Science Fiction Project
The Lost Treasures
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I MERCANTI DELLO SPAZIO - Frederik Pohl, Cyril M. Kornbluth

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Capitolo I

Quel mattino, mentre mi vestivo, ripassai mentalmente la lunga lista di dati statistici, di proposte, e idee che probabilmente si aspettavano di trovare nel mio rapporto. Il mio reparto, quello della produzione, era stato afflitto ultimamente da una serie di assenze per malattia, e di dimissioni, e non è possibile lavorare quando mancano le persone che devono eseguire il lavoro. Ma la direzione non l'avrebbe considerata una scusa valida.
Mi spalmai sulla faccia il sapone depilatorio, poi lo sciolsi attingendo all'esile sgocciolio dell'acqua potabile. Uno spreco, lo sapevo, ma pago le tasse, e l'acqua salata mi lascia sulla faccia una patina fastidiosa. Prima che fossi riuscito a togliere gli ultimi residui di sapone, il filo d'acqua smise di colare e non accennò a riprendere. Imprecando, finii di sciacquarmi con l'acqua salata. Negli ultimi tempi quell'inconveniente si era ripetuto spesso, e alcuni davano la colpa ai sabotatori Indietristi che si erano infiltrati nella Compagnia addetta al rifornimento dell'acqua alla città di New York.
Per qualche secondo la mia attenzione venne attirata dallo schermo televisivo, situato sopra lo specchio davanti al quale mi faccio la barba. Trasmettevano brani del discorso tenuto la sera prima dal Presidente, poi seguirono un paio di inquadrature della tozza astronave per Venere, luccicante nel deserto dell'Arizona, e alcune visioni di disordini a Panama. Spensi la televisione quando sentii il segnale orario.
Ero di nuovo in ritardo. Questo non mi avrebbe aiutato ad addolcire la Direzione nei miei confronti.
Risparmiai cinque minuti indossando la camicia del giorno precedente invece di prenderne una pulita, e lasciando il succo di frutta, mia prima colazione, a diventare caldo e stantio sul tavolo della cucina. Ma li ripersi nel tentativo di chiamare Kathy. Lei non rispose al telefono e io arrivai tardi in ufficio.
Fortunatamente, episodio senza precedenti, anche Fowler Schocken era in ritardo.
Nel nostro ufficio, secondo la consuetudine imposta da Fowler, il consiglio settimanale ha luogo un quarto d'ora prima del normale inizio del lavoro. Serve a tenere il personale in allarme, come piace a Fowler, il quale viene comunque in ufficio tutte le mattine. E "il mattino", per Fowler Schocken comincia quando si alza il sole.
Ad ogni modo, quel mattino, prima della riunione feci in tempo a prendere dalla mia scrivania il promemoria battuto dalla segretaria. Quando Fowler Schocken entrò nella sala scusandosi educatamente per il ritardo, io ero già seduto al mio posto, calmo e sicuro di me come deve esserlo un funzionario della "Fowler Schocken".
- Buon giorno - disse Fowler, e gli undici presenti, compreso io, risposero come tanti pappagalli. Lui non sedette: per circa un minuto e mezzo restò in piedi a guardarci paternamente. Poi, con l'aria di chi ammira una cosa mai vista, girò lo sguardo per la sala.
- Pensavo a questa nostra sala delle conferenze - disse, e tutti noi ci guardammo attorno. Non è una grande sala, ma non è nemmeno piccola. Sarà dieci metri per dodici. Però è arredata con eleganza, bene illuminata, e fresca. Le bocche del condizionamento di aria sono abilmente nascoste dietro quadri animati, sul pavimento è steso un folto tappeto, e tutti i mobili sono in autentico legno.
- La nostra è una bella sala - disse Fowler Schocken - come è giusto che sia, perché la Società Fowler Schocken è la più importante agenzia di pubblicità esistente a New York. Facciamo affari più di chiunque altro, e... - ci guardò ad uno ad uno - ritengo che siate d'accordo sulla solidità della nostra ditta. Credo che nessuno dei presenti abiti un appartamento con meno di due stanze. - Mi strizzò l'occhio. - Anche gli scapoli! Se vogliamo parlare di me, poi, posso dire di passarmela bene. La mia residenza estiva si affaccia direttamente su uno dei più bei parchi di Long Island. Da anni mangio cibi veri, e quando esco a fare un giretto sto comodamente seduto in Cadillac. Sì, il lupo cattivo è molto, molto lontano, dalla mia porta di casa. Ognuno di voi può dire lo stesso. Giusto? - Il direttore del Reparto Ricerche di Mercato alzò una mano, e Fowler gli fece un cenno. - Dite pure, Matthew.
Matthew Runstead conosce alla perfezione l'arte di "ungere". Si guardò attorno con espressione bellicosa e gridò: - Desidero che sia messo a verbale la mia assoluta incondizionata entusiastica approvazione per tutto ciò che ha detto il signor Schocken!
Fowler Schocken chinò lievemente la testa. - Grazie, Matthew - disse. E per qualche secondo tacque, poi riprese: - Sappiamo tutti come siamo arrivati così in alto. Ricordiamo tutti i nostri inizi e l'avvento della prima società mondiale e del primo complesso industriale che assorbì un intero continente. Noi, la Società Schocken, abbiamo aperto la strada all'uno e all'altro. Nessuno può accusarci di aver seguito il vento, perché è esattamente il contrario. Adesso, signori, voglio farvi una domanda alla quale dovete rispondere con assoluta sincerità. Siamo forse in decadenza? - Scrutò le nostre facce ignorando la selva di mani levate in aria, tra le quali, Dio mi perdoni, c'era anche la mia. Poi fece un cenno all'uomo seduto alla sua destra. - Prima voi, Ben - disse.
Ben Winston si alzò. - Parlo per la Sezione Antropologica - tuonò con voce baritonale. - E la risposta è no! Mi appello al rapporto odierno che vi arriverà con il bollettino di mezzogiorno. Ve ne farò subito un riassunto. Tutte le scuole elementari a est del Mississippi danno ai bambini, per la refezione, pacchi confezionati secondo i nostri suggerimenti. Le bistecche rigenerate e le salsicce di soia... - nessuno dei presenti poté evitare una contrazione allo stomaco al pensiero delle salsicce di soia e delle bistecche rigenerate -... vengono servite ai bambini racchiuse in recipienti che hanno esattamente lo stesso verde di tutti i prodotti della "Universal". Invece i dolci, i gelati e le sigarette di cioccolata sono contraddistinti dalla vivace confezione rossa della "Starrzelius". Quando quei bambini saranno cresciuti... - Ben sollevò lo sguardo dai suoi appunti. - Secondo le nostre previsioni statistiche, fra quindici anni i prodotti della "Universal" spariranno completamente dal mercato!
Ben Winston sedette tra un uragano di applausi. Anche Schocken batté le mani, guardandoci con occhi sfavillanti. Io mi protesi in avanti con la mia espressione Numero Uno: intelligenza, competenza, sicurezza di sé. Ma avrei potuto risparmiarmi la fatica. Fowler indicò l'uomo seduto accanto a Winston: Harvey Bruner.
- Non c'è bisogno di dirvi, signori, che il Reparto Vendite ha i suoi problemi - disse Harvey succhiandosi le guance incavate. - Sono pronto a giurare che il maledetto governo è pieno di Indietristi. Voi tutti sapete cos'hanno fatto. Hanno dichiarato illegale l'uso di impulsi subsonici nella nostra propaganda orale. Ma noi abbiamo ribattuto con un elenco di parole chiave, semanticamente collegate con ogni trauma o nevrosi presenti nella odierna vita americana. Hanno dato retta ai fissati della sicurezza stradale, e ci impediscono di proiettare i nostri messaggi sui parabrezza degli autoveicoli, ma noi ci difendiamo. Il laboratorio m'informa - e indicò il direttore del nostro Reparto Scientifico - che presto sperimenteremo un sistema capace di proiettare la nostra pubblicità direttamente sulla retina dell'occhio. E non basta! Per darvi un esempio vi parlerò del progetto... - S'interruppe per mormorare: - Signor Schocken, la nostra Sicurezza ha controllato bene questa sala?
- Parlate tranquillamente - rispose Fowler Schocken. - Ci sono soltanto i soliti microfoni-spia del Dipartimento di Stato e della Camera, ma naturalmente stanno ascoltando nastri già incisi e che non dicono niente...
Harvey si calmò. - Stavo parlando del progetto Caffeissimo - riprese. - La nostra Società sta distribuendo omaggi del nuovo prodotto in quindici città-campione. È una campagna pubblicitaria di tipo tradizionale: la solita offerta gratuita del prodotto per tredici settimane, mille dollari in contanti, e una vacanza sulla riviera ligure a chiunque lo richieda. Ma la grossa novità è questa: ogni campione di Caffeissimo contiene tre milligrammi di un comune alcaloide. Non è una sostanza nociva, beninteso, ma condiziona in maniera permanente all'uso del prodotto chi la ingerisce. Dopo dieci settimane il consumatore diventa nostro per tutta la vita. Una cura disintossicante gli verrebbe a costare come minimo cinquemila dollari, quindi sarà molto più pratico per lui continuare tranquillamente a bere il nostro caffè: tre tazze durante i pasti e una cuccuma sul tavolino da notte, come sta scritto sul barattolo.
Fowler Schocken diventò addirittura radioso, e io mi concentrai nuovamente nell'espressione Numero Uno. Accanto ad Harvey c'era Tildy Mathis, protetta dallo stesso Schocken. Ma il capo non chiedeva mai alle donne di parlare alle sedute della direzione, e vicino a Tildy sedevo io.
Stavo riordinando mentalmente il mio discorsetto d'apertura, ma Schocken mi rifiutò la parola con un sorriso. Disse: - Non chiederò il rapporto a ogni sezione. Non ne abbiamo il tempo. Comunque mi avete già risposto, signori. Una risposta che mi piace. Stando così le cose siamo pronti ad accettare qualsiasi sfida. Perciò adesso voglio offrirvi un nuovo campo di battaglia.
Premette un pulsante sul suo quadro dei comandi e fece ruotare la propria poltrona. Le luci si spensero, e il Picasso proiettato sulla parete scomparve rivelando uno schermo. Sullo schermo cominciò a disegnarsi un'altra immagine.

