenerazioni maligne dei tessuti e del sangue - possono considerarsi sia pure teoricamente come guaribili o per lo meno curabili, mentre per molte forme di malattie mentali, oltre l'isolamento, non vi è altra cura.
Ma vi preghiamo di considerare principalmente che la malattia mentale ha una sua eziologia nella costituzione dell'individuo per cui al momento del matrimonio l'altro coniuge ha creduto di sposare un individuo sano ma in effetti si trattava di soggetto ammalato la cui tara si manifesta dopo, per cause delle quali molte ora sfuggono alla scienza.
Il nostro Codice civile omettendo di considerare la malattia mentale come motivo di annullamento (come vi è noto esso considera solo la impotenza anteriore al matrimonio come unico motivo di menomazione fisica per conseguire l'annullamento, articolo 123 Codice civile) non ha tenuto conto proprio di quei fattori eziologici ai quali accennavamo e si è solo attenuto al concetto cronologico: cioè malattia che sì determina dopo le nozze. Ma al lume della più moderna scienza medica dovrebbesi a nostro parere considerare la malattia mentale come malattia anteriore al matrimonio per cui potrebbe e dovrebbe essere motivo di annullamento!
Ma ciò a parte, è da considerare, onorevoli colleghi, la predisposizione e la ereditarietà che per molte forme si riconosce nelle malattie mentali. Può un coniuge permanere nell'obbligo giuridico e morale di procreare creature che saranno certamente tarate?
Vi preghiamo di riflettere su questo assurdo giuridico e morale che è ad un tempo un dramma che vivono ogni giorno tanti nostri concittadini e vi renderete conto del perché noi abbiamo considerato solo la malattia mentale come causa di scioglimento.
Il quinto ed ultimo caso tende a stabilire una eguaglianza fra i coniugi dei quali uno è cittadino straniero e l'altro è o rimane cittadino italiano. L'esperienza che ricaviamo anche dall'ultimo tragico conflitto ci impone di considerare con particolare attenzione il caso di tante nostre concittadine che sposate in Italia a militari tedeschi o alleati sono state abbandonate dai propri mariti. Costoro, tornati nelle loro patrie di origine, hanno colà sciolto il matrimonio contratto in Italia e si sono formati una nuova fa miglia. Abbiamo cosi nostri concittadini che sono uniti in un matrimonio indissolubile, che un coniuge per effetto della propria cittadinanza ha potuto spezzare.
Lo squilibrio giuridico è cosi evidente per cui pensiamo essere assurdo mantenere un vincolo che è legalmente ed umanamente spezzato per sempre per effetto della disparità delle disposizioni in materia matrimoniale fra i vari Stati del mondo. Ridare a questi cittadini italiani la possibilità di formarsi una legale famiglia dopo essere stati disprezzati, ingannati e talvolta beffati ci sembra che sia un dovere dello Stato proprio per raggiungere quella certa moralizzazione che ci proponiamo realizzare con la presente proposta di legge.
Per l'applicazione della presente legge abbiamo pensato di proporre che l'istanza di scioglimento deve essere redatta e presentata dal coniuge il cui caso a favore, se cosi si può dire in tanta sventura, si sia verificato. Solo per il caso terzo (cioè separazione da 15 anni e oltre) la domanda può essere presentata indifferentemente da uno dei coniugi interessati ma non da quello, per ovvi motivi, la cui separazione legale fu dichiarata per colpa.
Il Presidente del Tribunale tenterà, specie per i casi di cui ai numeri 2° e 3°, un esperimento di conciliazione, che non dovrà essere formale e frettoloso, come quello che ora si pratica ai sensi dell'articolo 708 del Codice di procedura penale. Trattandosi di scioglimento di matrimonio e per casi precisamente delimitati, siamo sicuri che la nostra Magistratura saprà valutare caso per caso il modo come intervenire. È certo molto difficile che possa verificarsi una riconciliazione o una rinuncia alla richiesta di scioglimento, ma il tentarlo è dovere dello Stato.
Abbiamo pensato essere opportuno che l'istanza con la quale si chiede lo scioglimento del matrimonio sia coevamente alla sua presentazione notificata al Pubblico Ministero per dar modo al rappresentante della legge di intervenire nell'interesse superiore della giustizia.
Gli articoli 4, 5, e 6 statuiscono, a sentenza di scioglimento emessa, circa gli alimenti da corrispondere temporaneamente o a vita, al coniuge che ne ha bisogno e ai rapporti fra genitori e figli nati dal matrimonio. È certo questo della regolamentazione dei figli nati dal matrimonio che si scioglie, uno dei punti più delicati. Non dobbiamo dimenticare che gran parte di. questa prole è allo stato già abbandonata a se stessa, sbatacchiata e avvilita; quindi la regolamentazione dei rapporti fra figli nati dal matrimonio e genitori che hanno ottenuto lo scioglimento dello stesso, dovrà ispirarsi oltre che alle norme del nostro Codice Civile anche ad un criterio di aderenza alla realtà familiare e di sana equità. Del quale criterio il giudice dovrà fare ampio uso perché è ovvio che in tale delicata materia non può esservi una norma prefissata e rigida, ma solo una indicazione.
Infine abbiamo ritenuto opportuno far presente che tutte le disposizioni del Codice civile circa i figli, la dote, la vacatio vedovile, la separazione personale ecc., restano valide ed applicabili per quanto di ragione, proprio per confermare che i cinque casi di scioglimento di matrimonio da noi propostivi per l'accettazione, si inseriscono nella codificazione attuale del nostro diritto della famiglia senza creare sovvertimenti o contrasti con la legislazione vigente.
Ci rendiamo conto che la nostra proposta troverà serie opposizioni. Ma prima di esaminarle conviene dire come il problema dello scioglimento del matrimonio, per casi più o meno diversi, è stato posto innanzi alla Camera dei deputati.
Invero l'onorevole Salvatore Morelli fu il primo a presentare una proposta di legge sull'argomento (13 maggio 1873, proposta n. 63) e ne ottenne la presa in considerazione il 25 maggio 1873; però la sopravvenuta chiusura della sessione impedì l'ulteriore svolgimento della proposta. Lo stesso onorevole Morelli la ripresentò il 19 febbraio 1880 (proposta n. 65) e anche questa volta (guardasigilli onorevole Villa) venne presa in considerazione nella seduta dell'8 marzo 1880. La morte del presentatore interruppe la discussione della proposta stessa.
Fu lo stesso guardasigilli, onorevole Villa, a ripresentare il 1° febbraio 1881 un disegno di legge «Sul divorzio». Relatore venne nominato l'onorevole Parenzo; ma tale disegno rimase allo stato di relazione per improvvisa chiusura della sessione. Disegno di legge che rivisse nel 1883 per iniziativa del nuovo guardasigilli Zanardelli. Relatore ne fu l'onorevole Giurati (relazione presentata il 23 giugno 1884). Anche questa volta il disegno rimase allo stato di relazione.
Dopo otto anni (12 marzo 1892) l'onorevole Villa presentò una sua proposta di legge «Disposizioni sul divorzio» (n. 336) che fu svolta e presa in considerazione il 4 aprile 1892, ma non ebbe seguito perché si profilò all'orizzonte lo scandalo delle Banche che assorbì l'interesse della Camera. Solo nel 1901 gli onorevoli Berenini e Borciani risollevarono il problema. La loro proposta arredata da relazione densa di argomenti fu svolta e presa in Considerazione il 6 dicembre 1901. Presidente della Camera l'onorevole Villa. Presidente del Consiglio l'onorevole Zanardelli, relatore di maggioranza l'onorevole Berenini; per la minoranza l'onorevole Scalini. Parve che la proposta dovesse tradursi in legge; ben otto uffici della Camera su nove si dichiararono favorevoli e trentasei deputati di varie tendenze aggiunsero la loro firma a quella dei presentatori.
Ma tutto naufragò per l'intervento dell'onorevole Zanardelli che s'impegnò a presentare un disegno di legge da parte del Governo. Detto disegno si ebbe nel 1902 (n. 707) avente per obietto «Disposizioni sull'ordinamento della famiglia». Fu relatore l'onorevole Salandra che ne propose con una lunga e motivata relazione il non accoglimento; e così anche questo disegno di legge non ebbe ulteriore discussione.
Il 7 febbraio 1914 il deputato Comandini presentò una proposta «Per lo scioglimento del matrimonio mediante il divorzio»; proposta che decadde per l'articolo 133 del Regolamento. Infine il 6 febbraio 1920 gli onorevoli Marangoni e Lazzari presentarono una proposta «Per lo scioglimento del matrimonio». Detta proposta fu letta e svolta il 6 maggio 1920, (n. 471), Relatore per la maggioranza lo stesso onorevole Marangoni, per la minoranza, l'onorevole Belotti, ma non venne in discussione per la sopravvenuta chiusura della sessione ai primi del 1921. Dopo del 1921 è nota la storia del nostro Parlamento e la umiliazione che dovette subire ad opera del fascismo (In uno dei primi numeri del Popolo d'Italia tra le «riforme» che il partito fascista «prometteva» di realizzare vi era il divorzio come necessario nella vita di un Paese civile) per cui non vi è ulteriore traccia di attività legislativa in materia.
Il problema della indissolubilità del matrimonio venne discusso nel 1917 alla Costituente, allorché si approvarono gli articoli 7 e 29 della nostra Costituzione. E vi fu un voto esplicito dell'Assemblea stessa nella seduta del 23 aprile 1947 allorché approvò con 191 voti contro 192 l'emendamento del deputato Grilli che proponeva la eliminazione della parola «indissolubile» dopo quella di «matrimonio» del testo proposto dalla Commissione dei 75.
Abbiamo voluto riportare tutta l'attività legislativa che si è susseguita nel nostro paese in tema di scioglimento di matrimonio per mostrare come il problema è stato sempre posto all'attenzione della Camera e da uomini di ogni parte politica. Non è quindi un problema che è stato mantenuto in vita artificiosamente per demagogia o per speculazione politica o per altri motivi deteriori ma è stato sempre vivo perché la società italiana lo ha avvertito, lo avverte e se lo è posto e ne chiede la soluzione.
Invero non possiamo tralasciare l'andamento delle separazioni personali che sono un indice, sia pure impreciso, del fallimento di tante unioni che, sorte nel sorriso e nella gioia, sono finite nel dolore e talvolta nel delitto. Limitandoci agli anni dal 1933 al 1953, cioè agli ultimi venti anni, si hanno questi dati raccolti dall'Istituto nazionale di statistica:


AnnoDomande separazioniAnnullamenti
19334.523-
19344.329-
19353.98270
19364.37757
19375.04197
19385.432133
19395.286122
19405.151155
19414.974-
19414.974-
1942-1946(manca per i noti eventi bellici)-
194710.912-
194810.27575
19498.05280
19508.64555
19517.85850
19528.15237

Da questi elementi appare chiaro che le domande di separazione pur tenendo conto dell'aumento della popolazione, sono raddoppiate (anno 1933, n. 4.523; anno 1952, n. 8.152).
Va però considerato che le domande di separazione esprimono solo una minima parte delle fratture che insorgono fra i coniugi, in quanto nella maggioranza dei casi esse si risolvono con abbandono senza richiesta di rimedi legali o talvolta anche con un colpo di pistola. Si potrà perciò, senza tema di smentite, affermare che un numero considerevole, che può farsi ascendere a non meno di 40.000 coppie per anno, spezza il vincolo matrimoniale.
Se consideriamo questo numero nel tempo, limitandoci sempre come criterio indicativo - agli ultimi venti anni e facendo una media, si può bene affermare che circa cinquecentomila (500.000) coppie hanno rotto definitivamente i loro rapporti. A questo numero deve aggiungersi quello nelle quali un coniuge o è stato condannato a pena oltre i 15 anni o è folle o ha sciolto il matrimonio per essere cittadino straniero, e si ha quindi, sempre rapportandoci all'ultimo ventennio, che circa 600.000 coppie di coniugi sono sciolte di fatto. È naturalmente conseguente che gran parte di questo milione e più di italiani non felici ha trovato altro affetto e altra unione, dalla quale certamente sono nate tante altre creature esse stesse infelici e inquiete come i loro genitori. Se consideriamo una media di due figli procreati illegittimamente da ciascuno dei due coniugi già facenti parte di quel milione e più cui dianzi accennavamo, si vedrà che circa 4.000 000 di italiani sono fuori della legge ed in una situazione di perenne umiliazione di fronte a tutta la società. E se per un momento si pensi a tutti gli illegittimi nati anche prima del periodo di 20 anni da noi considerato, ci si accorgerà che il problema ha una sua importanza.
Abbiamo voluto mostrare con un criterio numerico (che inutile ripetere, è solamente indicativo) l'importanza del problema per darne una cognizione quasi palmare agli onorevoli colleghi. Perciò la proposta che vi sottoponiamo per l'approvazione non tende ad affermare un principio, né a seguire un indirizzo anziché un altro; non si vuole schierare a favore di questa o quella teoria, noi desideriamo dare a milioni di italiani la possibilità di risolvere, ai soli fini civili, la situazione grave, gravissima talvolta, nella quale si trovano e normalizzare e moralizzare la vita di una parte non trascurabile della nostra società.
Non si tratta, onorevoli colleghi, di una aliquota minima di cittadini italiani che sono fuori della legge: sono milioni tra genitori ex legge e figli illegittimi (indichiamo con questa parola tutta la Prole che nasce da tali unioni benché allo stato civile essa viene denunziata in vari e molteplici modi) e quindi, a parte l'interesse dei singoli, che pure va tenuto in conto, uno Stato moderno non può trascurare di considerare il fenomeno che si manifesta nella società da cui trae l'essenza, né può disinteressarsi dal porre rimedio al fenomeno stesso.
Le obiezioni che ci verranno mosse traggono origine dalle nostre tradizioni. Ci si dirà che sia il nostro diritto che la religione cattolica (che è la religione della quasi totalità degli italiani) hanno sempre affermato e sostenuto essere il matrimonio indissolubile.
Che anzi si sostiene da molti, con serio e profondo argomentare, che la società italiana si è cosi formata proprio perché ha sempre voluto il matrimonio monogamico e indissolubile e che non intende rinunciare a questa sua genesi.
Ligi come siamo al principio che ci siamo imposti di non polemizzare in una materia nella quale ciò è facile per la varietà degli argomenti che si pongono pro e contro la indissolubilità del matrimonio (Le argomentazioni pro o contro l'indissolubilità del matrimonio sono esposte nelle relazioni degli onorevoli Calandra, Berenini e Scalini; relazioni che hanno esaminato il problema sotto ogni aspetto ed in maniera esauriente), pensiamo invece che giovi ricordare che quasi tutti i Paesi d'Europa e del mondo (eccetto il Brasile) hanno statuito o per norma che scaturisce da precetti religiosi o dal diritto puro, in tema di diritto matrimoniale, prevedendo casi più o meno numerosi di scioglimento di matrimonio.
Senza scendere all'esame dei principi informatori e limitandoci all'Europa, che è il Continente nel quale vive la Società italiana, indicheremo paese per paese le norme ed i principi in atto:

Albania: Il Codice civile albanese del 1928 (imperante cioè il fascismo e re Zogu) prevede negli articoli 203-210 molti casi per i quali il matrimonio si può sciogliere.
Andorra: Vige il diritto canonico dato che la sovranità del piccolissimo Stato è esercitata cumulativamente dal vescovo e dalla Francia.
Austria: Ammesso lo scioglimento di matrimonio con legge 6 luglio 1938, modificata in parte con legge 26 giugno 1945. Per i cittadini cattolici che chiedono di sposare secondo il rito cattolico vige il diritto canonico.
Belgio: Il Codice civile belga del 1804 e susseguenti modifiche prevede varie ipotesi di scioglimento di matrimonio.
Bulgaria: Il matrimonio regolato secondo i dettami della Chiesa ortodossa poteva essere sciolto per vari casi ai sensi dell'art. 187 dello statuto dell'Esarcato. Il decreto-legge sul matrimonio del 1945, fermo il matrimonio religioso, ha reso obbligatorio il matrimonio civile dettando norme sia per contrarre che per sciogliere il matrimonio, ispirandosi largamente al diritto svizzero.
Cecoslovacchia: Ammesso lo scioglimento del matrimonio con legge 22 maggio 1919 (cioè subito dopo la proclamazione dello Stato cecoslovacco avvenuto il 28 ottobre 1918). La legge 7 dicembre 1949 ha confermato e ampliato la possibilità di scioglimento di matrimonio.
Danimarca: Ammesso lo scioglimento del matrimonio sin dal 1582. In ultimo la legge del 30 giugno 1922 ha confermato i vari casi per i quali lo scioglimento è ammesso.
Finlandia: La legge matrimoniale del 30 giugno 1929 ha regolato tutta la materia ed ha ampliato i casi tradizionali per i quali era ammesso lo scioglimento del matrimonio.
Francia: Introdotto lo scioglimento di matrimonio dalla Rivoluzione, trovasi ora regolato dal Codice civile (articoli 229-305).
Germania: Ammessi i casi di scioglimento con legge 6 febbraio 1875, furono confermati dal Codice civile del 1900. La materia venne rielaborata e ampliata con legge 6 luglio 1938, alla stregua delle «dottrine» naziste (più casi di divorzio ma niente separazioni personali). La legge 1° marzo 1946, abrogando la parte ispirata alle «dottrine» naziste, ha mantenuto tutti i casi previsti dal Codice del 1900.
Grecia: Ammessi vari casi di scioglimento con legge 2 luglio 1920 e legge 31 dicembre 1923. La materia è regolata dal Codice ellenico del 1940 entrato in vigore il 10 maggio 1946 (articoli 1438 e 1462) confermando i casi già ammessi, e distinguendo casi perentori dai casi facoltativi.
Islanda: Ammesso lo scioglimento con la legge del giugno 1921 che distingue caso per caso.
Jugoslavia: Al mosaico di legislazione prima esistente per cui solo in alcune province era possibile sciogliere il matrimonio, è succeduta la «legge fondamentale» sul matrimonio del 1946 che prevede otto casi di scioglimento di matrimonio.
Italia: Non ammesso lo scioglimento. Ammesso negli anni in cui fu adottato il Codice napoleonico (1804-1816). Ammesso solo durante la sovranità italiana per i non cattolici (israeliti, musulmani, e greci ortodossi), della Libia, delle Isole Egeo, e per quelli dell'Africa italiana. (Vedasi da ultimo i decreti 1° giugno 1936, n. 1019, e 21 agosto 1936, n. 7010).
Inghilterra: Lo scioglimento già ammesso sin dal tempo della Regina Vittoria con competenza dei tribunali ecclesiastici, con le matrimonial causes act del 1857, divenne di competenza dei tribunali civili. La materia fu riordinata e ampliata con le matrimonial causes act del 1937 e del 1949.
Lussemburgo: Ammesso lo scioglimento di matrimonio con una legislazione affine a quella francese.
Monaco: Con ordinanza 3 luglio 1907 fu data la possibilità di sciogliere il matrimonio per determinati casi (come nella legislazione francese).
Norvegia: La legge 31 maggio 1918 modificata dalle leggi 20 maggio 1927 e 25 giugno 1937 detta i casi per i quali è ammesso lo scioglimento di matrimonio.
Paesi Bassi: Il Codice olandese del 1938 e successive modificazioni prevede i casi di scioglimento di matrimonio.
Polonia: Lo scioglimento già ammesso dal Codice civile austriaco (articoli 115, 116, 118, 133, 136), dal Codice civile germanico (B. C. B., articoli 1564, 1583) durante il reame, dalla legge 12 giugno 1836, poi dal Codice civile russo, è ora confermato dal Codice della famiglia promulgato il 27 giugno 1950.
Portogallo: Ammesso lo scioglimento per determinati casi con decreto 3 ottobre 1910 (dopo la proclamazione della Repubblica). Ogni possibilità è preclusa per i cattolici sposati dopo il 1940 per effetto del concordato col Vaticano dello stesso anno 1940. Grande reazione vi è però nel Paese tanto che fu deciso di compilare nel 1942 un nuovo progetto di legge per i casi di scioglimento del matrimonio, ma tale progetto è stato rinviato alle modificazioni più ampie da apportare a tutto il Codice civile (decisione del 1944).
Romania: Ammessi casi di scioglimento di matrimonio dal Codice del 1865 modificato dalla legge 15 marzo 1906 e confermati con specificazione e acceleramento della procedura con la legge 28 giugno 1943.
Spagna: Non ammesso lo scioglimento. Durante la seconda Repubblica con la legge 2 marzo 1932 furono ammessi vari casi di scioglimento. Franco ha abrogato tale legge con quella del 23 settembre 1939.
Svezia: Ammessi casi di scioglimento fin dal 1734. La legge 11 giugno 1920, tuttora vigente, ha riordinata, modificata ed ampliata tutta la materia.
Città del Vaticano: Ammesso lo scioglimento del matrimonio rato e non consumato e per il privilegio paolino (il non battezzato convertito al cattolicesimo è autorizzato a contrarre nuovo matrimonio quando il coniuge non convertito rifiuti la convivenza coniugale o questa si renda impossibile).
Svizzera: Ammessi casi di scioglimento dal vigente Codice civile svizzero del 10 giugno 1907, entrato in vigore il 1° gennaio 1912.
Turchia: Ammessi casi di scioglimento (sul modello del Codice civile svizzero) con il vigente Codice civile turco del 10 dicembre 1907, entrato in vigore il 4 ottobre 1926.
Ungheria: Ammessi casi di scioglimento per tutti i cittadini in virtù della legge matrimoniale ungherese del 1894, andata in vigore il 1° ottobre 1895 e tuttora vigente.
U. R. S. S.: Ammesso lo scioglimento del matrimonio dal Codice del 1918 e da quello del 1926-27.