Avevo già visto quella scena in mattinata, esattamente nello schermo sopra lo specchio in casa mia.
Era il missile per Venere, un mostro di trecento metri, figlio potenziato delle slanciate V2 e dei tozzi missili lunari del passato. Intorno si elevavano impalcature di acciaio e alluminio affollate di minuscole figure intente a maneggiare esili fiammelle bianco-azzurre.
Logicamente l'immagine era una registrazione: il missile vi appariva com'era alcuni mesi prima, cioè a un precedente stadio di costruzione, e non ritto solitario sulle sue pinne quasi fosse già pronto a decollare come l'avevo visto quel mattino presto.
Dallo schermo una voce annunciò in tono trionfante, e con poca precisione: - Questo è il missile che ci porterà alle stelle! - Riconobbi la voce. Era quella di uno dei commentatori esperti in effetti fonetici e nel valorizzare le battute scritte da qualcuno della combriccola di Tildy. Il genio da quattro soldi che confondeva Venere con una stella non poteva che appartenere alla squadra di Tildy. - Questa è la nave che un moderno Colombo guiderà attraverso lo spazio - continuò la voce. - Sei tonnellate e mezza di potenza e di acciaio, una arca, capace di contenere ottocento fra uomini e donne, e tutto ciò che servirà perché un nuovo mondo diventi la loro patria. Chi saranno questi uomini? Chi saranno i fortunati pionieri che fonderanno un impero sul ricco suolo vergine di un altro mondo? Permettetemi di presentarvi questi pionieri, un uomo e sua moglie, due dei coraggiosi...
La voce continuò a parlare. Sullo schermo la scena si spostò all'interno di una stanzetta di periferia. Si vide il marito ribaltare il letto nella parete ed eliminare il divisorio dall'angolo dei bambini, mentre la moglie estraeva da un'altra parete il tavolo e preparava la colazione. Tra un sorso e l'altro dei succhi di frutta, accanto ai bambini che mangiavano le loro pappe (il tutto naturalmente accompagnato da poderose tazze di Caffeissimo, i coniugi si dicevano l'un l'altro, in tono convinto, che erano stati davvero in gamba a iscriversi fra i coloni di Venere. La domanda del figlio più piccolo: "Mamma, quando sarò cresciuto, potrò portare anch'io i miei bambini in un posto bello come Venere?" offrì lo spunto per una serie di immagini prive di qualsiasi rapporto con la realtà, che mostravano Venere come sarebbe stata nell'epoca in cui quel bambino sarebbe "cresciuto": valli verdeggianti, laghi purissimi, splendenti montagne.
Il commento non smentiva apertamente, ma neppure menzionava gli anni durissimi in cui i pionieri avrebbero vissuto in cabine pressurizzate, nutrendosi di colture idroponiche, lavorando nell'irrespirabile aria venusiana.
Istintivamente, quando il documentario era cominciato, avevo premuto la levetta del cronometro sul mio orologio da polso. Finita la registrazione, controllai. Nove minuti. Un tempo tre volte superiore a quello legalmente concesso alla pubblicità.
Soltanto dopo che le luci si riaccesero, che tutti si furono riforniti di sigarette, e che Fowler Schocken, in piena forma, ebbe iniziato il discorso del giorno, cominciai a capire il perché.
Schocken prese l'argomento alla larga, com'era sua abitudine. Richiamò la nostra attenzione sulla storia della pubblicità, dagli inizi ai giorni nostri, parlò ancora del benessere dei direttori della Fowler Schocken, poi disse: - Secondo un vecchio adagio, il mondo è la nostra ostrica. Ebbene, noi abbiamo mangiato quest'ostrica. L'abbiamo divorata - ripeté - perché abbiamo completamente conquistato il mondo. E come Alessandro, cerchiamo nuovi mondi da conquistare. - Indicò lo schermo alle sue spalle.. - Il primo di questi mondi l'avete appena visto.
Matt Runstead non mi era mai stato simpatico, e forse l'avete capito. Lo sospetto di compiere il suo lavoro di spionaggio anche all'interno della ditta. Runstead doveva conoscere già da tempo il progetto per Venere. Mentre tutti noi stavamo ancora assimilando il significato delle parole di Fowler Schocken, Runstead balzò in piedi.
- Signori - disse con fervore - questa si chiama genialità! Non si tratta più semplicemente di una merce! Abbiamo un intero pianeta da vendere! Io saluto in voi, Fowler Schocken, il Clive, il Bolivar, il John Jacob Astor di un nuovo mondo!
Come ho detto, Matt Runstead fu il primo, ma poi ognuno di noi, a turno, si alzò per dire la stessa cosa. Compreso io. Non fu difficile. In fondo erano anni che lo facevo. Kathy non era mai riuscita a capirlo, per quanto io avessi tentato di spiegarle che il nostro era una specie di rito, come la bottiglia di champagne contro la prua di una nave o il sacrificio di una vergine sull'altare di una divinità. Ero convinto che nessuno di noi, tranne forse Matt Runstead, avrebbe venduto alla gente i derivati dell'oppio al solo scopo di far quattrini, ma ascoltando Fowler Schocken, e autoipnotizzandoci con le nostre risposte, ci sentivamo momentaneamente disposti a tutto per il nostro dio delle vendite.
Con ciò non voglio affatto dire che fossimo dei criminali. Come Harvey aveva fatto notare, l'alcaloide contenuto nel Caffeissimo era del tutto innocuo.
Concluso il rito, Schocken premette un altro pulsante e ci fece vedere una carta. Ce ne spiegò accuratamente ogni particolare, ci mostrò tabelle, grafici, diagrammi di tutto il nuovo Dipartimento della Società Fowler Schocken, Dipartimento che avrebbe dovuto occuparsi dello sviluppo e dello sfruttamento del pianeta Venere. Ci informò che il Governo (era strano che noi pensassimo e parlassimo dell'insieme di deputati e senatori come se fosse ancora un tutt'uno con una volontà propria), che il Governo, dicevo, desiderava che Venere fosse un pianeta americano, e che per vedere realizzato il suo desiderio aveva scelto la Compagnia di Pubblicità più tipicamente americana. Lui parlava, e noi tutti condividevamo il suo entusiasmo. Invidiavo l'uomo che avrebbe diretto il nuovo Dipartimento. Credo che ognuno di noi sarebbe stato orgoglioso di assumerne l'incarico.
Schocken ci parlò dei guai avuti per conquistare i quarantacinque voti di un senatore, e della facilità con cui aveva conquistato i sei di un altro senatore. Parlò di una dimostrazione di Indietristi contro la nostra Società, e di una fanatica reazione anti-Indietristi avutasi al Ministero degli Interni. Guardammo gli schemi e ascoltammo Fowler Schocken per quasi un'ora. Infine lui spense il proiettore, e disse: - Ora sapete tutto. Questa è la nostra nuova campagna. Incominceremo subito. Prima di metterci tutti al lavoro però, devo comunicarvi una cosa.
Fowler Schocken è un ottimo attore. Cercò con calma un foglietto di carta sul tavolo per leggervi una dichiarazione che il più scadente annunciatore avrebbe potuto fare dormendo. - Il Presidente della Sezione Venere - lesse Schocken - sarà Mitchell Courtenay.
Questa fu la sorpresa più grossa di tutte, perché Mitchell Courtenay sono io.

Capitolo II

Mi trattenni con Schocken per tre o quattro minuti mentre gli altri dirigenti tornavano ai loro uffici, poi presi l'ascensore che in pochi secondi mi portò dalla sala delle conferenze al mio ufficio, all'ottantaseiesimo piano. Quando entrai, Hester stava già radunando tutto quello che c'era nella mia scrivania.
- Felicitazioni, signor Courtenay - mi disse. - Adesso vi trasferite all'ottantanovesimo piano. È magnifico! E anch'io avrò un ufficio tutto per me!
La ringraziai, e sollevai il ricevitore del telefono. Prima di tutto dovevo riorganizzare i miei collaboratori e nominare un capo della Produzione. Tom Gillespie era il più quotato. Comunque la prima cosa che feci fu di telefonare ancora a Kathy. Ma siccome non ebbi risposta nemmeno questa volta, convocai i ragazzi. Poi venne l'ora di colazione. Feci una telefonata, mangiai in fretta e furia al bar della Fowler Schocken, presi l'ascensore che mi portò fino a pianterreno, salii sullo scivolo in attesa, e mi feci portare a sedici isolati di distanza. Pioveva, e la gente che affollava il marciapiede era ansiosa quanto me di mettersi al riparo. Dovetti aprirmi la strada a viva forza per entrare nell'atrio dell'edificio.
L'ascensore mi portò al quattordicesimo piano. Quello era un vecchio palazzo, e l'impianto d'aria condizionata funzionava male. Mi sentii rabbrividire dentro gli abiti umidi. Mi venne in mente di sfruttare questi brividi al posto della storiella già preparata, ma rinunciai.
Quando entrai, una ragazza in divisa bianca sollevò la testa per guardarmi. - Mi chiamo Silver - dissi. - Walter P. Silver. Ho un appuntamento.
- Sì, signor Silver - rispose la ragazza. - Avete detto che si trattava di un caso urgente. Il cuore, mi pare.
- Esatto. Probabilmente è un malessere di natura psicosomatica, ma...
La ragazza mi indicò una poltroncina. - Accomodatevi. Il dottor Nevin vi riceverà subito.
Aspettai dieci minuti. Nel frattempo dallo studio del dottore uscì una donna, e un uomo, che aspettava già al mio arrivo, entrò. Quando l'uomo uscì, l'infermiera mi disse: - Volete accomodarvi nello studio del dottore?
Entrai. Kathy, ordinata e bellissima nel suo camice da medico stava riponendo una scatola in un cassetto della scrivania. Poi sollevò la testa e disse, in tono annoiato: - Oh, Mitch!
- Ho mentito soltanto riguardo al nome - le spiegai. - Ma si tratta di un caso urgente sul serio. E c'è di mezzo il mio cuore.
L'impulso di sorridere venne bellamente ricacciato indietro. - Ma non dal punto di vista clinico - commentò.
- Ho spiegato all'infermiera che forse il mio era un male psicosomatico, ma lei mi ha detto di entrare lo stesso!
- Gliene parlerò. Mitch, lo sai che non mi è possibile vederti durante le ore di lavoro! Quindi, per cortesia...
Sedetti accanto alla sua scrivania. - Tu non mi vuoi "mai" vedere, Kathy. Cosa c'è che non va?
- Niente. Ti prego, Mitch, vai via. Sono un medico e devo lavorare.
- Ma il motivo della mia visita è molto importante. Ho cercato di telefonarti per tutto ieri sera, e questa mattina.
Kathy accese una sigaretta senza guardarmi. - Non ero a casa - disse.
- Me ne sono accorto. - Mi protesi in avanti, le tolsi di mano la sigaretta e ne trassi una boccata. Lei si strinse nelle spalle e ne accese una seconda. - Non credi che abbia il diritto di chiedere a mia moglie come passa il suo tempo? - domandai.
- Accidenti, Mitch! - scattò Kathy. - Sai benissimo... - Lo squillo del telefono la interruppe. Lei chiuse un attimo gli occhi, poi sollevò il ricevitore, si appoggiò alla spalliera, calma, lo sguardo fisso sopra la mia testa: un medico intento ad ascoltare e consigliare un paziente. La telefonata durò pochissimo, ma quando depose il ricevitore, Kathy era di nuovo padrona di sé. - Per favore, vattene, Mitch - disse, spegnendo la sigaretta nel posacenere.
- Me ne andrò solo dopo che mi avrai detto quando possiamo vederci.
- Io... Non ho tempo di incontrarmi con te, Mitch. E non sono tua moglie! Quindi non hai il diritto di starmi continuamente alle costole in questo modo.
- Mi premeva di dirti una cosa - tentai. Kathy era sempre stata molto sensibile alla curiosità.
Ci fu una lunga pausa, poi, invece di ripetere: "Per favore, vattene", Kathy disse: - Di che si tratta?
- È una cosa molto importante, che va degnamente celebrata. Ti assicuro che non è una scusa per vederti qualche minuto questa sera! Ti prego Kathy... Ti prometto di non fare scene!
-... n-no.
Ma siccome aveva esitato, insistetti. - Ti prego!
- Be'... - Mentre lei stava ancora pensandoci, il telefono tornò a squillare. - Va bene - mi disse. - Telefonami a casa, alle sette. E adesso lasciami ai miei malati.
Sollevò il ricevitore. Stava parlando quando me ne andai, e non mi guardò uscire.

Fowler Schocken era chino sulla scrivania, intento a guardare l'ultimo numero di "Taunton's Weekly". La rivista sprizzava colori come se ogni molecola di inchiostro colorato raccogliesse fotoni dall'aria e li riverberasse in miriadi di esplosioni. Schocken sventolò la pagina scintillante e mi domandò: - Che cosa ne pensate, Mitch?
- Scarso - risposi, pronto. - Se dovessimo ricorrere a una rivista come quella, darei le dimissioni. È solo un trucco volgare.
Con un brontolio Schocken posò la rivista a faccia in giù. Ci fu un'ultima esplosione di colore prima che alla pagina venisse a mancare l'aria. - Sì, è una trovata volgare - disse Schocken, in tono pensoso. - Ma non potete negare la bontà dell'iniziativa. Ogni settimana Taunton assicura sedici milioni e mezzo di lettori ai suoi inserzionisti. Comunque spero che non abbiate detto sul serio delle dimissioni perché io ho appena ordinato ad Harvey di fare un contratto con la rivista "Shock". La tiratura è di venti milioni di copie. No... - Sollevò una mano troncando sul nascere il mio tentativo di dare una spiegazione. - Ho capito benissimo cosa volevate dire. Per me Taunton è la personalizzazione di tutto ciò che impedisce alla pubblicità di trovare il suo giusto indirizzo. Non c'è trucco volgare al quale Taunton non ricorrerebbe, dalla corruzione di un giudice a quella di un impiegato. Ma è un uomo dal quale dovrete guardarvi.
- Perché? Perché io in modo particolare?
- Perché gli abbiamo soffiato Venere - rispose Schocken con una risatina. - Taunton aveva avuto la mia stessa idea. Non è stato facile persuadere il governo che il pianeta doveva essere nostro.
- Capisco - dissi. E capivo davvero. Il nostro governo è adesso più rappresentativo di quanto lo sia mai stato in tutta la storia. Non che sia necessariamente rappresentativo "per capita", ma lo è sicuramente "ad valorem". Se vi piacciono i problemi filosofici, eccovene uno: i voti di tutti gli esseri umani dovrebbero avere lo stesso peso come pretende, la legge e come qualcuno sostiene che sia il desiderio dei fondatori della nostra nazione, oppure ogni voto dovrebbe avere un suo valore definito dalla potenza, dall'intelligenza, dall'influenza - leggasi ricchezza - del votante? Questo problema filosofico riguarda esclusivamente voi, e non me, perché io sono pragmatico, e per di più iscritto sul ruolino stipendi della Fowler Schocken.
Mi girava per la testa una idea. - Credete che Taunton passerà all'azione diretta? - chiesi.
- Certo cercherà di riprendersi Venere - rispose Schocken.
- Non intendevo questo. Piuttosto... Ricordate anche voi cos'è successo durante lo sfruttamento dell'Antartico.
- C'ero, infatti. Noi abbiamo avuto allora centoquaranta morti, e solo Dio sa quante sono state le loro perdite.
- E si trattava solo di un continente. Se per un pezzo di terra gelata Taunton non ha esitato a iniziare una vera lotta, che cosa farà per un intero pianeta?
- Non oserà tanto, Mitch - disse Fowler. - Le lotte costano. D'altronde noi non gli offriremo nessuna occasione d'attaccarci, almeno, nessuna occasione valida di fronte a un tribunale.
Le parole di Fowler Schocken mi rassicurarono. Dovete credermi se vi dico che sono un leale dipendente della società Schocken, e che sin dall'inizio ho sempre cercato di dare tutto alla Società e alle Vendite. Ma le guerre industriali sono una gran brutta cosa. Erano passati solo pochi decenni da quando una piccola ma efficiente agenzia londinese, iniziata una sua guerra contro la Società inglese B. B. D. & O., aveva spazzato via gli avversari fino all'ultimo uomo. E si dice che sulle scale della Posta Centrale, dove la Western Union e l'American Railway Express combatterono per accaparrarsi il contratto dei trasporti postali, ci siano ancora i segni delle macchie di sangue.
- Di una cosa, comunque, vi dovete preoccupare seriamente - riprese Fowler Schocken. - La reazione dei fanatici. Il nostro è proprio il genere di progetto che li fa scatenare pro o contro, e così sarà di tutte le organizzazioni del genere, dagli Indietristi agli Oppositori. Voi dovrete cercare che si dichiarino a nostro favore. Quella gente ha un certo peso.
- Anche gli Indietristi? - domandai, stupito.
I capelli bianchi di Schocken brillarono al movimento della sua testa. - Forse pensate che il volo spaziale e il Conservazionismo siano diametralmente opposti. E in un certo senso è vero. La conquista dello spazio è un'offesa alla vita di sempre. Se poi vogliamo scendere a particolari, per il propellente vengono usate sostanze che secondo gli Indietristi dovrebbero essere impiegate come fertilizzante, ma...
Mi piace veder lavorare un esperto. In quattro e quattr'otto Fowler Schocken mi tracciò tutta la campagna di conquista nelle sue linee generali. A me non restava che curarne i particolari. I Conservatori, gli Indietristi, come li chiamavamo noi, in fondo giocavano lealmente, dichiarando che la moderna civiltà avrebbe causato la rovina del nostro pianeta. Affermazione assurda. La scienza precede sempre di un passo l'esaurimento delle risorse naturali. Infatti, quando i normali generi commestibili avevano cominciato a scarseggiare, c'erano già pronti gli alimenti sintetici. Quando la benzina non era più stata sufficiente, la tecnica aveva pensato ai tassì a pedali.
Anch'io, a suo tempo, avevo dovuto sorbirmi le teorie degli Indietristi, e avevo scoperto che il tutto si riduceva alle tre parole del loro motto: "Uomo, torna indietro", e a questo assioma: il giusto modo di vivere era quello decretato dalla natura. Che sciocchezza! Se la "Natura" avesse voluto che mangiassimo vegetali freschi, non ci avrebbe dato l'intelligenza per inventare i barattoli e l'apriscatole.
Fowler Schocken parlò ancora per una ventina di minuti, in capo ai quali enunciò la scoperta che io avevo già fatto da tempo: lui mi dava i dati di cui avevo bisogno, al resto dovevo pensarci io.
I dati erano i seguenti: volevamo che Venere venisse colonizzata dagli americani. Per arrivarci, servivano: i coloni, i mezzi per farli arrivare su Venere, e qualcosa per tenerli occupati quando fossero stati lassù.
Ottenere i primi era facile: bastava ricorrere alla pubblicità diretta. I comunicati commerciali della Schocken ci fornivano il modello ideale su cui basare i nostri appelli. Non è difficile persuadere la gente che in un altro posto l'erba è più verde. Io avevo già abbozzato una campagna in questo senso, preventivando una spesa inferiore al milione di dollari. Di più sarebbe stato strafare.
La seconda parte del programma ci interessava solo indirettamente. Le astronavi erano state già progettate da tre importanti industrie che avevano firmato un contratto con il Ministero della Difesa. Noi, quindi, non dovevamo rendere possibile il trasporto su Venere, ma soltanto farlo diventare gradevole. Quando una moglie non avesse potuto rimpiazzare la resistenza del suo tostapane perché quella resistenza era diventata parte integrante della sala macchine di un'astronave, allora saremmo entrati in azione noi, dimostrando alla signora che le astronavi erano più importanti dei tostapane.
Architettai in poco tempo una campagna di "austerità". Forse sarebbe andato bene una specie di movimento religioso teso a promettere assistenza agli ottocento milioni di persone che non avrebbero trovato posto sulle astronavi. In questo mi sarebbe stato utile Bruner.
Passai al punto tre: escogitare qualcosa per tenere occupati i coloni su Venere.
Questo, lo sapevo, era il punto che più premeva a Fowler Schocken. I quattrini del governo per la campagna iniziale erano una bella somma, ma Schocken voleva qualcosa di più: voleva assimilare i coloni e i loro figli. Era evidente che Fowler sperava di ripetere su larghissima scala lo schiacciante successo ottenuto nelle Indie. La nostra Società aveva organizzato l'intero territorio delle Indie come se fosse un'unica gigantesca Unione Commercianti che vendeva ogni balla di lana, ogni grammo d'oppio, ogni lingotto di iridium, esclusivamente tramite la Fowler Schocken. Adesso si poteva fare lo stesso con Venere. Un intero nuovo pianeta grande come la Terra, potenzialmente ricco come la Terra, e ogni grammo del quale apparteneva a noi.
Guardai l'orologio. Circa le quattro, e il mio appuntamento con Kathy era per le sette. Avevo giusto giusto il tempo necessario. Chiamai Hester e le dissi di fissarmi un posto sul jet per Washington mentre io mi mettevo in contatto con la persona di cui Fowler m'aveva dato il nome. La persona si chiamava Jack O'Shea, ed era l'unico essere umano che fino a quel momento fosse stato su Venere.

Atterrammo a Washington con cinque minuti di ritardo, accolti dalle guardie al comando di un tenente, il quale chiese di vedere i documenti di tutti i passeggeri. Quando arrivò il mio turno domandai cosa significasse quel controllo. L'ufficiale guardò la mia tessera della Sicurezza Sociale, poi salutò. - Spiacente di crearvi una noia, signor Courtenay - disse, in tono di scusa. - Ma vicino a Topeka c'è stato un attentato. Gli Indietristi hanno lanciato bombe contro la Società Du Pont. Come sapete noi abbiamo l'incarico di proteggere le loro installazioni industriali. Be', oggi c'era una cerimonia per l'inizio dello sfruttamento di una nuova vena carbonifera, e appena la trivellatrice è entrata in funzione, qualcuno, dalla folla, ha lanciato una bomba, uccidendo il tecnico che manovrava la macchina, il suo aiutante, e un vice-presidente. L'uomo ci è sfuggito, ma era già stato identificato. Adesso sospettiamo che possa essersi imbarcato su un jet a New York. È un asiatico.
- Ho capito. Buona fortuna, tenente - dissi, e mi affrettai verso la sala di ristoro dell'aeroporto. O'Shea mi stava aspettando, visibilmente seccato del ritardo, ma sorrise appena gli ebbi fatto le mie scuse.
- Seccature che possono capitare a chiunque - commentò, e fece cenno a un cameriere. Poi, quando le consumazioni furono davanti a noi, si appoggiò allo schienale e domandò: - Allora?
Lo guardai, poi rivolsi lo sguardo alla finestra. Verso sud si vedeva l'altissimo pilone del monumento ai caduti, dietro il quale sorgeva la piccola cupola del vecchio Campidoglio.
Non sapevo da dove cominciare, e la mia incertezza divertiva O'Shea.
- Allora? - ripeté. Sapevo che quell'unica parola significava: "Adesso dovete venire tutti da me, e non so se vi piacerà".
Mi buttai. - Cosa c'è su Venere? - chiesi.
- Sabbia e fumo - rispose, pronto. - Non avete letto il mio rapporto?
- Sì, ma volevo sapere qualcosa di più.
- Nel mio rapporto c'è tutto. Maledizione, mi avete interrogato per tre giorni interi quando sono tornato! Se ho dimenticato qualcosa, ora non lo ricordo di certo.
- Non è quello il genere di informazioni che mi interessano - dissi. - Sotto di me ci sono quindici persone incaricate di leggere i rapporti, proprio perché non lo debba fare io. Io voglio sapere quello che nei rapporti non c'è. Voglio farmi un'idea autentica del pianeta, e questa posso averla solo da chi ci è stato.
- Avrei preferito non andarci - rispose O'Shea. - Be', da dove volete che cominci? Sapete come mi hanno incastrato, sapete che hanno mandato me perché sono l'unico nano con il brevetto di pilota. Sapete tutto sull'astronave. E conoscete i risultati delle analisi sui campioni che ho riportato sulla Terra. Questo comunque significa poco. A dieci chilometri dal punto in cui sono atterrato io, la natura geologica può essere del tutto diversa.
- Sì, tutte queste cose le so. Sentite Jack, se voi voleste portare parecchia gente su Venere, cosa direste di quel mondo?
Il nano rise. - Se volessi mandarcela potrei solo raccontare un bel mucchio di bugie.
- Ma perché non mi dite qualcosa di più?
Gli illustrai brevemente le intenzioni della Fowler Schocken mentre lui mi fissava con gli occhietti rotondi. I lineamenti dei nani hanno un'opacità da porcellana, come se il destino, per compensarli di averli fatti più piccoli degli altri, avesse voluto farli più perfetti, forse per dimostrare che in loro la deficienza di dimensioni non significa deficienza di contenuto. O'Shea sorseggiava la sua bibita, ascoltando, mentre io bevevo a rapidi sorsi tra una frase e l'altra. Quando ebbi finito non avevo ancora capito se lui era o no dalla mia parte. E con O'Shea questo aveva la sua importanza, perché lui non era un fantoccio legato a corde che Fowler Schocken sapesse come manovrare. Tutto quello che legava O'Shea a noi era un lieve sentimento di gratitudine, perché Fowler l'aveva aiutato a realizzare un certo capitale dalla sua esperienza pubblicando libri e tenendo conferenze.
- Vorrei potervi aiutare - disse il nano.
- E potete - risposi. - È per questo che sono qui. Ditemi che cosa offre Venere.
- Poco. Pochissimo. Volete che vi parli dell'atmosfera? Contiene formaldeide libera. O del caldo? Supera la temperatura di ebollizione dell'acqua. Solo che non c'è acqua, su Venere. Oppure del vento? Soffia a settecento chilometri all'ora.
- Tutta roba che so - osservai. - Ma per questi fenomeni esistono soluzioni. Io voglio un profilo... umano, del pianeta. Voglio sapere che cosa avete pensato mentre eravate lassù, e quali sono state le vostre reazioni di fronte a quel mondo. Parlate. Raccontate. Quando avrò saputo ciò che mi interessa, vi fermerò.
Si addentò il labbro superiore, rosa e levigato come marmo. - Va bene - disse. - Incomincerò dal principio, allora.
E Jack O'Shea incominciò a parlare.
Mi raccontò di suo padre e di sua madre, alti e normali, mi fece capire la loro pena e il loro affetto per quel figlio di settanta centimetri. A undici anni si era posto per la prima volta il problema della sua vita futura e della necessità di scegliere un lavoro. Ricordò le espressioni infelici dei suoi genitori quando, inevitabilmente, era stata fatta allusione a un circo. Ma lui, Jack, aveva espresso il desiderio di specializzarsi in missilistica e diventare collaudatore, e lo era diventato a dispetto degli ostacoli, e del ridicolo, e dei rifiuti delle Accademie.
Poi Venere gli aveva dato pienamente ragione.
I progettisti dell'astronave per Venere avevano incontrato una grossa complicazione. Mandare un missile abitato sulla Luna era stato relativamente facile, e in teoria non era molto più complicato spedirne uno su Venere. Il problema stava nello studio delle orbite, nel calcolo del tempo, nella possibilità di riportare indietro l'apparecchio. C'erano poi due soluzioni. Prima: spedire l'astronave su Venere con un viaggio di pochi giorni, e sprecando una quantità di carburante tale che nemmeno dieci astronavi sarebbero riuscite a trasportare. Seconda: far viaggiare il missile lungo la normale orbita per arrivare al pianeta, così come si rimorchia un barcone seguendo il corso di un fiume, cosa che avrebbe risparmiato carburante ma avrebbe allungato il viaggio di mesi. Un uomo, il pilota, in otto giorni mangia cibo per un peso doppio al suo, respira aria per nove volte il suo peso, e beve tant'acqua da far galleggiare una scialuppa. A questo punto qualcuno potrebbe dire: perché non distillare l'acqua dai rifiuti e rimetterla in circolo, fare lo stesso col cibo e con l'aria? Spiacente. L'equipaggiamento necessario per la rigenerazione del materiale di spreco peserebbe più del cibo, dell'acqua e dell'aria sommate insieme. Quindi bisognava eliminare il pilota umano.
Una squadra di specialisti si accanì allora nella realizzazione di un pilota automatico. Alla fine nacque un pilota automatico perfetto, solo che pesava quattro tonnellate e mezza, nonostante che tutti i circuiti fossero stati costruiti sotto le lenti dei microscopi.
Il progetto segnò una battuta d'arresto finché a qualcuno venne in mente il più perfetto servo-meccanismo: un nano del peso di venticinque chili. Pesando un terzo di un uomo normale, Jack O'Shea mangiava un terzo di cibo, respirava un terzo d'aria, eccetera.
- Così mi hanno infilato nel missile come un dito nel guanto - disse O'Shea. - Credo che abbiate visto quell'astronave. Ma lo sapete che il sedile del pilota non era un sedile ma poco più di una tuta? Mi ci hanno infilato e hanno chiuso le cerniere lampo. L'aria mi arrivava attraverso tubi che dai serbatoi finivano direttamente dentro la mia bocca. Questo risparmiava peso e spazio...
Jack O'Shea aveva vissuto ottanta giorni dentro quella tuta che si incaricava di nutrirlo, dissetarlo, rifornirlo di ossigeno, liberarlo dei rifiuti, e, se fosse stato necessario, avrebbe anche provveduto a praticargli un'iniezione in un braccio rotto, o saldare una ferita, o pompare aria al posto di un polmone malato. Quella tuta era un vero grembo materno, ma terribilmente scomodo.
Trentatré giorni per l'andata, e altri quarantuno prima di essere di nuovo sulla Terra.
I sei giorni di differenza erano stati impiegati per lo scopo primo di quel viaggio.
Al trentatreesimo giorno Jack aveva fatto scendere l'astronave in condizioni di assoluta mancanza di visibilità, attraverso nuvole di gas che rendevano inutili i suoi occhi e superfluo il radar, verso il suolo del mondo sconosciuto. Era arrivato a trecento metri dalla superficie prima di vedere qualcosa che non fossero fumose volute giallastre. Infine aveva spento i motori.
- Naturalmente non ho potuto sbarcare - proseguì Jack. - Per una cinquantina almeno di motivi, il primo a mettere piede su Venere doveva essere un altro. Forse qualcuno che vive senza respirare. Comunque ero là e mi guardai attorno. - Si strinse nelle spalle e imprecò fra i denti. - L'ho detto almeno una dozzina di volte: l'unico posto sulla Terra che può essere paragonato a ciò che ho visto è il deserto pietrificato. Su Venere il vento è talmente forte che trasporta le pietre frantumando le più tenere e provocando tempeste di sabbia. Le rocce più dure assumono forme e colori bizzarri. Alcune sembrano enormi monumenti, E ci sono crepacci così profondi e rilievi tanto aguzzi che non riuscireste a immaginarli. Lassù pare sempre di essere dentro una grotta illuminata da una luce arancione scuro. Una tinta Cupa che pare una minaccia. È effetto delle continue scariche elettriche. Vengono in mente certi cieli d'estate, verso il tramonto, prima che scoppi un uragano. Ma su Venere non sono possibili gli uragani, perché lassù non esiste nemmeno una goccia d'acqua. Non piove mai, lassù... - Esitò. - Vi può servire quello che ho detto? - domandò improvvisamente.
Non risposi subito. Guardai l'orologio e mi accorsi che mancava pochissimo alla partenza del jet che mi avrebbe riportato a New York. Mi chinai e spensi il registratore infilato nella mia borsa. - Mi siete stato utilissimo, Jack - dissi poi. - Ma avrò ancora bisogno di voi. Cosa ne dite di venire per un po' a New York per lavorare con me? Ho la registrazione del vostro racconto, ma mi servirebbe qualcosa di visivo. I nostri disegnatori potrebbero ricavare dei bozzetti da quanto mi avete detto, ma ritengo che la vostra presenza mi sarà assai più utile. - Non dissi che i disegnatori avrebbero dato di Venere un'impressione del tutto diversa dalla realtà. - Allora, cosa decidete?
Jack mi fissò con espressione da cherubino, e dopo avermi fatto sudare spiegandomi tutto il programma che il suo agente gli aveva preparato per le prossime settimane, finalmente decise che le conferenze potevano venire annullate e che i colloqui con le persone che avrebbero scritto i suoi libri potevano aver luogo anche a New York, e accettò la mia offerta. Ci accordammo per incontrarci il giorno seguente proprio mentre l'altoparlante annunciava che il mio jet era pronto.
- Vi accompagno fino all'aereo - offrì Jack. Scivolò giù dalla sedia, e insieme uscimmo dal bar inoltrandoci lungo la pista. Era quasi buio, e la sagoma dell'apparecchio spiccava contro le luci di Washington. Nella nostra direzione, proveniente dal terminal dei trasporti mercantili, volava basso un pesante elicottero da carico, sul quale si riflettevano le luci colorate dell'aeroporto.
Fui costretto a tenere saldamente il cappello con entrambe le mani per impedire che il risucchio d'aria me lo portasse via.
- Quei maledetti piloti dei trasporti - imprecò Jack guardando l'elicottero. - Con la scusa che i loro apparecchi sono più manovrabili degli altri, pensano di poter fare tutto quello che vogliono. Se io pilotassi un jet in quel modo, mi... Correte! Correte! - urlò di colpo, spingendomi alle spalle con le piccole mani. Lo guardai sbalordito. Lui mi diede un urtone facendomi barcollare in avanti.
- Cosa diavolo... - incominciai a protestare, ma nemmeno io sentii le mie parole. Erano state coperte da un fragore metallico e dal rombo dei motori. Seguì il frastuono più infernale che avessi mai sentito, nel momento in cui la navicella con la merce, agganciata sotto l'elicottero, piombò sul cemento della pista. Gli imballaggi si sfasciarono e scatole di prodotti Starrzelius rotolarono da tutte le parti. Uno dei rossi barattoli mi finì sui piedi e io mi chinai stupidamente a raccoglierlo.
Sopra la mia testa l'elicottero prese quota e si allontanò, ma io non lo vidi nemmeno.
- Per l'amor del cielo, tiriamoli fuori! - gridò Jack, scuotendomi per un braccio.
Non eravamo stati i soli a percorrere la pista, e adesso, da sotto un ammasso di alluminio vidi sporgere una mano che reggeva una valigetta, e tra i vari suoni che mi colpivano le orecchie sentii grida di dolore. Finalmente capii quel che Jack aveva detto. Mi lasciai trascinare da lui verso la massa contorta di metallo, e insieme tentammo di liberare i feriti. Mi feci un taglio a una mano e uno strappo nella giacca. Poi arrivò il personale dell'aeroporto che ci cacciò via senza tanti complimenti.
Mi ritrovai seduto sulla valigia di qualcuno, contro una parete del terminal, senza ricordarmi di esserci arrivato, con Jack O'Shea che mi parlava, agitato. Il nano imprecava contro i piloti di elicotteri, e contro di me che ero rimasto sul campo come un cretino quando già lui aveva visto staccarsi la navicella della merce. Diceva anche altre cose che io non capii. Ricordo solo che mi strappò di mano la scatola rossa della Starrzelius. Il mio psichiatra dice che normalmente non sono un individuo pavido o ipersensibile, ma quella sera rimasi in stato di shock fino quando Jack non mi ebbe caricato sul mio aereo.
Più tardi una hostess mi disse che cinque persone erano rimaste schiacciate sotto la navicella. A metà strada da New York finalmente mi ricordai tutto ciò che mi sembrava importante. Ricordai cioè quello che Jack mi aveva detto e ridetto, mentre la collera e il dolore sconvolgevano la sua faccia di porcellana. "Siamo in troppi, Mitch" mi aveva detto. "Al mondo c'è troppa gente! Potete contare su di me. Gli uomini hanno bisogno di Venere! Mitch, abbiamo un maledetto bisogno di spazio..."