Come appare da questa schematica indicazione di leggi vigenti, in Europa, solo l'Italia, la Spagna di Franco, il Portogallo e la piccola feudale Repubblica di Andorra non ammettono casi di scioglimento del matrimonio, mentre tutti gli altri Paesi europei e fra essi i cattolici popoli di Francia, del Belgio, dell'Ungheria, della Polonia e della Svizzera, ammettono da molti anni, anzi alcuni da molti secoli, la possibilità di sciogliere il matrimonio.
Sorge allora spontanea una domanda: ha influito in modo deleterio e sullo sviluppo e nella vita dei popoli che compongono le nazioni europee l'aver consentito a essi, da tempo, la possibilità di regolamentare casi di scioglimento di matrimonio?
Non crediamo che a questa domanda occorra rispondere esplicitamente essendo evidente la risposta. Che anzi possiamo trarre una indicazione certa, e cioè che quei popoli che da più tempo hanno concesso una determinata regolamentazione per casi di scioglimento di matrimonio, hanno una maggiore moralità e sanità della famiglia (Svezia, Svizzera, Belgio, Paesi Bassi, Polonia, Danimarca, Ungheria, ecc) che si manifesta con un numero sempre più esiguo di scioglimenti rispetto al numero delle famiglie costituite e con una trascurabilissima aliquota di delitti contro l'altro coniuge e la famiglia in genere.
Non siamo riusciti a ottenere tutti i dati statistici, paese per Paese, a conferma di questa che può apparire una nostra affermazione (ma ci ripromettiamo di presentarveli durante la discussione di questa nostra proposta), però, onorevoli colleghi, è notorio e vi preghiamo di darne atto, che nei paesi da noi indicati la moralità e il senso della famiglia è molto forte e i delitti contro la famiglia sono quasi inesistenti, il che significa che la solidità della famiglia non sta in leggi restrittive, ma principalmente nella organizzazione della società secondo criteri economici più giusti e secondo criteri legislativi intesi a vedere la realtà sociale cosi come si manifesta.
Antonio Salandra nella sua lunga e dotta relazione del 6 giugno 1903 contraria al ricordato disegno di legge presentato nei 1902 dal Presidenti del Consiglio Zanardelli e dal Ministro della giustizia Cocco Ortu (disegno di legge n. 207) affermava fra l'altro che «potrebbe giustificarsi (l'approvazione del disegno governativo) solamente, se fosse inoppugnabilmente dimostrato che si tratta di effettuare un grande e sincero progresso giuridico, non solo, ma anche sociale; di guisa che risultasse imperioso dovere del legislatore imporre un tale progresso al Paese riluttante».
E dopo aver posto questa proposizione per lui fondamentale, dava questa spiegazione sociale alla sua opposizione al disegno di legge: «L'accrescersi della divorzialità quasi dappertutto è più rapido che non sia quello della popolazione e dei matrimoni. Questo fenomeno non si spiega soltanto, anzi non si spiega principalmente, come effetto delle leggi più larghe. Esso si è rilevato anche laddove le leggi non sono mutate. Esso è l'effetto di parecchie cause complesse e concorrenti dalle quali è derivato il fatto doloroso che molti uomini e donne sono disposti a riguardare il vincolo del matrimonio diversamente da come facevano un secolo fa e cedono più facilmente al desiderio di scioglierlo. Tali sono il più intenso sentimento della personalità individuale che si traduce in più squisita sensibilità e in più ribelle intolleranza delle avversità: la scadente efficacia delle prescrizioni e delle credenze religiose, la prevalenza dei motivi economici nelle azioni umane, lo svincolarsi delle donne dall'antica inferiorità giuridica, intellettuale e sociale onde sono tratte oltre il segno a svincolarsi dalla famiglia, lo sviluppo dell'industrialismo con le sue conseguenze della maggiore mobilità delle popolazioni; del più facile disgregamento delle associazioni familiari, del lavoro lungi dalla casa, dell'emigrazione, dell'inurbamento, la tendenza delle classi inferiori della società a elevarsi al livello delle altre nei diritti, nella cultura, nei godimenti e a imitare precocemente i costumi. Per tutte queste e altre ragioni la civiltà nostra patisce a un penoso e pericoloso disequilibrio fra l'immenso progresso materiale e il deficiente progresso morale».
E continuava: «Ora dobbiamo noi, senza che niuna necessità pratica ce lo imponga, senza che la maggioranza del popolo nostro lo richieda, aprire sempre più l'adito al diffondersi di codeste tendenze, e concedere a una di esse la piena sanzione della legge?».
Come è facile vedere, onorevoli colleghi, l'onorevole Salandra, cinquant'anni or sono, era costretto a riconoscere l'esistenza del fenomeno sociale, dandone una spiegazione che non possiamo condvidere e giungendo a delle conseguenze opposte a quelle alle quali noi perveniamo. Egli non vedeva lo sviluppo politico e sociale del nostro Stato e della nostra Società, e i fermenti nuovi che agivano entro la società, erano da lui considerati difetti da correggere o conati da reprimere.
Egli principalmente non si rendeva conto, con la sua mentalità conservatrice, che, determinatosi il fenomeno sociale, occorre che il legislatore trovi la norma adatta affinché il fenomeno stesso non degeneri. Se ciò a parte consideriamo sorpassata (indipendentemente dalle ideologie politiche di ognuno di noi) al solo lume dell'esperienza di questi ultimi cinquantanni di nostra vita, la concezione cui egli si ispirava, e se consideriamo che è un dovere di un paese moderno ed è dovere specifico della giovane nostra Repubblica tutelare l'unità familiare (articolo 29 della Costituzione), non può non prescindersi dalla situazione nella quale sono milioni di italiani.
Il grande progresso giuridico e sociale cui accennava l'onorevole Salandra nella sua relazione, certo non sta in questa nostra proposta, noi lo riconosciamo, e ci auguriamo che una riforma della nostra società sulla indicazione che viene a noi dalla Costituzione possa rapidamente effettuarsi. Ma allo stato delle cose e di fronte a casi che definiremo limiti riteniamo essere imperioso per il legislatore dare un rimedio, dare cioè la possibilità di legalizzare tanti rapporti illegali.
Non è che cosi facendo si rende artificiosamente legale quello che è fuori della legge e della morale, perché occorre riconoscere che nella communis opinio, il fatto di restare unito naturalmente per un lungo susseguirsi di anni ad altro essere (il matrimonio del quale si è rotto per eventi molte volte tragici) non è fatto che si riprova o dà ripugnanza, che anzi, specie quando da tali unioni sono nate delle innocenti creature, si determina nella società italiana (e nello stesso clero cattolico) un senso profondo di comprensione e di solidarietà, il che comprova che la società riconosce a queste unioni naturali una sua intima giustezza e moralità, che il legislatore deve considerare al fine di quell'imperativo che gli viene per la creazione della norma giuridica regolatrice del fatto stesso.
Pensiamo che possa da ultimo opporsi che lo Stato italiano vincolato com'è con il Trattato del Laterano e relativo Concordato non può statuire in questa materia oppure potrebbe farlo solo con legge costituzionale. Cioè crediamo, che possa da qualcuno affermarsi, che l'articolo 7 della Costituzione sarebbe di impedimento all'accoglimento di una proposta redatta, cosi come l'abbiamo formulata noi. perché occorrerebbe prima modificare il Concordato e per far ciò sarebbe necessario che a tanto si giungesse con un procedimento di revisione costituzionale.
Noi riteniamo non fondata tale opposizione. Riservandoci di precisare più innanzi il valore dell'articolo 7 della nostra Costituzione, è opinione generale che se si avesse in animo di modificare il Concordato (o una parte di esso) redatto l'11 febbraio 1929 fra l'Italia e lo Stato della Città del Vaticano, occorrerebbe un procedimento di revisione costituzionale. E ciò si evince e dal testo dell'articolo 7 della nostra Costituzione e dalla relativa discussione che si svolse all'Assemblea Costituente.
Nel caso nostro, cosi come abbiamo detto e ridetto, noi miriamo solo a creare una modifica del nostro Codice civile in tema di scioglimento di matrimonio, cioè vogliamo ampliare l'articolo 149 del nostro Codice civile senza voler spostare o modificare quanto statuito e concordato fra lo Stato e la Chiesa. Né crediamo si possa o voglia sostenere la tesi, per noi assurda e infondata, che sarebbe inibito allo Stato italiano dal Trattato col Vaticano, di statuire anche e solo per i fini civili, in tema matrimoniale, perché accettando tale tesi si affermerebbe e consoliderebbe una grave limitazione alla sovranità italiana che non venne stipulata, né si volle.
Per ciò confermare (cioè che non vi fu rinunzia alla sovranità italiana in tema) basta precisare che in Italia, allo stato della nostra legislazione, sono possibili tre tipi di matrimonio:

a) matrimonio celebrato secondo il diritto canonico con effetti civili dalla trascrizione nei registri dello stato civile;
b) matrimonio celebrato innanzi ad un ufficiale dello stato civile (detto matrimonio civile);
c) matrimonio celebrato da altri ministri di culti ammessi con effetti civili dal giorno della trascrizione negli atti del nostro stato civile (Conferma della possibilità di tre tipi di matrimonio emerge anche nei dati statistici che ha testé pubblicato il comune di Roma: in vero dal gennaio al luglio l954 nella capitale si sono celebrati i seguenti matrimoni: con rito cattolico 5.915; con rito civile 317; con rito di altri culti 38).