Capitolo III

L'appartamento di Kathy, nel quartiere di Bensonhurst, non era grande, ma in compenso era comodo.
Premetti il pulsante situato sotto la targhetta con la scritta "Dott. Nevin" e sorrisi quando Kathy aprì la porta.
Lei non ricambiò il sorriso. Disse invece due cose: - Sei in ritardo, Mitch. - Questa fu la prima. E la seconda fu: - Pensavo che prima avresti telefonato.
Io entrai e mi sedetti. - Sono in ritardo perché ho rischiato di venire ammazzato - spiegai. - E non ho telefonato perché ero in ritardo.
Kathy mi fece la domanda che aspettavo e io le raccontai in che modo quella sera avevo sfiorato la morte.
Kathy è una bella donna, con una faccia simpatica, i capelli sempre in ordine e in due toni di biondo, e gli occhi quasi sempre sorridenti. Avevo passato parecchio tempo a guardarla, mai però con più attenzione di adesso, mentre le raccontavo la faccenda dell'elicottero. Notai così che la notizia la colpiva veramente. Ma il cuore di Kathy è pronto a battere e a soffrire per centinaia di persone, e in fondo non vidi niente sulla sua faccia che mi autorizzasse a credere che le importava più di me che di chiunque altro.
Poi la misi al corrente delle altre novità: la faccenda di Venere e il mio nuovo incarico. Queste notizie ebbero più successo. Kathy restò favorevolmente colpita e mi baciò, felice. Però quando la baciai io, per mesi avevo aspettato quel momento, lei si trasse indietro e andò a sedersi al capo opposto della stanza, fingendosi occupatissima a versare da bere.
- Meriti un brindisi, Mitch! - esclamò, sorridendo. - Come minimo ci vuole dello champagne, per una notizia così meravigliosa!
Afferrai l'occasione. - Vuoi aiutarmi a celebrare l'avvenimento? Celebrarlo davvero? - chiesi.
Mi guardò, cauta. - Be' - disse. Poi: - Certo, Mitch. Ce ne andremo in giro per la città, alla sua conquista! Solo che dovremo lasciarci non oltre la mezzanotte. Sono di turno all'ospedale, e domattina ho un intervento importante. Non posso permettermi di andare a letto troppo tardi, o troppo ubriaca! - Sorrise.
E io decisi di non forzare la mano alla fortuna. - Magnifico - approvai. Lo pensavo veramente: Kathy è la compagna ideale per passare una serata. - Posso usare il tuo telefono? - domandai.
Il tempo di finire il bicchiere, e avevo fissato due posti in un teatro, un tavolo in un ristorante, e uno in un locale notturno per il dopo-teatro. Kathy mi osservò, dubbiosa. - Mi pare un programma alquanto denso, per cinque ore - commentò. - Al mio paziente non piacerà un medico con le mani che tremano! - Ma io la rassicurai. Del resto Kathy ha una tempra eccezionale. Una volta avevamo passato quasi tutta la notte a litigare, eppure il mattino dopo lei aveva eseguito un'operazione senza incertezze.

Il programma rivelò qualche manchevolezza. Il servizio del ristorante, e soprattutto la cucina, mi consigliò di cancellare il locale dalla mia lista personale. Feci le mie scuse a Kathy, ma lei rise. In compenso lo spettacolo fu buono. Però nel locale notturno si erano sbagliati sull'ora, e quando arrivammo il tavolo non era libero. Fummo costretti ad accontentarci di sedere al banco. Comunque, una volta seduti e serviti, Kathy si chinò a baciarmi, e la cosa mi fece piacere.
All'uscita il portiere chiamò un tassi a pedali, un tandem. Kathy diede a uno dei due uomini l'indirizzo dell'ospedale, e a me disse che se volevo potevo accompagnarla. Salii accanto a lei. Per un attimo mi parve di essere tornato indietro nel tempo. Ma solo per un attimo. Kathy si affrettò a mettermi in guardia contro le tentazioni del romanticismo.
- Ti prego, Kathy - mormorai. - Lascia che ti dica una cosa. Solo poche parole. - Lei non disse di no, e io continuai:
- Otto mesi fa eravamo sposati... Non un matrimonio effettivo - mi affrettai ad aggiungere. - Però ci eravamo scambiati le promesse formali, con relativi documenti. Ricordi perché l'avevamo fatto?
- Perché eravamo innamorati - rispose lei, paziente.
- Esatto. Io amavo te e tu amavi me. E ci eravamo accordati di fare l'esperimento di un anno prima di rendere permanente la nostra unione. - Le presi una mano e lei lasciò fare. - Kathy, non possiamo almeno lasciar passare tutto l'anno? Mancano soltanto quattro mesi. Proviamo, e se alla fine non vorrai presentare il tuo certificato, be'... per lo meno non potrò dire che non mi hai lasciato nessuna possibilità. In quanto a me, non avrei bisogno di questi quattro mesi. Il mio certificato è già regolarizzato e non ho nessuna intenzione di cambiare idea.
In quel momento passavamo sotto un lampione, e io potei vedere una strana espressione sulla faccia di Kathy, ma non riuscii a decifrarla.
- Accidenti, Mitch - esclamò lei, in tono infelice. - Lo so bene che tu non cambierai idea. Ma cosa devo fare per convincerti che la mia decisione invece è senza speranza? Trattarti male? Devo dirti che non intendo vivere con un uomo machiavellico, isteroide, imprevedibile e presuntuoso come sei tu? In principio credevo che tu fossi un dolce, caro ragazzo. Un Idealista al quale premevano più i principi e la morale, dei quattrini. E tu avevi fatto di tutto, in modo molto convincente, anche, per apparirmi sotto quella luce. Ti interessavi del mio lavoro, persino. Venivi tre volte alla settimana ad assistere alle mie operazioni. Hai detto a tutti i nostri amici, in faccia a me, che eri molto orgoglioso di sposare un chirurgo come me. Ho impiegato tre mesi per capire che cosa volevi dire esattamente con questo. Chiunque è capace di sposare una ragazza che di professione ha sempre fatto la massaia. Ma ci vuole un Mitchell Courtenay per sposare un chirurgo di prima classe e farla diventare una massaia! - Le tremò la voce. - Io questo non lo accetto, Mitch. Non potrei mai fare la donna di casa. Sono, e sento di essere un medico. Spesso una vita umana dipende da me, e se io sono impegnata in qualche battaglia domestica con mio marito, quella vita corre un grave pericolo. Riesci a capirmi?
Mi parve di sentire un singhiozzo.
- Kathy, mi ami ancora? - mi affrettai a chiedere.
Lei rimase zitta e immobile per alcuni secondi. Poi uscì in una breve risata. - Eccoci all'ospedale - disse. - Ed è mezzanotte.
L'aiutai a smontare. - Aspettate - dissi a quelli del tassì. Accompagnai Kathy sino alla porta. Lei non mi diede il bacio della buonanotte e non volle fissarmi un nuovo appuntamento. Io rimasi davanti al portone per venti minuti buoni. Volevo essere certo che avrebbe davvero passato lì tutta la notte. Poi tornai al tassì. Ero di umore nerissimo. Umore che non migliorò affatto quando uno dei tassisti, nel depositarmi davanti a casa mi domandò, innocentemente: - Sentite, signore, che cosa significa mac... macchiavellico?
- È un termine spagnolo che sta per "impicciati degli affari tuoi" - risposi seccato.

Il mio umore non era affatto migliorato quando arrivai in ufficio il mattino seguente. Hester dovette ricorrere a tutto il suo tatto per evitare che le staccassi la testa a morsi durante i primi dieci minuti. Per fortuna non era giorno di riunione. Vista la posta e letti i vari promemoria accumulatisi durante la notte, Hester ebbe il buon gusto di sparire per un po'. Tornò solo per portarmi una tazza di autentico caffè. - L'inserviente dello spogliatoio femminile riesce sempre ad averlo, ma non vuole che lo si porti in giro perché ha paura di quelli del Caffeissimo - mi spiegò la ragazza. - Adesso però che siete un prima-classe...
La ringraziai e le diedi la registrazione del colloquio con Jack O'Shea, per farne delle copie. Poi mi misi al lavoro.
Prima di tutto ci fu la questione della zona sperimentale, e un bel mal di testa con Matt Runstead. Lui è capo delle Ricerche di Mercato, perciò dovevo abbondantemente servirmi di lui, collaborando con lui. Solo che Matt non dimostrò alcuna voglia di collaborare con me. Infilai nel proiettore la pellicola riproducete la California del Sud mentre lui e un paio dei suoi aiutanti spargevano cenere su tutto il pavimento.
Con l'aiuto di una bacchetta indicai le zone di prova e di controllo. - San Diego, Tijuana, metà dei centri attorno a Los Angeles, e la parte bassa di Monterey saranno i punti nevralgici. Sarà bene che voi, Matt, stiate sul posto. Come sede delle nostre operazioni suggerisco San Diego. Laggiù abbiamo Turner, un bravo ragazzo.
- Bella zona! - brontolò Runstead. - Sono anni che in quei posti non cade un fiocco di neve! Non riuscireste a vendere un impermeabile nemmeno offrendo una maggiorata fisica come premio. Perché diavolo non lasciate le ricerche di mercato a chi se ne intende? Non lo capite da solo che il clima della zona che avete scelto non è adatto per i nostri esperimenti?
Il più giovane dei suoi assistenti fece per intervenire, ma lo precedetti. Dovevo consultare necessariamente Runstead sulle zone di prova, perché quello era il suo lavoro. Ma il Progetto Venere era cosa mia, e intendevo dirigerlo io. - La media dei redditi, la densità della popolazione, lo stato di salute degli abitanti, la loro psicologia, il tasso di mortalità e le sue cause, e le tasse, determinano sempre la scelta di un posto piuttosto che un altro, Matt - dissi. - La zona Messico-California è stata scelta dal capo in persona, che la ritiene ottima per i nostri scopi. In quella zona si ritrovano riunite tutte le caratteristiche dell'America del Nord. Io non intendo cambiare il mio progetto, quindi ci serviremo della regione indicata come terreno di esperimenti.
- Non va - replicò Matt Runstead. - Il clima è il fattore determinante. Chiunque lo capirebbe!
- Io non sono "chiunque". Io sono quello che decide, in questo campo!
Matt Runstead spense il mozzicone di sigaretta e si alzò. - Andiamo a parlarne con Fowler - disse, e uscì. Non potei fare altro che seguirlo.
Mentre lasciavo l'ufficio sentii uno degli assistenti di Matt annunciare per telefono alla segretaria di Fowler Schocken la nostra visita. Invidiai a Matt l'affiatamento della sua squadra, e mi domandai come diavolo potevo fare per organizzare altrettanto bene i miei collaboratori prima ancora di chiedermi come avrei presentato quella faccenda al grande capo.
Ma il grande capo era pieno di risorse e mi risparmiò la fatica. Appena entrammo nel suo ufficio, ci accolse con un esuberante: - Eccovi qua! Volevo proprio parlare con voi. Matt, dovreste cavarmi una castagna dal fuoco. Si tratta dell'Istituto Americano di Ginecologia. Dicono che presentando anche i prodotti della "Senza-Guai" veniamo a compromettere i loro affari. La giudicano una incompatibilità inammissibile, e minacciano di rivolgersi a Taunton se non rinunciamo alla pubblicità degli antifecondativi. Non è che ci diano un guadagno enorme, ma ho il sospetto che sia stata la Taunton a soffiare sul fuoco. - Fowler continuò, spiegandoci le complicazioni dei nostri rapporti d'affari con l'Istituto di Ginecologia e con la ditta produttrice di antifecondativi. La campagna da noi condotta per conto dell'Istituto aveva fatto salire le nascite del venti per cento, quindi il cliente non avrebbe dovuto lamentarsi. Anche Runstead la pensava così.
- Non vedo a cosa si possano attaccare - disse infatti.
- Noi vendiamo tanto gli alcoolici quanto i rimedi contro gli eccessi del bere. E con questo? Comunque non vedo che cosa c'entri questa storia con le Ricerche di Mercato!
- Qui vi volevo! - esclamò Fowler, felice. - Li metteremo con le spalle al muro. Loro si aspettano la solita, vaga lettera della direzione, e invece noi faremo intervenire la vostra sezione. Voi dovrete dimostrare a quei signori, statistiche alla mano, che mai l'esistenza di un prodotto antifecondativo ha impedito a una coppia di avere figli. Il prodotto permette semplicemente ai coniugi di aspettare il momento più opportuno per mettere al mondo un bambino. E dovrete assolutamente far capire che non esiste conflitto di interessi, in barba a Taunton. Credete di potervene interessare, Matt?
- Certamente - rispose Runstead. - E per Venere?
Fowler mi strizzò l'occhio.
- Cosa ne pensate, Mitch? - domandò. - Potete fare a meno di Matt per un po'?
- Anche per sempre - risposi. - Ero venuto qui proprio per questo. A quanto pare Matt ha paura di andare nel sud California.
Runstead lasciò cadere la sigaretta sul tappeto di Fowler.
- Cosa diavolo... - incominciò, in tono bellicoso.
- Calma - disse Fowler. - Sentiamo bene questa storia.
Runstead mi fulminò con una occhiata. - Io ho detto solo che il sud California non è la zona adatta per il nostro esperimento. Che differenza c'è tra quella regione e Venere? Fa caldo, in California! Noi abbiamo bisogno di una zona di clima continentale medio. Un abitante della Nuova Inghilterra si sentirà attratto dal caldo di Venere. Uno che vive a Tijuana, mai! Fa già troppo caldo da quelle parti!
- Questo lo dite voi, Matt - ribatté Fowler. - Comunque, adesso avrete anche troppo da fare per la faccenda dell'Istituto Ginecologico, quindi destinate uno dei vostri uomini a sostituirvi nel Progetto Venere mentre voi sarete occupato altrimenti. Nella seduta di domani pomeriggio poi ne riparleremo. - Guardò l'orologio. - Il senatore Danton sta già aspettando da sette minuti. Tutto a posto così?
Era evidente che per Matt Runstead le cose non erano affatto a posto. E mi fece piacere. Per il resto della giornata tutto filò abbastanza bene. L'Ufficio Sviluppo si fece vivo con un rapporto formulato in base alle dichiarazioni di Jack O'Shea e ad altro materiale di attendibile serietà. Il rapporto comprendeva anche l'idea di costruire piccoli mondi-ricordo riproducenti Venere. I coloni potevano benissimo dedicarsi a questo genere di attività, almeno per un primo periodo. A più lunga scadenza poi si suggeriva la lavorazione di un minerale di ferro puro inesistente sulla Terra. Sarebbe stato pagato bene, sul nostro mondo. Inoltre l'Ufficio Sviluppo aveva scovato una notevole invenzione chiamata valvola di Hilsh. Senza bisogno di energia, l'aggeggio poteva tenere fresca l'abitazione di un pioniere venusiano sfruttando la violenza dei tornado. L'invenzione risaliva al 1943, ma nessuno aveva avuto modo di utilizzarla perché nessuno aveva mai avuto a portata di mano venti della violenza necessaria al suo funzionamento. Noi, sì. Tracy Collier, dello stesso ufficio, tentò anche di spiegarmi una faccenda di catalisi del nitrogeno. Io lo ascoltai approvando di tanto in tanto con qualche cenno, e mi parve di capire che secondo lui la polvere di platino a contatto con la continua successione di lampi dell'atmosfera venusiana si sarebbe trasformata in neve e pioggia, purgando l'aria dai gas di ammoniaca e di formaldeide.
- E la spesa? - domandai.
- Ragionevole - rispose Collier. - Più platino si userà, più in fretta si avranno i risultati.
Io non ci avevo capito gran che, ma doveva essere una buona notizia. Mi congratulai con Collier e lo rimandai al lavoro.
La Sezione Antropologica mi diede invece una delusione. Ben Winston incominciò col dire: - Non è possibile costringere la gente a desiderare di vivere in una scatola di sardine appoggiata su un fornello acceso! Chi volete che si metta a fare un viaggio di novanta milioni di chilometri per poi passare il resto della vita in una specie di igloo, quando può starsene tranquillamente sulla Terra e abitare una casa normale, fatta di stanze e corridoi, con l'ascensore, un tetto sopra la testa, delle strade, e tutto lo spazio che può desiderare? Sarebbe contro la natura umana, Mitch!
Cercai di farlo ragionare, ma con scarsi risultati. Lui mi parlò del modo di vita americano, trascinandomi alla finestra e indicandomi le centinaia di edifici e i terrazzi e le strade dove donne e uomini potevano passeggiare all'aria aperta, respirando con banalissime narici anziché attraverso un casco ermeticamente sigillato.
Infine mi arrabbiai. - Qualcuno deve pur avere una voglia matta di andare su Venere - esplosi - altrimenti non si capirebbe il successo nella vendita dei libri di Jack O'Shea! Dio sa che non ho intenzione di insegnarvi il mestiere, ma mi pare che sia piuttosto chiaro quello che c'è da fare: osservare chi acquista il volume di O'Shea, controllare chi e quanti sono gli ascoltatori del programma di O'Shea alla televisione, tenere d'occhio coloro che vanno alle sue conferenze e si trattengono a discutere nell'atrio sull'argomento della serata. Inoltre vi informo che O'Shea adesso lavora con noi. Lo paghiamo, quindi servitevene. Spremetelo quanto più potete. Informatevi sui coloni della Luna, e cercate di sapere che genere di individui sono. Dopo di ciò sapremo come calibrare la nostra campagna pubblicitaria. Avete qualche obiezione?
Non ce ne furono.
Hester lavorò come una pazza quel primo giorno, e io mi tenni in contatto con tutti i capi-sezione interessati al progetto. Alla fine dell'orario di ufficio avevo davanti a me una montagna di carte da esaminare. Hester si offrì di restare oltre l'orario, ma non vidi perché sacrificarla dato che per lei non c'era niente da fare. Accettai comunque la sua offerta di rifornirmi di panini e di caffè, quindi la mandai a casa.
Lavorai fino alle undici. Poi mi fermai in un locale del quindicesimo piano, aperto tutta notte, per mangiare ancora qualcosa prima di rientrare nel mio appartamento. Quella specie di bar era una vera scatola, senza finestre, dove servivano del caffè che sapeva di lievito, e dove il prosciutto dei panini aveva il sapore della soia. Ma in fondo questi furono inconvenienti minori, se paragonati all'improvvisa detonazione e al proiettile che si infilò nello stipite proprio sopra la mia testa, pochi minuti dopo il mio rientro a casa. Mi abbassai gridando. Davanti alla finestra passò, appesa a una scala di corda, una figura umana armata di pistola, e io fui tanto stupido da correre alla finestra a guardare la sagoma penzolante dall'elicottero. Se la scaletta fosse stata abbastanza ferma da permettere all'uomo di prendere la mira, io avrei offerto un ottimo bersaglio.
Mi andò bene. Allora, meravigliato io stesso della mia calma, telefonai al Corpo di Protezione Metropolitana.
- Siete un abbonato, signore? - mi domandò la centralinista.
- Sì, accidenti! Da sei anni. Mandatemi subito un uomo!
- Un momento, signor Courtenay... Siete Mitchell Courtenay, pubblicitario di prima classe?
- No - risposi rabbioso. - Faccio il bersaglio, di professione! Volete sbrigarvi a mandare qui qualcuno, prima che si rifaccia vivo quel tipo che mi ha appena sparato?
- Scusatemi, signor Courtenay - disse la voce calma della telefonista. - Avete detto di non essere un pubblicitario di prima classe?
Digrignai i denti. - Sono di prima classe - ammisi.
- Grazie, signore. Ho qui davanti a me la vostra scheda personale, e mi dispiace informarvi che non siete in regola con il pagamento. Non possiamo abbonare le persone di prima classe alla tariffa normale, per via dei rischi impliciti nelle guerre industriali. - Poi mi venne detta una cifra che mi fece rizzare ad uno ad uno i capelli in testa.
Non le dissi ciò che pensavo. In fondo quella ragazza era solo una dipendente. - Grazie - conclusi e riattaccai. Poi ricorsi al Libro Rosso, sezione Agenzie Private di Protezione. Ne chiamai tre o quattro, e finalmente un assonnato investigatore accettò di venire, dietro forte compenso.
Comparve dopo mezz'ora, lo pagai, e lui, in cambio, mi seccò con domande per le quali non avevo risposte e cercò dappertutto inesistenti impronte digitali. Poi se ne andò, dicendo che avrebbe lavorato attorno al mio caso.
Io andai a letto per vedere se mi riusciva di dormire nonostante l'insistente turbinare nella mia lesta di una domanda senza risposta: chi aveva interesse a uccidere un semplice e innocuo pubblicitario come me?