Quindi ogni tipo di matrimonio allora è perfetto rispetto allo Stato italiano allorché se ne opera la trascrizione nei registri dello stato civile. Il che sta ad indicare che lo Stato non ha rinunziato alla sua sovranità in materia in quanto ha mantenuto fermo, anzi ha valorizzato l'istituto della trascrizione, esigendosi tale adempimento come unico determinante degli effetti previsti e voluti dalle nostre leggi civili, penali o amministrative (cioè quegli effetti che si indicano con la parola «civili»). È vero che si è sostenuto da alcuni che il diritto canonico, data la formulazione dell'articolo 34 del Concordato è divenuto diritto ricettizio dello Stato italiano, ma questa tesi è validamente controbattuta da molti giuristi, alcuni dei quali ferventi cattolici, che hanno sostenuto esservi nel Concordato un rinvio puramente formale a quel diritto senza che esso fosse divenuto parte del nostro stesso diritto.
E noi siamo di questa opinione, non per amore di tesi, ma perché riteniamo che con il Concordato - che si redasse distinto dal Trattato proprio per conservare autonomia ai due distinti ordinamenti giuridici - si è data solo una parità di efficacia al matrimonio celebrato innanzi a un Ministro di culto cattolico, ma non una preminenza, né una sovranità esclusiva, altrimenti non potrebbe giustificarsi e la possibilità di coesistenza di tre tipi di matrimonio, così come sono possibili in Italia, e l'istituto della trascrizione.
D'altronde, senza addentrarci o fare polemiche, ma riportandoci a quel criterio, al quale ripetiamo, ci siamo inspirati, cioè di far parlare i fatti e le cose, occorre in materia vedere come si sono succedute le leggi e si vedrà che lo Stato italiano non ha rinunziato alla sua sovranità in materia, e può ben statuire con legge ordinaria in tema matrimoniale - anche sulla dissolubilità o meno - proprio perché il Trattato del Laterano e il Concordato non ne rappresentano un ostacolo.
I Patti lateranensi comprendono il Trattato e il Concordato che, come vi è noto, furono stipulati il giorno 11 febbraio 1929. Il 27 maggio 1929 si ebbe la legge n. 847 per l'applicazione del Concordato per la parte riguardante il matrimonio. Il 24 giugno 1920 si ebbe la legge n. 1159 sui culti ammessi e poi il regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289, che insieme alla legge n. 1159 provvide per la efficacia dei matrimoni celebrati innanzi a ministri degli altri culti ammessi.
Non vi fu protesta alcuna da parte dello Stato del Vaticano per queste due ultime leggi che affermavano in maniera certa non essere cessata o ridotta la sovranità italiana in tema matrimoniale.
Non basta, perché come accennavamo prima, lo Stato italiano e per la Libia (che era considerata provincia metropolitana a tutti gli effetti di legge) ed allorché ebbe ad occupare l'Africa Orientale, estendendo a quei territori l'ordinamento giudiziario italiano con decreti 1° giugno 1936, n. 1019, e 21 agosto 1936, n. 2010, dette facoltà agli Organi giudiziari italiani di dichiarare lo scioglimento del matrimonio per quelle popolazioni secondo le loro tradizioni religiose e giuridiche. Anche per queste leggi posteriori al Concordato non vi fu protesta da parte del Vaticano riconoscendosi così la nostra piena sovranità in materia.
Infine, allorché si elaborò la nostra Costituzione, l'Assemblea Costituente, come anche abbiamo innanzi ricordato, discutendo l'articolo già 23 e ora 29 nella seduta del 23 aprile 1947 accolse l'emendamento dell'onorevole Grilli e escluse la parola «indissolubile» dopo la parola «matrimonio», confermando così solennemente il niuno ostacolo alla sovranità italiana ad opera del Concordato. Né a seguito di tale voto vi fu protesta o denuncia del Concordate da parte dello Stato del Vaticano.
È vero che - come abbiamo accennato - si invoca il citato articolo 7 della nostra Costituzione per dedurne che in ogni caso non si potrebbe statuire con legge ordinaria in tema di indissolubilità di matrimonio. Ma quale valore ha l'articolo 7 della nostra Costituzione?
Ha voluto, cioè, esso articolo 7 costituzionalizzare i patti del Laterano e del Concordato?
Si è concordi nel ritenere che con l'articolo 7 si volle solo confermare la validità dei Patti del Concordato (qualcuno eccedendo, disse: «è la firma della Repubblica ai patti»), ma non se ne inserì il contenuto nella Costituzione. Che anzi durante la discussione svoltasi in Commissione e in Assemblea per l'approvazione di detto articolo emerse chiaro e preciso che la volontà della maggioranza dell'Assemblea fu di non dare alcuna posizione di natura costituzionale ai patti stessi.
Se quindi l'articolo 7 non ha costituzionalizzato i patti, ne è palese la conseguenza: e cioè che qualsiasi disposizione che regoli il matrimonio nei soli rapporti ed effetti civili, senza che intacchi o menomi quella eguaglianza e quel prestigio garantito al matrimonio celebrato secondo il diritto canonico, possa emanarsi con legge ordinaria.
Onorevoli colleghi, la nostra proposta, come vi abbiamo detto, guarda ai fatti, al fenomeno sociale come si manifesta e tende a porvi rimedio. Si è detto da molti che dare sia pure rare possibilità di sciogliere il matrimonio è creare un «tarlo sociale»; altri hanno sostenuto, non sappiamo se con cinismo o con eccessiva durezza di cuore, che pur se alcuni milioni di italiani soffrono e pur se i loro casi sono pietosi e giusti, non essere opportuno, per dar rimedio a questi casi, pregiudicare e danneggiare il bene comune, cioè la famiglia. E allora domandiamoci: che danno può arrecare la nostra proposta e quali invece i vantaggi?
Non può arrecare danno perché essa, limitata com'è a pochissimi casi determinati, rappresenta un mezzo, sia pure inadeguato, per porre un rimedio al danno sociale che già si è determinato. Né le scarse possibilità di chiedere lo scioglimento offerto dalla nostra proposta possono rappresentare una breccia contro l'unità della famiglia, perché la nostra casistica è cosi rigida, è cosi predeterminata e ristretta da non ammettere possibilità di estensione o di casi analogici.
Essa serve solo a risanare una parte «guasta» per dir cosi ella nostra società e quando si risana una parte in definitiva si risana il tutto: il nostro è un tentativo di bonifica sociale. Molti giuristi e uomini della classe dirigente responsabile italiana si riparano sovente dietro forme o concetti tradizionali e non considerano il dramma umano che da molti italiani si vive ogni giorno.
Genitori che arrossiscono ogni ora di fronte ai figliuoli, figliuoli che pur tacendo, sono consapevoli della loro origine illegittima e sono afflitti o da complessi di inferiorità o da intimi tormenti che danno luogo, poi, a tutti quei fenomeni di asocialità che sembrano inspiegabili. Una congerie di sofferenze, di interessi, di problemi morali pensiamo che potranno essere alleviati, tutelati e risolti da questa nostra proposta di legge.
Si parla anche di grave danno morale che noi potremmo arrecare con questa nostra proposta perché spingeremmo i coniugi a sopportare poco le sventure che possono a essi incogliere durante matrimonio e verremmo quasi a distruggere quel senso umano cristiano di pietosa sopportazione per i mali propri e altrui. Questo ragionare che è giusto fino ad un certo punto e che è stato da noi preso in considerazione, ci sembra però che non possa essere di ostacolo all'accoglimento della nostra proposta. Noi abbiamo in grande considerazione quei milioni e milioni di cittadini che sopportano con forza umana e cristiana le disavventure della vita, che anzi auspichiamo la realizzazione di una società nella quale il senso della comprensione e della solidarietà vengano spinti al massimo sino a diventare una effettiva fraternità.
Ma se la nostra società, cosi come abbiamo detto innanzi, ha milioni di cittadini che non hanno voluto, ed il più delle volto non hanno potuto, dare prova di questa sopportazione, può non aversi in considerazione il fenomeno sociale e lasciarlo crescere come gramigna fra il grano? Né la nostra proposta con i limiti da noi posti (quindici anni di reclusione o di frattura coniugale, ecc.) può indurre a non sopportare sventure o mali che incolgono i coniugi durante il matrimonio.
Il lungo tempo da trascorrere prima che possa conseguirsi lo scioglimento indurrà di certo a mutare riflessioni e forse potrà far desistere dall'essere poco umani o poco sopportevoli della sventura coniugale. Sarà certo la civica educazione e l'amore fra i coniugi a determinare quel senso di alta solidarietà, ma non sarà certo la nostra proposta con i suoi lunghi termini a rompere un vincolo effettivo, se ancora dai coniugi esso è sentito fortemente.
Si tenga presente che con la nostra proposta si dà facoltà al coniuge di chiedere lo scioglimento, quindi è azione facoltativa e volontaria e potendo l'azione stessa essere messa in movimenta solo se si verificano le condizioni da noi proposte, è chiaro che noi tentiamo a una sanatoria per quelle tante situazioni che si sono create fuori del vincolo matrimoniale e che sono il frutto della nostra società così come essa è oggi. Non può però la nostra proposta diventare causa e origine del fenomeno sociale in atto, né acuirlo, perché la genesi del fenomeno è nella struttura attuale della società stessa.
E più la legislazione di un paese è lontana dalla realtà sociale più le fratture diventano evidenti e gravi. Quindi non danno alla società proprio per la considerazione che ogni legge che ha saputo regolare un fenomeno sociale ha determinato un miglioramento nella società. Oltre un secolo fa si riteneva che l'abolizione della pena di morte e l'abolizione dei brutali sistemi carcerari avesse fatto aumentare il delinquere. Dopo la esperienza di questi ultimi cento anni, non si discute più essere state quelle affermazioni fallaci. Anche ora si afferma che le possibilità di sciogliere il matrimonio possono rappresentare una erosione sociale mentre, a nostro avviso, è opera di ricostituzione.
Pensiamo invece di dare alla società italiana, in questo momento per così com'è allo stato la nostra legislazione, i seguenti vantaggi:

a) rafforzare il senso della famiglia legalizzandone e quindi eliminandone le «storie»;
b) dare agli italiani la certezza che non è privilegio dei ricchi poter sciogliere il matrimonio, ma che tutti i cittadini infelici o disgraziati (la rottura di un matrimonio è sempre una sventura) possono conseguire nel nostro Paese un certo equilibrio giuridico;
c) eguagliare i cittadini italiani ai cittadini degli altri Stati senza che sussista la incongrua situazione per la quale in quasi lutti gli Stati del mondo (compreso lo Stato del Vaticano) vi è possibilità di sciogliere il matrimonio, sia pure per casi che differiscono da Stato a Stato, mentre ciò non è possibile in modo assoluto per il nostro Codice civile.

Con l'aggiunta che l'Italia vincolata com'è sin dal 1907 alla convenzione dell'Aia dà esecuzione a sentenze di scioglimento pronunziate da tribunali stranieri. Disparità e inferiorità dei cittadini italiani non conciliabile con la spinta attuale dei popoli tesi a riunirsi per affermare ideali sempre più alti di fraternità e di solidarietà umana.
Onorevoli colleghi, ognuno di noi avverte che di più e molto bisogna ancora fare per creare una libera e rinnovata società; avvertiamo perciò che questa nostra proposta è un inadeguato e timido (come è stata ben definita da un autorevole magistrato) passo verso un avvenire migliore, per i singoli, per le famiglie e per tutti gli italiani nel rispetto delle nostre tradizioni civiche e religiose e con la prospettiva degli alti ideali di giustizia cui il mondo tende. Ma, pur essendo un passo timido ed inadeguato, vi preghiamo di accogliere questa nostra proposta perché ci sembra che sia il minimo indispensabile che possa oggi farsi per il bene della famiglia e della società italiana.

Appendice 2. Proposta di legge

Art. 1 - Il matrimonio, oltre che nella ipotesi prevista dall'articolo 149 del Codice civile può essere sciolto su richiesta del coniuge interessato, nei seguenti casi:
1) se l'altro coniuge è stato condannato con sentenza definitiva a quindici anni e più di reclusione;
2) se l'altro coniuge ha tentato l'uxoricidio in danno del coniuge richiedente;
3) se l'altro coniuge ha abbandonato il tetto coniugale per un periodo ininterrotto non inferiore a quindici anni o se vi sia stata fra i coniugi separazione di fatto, consensuale o di diritto durata per non meno di quindici anni ininterrottamente;
4) se l'altro coniuge è affetto da malattia mentale riconosciuta inguaribile e che sia degente in ospedale psichiatrico o luogo dì cura da non meno di cinque anni;
5) se l'altro coniuge quale cittadino straniero ha conseguito all'estero lo scioglimento del matrimonio contratto in Italia.

Art. 2 - L'istanza per conseguire lo scioglimento del matrimonio, per i casi previsti dall'articolo 1 della presente legge, deve essere presentata dal coniuge istante personalmente, o da procuratore speciale, al presidente del tribunale del luogo ove risiede o dove tenne l'ultimo domicilio o residenza, o dove trovasi detenuto o rinchiuso in ospedale il coniuge contro del quale si procede.
L'istanza deve alla sua presentazione essere notificata per legale scienza al pubblico ministero presso il tribunale ove si inizia l'azione. Il coniuge, nei cui confronti è stata dichiarata per colpa la separazione, non può presentare istanza di scioglimento del matrimonio.
Il presidente del tribunale competente ricevuta l'istanza, esperito un tentativo di conciliazione nei modi e forme che riterrà più idonei, nel caso l'esperimento non riesca, dispone per i provvedi menti urgenti specie per la prole e gli alimenti, e rimette le parti al giudice istruttore per il prosieguo del giudizio.
Se l'azione è promossa contro un detenuto o un malato di mente, il presidente del tribunale, prima di procedere all'esperimento di conciliazione, nomina uno speciale curatore al coniuge convenuto da scegliersi preferibilmente fra i genitori o i fratelli dello stesso.
Durante l'esperimento di conciliazione le parti non possono farsi assistere da avvocati.