Capitolo IV

Presi il coraggio a quattro mani e andai da Fowler Schocken. Forse lui mi poteva dare la risposta. Poteva anche buttarmi fuori, per la mia sfacciataggine, ma io "dovevo" sapere.
Mi parve di capire, però, che non avevo scelto il momento migliore per fare domande a Fowler Schocken. Mentre ero a pochi metri dalla sua porta, questa si spalancò con violenza, e ne schizzò fuori Tildy Mathis. Lei mi fissò. - Riscrivere! - esplose. - Io mi danno l'anima per quel vecchio gufo, e qual è il compenso? Quello che faccio non gli va bene! Riscrivere! Voglio calore, dice. Voglio immediatezza, voglio umiltà e bellezza, estasi e passione, e tutte le dolci emozioni di un cuore femminile, dice. E tutto questo lo vuole in quindici parole. Gliele darò in quindici parole! - singhiozzò, passandomi accanto per attraversare l'atrio. - Darò a questo ipocrita, untuoso, iperbolico, paternalista, presuntuoso, schiavista, mostruoso vecchio...
Il rimbombo della porta di Tildy sbattuta energicamente mi impedì di sentire il finale. Peccato. Doveva essere mica male.
Mi schiarii la voce, bussai, ed entrai nell'ufficio di Fowler Schocken. La sua faccia non conservava tracce dello scontro appena sostenuto con Tildy Mathis. Mi sorrise. A dir la verità la sua espressione cancellò tutti i miei sospetti, ma restava il fatto che qualcuno mi aveva sparato.
- Solo un minuto, Fowler - dissi. - Voglio sapere se state giocando pesante con la Società Taunton.
- Io gioco sempre pesante - mi rispose. - Pesante, ma leale.
- Intendevo dire, molto, molto pesante, e in maniera sporca. Non avete per caso tentato di ammazzare qualche loro uomo?
- Mitch!
- Me lo sono chiesto - proseguii, ostinato - perché ieri sera qualcuno mi ha sparato da un elicottero, quando sono rientrato a casa. Per quanto ci abbia pensato, non sono riuscito a sospettare di altri.
- Taunton non c'entra - dichiarò Fowler, deciso.
Respirai a fondo. - Fowler - dissi - l'attentato non era per me. Qui c'è di mezzo il Progetto Venere.
Lessi negli occhi di Fowler che in quel momento il mio lavoro e la mia promozione venivano soppesate a fondo.
- Vi ho promosso di prima classe perché pensavo che foste in grado di assumervi le responsabilità inerenti al nuovo rango - disse. - Non si tratta solo delle capacità di lavoro. Quello so che le possedete. Ma speravo che foste anche capace di uniformarvi alle regole del commercio.
Mi arresi. - Sì, signore - dissi.
Lui si accese una Starr, poi mi porse il pacchetto dopo aver esitato il tempo giusto. - Mitch - mi disse - voi siete un prima classe da pochissimo tempo, ma il vostro potere è già grandissimo. Vi bastano cinque parole, e nello spazio di pochi mesi mezzo milione di consumatori vivranno una vita completamente diversa. Questo si chiama potere, Mitch. Potere assoluto. Voi conoscete il vecchio detto: il potere nobilita, il potere assoluto nobilita assolutamente.
- Sì, signore - risposi. Conoscevo tutti i vecchi detti, e sapevo anche che lui avrebbe risposto alla mia domanda al momento giusto.
- Nella nostra posizione - continuò Fowler, gesticolando con la sigaretta - abbiamo prerogative, doveri, e rischi. Non è possibile avere le une senza gli altri. Se non esistessero le lotte con i loro pericoli, l'intero sistema economico andrebbe a catafascio.
- Non mi lamento del sistema - ribattei. - Funziona perfettamente. E so che le lotte servono. Di conseguenza, se Taunton dà vita a una guerra contro di noi, noi dobbiamo uniformarci alle regole. Ora si tratta di questo: io ho bene stampato nella mia testa tutto il programma per Venere. Ma se mettessi questo programma per iscritto, ogni particolare, sprecherei un sacco di tempo.
- Naturale - approvò lui.
- Bene. Supponete che vi venga notificata la sfida di Taunton, e supponete che, per prima cosa, Taunton si liberi di me. Cosa accadrebbe del Progetto di Venere?
- Avete fatto una domanda molto chiara, e vi risponderò chiaramente - disse Fowler. - Non c'è stata nessuna Notificazione.
- Grazie Fowler. Comunque ho subito un attentato, e inoltre non sono del tutto convinto che l'incidente all'aeroporto sia proprio stato un incidente. Non credete che Taunton rischierebbe un'azione contro di noi senza notificarvi le sue intenzioni?
- Non l'ho provocato in maniera tale da giustificarlo. Del resto non è mai stata fatta una cosa simile. Saranno quel che saranno, ma conoscono le regole del gioco e le rispettano. Uccidere durante una guerra industriale è una brutta cosa. Uccidere senza aver fatto la Notifica è una offesa commerciale. Non avete per caso qualche complicazione... amorosa?
- No - risposi. - La mia vita è sempre stata molto chiara. Questa storia è addirittura pazzesca. A meno che non si sia trattato di un equivoco. Comunque sono felice che, chiunque sia stato lo sparatore, i suoi colpi non siano arrivati a segno.
- Anch'io, Mitch, anch'io! Ma ora abbiamo parlato abbastanza dei vostri fatti personali. Per tornare al lavoro, avete visto O'Shea? - La sparatoria della notte scorsa non aveva più posto nella sua mente.
- Sì, deve venire da me, oggi - risposi. - Lavoreremo in stretta collaborazione.
- Magnifico! Se giocheremo le carte giuste, un po' della sua gloria si trasferirà sulla Società Schocken! Datevi da fare, Mitch. Ma non ho bisogno di farvi raccomandazioni.
Era un commiato.

O'Shea mi stava aspettando nell'anticamera del mio ufficio. La maggior parte del personale femminile era là riunita, attorno a lui, e non era possibile ingannarsi sulla espressione delle loro facce. O'Shea era un nano di settanta centimetri, ma era ricco e famoso. Jack O'Shea avrebbe potuto prendere senza fatica quelle che voleva, fra tutte le ragazze. Mi domandai quante volte, dopo essere tornato sulla Terra aureolato di gloria, Jack avesse fatto una scelta del genere.
Le ragazze non tornarono ai loro posti finché non ebbi tossicchiato rumorosamente.
- Buongiorno Mitch - mi salutò O'Shea. - Vi siete rimesso dal brutto colpo?
- Del tutto - risposi. - Ho avuto anche il tempo di prenderne un altro. - E gli raccontai la faccenda dello sparo.
- Non avete ancora pensato di prendervi una guardia del corpo? - mi domandò lui.
- Sì, ma non lo farò. Deve essere stato un errore.
- Come quello dell'aeroporto?
- Jack, per favore, vogliamo cambiare argomento? - proposi. - Questi discorsi mi danno i brividi.
- D'accordo - mormorò Jack. - Allora cominciamo a lavorare. Cosa facciamo?
- Prima di tutto: parole. Parole su Venere, parole che conquistino il pubblico. Parole che facciano entrare nel sangue della gente il desiderio di cambiare, il desiderio dello spazio, il desiderio di altri mondi. Parole che rendano gli uomini scontenti di quello che sono, e pieni di speranza per ciò che potrebbero diventare. Parole per farli sentire grandi e nobili e felici per l'esistenza delle industrie "Starrzelius" e della Società Fowler Schocken. Parole che ottengano tutti questi risultati e inoltre li spingano a rimpiangere l'esistenza dei prodotti "Universal" e della Società Taunton.
Jack mi fissava a bocca aperta. - State scherzando! - riuscì finalmente a dire.
- Siete con noi, adesso - mi limitai a rispondere. - Noi lavoriamo così. Abbiamo lavorato così anche su di voi.
- Cosa volete dire?
- Indossate abiti e scarpe Starrzelius - risposi. - Significa che siamo arrivati anche a voi. La Taunton e l'Universal hanno lavorato su di voi. La Schocken e la Starrzelius hanno fatto lo stesso. E voi, Jack, avete scelto i prodotti Starrzelius. Vi abbiamo raggiunto e preso, con dolcezza, senza che vi rendeste conto di cosa stava succedendo. E vi siete persuaso che gli abiti e le scarpe Starrzelius avevano qualcosa che mancava agli abiti e alle scarpe Universal.
- Non leggo mai gli annunci pubblicitari - ribatté Jack.
Sorrisi. - Questa vostra dichiarazione sancisce il nostro trionfo - dissi.
- Vi prometto formalmente che appena rientro al mio albergo butto vestiti e scarpe nell'inceneritore.
- Anche le valigie? - domandai. - Usate valigie Starrzelius, vero?
Per un momento il nano parve scosso, poi si riprese.
- Anche le valigie - dichiarò. - Poi prenderò il telefono e ordinerò una serie completa di valigie e di vestiti Universal! E voi non potrete impedirmelo!
- Non mi sognerei nemmeno di impedirvelo, Jack! Il vostro atteggiamento otterrà un solo risultato, quello di procurare maggiori affari alla Starrzelius. Vi dirò cosa succederà: voi comprerete abiti e valigie della Universal, li userete per qualche tempo con una sottile sensazione di disagio che funzionerà sul vostro subconscio perché la nostra pubblicità a favore della Starrzelius, per quanto sosteniate di non leggere niente del genere, vi ha internamente convinto che non è virile, è il termine esatto, acquistare da altre ditte. Il vostro "io" quindi ne soffrirà, e intimamente voi sentirete che i vostri abiti non sono i migliori, e il vostro subconscio si ribellerà. Così vi capiterà di "perdere" qualche capo di vestiario. "Accidentalmente" strapperete con un piede le cuciture dei vostri pantaloni Universal. Vi sorprenderete a riempire oltre misura le valigie Universal e a imprecare perché non sono sufficientemente capaci. Poi entrerete in un negozio, e in un attimo di amnesia che cancellerà dai vostri ricordi questo nostro colloquio, ricomprerete valigia, abiti e scarpe Starrzelius.
O'Shea rise, a disagio. - E questi risultati li ottenete con parole? - domandò.
- Parole e immagini. Vista udito odorato gusto e tatto, rispondono sempre alle sollecitazioni, la più irresistibile delle quali viene dalle parole. Leggete i poeti?
- Mio Dio, no! Come si può leggere quella roba?
- Non parlo dei contemporanei, per i quali vi do ragione. Ma io alludevo a Keats, Swinburne, Wylie, ai grandi poeti, insomma.
- Sì, ho letto qualcosa - ammise Jack, cauto. - Ma che c'entra?
- Be', sto per chiedervi di passare la mattinata e il pomeriggio con una delle più grandi poetesse esistenti, una ragazza che si chiama Tildy Mathis. Lei ignora di essere una poetessa, e crede di essere una capo copyright. Vi prego perciò di non illuminarla in merito, potreste renderla infelice. Il fatto è, vedete, che la professione del pubblicitario è in rialzo, e quella del poeta in ribasso, e da quando un buon poeta, capace di infilare una serie di parole che commuovono e conquistano, ha scoperto che sfruttando questa sua abilità in campo pubblicitario poteva vivere molto bene, la poesia è diventata retaggio di scribacchini privi di talento.
- Perché mi dite questo?
- Perché adesso siete dei nostri, Jack! Nella nostra professione noi penetriamo fino in fondo nelle anime di donne e uomini. Prendiamo gli ingegni e li ridimensioniamo. Ma nessuno deve giocare con la vita della gente, come facciamo noi, se non è mosso dai più alti ideali.
- Non vi preoccupate per i miei scopi - ribatté Jack. - Io non ho accettato la vostra offerta né per il denaro né per la gloria. Ho accettato perché la razza umana possa riavere dignità e spazio vitale.
- E così deve essere - dissi, sfoderando l'espressione Numero Uno. Ma a dir la verità ero rimasto scosso. I miei "più alti ideali" stavano nelle cifre delle Vendite.
Avvertii Tildy della visita di Jack, poi dissi al nano: - Rispondete alle sue domande, e fatene a lei. Chiacchierate a lungo, amichevolmente, mettetela al corrente delle vostre esperienze, e senza rendersene conto Tildy scriverà liriche sugli episodi della vostra avventura. Liriche che andranno dritte al cuore dei lettori. E, Jack, non resistetele.
- D'accordo Mitch. Ma... lei mi resisterà?
- Diavolo, no! - promisi, solennemente. Trattandosi di Tildy non rischiavo di passare per bugiardo.

Quel pomeriggio, per la prima volta in quattro mesi, Kathy mi telefonò.
- Qualcosa che non va? - mi informai, preoccupato. - Posso esserti d'aiuto?
Lei rise. - Va tutto bene, Mitch. Volevo solo salutarti e ringraziarti ancora per la bella serata.
- Cosa ne diresti di fare un bis? - chiesi, afferrando l'occasione.
- Ti va l'idea di cenare a casa mia questa sera?
- Certo! Certo, Kathy. Dimmi, di che colore sarà l'abito che indosserai? Voglio portarti un fiore naturale.
- Oh, Mitch, non occorre che tu sia così originale. Non mi stai facendo la corte, e io so già che il danaro non ti manca. Però c'è qualcosa che vorrei chiederti di portarmi.
- Non hai che da parlare.
- Voglio Jack O'Shea. Credi che sia possibile? Ho visto alla televisione che è arrivato questa mattina a New York, e ho immaginato che sia qui per lavorare con te.
Molto scoraggiante. Dissi: - È così infatti. Sentirò se è disposto a venire, poi ti richiamerò. Sei all'ospedale?
- Sì. Grazie, Mitch. Mi piacerebbe moltissimo conoscerlo.
Chiamai O'Shea nell'ufficio di Tildy. - Siete impegnato per questa sera? - domandai.
- Mmm... potrebbe anche darsi - rispose. A quanto pareva era deciso di approfittare della mia promessa.
- La mia proposta è questa - spiegai. - Una cena tranquilla, in casa, con mia moglie e me. Per inciso dirò che mia moglie è molto bella, cucina divinamente, è un chirurgo di prima classe, e la sua compagnia è insuperabile.
- Avete vinto.
Quindi chiamai Kathy e le dissi che verso le sette le avrei portato la grande attrazione.
L'attrazione entrò nel mio ufficio alle sei. - Mi ci vuol proprio una buona cena, Mitch - mi disse. - La vostra Tildy Mathis mi ha messo appetito. Ma, a proposito, che genere di matrimonio è il vostro?
- Interlocutorio - risposi, seccato di provare pena ad ammetterlo.
O'Shea inarcò le sopracciglia. - Sarà, ma in questo genere di legami c'è qualcosa che mi suona male.
- Anche a me - dichiarai - almeno per quanto mi riguarda. Nel caso Tildy si fosse dimenticata di dirvelo, la mia bella e geniale moglie non vuole rendere effettiva la nostra unione. Non viviamo insieme e, a meno che io non riesca a farle cambiare idea entro quattro mesi, tra noi finirà tutto.
- Tildy non se n'è dimenticata - disse Jack. - Ma mi sbaglio, o questa situazione vi addolora?
Fui sul punto di cedere all'autocompassione. Per poco non mi misi a piatire la sua simpatia, a dirgli quanto amavo Kathy, e quanto soffrivo di non riuscire a conquistarla completamente. Poi mi ricordai che davanti a me c'era un uomo alto settanta centimetri, il quale, se si fosse sposato avrebbe continuamente corso il rischio di diventare per sua moglie solo un divertente soprammobile.
- Non mi fa certo piacere - ammisi. - Comunque, lasciamo perdere, Jack. Andiamo piuttosto a bere qualcosa prima di prendere uno scivolo.