Art. 3 - Il tribunale adito, in contraddittorio delle parti e con l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, accertata con tutti i mezzi di prova previsti dalle vigenti leggi la sussistenza effettiva di una delle ipotesi di cui all'articolo 1, dichiara sciolto il matrimonio ed ordina all'ufficiale dello stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio di procedere alla opportuna annotazione di scioglimento.
Con la sentenza che dichiara sciolto il matrimonio il tribunale può disporre il pagamento di un assegno alimentare temporaneo o a vita a favore di uno dei coniugi, tenendo presente i motivi posti a base della domanda e le condizioni economiche dei coniugi stessi.
L'obbligo di corrispondere l'assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.

Art. 4 - L'obbligo ai sensi degli articoli 147 e 148 del Codice civile di mantenere, educare ed istruire la prole nata dal matrimonio permane nei due coniugi nonostante l'avvenuto scioglimento del matrimonio ed anche nel caso di passaggio a nuove nozze.
Il tribunale con la sentenza definitiva dispone a chi deve essere affidata la prole stessa e regola con precise disposizioni tutti i rapporti fra genitori e prole.
Se è necessario, può affidare la prole ad un curatore o ad un Istituto di educazione, ove i genitori non diano seri affidamenti.
Il curatore sarà scelto preferibilmente fra gli ascendenti, i fratelli germani, o gli zii di uno dei coniugi.

Art. 5 - Lo scioglimento di matrimonio dichiarato per i casi previsti dalla presente legge ha efficacia, per tutti gli effetti civili, dal giorno della annotazione della sentenza definitiva nei registri dello stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio dichiarato sciolto. A tale annotazione dovrà provvedere il coniuge che ha avanzato l'istanza di scioglimento.
L'ufficiale dello stato civile, che annota una sentenza di scioglimento prima che essa sia divenuta definitiva, incorre, ove non si riscontra altro reato, nella pena di cui all'articolo 138 del Codice civile.

Art. 6 - Anche per il caso di scioglimento di matrimonio si applicano per quanto di ragione gli articoli 155, 156, 255, 258, 260, 261, 262 del Codice civile.

Art. 7 - In caso di assenza di uno dei coniugi non può farsi luogo all'applicazione della presente legge, ma devono applicarsi gli articoli 58 e seguenti del Codice civile.

Art. 8 - La presente legge va in vigore il quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Appendice 3. Vicende della proposta di legge

La proposta di legge n. 1189 della Camera dei Deputati dal titolo «Casi di scioglimento di matrimonio» fu presentata dal deputato Sansone il 26 ottobre 1954 e nello stesso giorno venne annunziata alla Camera.
La proposta fu subito assegnata per l'esame alla III Commissione competente che tratta gli affari di giustizia.
È in facoltà del Presidente della Commissione di formare l'ordine del giorno dei lavori della Commissione secondo l'urgenza l'interesse generale o politico che una proposta presenta.
Finora l'on. Tosata (DC) presidente della III Commissioni non ha creduto né ha potuto, secondo le sue molteplici affermazioni, porre all'ordine del giorno la proposta Sansone, la quali trovasi quindi allo stato fermo presso la Commissione stessa.
Poiché sono trascorsi due mesi dalla assegnazione della proposta alla Commissione, termine massimo entro il quale l'esame della proposta doveva essere esaurito ai sensi dell'art. 35 del regolamento della Camera, si potrà a norme dell'art. 65 stessi regolamento, chiedere alla Presidenza della Camera che la proposta venga inscritta all'ordine del giorno per la sua discussione in Assemblea.

Appendice 4. Divorzio né grande né piccolo (D. Staffa (Mons.), in Concretezza. Milano, 15 aprile 1955)

In data 26 ottobre u. s. l'onorevole Sansone, deputato del Partito Socialista Italiano, ha presentato al Parlamento una proposta di legge per l'introduzione del divorzio in Italia. Il deputato socialista chiede che possa essere concesso lo scioglimento del vincolo coniugale:

1) se l'altro coniuge è stato condannato con sentenza definitiva, a quindici anni e più di reclusione;
2) se l'altro coniuge ha tentato l'uxoricidio in danno del coniuge richiedente;
3) se l'altro coniuge ha abbandonato il tetto coniugale per un periodo ininterrotto non inferiore a quindici anni, o se vi sia stata fra i coniugi separazione di fatto, consensuale o di diritto, durata per non meno di quindici anni ininterrottamente;
4) se l'altro coniuge è affetto da malattia mentale riconosciuta inguaribile e che sia degente in ospedale psichiatrico o luogo di cura da non meno di cinque anni;
5) se l'altro coniuge, quale cittadino straniero, ha conseguito all'estero lo scioglimento del matrimonio contratto in Italia.

Su tale progetto sono state agitate alcune questioni che sembrano meritevoli di risposta. La legge proposta dall'on. Sansone tocca il Concordato tra la Santa Sede e l'Italia?
Il dubbio non è sfuggito all'on. Sansone, ma i termini da lui usati per risolverlo possono lasciare incerti sulle sue intenzioni. A prescindere da queste, è perfettamente chiaro che una legge, la quale concedesse lo scioglimento del matrimonio celebrato davanti a un sacerdote cattolico, secondo le norme concordatarie, violerebbe i Patti Lateranensi.

Contrasto con il Concordato

Si dice: la legge progettata toglierebbe nel caso soltanto gli effetti civili, senza intaccare minimamente il matrimonio come vincolo religioso, regolato dal Diritto Canonico. Ma è facile rispondere che, secondo l'art. 34 del Concordato: «Lo Staio Italiano riconosce al Sacramento del matrimonio, disciplinato dal Diritto Canonico, gli effetti civili». È dunque evidente che una legge, la quale privasse degli effetti civili un matrimonio celebrato secondo le norme concordatarie - e in qual modo potrebbe spingersi oltre? - sarebbe in contrasto con gli impegni assunti verso la Santa Sede dallo Stato Italiano.
L'on. Sansone osserva che lo Stato Italiano ha più volte emanato leggi in materia matrimoniale, senza che la Santa Sede elevasse proteste o denunciasse il Concordato: tali sono le leggi n. 847 del 27 maggio 1929; n. 1159 del 24 giugno 1929; il decreto n. 289 del 28 febbraio 1930; il decreto n. 1019 del 1 giugno 1936; n. 2010 del 21 agosto 1936; l'art. 29 della Costituzione che non fa menzione dell'indissolubilità del matrimonio.
Non si comprende tuttavia come le leggi e i decreti citati possano giovare alla tesi del Deputato divorzista: la legge matrimoniale n. 847 fu emanata in accordo coll'apposita Commissione nominata dalla Santa Sede; la legge n. 1159 e il decreto n. 289 non riguardano il matrimonio celebrato davanti al sacerdote cattolico, ma il matrimonio celebrato davanti al ministro del culto ammesso; i decreti n. 1019 e 2010 riguardano parimenti una materia estranea al Concordato, cioè il matrimonio delle popolazioni acattoliche dell'Africa Orientale; l'art. 29 della Costituzione non suscitò le proteste della Santa Sede, perché i Patti Lateranensi e quindi anche l'art. 34 del Concordalo sono già tutelati dall'art. 7 della Costituzione medesima.

L'articolo sette

L'ora Sansone omette invece di menzionare il decreto n. 1728 del 17 novembre 1938, che impediva il matrimonio tra persone appartenenti alla razza ariana e quelle di razza diversa, togliendo ad esso gli effetti civili, anche se celebrato davanti al sacerdote cattolico: tale decreto, appunto perché in contrasto con il Concordato, diede luogo alle reazioni più vive e alla pubblica e solenne disapprovazione del Sommo Pontefice.
Una legge che concedesse lo scioglimento del matrimonio celebrato secondo le norme concordatarie, potrebbe essere approvata dal Parlamento Italiano come una legge ordinaria, o esigerebbe invece un procedimento di revisione costituzionale?
Nell'art. 7 della Costituzione Italiana è detto: «Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale». Per questa norma lo Stato Italiano non potrebbe modificare - anche in virtù della sola Costituzione - in modo unilaterale quei Trattati di natura internazionale che sono i Patti Lateranensi. L'esenzione dallo speciale procedimento di revisione della Costituzione, stabilito dall'art. 138 della medesima, è stata cosi esplicitamente limitata alle modificazioni convenute con accordi bilaterali tra lo Stato e la Santa Sede. È evidente, del resto, come un patto bilaterale, quale è il Concordato, non possa essere modificato unilateralmente da una sola delle parti. Per ogni altra modifica, anche parziale, dei Patti predetti la Costituzione prescrive il procedimento che occorre per le revisioni delle leggi costituzionali. Pertanto una legge ordinaria delle Camere, che concedesse lo scioglimento del matrimonio celebrato secondo le norme concordatarie, sarebbe in aperto contrasto, oltre che con i Patti Lateranensi, anche con la Costituzione. Una legge simile offenderebbe inoltre il sentimento dell'immensa maggioranza dei coniugi italiani che hanno celebrato il matrimonio con la convinzione di contrarre un vincolo anche civilmente in dissolubile.

Valore delle statistiche

Il problema del divorzio è attuale in Italia?
Nel 1947 l'onorevole Gullo, comunista, lo negava. Ad appena sette anni di distanza, l'onorevole Sansone lo afferma. Ma se neppure in Italia mancano del tutto le persone che apertamente conculcano anche i vincoli più santi, la parte enormemente preponderante del nostro popolo, specie nei piccoli centri e nelle campagne, rispetta religiosamente gli affetti familiari. La situazione non viene sostanzialmente mutata dagli episodi clamorosi di cui si alimentano le cronache, con un rilievo che sembra fare di essi l'espressione tipica della società italiana: è la violazione della norma, e non la fedele attuazione di essa, che suscita rumore; ma la violazione della norma è precisamente un'eccezione.
Qual è allora il valore delle statistiche presentate dall'onorevole Sansone?
Secondo i dati statistici riportati dal deputato socialista, le domande di separazione personale nel corso degli ultimi venti anni sono quasi raddoppiate, passando da 4.523, quante furono nel 1933, a 8.152 nel 1952. Partendo da questo rilievo, l'onorevole Sansone arguisce che negli ultimi venti anni oltre un milione di coppie coniugali si sono sciolte di fatto e che per lo stesso periodo si possono computare a quattro milioni gli italiani che, dal punto di vista familiare, sono fuori della legge.
Per ciò che riguarda l'elencazione delle cifre delle domande di separazione, possiamo convenire con l'onorevole Sansone, con qualche lievissima variante a vantaggio del suo punto di vista. Ma, dopo questo, non possiamo seguirlo nelle sue acrobatiche evoluzioni, che non sono sorrette né dalla logica, né dalla statistica, ma unicamente dalla volontà di difendere una tesi preconcetta.
In merito alle cifre nelle quali abbiamo detto di poter convenire, dobbiamo poi osservare: in primo luogo queste cifre comprendono anche i matrimoni celebrati davanti al sacerdote cattolico secondo le norme concordatarie, cosi da lasciar pensare che l'Onorevole proponente voglia esteso il divorzio indistintamente a tutti i matrimoni; in secondo luogo, l'aumento repentino delle domande di separazione si è avuto in conseguenza delle rovine morali della guerra; infatti: queste domande nel 1947 furono 10.912; 10.275 nel 1948; 8.656 nel 1949; 9.425 nel 1950; 8.259 nel 1951; 8.152 nel 1952; 7.875 nel 1953: è dunque manifesta negli ultimissimi anni la tendenza di queste cifre a discendere; in terzo luogo, anche se il numero delle richieste di separazione fosse molto più alto, il divorzio non risolverebbe il problema, ma lo renderebbe più grave. Le separazioni personali non offrono l'incentivo di una nuova unione e sono per questo molto più rare, dietro motivi molto più gravi, di quanto non accade per il divorzio; infine lasciano sempre viva la speranza di una conciliazione, che il divorzio renderebbe impossibile.
È esatto quanto viene asserito nella relazione per la proposta di divorzio, «cioè che quei popoli che da più tempo hanno concesso una determinata regolamentazione per casi di scioglimento di matrimonio, hanno una maggiore moralità e sanità della famiglia (Svezia, Svizzera, Belgio, Paesi Bassi, Polonia, Danimarca, Ungheria, ecc.), che si manifesta con un numero sempre più esiguo di scioglimenti rispetto al numero delle famiglie costituite e con una trascurabilissima aliquota di delitti contro l'altro coniuge e la famiglia in genere»?
Dagli annuari statistici rispettivi, rileviamo, per i Paesi indicati dall'onorevole Sansone, i dati seguenti:

in Belgio la media annuale dei divorzi fu: negli anni 1936-1940, di 3.006; negli anni 1941-1945, di 3.120; negli anni 1946-1950, di 6.017; nel 1948 di 6.518; nel 1949 di 5.988; nel 1950, di 5.100; nel 1951, di 4.366; nel 1952, di 4.211;
in Danimarca nel 1936 i divorzi furono 3.210; 3.344 nel 1937; 3.394 nel 1938; 3.647 nel 1939; 3.472 nel 1940; 3.761 nel 1941; 4.450 nel 1942; 4.913 nel 1943; 5.365 nel 1944; 5.849 nel 1945; 7.500 nel 1946; 6.943 nel 1947; 7.120 nel 1948; 6.991 nel 1949; 6.968 nel 1950; 6.681 nel 1951; 6.735 nel 1952;
nei Paesi Bassi la media annuale dei divorzi negli anni 1936-1939 fu di 3.285; per salire nel 1947 a 8.847; nel 1948 a 8.038; e scendere nel 1949 a 7.004; nel 1950 a 6.462; nel 1951 a 6.075; nel 1952 a 5.831;
in Ungheria i divorzi nel 1937 furono 5.709; 5.707 nel 1938; 5.135 nel 1939; 5.470 nel 1940; 6.796 nel 1941; (mancano dati più recenti);
in Svezia i divorzi nel 1941 furono 3.535; 4.212 nel 1942; 4.747 nel 1943; 5.423 nel 1944; 6.463 nel 1945; 6.988 nel 1946; 7.058 nel 1947; 6.782 nel 1948; 7.609 nel 1949; 8.008 nel 1950; 8.431 nel 1951;
in Svizzera i divorzi nel 1939 furono 2.996; 3.093 nel 1941: 3.190 nel 1942; 3.211 nel 1943; 3.138 nel 1944; 3.726 nel 1945; 4.298' nel 1946; 4.280 nel 1947; 4.292 nel 1948; 4.111 nel 1949; 4.241 nel 1950; 4.295 nel 1951; 4.188 nel 1952.

Gravissimo aumento

L'onorevole Sansone si è fermato a rilevare la diminuzione dei divorzi che, nei Paesi coinvolti nel conflitto, si é verificata- negli ultimi anni più recenti, rispetto a quelli che hanno immediatamente seguito la guerra. Ma non si può davvero chiamare corretto criterio, nel quale si dimentica che la guerra rappresenta un pericolo eccezionale, durante il quale i divorzi, impediti o rinviati per le circostanze particolari, si accumulano per il periodo immediatamente successivo così: in Norvegia il numero dei divorzi fu 12.323 nel 1950; di 2.151 nel 1951; di 2.116 nel 1952.
Per valutare esattamente il fenomeno, occorre invece confrontare le cifre attuali con quelle degli anni precedenti il conflitto. Da questo confronto, fatto sulle cifre che abbiamo riprodotte, risulterà chiaro l'avvertimento: anche nei Paesi indicati dall'onorevole Sansone, il numero dei divorzi è in gravissimo aumento.
Ma perché il deputato socialista non ha proseguito la sua indagine? Avrebbe allora constatato che i divorzi furono:

in Belgio 692 come media annuale intorno al 1900; 1.070 intorno al 1910; 2.161 intorno al 1920; 2.305 intorno al 1930;
in Danimarca 412 come media annuale intorno al 1900; 736 torno al 1910; 1.298 intorno al 1920; 2.346 intorno al 1930; 3.627 intorno al 1940;
in Norvegia 122 come media annuale intorno al 1900; 394 intorno al 1910; 622 intorno al 1920; 872 intorno al 1930, per passare a 2.347 nel 1949;
nei Paesi Bassi la media annuale del divorzi fu di 552 intorno al 1900; di 858 intorno al 1910; di 1826 intorno al 1920; di 2.866 intorno al 1930;
in Svezia la media annuale del divorzi fu di 384 intorno al 1900; di 581 intorno al 1910; di 1.324 intorno al 1940;
in Svizzera la media annuale dei divorzi fu di 1.062 intorno al 1900; di 1.549 intorno al 1910; di 2.076 intorno al 1920; di 2.839 intorno al 1930; di 3.140 intorno al 1940.

L'onorevole Sansone omette poi di parlare di altri Paesi, la cui esperienza è per noi di somma importanza. In primo luogo:

La Francia, così affine sotto tanti aspetti all'Italia, ebbe 7.776 divorzi come media annuale intorno al 1900; la media salì a 13.502 nel 1910; a 29.712 nel 1920; per scendere a 21.102 nel 1930; e risalire a 22.355 intorno al 1940; a 37.718 nel 1945; a 64.064 nel 1946; scendendo, per la ragione già accennata, a 33.644 nel 1951; a 32.256 nel 1952.
Gli Stati Uniti ebbero 56.091 divorzi come media annuale intorno al 1900; 83.978 intorno al 1910; 157.204 intorno al 1920; 192:241 intorno al 1930; 257.500 intorno al 1940; 485.000 nel 1945; 610.000 nel 1946; 483.000 nel 1947; 408.000 nel 1948; 397.000 nel 1949; 385.144 nel 1950; 371.000 nel 1951.
La Germania ebbe 8.416 divorzi come media annuale intoni al 1900; 15.057 intorno al 1910; 35.164 intorno al 1925; 46.477 intorno al 1934; 48.873 intorno al 1937.

Il fenomeno non è meno grave se si confronta il numero di divorzi con quello delle famiglie costituite.

In Belgio si sono avuti 6 divorzi su 10 000 matrimoni come media annuale intorno al 1900; la media è salita a 8 intorno al 1910; a 14 intorno al 1920, con una leggera e transitoria flessione a 13 nel 1930.
In Danimarca la stessa media annuale fu di 10 intorno al 1900; di 15 intorno al 1910; di 22 intorno al 1920; di 34 intorno al 1930; di 43 intorno al 1940.
In Norvegia tale media fu di 4 intorno al 1900; di 11 intorno al 1910; di 15 intorno al 1920; di 19 intorno al 1930.
In Svezia la media fu di 5 intorno al 1900; di 6 intorno al 1910; di 13 intorno al 1920; di 20 intorno al 1930; di 26 intorno al l940.
In Svizzera la media fu di 20 intorno al 1900; di 25 intorno a 1910; di 31 intorno al 1920; di 37 intorno al 1930; di 46 intorno al 1940.
In Francia la media fu di 10 intorno al 1900; di 16 intorno a 1910; di 35 intorno al 1920 - cioè subito dopo l'altra guerra mondiale; di 22 intorno al 1930; di 23 intorno al 1937.
Negli Stati Uniti la media fu di 40 intorno al 1900; di 47 intorno al 1910; di 73 intorno al 1920; di 75 intorno al 1930; di 85 intorno al 1940.
In Svizzera la media fu di 20 intorno al 1900; di 25 intorno a 1910; di 28 intorno al 1925; di 33 intorno al 1934; di 31 intorno al 1937.

Una tesi errata

Il progressivo aumento dei divorzi è troppo universale e pressoché costante per essere frutto del caso.
L'altra osservazione dell'onorevole Sansone, secondo la quale dove il divorzio è da tempo introdotto «il senso della famiglia è molto forte ed i delitti contro di essa sono quasi inesistenti» è ancora più manifestamente erronea. Le condanne per i delitti contro la famiglia, previsti dal titolo undecimo del Codice Penale nel 1950 sono state in Italia complessivamente 3.804; nello stesso anno, nel Belgio sono state 4.037; in Francia, nel 1947 - l'anno più recente di cui abbiamo le cifre - sono state 16.782.
Poiché il numero delle unioni illegittime è anche in Italia considerevole, non è forse opportuno, anzi doveroso - come dice l'onorevole Sansone - che lo Stato Italiano provveda alla felicità di questi infelici, mediante la concessione del divorzio?
Sarebbe lo stesso che chiedere se, dato il numero considerevole dei furti, delle rapine, degli omicidi, non sia opportuno che lo Stato regolarizzi la condizione dei delinquenti, aprendo loro le porle del carcere e abolendo le pene stabilite per questi crimini. È un assurdo morale, prima che giuridico, offendere un cardine della vita sociale per la felicità privata di alcuni, e precisamente dei colpevoli. Lo Stato deve sostenere i cittadini nella loro elevazione morale, e non facilitare a loro la discesa. E il divorzio risospinge l'umanità al punto dal quale ricominciò faticosamente a salire fino all'indissolubilità del vincolo coniugale.