Kathy non era mai stata tanto adorabile. Salutò O'Shea, e lui dichiarò subito, a voce altissima: - Mi piacete. Non c'è luce nei vostri occhi. Non c'è luce perché lui non è furbo. E scommetto che lui è ricco e demoralizzato perché una ragazza ha ben il diritto di cercare un po' di luce, dico io. Insomma, voglio dire che mi piacete e che io vi piaccio!
Come forse avrete intuito, Jack O'Shea era lievemente ubriaco.
- Sarà meglio che beviate una tazza di caffè, signor O'Shea - propose Kathy. - Mi sono quasi rovinata per comprare vere salsicce di vero maiale, e vere mele per una bella torta, ma così non sentirete nessun sapore!
- Avete detto caffè? - domandò Jack. - Io bevo solo Caffeissimo, signora! Bere semplice caffè sarebbe sleale da parte mia verso la grande Società Fowler Schocken, della quale faccio parte.
- Per questa volta siamo disposti a perdonarvi - dissi. - E poi Kathy non crede che l'innocuo alcaloide contenuto nel Caffeissimo sia innocuo.
Per fortuna quando dissi questo Kathy era in cucina e ci voltava le spalle, ragion per cui non sentì la mia battuta, o fece finta di non averla sentita. Una volta avevamo avuto una feroce discussione durata circa quattro ore, su questo argomento, discussione arricchita da epiteti come "avvelenatore di bambini", "riformatrice dei miei stivali" e altri, più concisi e più pesanti.
Il caffè rimise in sesto Jack O'Shea. Il pranzo fu una meraviglia. E alla fine ci sentimmo tutti più a nostro agio.
- Siete stato sulla Luna, immagino? - domandò Kathy a Jack.
- Non ancora. Ma ci andrò uno di questi giorni.
- Non c'è niente di interessante, lassù - dissi. - Sarebbe solo una perdita di tempo. La Luna è stato uno dei nostri affari peggiori. Anzi, credo che ci abbia interessato soltanto in previsione di Venere, per fare un po' di esperienza. La Luna! Poche migliaia di persone che lavorano in miniere, ecco tutto!
Poi O'Shea chiese il permesso di assentarsi un momento, e io ne approfittai. - Kathy - dissi - sei stata molto cara a telefonarmi. Significa qualcosa?
Lei sfregò insieme pollice e indice prima di rispondere, così compresi che mi avrebbe detto una bugia. - Può darsi, Mitch - mi rispose. - Ma devi darmi tempo.
Sfoderai la mia arma segreta. - Stai mentendo - dissi, in tono disgustato. - Fai sempre quel gesto prima di dirmi una bugia... Non so se è così anche con gli altri... - Le mostrai come faceva con le dita, e Kathy rise.
- Lealtà per lealtà - ribatté - quando devi mentire con me tu trattieni il fiato e mi fissi negli occhi. Non so se fai lo stesso con i tuoi clienti e i dipendenti.
O'Shea ritornò in quel momento, e avvertì subito la tensione che si era creata. - Sarà ora di andare - disse. - Venite via anche voi, Mitch?
Sulla porta ci fu il solito scambio di cortesia. Kathy mi diede il bacio della buonanotte.
Fu un bacio lungo e pieno di calore, il genere di bacio più adatto a inaugurare una serata che a concluderla. Sentii che il sangue le scorreva più veloce nelle vene... ma lei mi chiuse cinicamente la porta sul naso.
- Avete ripensato a quel che vi ho detto a proposito di una guardia del corpo? - mi domandò O'Shea.
- No. Deve essere stato un errore di persona - risposi.
- Be', mi offrireste un bicchierino, a casa vostra? - propose lui.
La situazione era quasi patetica: Jack O'Shea, peso venticinque chili, intendeva proteggere me. - Volentieri - risposi.
Entrò lui per primo, e accese le luci. Non accadde niente. Mentre gustavamo una abbondante dose di whisky e soda, Jack girellò per la stanza, controllando le serrande delle finestre. - Questa poltrona starebbe meglio là - suggerì. "Là" era naturalmente un punto fuori dalla linea di fuoco della finestra. Spostai la poltrona.
- State attento, Mitch - mi disse Jack, quando se ne andò. - La vostra bella moglie e i vostri amici sentirebbero molto la vostra mancanza, se vi accadesse qualcosa.
Accadde soltanto che imprecai come un demonio nel preparare il letto. Ma questo succedeva tutte le sere. E tutte le mattine. Persino Kathy, nonostante i suoi gesti essenziali da chirurgo, mal sopportava la vita in un appartamento cittadino. Tirare giù il letto per la notte, tirarlo su al mattino, tirare giù la tavola per la colazione, tirarla su per arrivare alla porta. Mentre mi preparavo per la notte pensai che i miopi rimpiangevano certo le case del passato.

Capitolo V

Nello spazio di una settimana le cose si avviarono bene. Non avendo più Runstead fra i piedi, grazie alla storia dell'Istituto Americano di Ginecologia, il lavoro filava.
La squadra di Tildy sfornava idee, qualche volta a getto continuo, e lo si capiva dai loro occhi scintillanti e dall'espressione da invasati che assumevano, qualche altra sudando sangue per metter giù tre parole in croce. Lei dirigeva i loro sforzi, li organizzava, e mi passava il meglio del meglio: un comunicato commerciale della durata di nove minuti, giochetti di parole da far girare per tutto il Paese, articoli ad uso dei contadini.
Scenografi e fotografi si stavano divertendo un mondo a creare il nuovo pianeta. Da loro mi aspettavo il gran colpo finale, la trovata del "prima e dopo la cura", e il significato storico del lavoro li aveva conquistati.
L'Ufficio Sviluppo s'ingegnava a cavare conigli da un cappello. Una volta accusai Collier di eccessivo ottimismo, e lui mi spiegò: - Si tratta di "energia", signor Courtenay. Venere è più vicino al sole, e il sole riversa tutta la sua energia sul pianeta in forma di calore e particelle veloci. Sulla Terra non esiste una forma simile di energia sfruttabile. Ma su Venere ci serviremo di turbine alimentate dall'energia cinetica presente nell'atmosfera. Su Venere, volendo l'elettricità, basta costruire un accumulatore, piazzarlo all'aperto, sotto i lampi, e lasciarlo lì.
Il Reparto Ricerche di Mercato e la Sezione Antropologica si erano trasferite a San Diego per sperimentare nella zona-campione le trovate di Tildy. Un cavo speciale mi collegava direttamente con l'ufficio di Ham Harris, che sostituiva Runstead a San Diego.
Ecco un esempio di una giornata di lavoro del Progetto Venere. Un sacco di gente viene da me per informarmi dei vari progressi compiuti dalle diverse Sezioni, e per sottopormi critiche e suggerimenti. Harris, servendosi del collegamento diretto, informa magari Tildy che l'espressione "serena atmosfera" è risultata fiacca come frase-chiave nella zona sperimentale, e la invita a preparare tutta una lista di aggettivi intercambiabili. Allora Tildy si rivolge a Collier per sapere se può andar bene la definizione "sabbia di topazio" per un articolo destinato agli agricoltori e nel quale si vuol lasciar capire che il suolo di Venere rigurgita di pietre preziose e semipreziose. Collier può dire alla Sezione Visiva che l'atmosfera per il "Prima" deve essere più rossa. E io posso dire a Collier di lasciare le cose come stanno perché si tratta di una licenza più che ammessa.
Poi tutti si rimettono a lavorare, e io passo la giornata a coordinare il lavoro degli altri, e a interpretare i miei ordini giù, giù, sino al livello dei più modesti esecutori. Prima che la giornata finisca c'è una nuova riunione per decidere se integrare i prodotti Starrzelius nell'economia di Venere, o se il livello dei redditi dei coloni raggiungerà il massimo dopo vent'anni dall'arrivo sul pianeta.
Questa fu una giornata tipica di lavoro, poi venne la parte migliore: Kathy e io passammo la serata insieme. Qualcosa mi diceva che l'incertezza della nostra posizione sarebbe finita presto. Da qualche giorno ci telefonavamo quotidianamente, o io a lei o lei a me. Uscivamo per cena, bevevamo, ci vestivamo con cura, e ci sentivamo soddisfatti della vita. Non facevamo discorsi seri. Lei non li incoraggiava e io non forzavo i tempi. Una sera venne con noi anche Jack O'Shea, ma poi dovette andare a Miami per una serie di conferenze, e anche questo mi fece piacere.
La vita era bella.
Dopo una settimana di soddisfacenti progressi nel lavoro, dissi a Kathy che era venuto il momento di ispezionare le nostre Sezioni fuori sede: l'astronave costruita in Arizona, e il centro di San Diego.
- Posso venire anch'io? - domandò lei.
Mi sentii felice come un cretino.

La visita all'astronave fu normale amministrazione. In Arizona avevo un paio di collaboratori che funzionavano da collegamento con le Forze Armate e le varie ditte costruttrici. Fecero da ciceroni a me e a Kathy esprimendosi, come guide turistiche, a base di: "enorme scafo d'acciaio... più grande del più grosso palazzo d'uffici di New York... eroici pionieri... sforzo industriale senza precedenti... sacrificio della nazione... spazio vitale...". Strano, ma quello che mi impressionò maggiormente non fu l'astronave in sé ma il luogo in cui sorgeva. Per un raggio di millecinquecento metri attorno il terreno era stato spianato. Niente costruzioni, niente baracche-magazzino, niente serbatoi. Il terreno sabbioso percorso dai canali d'irrigazione aveva uno strano aspetto. Probabilmente non c'era altro paesaggio simile, in America. Mi dolevano gli occhi a guardare quel vuoto. Da anni il mio sguardo era abituato a spaziare al massimo su pochi metri.
- Si può camminare un po' là fuori? - domandò Kathy.
- Mi spiace, dottor Nevin - rispose uno dei nostri accompagnatori - ma è proibito. Le guardie della torre di controllo hanno l'ordine di sparare su chiunque si muova nella zona.
- Allora provvedete a dare nuovi ordini - intervenni. - La signorina e io vogliamo fare una passeggiata.
- Certo, signor Courtenay - disse l'uomo, in tono preoccupato. - Farò del mio meglio, ma ci vorrà un po' di tempo. Dovrò prima informare tutti i servizi di Sicurezza, lo spionaggio, il CIC, l'FBI, la CIA e l'AECS...
Guardai Kathy che si strinse nelle spalle con aria di divertita rassegnazione. - Lasciate perdere - dissi. - Non importa.
- Sia ringraziato il cielo! - sospirò il mio collaboratore, e aggiunse: - Scusate, signor Courtenay, ma un ordine simile non è mai stato dato, quindi non c'è un'autorità competente a cui rivolgersi.
- Capisco - dissi. - I servizi di Sicurezza funzionano?
- Sì, signor Courtenay. Non c'è stato alcun sabotaggio né tentativo di spionaggio, tanto da parte di stranieri quanto di Indietristi. - Fece un gesto e io notai all'anulare della sua sinistra un bellissimo anello in legno di quercia. Mi annotai mentalmente di controllare la sua attività. Con il suo stipendio non poteva permettersi un gioiello simile.
- Gli Indietristi si interessano al Progetto? - domandai.
- Chi lo sa! Il CIC, la CIA e l'AECS dicono di sì. Il Servizio di Sicurezza della Marina, l'FBI e la Sicurezza dell'Aeronautica dicono di no. Volete parlare con il Comandante MacDonald? È uno specialista in Indietristi.
- Ti va l'idea di conoscere uno specialista in Indietristi, Kathy? - domandai.
- Volentieri, se ne abbiamo il tempo - rispose lei.
- Se sarà necessario farò mettere a vostra disposizione uno speciale jet - disse con disinvoltura il mio uomo di collegamento, nel tentativo di sminuire il suo fiasco con le guardie della torre di controllo. Ci accompagnò alla palazzina che ospitava l'amministrazione del campo, e superati sette posti di blocco arrivammo all'ufficio del Comandante.
MacDonald era uno di quegli ufficiali che ti fanno sentire soddisfatto di essere un cittadino americano: calmo, forte, abile. Dalle insegne che portava sul braccio e sulle spalline vidi che faceva parte dello Spionaggio e che era al terzo dei cinque anni di servizio con l'Agenzia Investigativa Pinkerton. Aveva anche frequentato regolarmente la Scuola d'Investigazione Pinkerton per Spionaggio Militare, come attestava il suo anello di diploma: un occhio scolpito in una fascia di legno. Niente di eccezionale, come anello, ma rassicurava sulla serietà e la preparazione dell'individuo.
- Volevate sapere qualcosa degli Indietristi? - mi domandò. - Nessuno meglio di me potrebbe informarvi. Ho votato la mia vita alla loro distruzione.
- Antipatia personale, Comandante? - chiesi.
- No. Orgoglio di fare bene il mio lavoro. Mi piace anche la tensione della caccia, ma con quelli c'è poco da cacciare. Gli Indietristi si prendono volgarmente con le trappole. Avete saputo dell'attentato di Topeka? Naturalmente non dovrei parlar male dei colleghi, ma le guardie di Topeka avrebbero dovuto sapere che c'era in programma una dimostrazione indietrista.
- Come potevano saperlo, Comandante? - domandò Kathy.
MacDonald sorrise. - Fiuto - disse. - Non è facile spiegare a parole come nascono gli intuiti. Ma è risaputo che agli Indietristi non piacciono nemmeno i lavori minerari col sistema idraulico. Basta offrir loro l'occasione di dimostrare la disapprovazione della setta, e ne approfitteranno.
- Ma perché non approvano le miniere idrauliche? - domandò ancora Kathy. - Noi abbiamo bisogno di ferro e di carbone, no?
- Mi state chiedendo di penetrare la mente di un Indietrista! - disse il Comandante.
- Mi è capitato di stare con loro per ore e ore in una stanza, e non li ho mai sentiti dire qualcosa di sensato. Prendiamo quello di Topeka. Mi ha detto che la miniera stava distruggendo la crosta terrestre. "E con questo?" gli ho domandato. Lui mi ha chiesto a sua volta se non capivo. "Capire cosa?" ho detto io.'"Che la crosta terrestre non può venire rimpiazzata", mi ha risposto. "Sì, invece", ho ribattuto, "se è il caso si può farlo, e comunque la coltivazione in cultura è meglio di quella tradizionale". E lui ha borbottato qualcosa come dire che la coltivazione in cultura non serve agli animali e altre storie del genere. E ha concluso dicendomi che il mondo sta andando in rovina e che la gente deve rendersene conto. Al che io ho ribattuto che il mondo se l'era sempre cavata e continuerà a cavarsela in qualche modo.
Kathy rise, e il Comandante proseguì: - Sono pazzi, ma pazzi organizzati. Anche ammesso di mettere le mani su un Indietrista, si arriva al massimo a scoprirne, tramite suo, altri due o tre, ma non di più. Ognuno di loro conosce soltanto i compagni di squadra, e le varie squadre non hanno mai contatti diretti. Anche i capi non s'incontrano mai. Per prendere accordi si servono di intermediari. Per tornare a noi, posso affermare di conoscerli bene, e proprio per questo non temo sabotaggi, qui, o dimostrazioni. Il nostro Progetto non gliene offre occasione.