Non una «finzione giuridica»

Né si dica che, quando i coniugi si sono separati, l'indissolubilità del vincolo è ridotta a un'astrazione, a una «finzione giudica»; in essa invece, oltre alla forza di una legge divina, rimane integra la forza e la realtà dello Stato, per dire al cittadino: sappi che il tuo matrimonio è affare tuo, ma interessa anche me; e per educare i sudditi a quel senso di responsabilità che forma il carattere di un popolo.
Ma non è giusto che un coniuge innocente possa, come nel progetto di legge presentato, ricostituirsi una nuova famiglia?
È stato giustamente osservato come il divorzio abbia, per la sua stessa natura, una contraddizione insanabile tra il fine che si propone e l'effetto che può produrre. Se infatti la legge per il divorzio parte dal presupposto che questo debba essere una pena per il coniuge colpevole, non è possibile evitare che il divorzio diventi invece, in molti casi un premio per il delinquente. Se la legge parte dal presupposto che il divorzio debba essere l'ultima via di scampo per il coniuge innocente, non può evitare che in molti casi esso diventi invece la meta sospirata del coniuge colpevole. Orbene, un istituto che finisce per favorire in tal modo la diffusione del crimine, è esso stesso un delitto.
La condizione del coniuge innocente e tradito nelle sue speranze di felicità merita la più alta commiserazione, ma non bisogna dimenticare che l'indissolubilità del vincolo è un'esigenza di bene pubblico, al quale il bene privato deve essere proposto. Tutte le leggi, anche quelle che più perfettamente ed evidentemente rispondono al bene della società possono, nella loro applicazione dar luogo ai casi più pietosi. Ciò non dovrebbe recare meraviglia, a chi, dallo studio e dall'esperienza, abbia appreso come siano inevitabili i contrasti tra la volontà astratta della legge, eguale per tutti, e le concrete esigenze del caso singolo.- Chi oserebbe sostenere, ad esempio, che occorre assolvere l'omicida, quando egli sia l'unico sostegno dei genitori vecchi e infermi o di numerosi figli in tenera età?
I casi pietosi non nascono soltanto dall'indissolubilità del vincolo, ma anche, e in numero più rilevante, dalle leggi che ammettono il divorzio: allora i casi pietosi si ripetono ogni volta che un coniuge viene abbandonato dall'altro, al quale egli aveva consacrato, con dedizione piena e lealtà perfetta, l'amore e il sacrificio di tutta la vita, e viene ripagato col tradimento, sancito in conclusione dall'autorità dello Stato.
Non sarebbe possibile evitare gli inconvenienti del divorzio, limitandolo, come nella proposta attuale, a casi precisi e tassativi?
La logica e l'esperienza dimostrano che, quando il varco sia aperto, i casi si moltiplicano, perché non si comprende più come il vincolo si possa sciogliere in certe circostanze e non in altre che appaiono ugualmente o anche maggiormente pietose, o comunque tali che tra esse e le altre, nelle quali il divorzio è ammesso, la differenza non è tanto grave.
Quasi dovunque si è voluto agli inizi un «piccolo divorzio». e, dovunque esso è stato introdotto, la breccia si è progressivamente allargata. Del resto il deputato socialista non fa mistero delle sue intenzioni, quando chiama la sua proposta «un passe timido e inadeguato».
Se si ammette il divorzio per il coniuge del condannato a quindici anni, non si vedrà più perché si debba negare quando la condanna sia di poco inferiore; se si ammette per il coniuge del malato per infermità mentale dichiarata inguaribile, non si capirà più perché si debba negare al coniuge del malato di altri morbi parimenti dichiarati insanabili, e così via. Ad allargare poi l'applicazione della legge provvederebbero le frodi degli interessati e le agenzie per i divorzi.
Quali particolari considerazioni suggeriscono i cinque casi proposti per il divorzio.
In merito al primo caso si può tra l'altro osservare che basterebbe un provvedimento di amnistia, perché un condannato debba trovare, dopo pochi mesi di carcere; infranto ogni legame familiare. Né la giustizia umana si può dire infallibile. Ma anche se la pena fosse giustamente inflitta e dovesse essere tutta scontata, è giusto togliere al condannato, dopo la libertà, anche l'ultimo sostegno del cuore, l'unico che faccia vivere e alimenti un suo desiderio di redenzione?
Per ciò che riguarda il secondo caso, non sarà difficile a due coniugi, decisi al divorzio, simulare il delitto, o, anche senza simularlo, trovare dei testi pronti ad asserire che uno degli sposi attentò alla vita dell'altro.

Umanità per «sentimentalismo»

Nel terzo la possibilità di predisporlo in frode alla legge, è anche più evidente, attesi i molteplici modi di organizzare la commedia dell'abbandono del tetto coniugale e di fare apparire come iniziata da quindici anni, anche una separazione che di fatto dura da pochi mesi.
Il quarto caso non era stato inserito in precedenti progetti di legge analoghi, per quel delicato senso di pietà al quale il cristianesimo ha educato il popolo italiano. Per l'onorevole Sansone questa profonda umanità del nostro popolo è «facile e falso sentimentalismo». A noi pare invece che l'obbligazione reciproca della coabitazione, della fedeltà e dell'assistenza, debba attuarsi pienamente proprio quando uno dei coniugi è colpito dall'infermità più dolorosa, e che si svuoti l'istituto del matrimonio del suo contenuto morale e sociale, se si toglie al coniuge sventurato quell'aiuto che egli si era legittimamente assicurato per tutta la vita e per ogni eventualità.
Contro il quinto caso si può semplicemente osservare che l'infrazione della legge da parte di uno, non è motivo ragionevole perché l'infranga anche l'altro. La fedeltà al giuramento da parte di uno, è il monito più eloquente per l'altro che l'ha tradito. E se il restarvi fedele costa sacrificio, questo sacrificio, anche gravissimo, è richiesto, come abbiamo già detto, da un'esigenza suprema di bene pubblico.
Come mai allora tanti Paesi dell'Europa e del mondo hanno il divorzio?
Per arrivare ad asserire questo, l'onorevole Sansone enumera, tra i Paesi che hanno il divorzio, anche la Città del Vaticano. Infatti, egli dice, in questo Stato è ammesso lo scioglimento del vincolo per il matrimonio soltanto rato e non consumato, e per il privilegio Paolino.
A parte la rarità di questi casi, che realmente non possono estendersi per analogia, né si sono estesi, come dimostra l'esperienza dei secoli, bisogna ricordare che la facoltà di dispensare il matrimonio solamente rato è un potere commesso da Cristo esclusivamente al Romano Pontefice, e che il Vicario di Cristo può esercitarlo non solo nella Città del Vaticano, ma per i fedeli di tutta la terra. Parimenti di diritto divino e per i fedeli di tutta la terra è il privilegio Paolino.
Dopo questo chiarimento possiamo anche ammettere che in molti Paesi dell'Europa e del mondo vige la legge che concede il divorzio. Ma si tratta di Paesi dove la fede cattolica non è cosi assolutamente prevalente come in Italia, e talvolta di Stati dove una piccola fazione ha potuto offendere violentemente la coscienza della enorme maggioranza del popolo. Del resto anche se tutti gli Stati - per una impossibile ipotesi - commettessero il gravissimo errore, non sarebbe questo un motivo per imitarli. Non per nulla l'Italia è maestra del diritto; proprio per essere modello al mondo nelle sue leggi; per resistere alle deviazioni, anche dilaganti, del pensiero e della vita; per esprimere nei suoi istituti la nobiltà del suo carattere e del suo costume. Insieme con l'Italia hanno respinto il divorzio: il Portogallo, la Spagna, il Brasile, l'Irlanda, il Canada Francese, il Cile, la Colombia, l'Equatore, il Perù, il Paraguay.
Quali ulteriori considerazioni suggerisce l'esame della pro posta?
Gli argomenti che porta l'onorevole Sansone per introdurre il divorzio, sono pressapoco gli stessi che esponevano nel 1902, con maggior precisione di linguaggio, gli onorevoli Zanardelli e Cocco Ortu, e che furono vittoriosamente combattuti da Antonio Salandra. L'unico elemento che può apparire nuovo nella nuova relazione, è costituito dalle conclusioni tratte dai dati statistici, ma queste, come abbiamo visto, sono in parte inesatte e per il resto arbitrarie.
Permane il suggerimento concorde della speranza divina e della saggezza umana. Il divorzio è sempre una ferita profonda e sanguinosa nella cellula di cui la società si compone e da cui trae sviluppo. Anche la semplice e sola possibilità del divorzio impedisce ai coniugi quella piena fusione delle anime che è condizione indispensabile della felicità familiare, solleva su di essa un'ombra continua di timore, e favorisce in modo fatale la leggerezza nel contrarre le nozze. Cosi a un primo divorzio ne segue spesso un secondo, e via di seguito, nel miraggio di une felicità che non si raggiunge. Infatti il numero dei suicidi è maggiore tra divorziati che tra gli altri, anche vedovi.
Il fatto non è senza spiegazione: il divorzio, anziché limitare il numero dei matrimoni mal riusciti, perché contratti con scarso senso di responsabilità, lo aumenta proprio in favore degli inidonei e degli incoscienti. Nello stesso tempo che il divorzio aumenterebbe il numero dei matrimoni cattivi, diminuirebbe quello dei buoni, perché le persone più serie finirebbero col guardarlo con diffidenza e con ansia.
Abbiamo omesso di parlare di un'altra conseguenza del divorzio, che meriterebbe una trattazione diffusa: la condizione dei figli, resi dal divorzio orfani di genitori viventi, sacrificati nella loro educazione, nei loro diritti più sacri, nei loro affetti più naturali e più teneri alle violente passioni del padre e della madre, che forse danno a loro altri fratelli che essi non possono amare. E ciò in contrasto con l'essenza e i fini dell'istituto, che Dio e la natura hanno destinato alla preparazione delle generazioni nuove.

Mons. Dino Staffa

Appendice 5. Non si tratta di divorzio (in Concretezza. Milano, 15 aprile 1955)

Monsignor Staffa con molto accorgimento e con acume ha tentato di mostrare vano lo sforzo, che mi attribuisce, di introdurre in Italia il divorzio, grande o piccolo che sia. Dico subito che non ho una tesi precostituita pro o contro il divorzio, ritenendo che militano a favore e contro una serie di ragioni morali, giuridiche e sociali che si elidono a vicenda.
Sono stato spinto a presentare la proposta di legge (nominata ma me «Casi di scioglimento del matrimonio» proprio per non darle uno spiccato carattere divorzista) dalla esperienza di migliaia di casi che non riescono a trovare regolamentazione nelle nostre leggi e per cercare di sistemare la posizione di centinaia migliaia di adulterini. Senza ripetere qui, logicamente, tutto quanto è scritto nella relazione che precede la mia proposta di legge, ho ritenuto e ritengo che nella nostra società così come è composta e formata, con la sua tradizione religiosa - della quale non si può non tenere conto - travagliata specialmente in questi ultimi cento anni da avvenimenti grandiosi e tragici, non è possibile che lo Stato si disinteressi della situazione di moltissimi suoi componenti i quali sono dannati a vivere fuori legge per la insufficienza della nostra legislazione.
Il caso che la guerra ultima fa apparire veramente drammatico è quello delle tante spose di guerra. Nostre donne sposate a stranieri secondo il rito di Romana Chiesa sono state abbandonale - molte di esse subito dopo le nozze - dai mariti che nei paesi di origine hanno conseguito il divorzio creando altra legittima famiglia. Per queste donne non vi è rimedio di sorta; non potendo esservi neanche la speranza di una riconciliazione perché la esistenza di altra famiglia legittima ne è un ovvio impedimento. Queste nostre concittadine non sono poche e i casi si possono contare a migliaia.
In un mondo nel quale le distanze si avvicinano sempre di più questa disparità di legislazione mette noi italiani in una situazione di inferiorità che si riverbera anche nei rapporti patrimoniali.
Ugualmente va considerato il caso di chi ha la sventura di essere tradito. Se uccide, ai sensi della nostra legge (art. 587 C. P.) con tre o quattro anni di reclusione avrà saldato il conto con la giustizia ed avendo ammazzato il coniuge può tranquillamente risposare; mentre un altro cittadino che ligio ai precetti di legge e di Chiesa allontana chi ha tradito, per costui non vi è soluzione ed a parte che dovrà corrispondere gli alimenti al coniuge che gli ha procurato tanta sventura, se procrea dei figli al di fuori del matrimonio ormai già finito egli è in peccato e le sue creature sono adulterine per sempre!
Questi casi ai quali se ne potrebbero aggiungere tanti (quello ad esempio, di un cittadino fiorentino che dopo anni di permanenza all'estero ha trovato, rientrando in Italia, la propria moglie suora di clausura, e quello ancora di chi ottenuto l'annullamento dai Tribunali Ecclesiastici per aver sposato con la volontà di non procreare figli non ottiene il visto di esecutorietà - si tratta di matrimonio preconcordatario - per non ammettere il nostro Codice questo motivo di annullamento) mi hanno spinto a presentare la proposta di legge limitata proprio a situazioni che esprimono una rottura non più sanabile del matrimonio.
Questa casistica dolorosa e il numero degli adulterini (l'Ufficio centrale di Statistica non può fornire dati perché nei censimenti non si chiede lo stato alle famiglie rilevandosene solo la composizione) credo che imponga allo Stato una regolamentazione per cui a mio avviso il problema va visto sotto questi due aspetti:

1) La società italiana ritiene utile e necessaria, al momento, una migliore regolamentazione del matrimonio?
2) Può farsi tale regolamentazione dallo Stato italiano con legge ordinaria data la Costituzione e il Concordato?

1) L'esigenza italiana a una regolamentazione che modifichi, sia pure in maniera fortemente limitata, l'art. 149 C. C. risulta in modo evidente dalla Costituzione cui non si volle inserire nell'art. 29 la parola «indissolubile». La nostra Carta fondamentale oltre al valore costituzionale che ha in re ipsa, esprime certamente, in sintesi, quelle che sono le esigenze della nostra società d'oggi.
E il non aver voluto ribadire il concetto di «indissolubilità» conferma che nella società attuale si avverte la necessità di una modifica, necessità che appare anche attraverso i casi di annullamento che vengono riconosciuti sempre in maggior numero dai Tribunali sia ordinari che ecclesiastici. E, quello che più vale, dalla tolleranza su un piano morale e sociale nella comune opinione, verso la famiglia extra legale e infine dalla esigenza reclamata da tutti (giuristi, sociologi, religiosi, giornalisti, casalinghe, ecc.), è che si trovi un rimedio per la filiazione adulterina ed illegittima.
Quale rimedio può offrire uno Stato moderno al fenomeno che si manifesta sempre con maggior frequenza della rottura del matrimonio e della filiazione fuori legge? È facile dire: si rafforzi il senso morale, si rafforzi il senso del rispetto alle leggi, si rafforzi lo spirito di sacrificio, si migliori la condizione economica di moltissime famiglie ed il rimedio è trovato. Certo ciò ridurrebbe molto il fenomeno ma non lo eliminerebbe e resterebbe comunque sempre in sospeso la situazione di milioni di nati ex lege la cui regolamentazione non può essere rimandata.
L'ordinamento della famiglia non può restare fermo al tempo dell'anno mille; vi sono principi fondamentali che logicamente vanno rispettati e difesi, ma non voler considerare come si è venuta sviluppando la società e le nuove esigenze che si sono determinate e si determinano, significa voler mettere la benda sugli occhi. E vorrei a questo proposito replicare a Monsignor Staffa che la statistica è quella che è e che va presa come elemento indicativo, anche perché in materia, come dicevo, non vi è rilevazione o se fatta non è esatta né precisa perché gli interessati negano o celano il più possibile la situazione illegale nella quale vivono.
Nella mia proposta di legge ho indicate delle cifre sulle quali si potrà discutere quanto si vuole, ma quello che è sicuro è che il fenomeno in esame interessa milioni di italiani ed è inutile minimizzarlo o ampliarlo. Certo che pur interessando tanti milioni di italiani il fenomeno è sempre non preoccupante perché quasi tutte le famiglie italiane resistono al dissolvimento sia pure a prezzo di rinunce e di sacrificio dei coniugi, molti dei quali vivono in apparente unità ma col vuoto nell'anima, ma ciò non può esimere lo Stato dal dare un rimedio ed è quello che io mi sono proposto di offrire.
E se si considera ancora che secondo le stesse statistiche riportate da Monsignor Staffa (sulle quali porterò in un secondo tempo la discussione) il fenomeno divorzio è così limitato anche nei Paesi dov'è consentito (in Francia per esempio 32.000 divorzi annui contro centinaia di migliaia di matrimoni) si vedrà allora chiaramente come la regolamentazione da me proposta di pochissimi casi di matrimoni già rotti irrimediabilmente non può, né deve esser considerata, né potrà mai diventare un pericolo per l'ordine delle famiglie.
Infine il punto sul quale mi sembra bisogna porre l'accento è che la nuova regolamentazione mentre arrecherebbe certamente un beneficio a molti cittadini non arrecherebbe danni alla società proprio per l'impossibilità di applicazione in maniera estensiva o analogica (*) e comunque nella valutazione dei pro e dei contro, tenuto conto che il fenomeno divorzio è marginale in tutto il mondo, sarebbero sempre maggiori i benefici dei malefizi.

(*) I cinque casi da me proposti sono rigidamente determinati:
Col primo si prevede una condanna a quindici anni o più di uno dei coniugi, non vi è quindi da sofisticare perché una condanna a pena così grave non si simula.
Col secondo si prevede il caso del tentato uxoricidio, non vi può essere simulazione per un fatto che commesso comporta anni di reclusione e di certo nessuno rischierà sicuri anni di galera per simulare una rottura di matrimonio.
Col terzo si prevede una separazione tra i coniugi che duri ininterrottamente da quindici anni. Anche per questa ipotesi non vi può essere estensione: chi ha sposato poniamo nel 1950, dovrebbe certamente attendere il 1965 e non prima, per potere avanzare o vedere accolta la domanda ed a tale termine così come fissato non si può assolutamente sfuggire.
Per il quarto caso che è cosi doloroso, è ovvio che non si può simulare di stare in manicomio da oltre cinque anni date le leggi che tutelano e regolano il ricovero dei folli.
Infine per il quinto caso non vi può essere estensione perché occorre un matrimonio nel quale uno dei coniugi sia straniero al momento delle nozze e quindi ciò non è cosa che possa simularsi postumamente.
Aggiungo che Mons. Staffa pone innanzi un argomento che è a sensazione ma non è preciso. Egli afferma che col divorzio e quindi anche con la mia proposta si favorisce il coniuge colpevole: non è esatto, per lo meno per quanto si attiene alla mia persona, avendo io proposto che il diritto a chiedere lo scioglimento sia dato so o all'altro coniuge, cioè al non colpevole. Solo nel terzo caso (15 anni ininterrotti di separazione) il diritto a chiedere lo scioglimento è per entrambi i coniugi e ciò per ragioni ovvie in quanto il lungo tempo decorso dà per certo già dissolto il matrimonio.


2) Può lo Stato italiano legiferare con legge ordinaria in matteria? Questo è l'altro aspetto del problema.
Io ritengo, fermamente ritengo, che lo Stato italiano ha conservato la piena sovranità in tema matrimoniale. Con la Costituzione (art. 7) si è riconosciuta la validità dei Patti del Laterano ma i patti stessi non fanno parte della Costituzione, cioè i patti non sono stati costituzionalizzati. Su questo punto penso che tutti si è d'accordo e lo stesso Monsignor Staffa gira intorno alla questione senza sentire onestamente di poter affermare il contrario.
Se i Patti e il Concordato non fanno parte della Costituzione, allora è palese che con legge ordinaria si può modificare il nostro Codice Civile, così come noi possiamo modificare una legge qualsiasi anche perché con la modifica al Codice Civile proposta non si tende né si vuole modificare il Concordato o i Patti che restano integri.
Inoltre che l'Italia abbia conservato la propria sovranità in tema risulta esplicitamente dal testo del Concordato dal quale emerge che si volle solo equiparare il matrimonio religioso a quello civile e la conferma di ciò sta nell'istituto della trascrizione solo dalla quale discendono tutti gli effetti civili del matrimonio. Né la rinuncia alla giurisdizione (molto discutibile anche nella interpretazione ed applicazione datane dalla Cassazione) può valere più di quella che è, perché in tema di rinunce, specie in materia di ordine pubblico, valgono solo per quello che è scritto esplicitamente. E l'Italia volle solo che le cause di annullamento dei matrimoni contratti con rito religioso fossero di competenza della Sacra Rota e non altro.
Questa limitazione del potere giurisdizionale è palese che non può diventare una, rinuncia alla sovranità di poter legiferare in tema di matrimonio. E che sia così si induce anche dalle argomentazioni poste innanzi e da Mons. Staffa e fra gli altri da G. Battista Migliori e dal D'Avack. Gli egregi contraddittori in sostanza dicono che il presupposto dell'art. 34 del Concordato è la indissolubilità e che in ogni caso non si possono modificare gli effetti sia pure civili del matrimonio senza alterarne la causa.
Il ragionamento non mi sembra esatto: invero anche dato e non concesso che venne considerata dallo Stato italiano e dalla Chiesa l'indissolubilità del matrimonio come presupposto della pattuizione, non fu però stipulato il divieto di poter modificare la propria legislazione e pertanto mancando una dizione esplicita non può ricavarsi una limitazione di sovranità attraverso elementi induttivi e presunzioni.
La modifica del presunto presupposto potrebbe essere motivo se mai per la denunzia del fatto da parte del Vaticano ma ciò non impone che la modifica dell'articolo 149 del Codice Civile debba essere fatta con legge costituzionale.
Infine quando noi chiediamo che i casi di scioglimento abbiano solo effetti civili (non potendo, logicamente, né volendo interferire nelle conseguenze religiose che restano affidate alla coscienza di ogni cittadino) non ci si può rispondere che la causa è il matrimonio indissolubile dal quale scaturiscono determinati effetti.
Non si può considerare causa la indissolubilità del matrimonio come quella che unica ne determina gli effetti civili: il matrimonio è un complesso istituto che si compone - se così si può dire - di vari elementi di cui uno, sia pure preminente, è l'indissolubilità. Gli effetti civili del matrimonio scaturiscono da quel «pubblico e solenne patto» che si stringe fra due esseri che spinti dall'amore si determinano a formare una famiglia monogamica.
Questo è il bene, questo è il fondamento che la società vuole vedere garantito e dal quale fa discendere determinati effetti. Perciò ritengo che non dovrebbero esservi forti opposizioni e sul piano morale e sul piano giuridico per la introduzione nella legislazione italiana di una riforma adeguata del diritto matrimoniale.
Ho scritto nella mia relazione che sì trattava di un timido ed inadeguato passo non per volere in un momento successivo un «grande divorzio», ma per dire che la società si riforma con ben altre leggi che non con quella da me proposta che vuol essere solo un rimedio. La situazione attuale di tante famiglie dovrebbe a mio avviso indurre tutti gli italiani - ed in specie quelli che più sentono la religione cattolica - a concorrere a che la proposta modifica avvenga. Ne migliorerà di certo la nostra società, perché si avrebbe giustizia per tutti, ricchi e poveri e principalmente si comincerebbe a realizzare il concetto, tante volte espresso, che per i figli non ci deve essere, per tutta la vita, la espiazione delle colpe dei genitori.

Luigi Renato Sansone

FINE