Kathy e io ce ne stavamo sdraiati sulle poltroncine del jet, a leggere gli annunci commerciali che ci sfilavano sotto gli occhi. Poi, a un certo punto, gli annunci sparirono per lasciare il posto a un comunicato di interesse generale. "In osservanza alle leggi federali, avvertiamo i passeggeri che stiamo sorvolando la fossa di Sant'Andrea, nella zona dei terremoti. Ogni forma di assicurazione viene annullata, e ritornerà in vigore solo quando i passeggeri saranno usciti dalla regione".
Finito l'annuncio, ripresero i comunicati commerciali.
- Immagino - disse Kathy - che un'assicurazione contro i morsi di una mucca tibetana abbia valore in qualunque parte del mondo tranne che nel Tibet!
- Assicurazione contro i morsi di una mucca tibetana? - domandai, sbalordito. - E perché mai dovresti fare un'assicurazione del genere?
- Non si può mai sapere. Potrei incontrarne una poco cordiale, non ti pare?
- Penso che tu stia scherzando - dissi, dignitosamente. - Atterreremo fra pochi minuti. Mi piace l'idea di capitare addosso ad Ham Harris senza preavviso. Harris è un bravo ragazzo, ma non escludo che Runstead l'abbia contagiato con il suo disfattismo. È la cosa peggiore, nel nostro lavoro.
- Se è possibile, vorrei venire con te, Mitch.
Sbirciammo dai finestrini come turisti mentre il jet si inseriva nel traffico aereo di San Diego e cominciava a compiere giri monotoni sulla città in attesa che la torre di controllo gli desse il permesso di atterrare. Kathy non era mai stata a San Diego. Io conoscevo la città, ma qualcosa di nuovo da vedere c'era sempre: vecchi edifici che scomparivano per lasciar posto ai nuovi. E che edifici! Sembrano più scheletri di plastica che altro. In caso di terremoto questo tipo di costruzioni dondola e trema, invece di spaccarsi e crollare. E se il terremoto è di tale violenza da abbattere le case, tutt'al più si perde un po' di materiale plastico.
Da un punto di vista economico è un'ottima idea n'on costruire edifici troppo decorativi nel sud California. Da quando le esplosioni atomiche sperimentali hanno sconvolto la fossa di Sant'Andrea, c'è la possibilità che un giorno o l'altro tutta la zona sprofondi nel Pacifico, senza preavviso. Per il momento, resisteva, e c'erano buone probabilità che continuasse a resistere per tutta la durata del nostro soggiorno. Prima che io nascessi, lì le mosse telluriche erano all'ordine del giorno. Gli abitanti del luogo però erano quasi orgogliosi della particolarità del loro territorio, e con le statistiche alla mano riuscivano sempre a dimostrare che era più facile restare vittima di un fulmine o di una meteorite che di morire in uno dei loro terremoti.
Un veloce tassì a sei pedali ci portò alla sede locale della Fowler Schocken. La mia diffidenza verso il Reparto Ricerche di Mercato comprendeva anche la possibilità che Ham Harris avesse disposto un servizio di informazioni all'aeroporto, per coprirsi contro eventuali ispezioni di sorpresa.
L'atteggiamento della ragazza che mi ricevette nell'atrio della sede mi stupì. Non riconobbe me e non riconobbe il mio nome. - Vado a vedere se il signor Harris può ricevervi, signor Connelly - disse.
- Mi chiamo Courtenay, figliola. E sono il capo del signor Harris - tagliai corto. Dopo di che Kathy e io avanzammo in un'atmosfera di fiacca e di sciatteria che mi fece rizzare i capelli. Ed entrammo in un ufficio.
Harris, in maniche di camicia, stava giocando a carte con due giovani impiegati. Altri due sedevano davanti a un apparecchio di teleipnosi, in evidente stato di trance. Un quinto era languidamente intento a battere con un dito su una calcolatrice.
- Harris! - tuonai.
Tutti, tranne i due in trance, si voltarono a guardarmi a bocca aperta. Mi avvicinai alla teleipnosi e la spensi. Anche gli altri due ripresero lentamente conoscenza.
- Oh... oh... oh, signor Courtenay - biascicò Harris. - Non vi aspettavamo...
- L'ho capito. Andiamo nel vostro ufficio.
Kathy ci seguì.
- Harris - ripresi - si può perdonare molto quando i risultati sono buoni. Finora il lavoro per il nostro progetto è stato ottimo. Ma il sistema di questo ufficio va corretto...
Il telefono sulla scrivania squillò, e io sollevai il ricevitore.
Una voce disse, in tono agitato: - Ham? È arrivato! Fai scattare tutti... Ha preso un tassì veloce!
- Grazie - risposi, e riattaccai. - Era il vostro informatore dall'aeroporto - spiegai ad Harris. Lui impallidì. - Vediamo i programmi giornalieri. I resoconti delle interviste già effettuate. I vostri registri. Le schede riassuntive del lavoro fatto. I diagrammi progressivi. In poche parole tutto quello che dovreste sapere che mi interessa. Dunque vediamo.
Lui restò zitto per un sacco di tempo, e infine disse: - Non esistono.
- Niente schede, niente diagrammi, niente registri? Cos'avete da mostrarmi?
- I risultati ipotetici - mormorò. - I resoconti teorici.
- Dei falsi, volete dire? Come le informazioni che mi avete dato finora per telefono?
Fece segno di sì con la testa.
- Come avete potuto fare una cosa simile, Harris? - domandai. - Perché l'avete fatto?
Mi rovesciò addosso un torrente di parole. Non l'aveva fatto di proposito. Quella era la prima volta che svolgeva un lavoro indipendente. Forse non era all'altezza di svolgerlo. Aveva cercato di far rigare dritto il personale mentre tentava di organizzarsi, ma non c'era riuscito. Gli altri avevano sentito che lui non ci sapeva fare, e ne avevano approfittato. Poi il suo atteggiamento cambiò, e divenne battagliero. Del resto, che importanza aveva? Disse così. Quello era soltanto un lavoro preliminare, fatto di scartoffie. E siccome il risultato doveva essere un cumulo di ipotesi, una ne valeva un'altra. Se l'era presa con calma, ma era pronto a scommettere che un sacco di gente se la prendeva con calma e i loro affari andavano bene lo stesso.
- Vi sbagliate e lo sapete - dissi io. - Fare della pubblicità è un'arte, ma un'arte tutta basata sull'abilità di sondare i clienti, di impostare la campagna sperimentale, di sfruttare la zona-campione. Col vostro contegno avete compromesso il nostro programma. Adesso vedremo di salvare il salvabile, e poi ricominceremo da capo.
- Perderete il vostro tempo, signor Courtenay - rispose Harris. - Io lavoro da molto con il signor Runstead e so benissimo cosa ne pensa di questi esperimenti. Il suo parere è importante quanto il vostro! Secondo lui le scartoffie sono soltanto delle costose stupidaggini.
Conoscevo anch'io Matt Runstead, e molto bene. - Cos'avete per appoggiare questa dichiarazione? - domandai in tono secco. - Lettere? Promemoria? La registrazione di una telefonata?
- Dev'esserci qualcosa di simile - disse lui, e prese a frugare nella scrivania. Sfogliò lettere e appunti, controllò diverse registrazioni mentre il tempo passava, e la sua faccia esprimeva paura e delusione, sempre più intense. Alla fine mormorò: - Non riesco a trovare niente, ma sono certo di...
Indubbiamente lo era. Nel nostro campo la più alta espressione d'arte viene raggiunta quando si riesce a convincere un cliente senza che lui si accorga di essere stato convinto. Runstead era un maestro, in materia, e il povero Harris era stato assegnato al mio progetto dopo essere stato convinto, a sua insaputa, a boicottarlo.
- Siete licenziato, Harris - dissi. - Andatevene e non fatevi più vedere. Al vostro posto, non ritenterei nella pubblicità, dopo questa bella prova.
Poi andai nell'altro ufficio.
- Non ho più bisogno di voi - annunciai. - Da questo momento consideratevi liberi. Prendete la vostra roba personale e sparite. Riceverete per posta quello che vi spetta.
Restarono senza fiato. Accanto a me Kathy mormorò: - Mitch, è proprio necessario?
- Sì, maledizione! Nessuno di loro si è nemmeno sognato di informarci di quello che succedeva qui! Vi si sono tranquillamente uniformati, ben felici di farlo. Le infezioni vanno stroncate sul nascere, se no sono guai!
Ham Harris mi passò accanto senza guardarmi. Era sconvolto. Doveva aver pensato che Runstead non l'avrebbe lasciato cadere.
Tornai nel suo ufficio e sollevai il ricevitore del telefono diretto.
- Hester! Sono Courtenay. Ho appena licenziato il personale di San Diego, al completo. Informatene l'ufficio personale e provvedete che ognuno di loro riceva quanto gli spetta. Adesso passatemi subito Runstead.
Aspettai, impaziente, per un intero minuto. Poi risentii la voce di Hester. - Mi dispiace di avervi fatto aspettare, signor Courtenay. La segretaria del signor Runstead dice che lui è partito per Piccola America. Mi ha riferito che il signor Runstead ha sistemato la faccenda dell'Istituto Ginecologico e che si è preso un po' di riposo.
- Un po' di riposo! Che Dio lo abbia in gloria! Hester, riservatemi un posto sulla linea New York-Piccola America. Torno indietro con il primo jet, e intendo ripartire immediatamente. Avete capito bene?
- Sì, signor Courtenay.
Riappesi. Kathy mi fissava.
- Sai, Mitch - mi disse - voglio chiederti scusa per essere stata spesso incomprensiva con te. Non sapevo quanti motivi avessi per essere di cattivo umore! Se quella di oggi è una tua giornata tipica, posso comprenderti!
- Non è una giornata tipica - risposi - è il peggior caso di ostruzionismo che mi sia mai capitato. Cara, adesso devo tornare all'aeroporto e procurarmi un posto sul primo aereo che va a New York. Vieni anche tu?
Lei esitò. - Ti dispiace se resto in città a fare un po' la turista? - disse poi.
- Niente affatto, cara. Divertiti, allora. Quando tornerai a New York, io sarò già là.
Ci baciammo, poi io me ne andai. Passando dissi all'amministratore del palazzo di chiudere i nostri locali sino a nuovo ordine, non appena fosse uscita Kathy.
Quando fui in strada guardai in su, e lei mi salutò con un cenno da una finestra dello strano edificio di celluloide.

Capitolo VI

A New York volai giù dalla scaletta. Hester era là ad attendermi. - Brava - le dissi. - Quando parte l'apparecchio per il Polo?
- Fra dieci minuti, dalla pista numero sei, signor Courtenay. Ecco qui il vostro biglietto e la prenotazione. Vi ho portato anche uno spuntino.
- Ottimamente. Oggi ho saltato il pasto. - Ci dirigemmo verso la pista numero sei. Io, ruminando un panino con formaggio rigenerato. - Novità dall'ufficio? - domandai.
- Il licenziamento di quelli di San Diego ha sollevato grande scalpore. L'ufficio del Personale si è lamentato con il signor Schocken, il quale vi ha appoggiato... con "forza quattro".
La notizia non era buonissima. Una reazione di "forza dodici" si sarebbe manifestata in questi termini: "Non vi dovete permettere di criticare o comunque commentare le decisioni di un dirigente che sta lavorando a un suo progetto!". "Forza quattro" invece suonava pressappoco così: "Signori, sono certo che il signor Courtenay ha avuto le sue buone ragioni per fare quel che ha fatto. Spesso gli scopi della Società non coincidono con gli interessi di alcuni dipendenti".
- La segretaria di Runstead - domandai - è solo una segretaria per lui o è una dei suoi... - stavo per dire "ruffiani", ma mi frenai e addolcii l'espressione concludendo: -... dei suoi confidenti?
- Gli è molto vicina - rispose Hester, senza compromettersi.
- Come ha reagito per la faccenda di San Diego?
- Qualcuno mi ha riferito che si è divertita moltissimo.
Non insistetti sull'argomento. Cercare di scoprire in che acque mi trovavo era una curiosità legittima, ma non potevo chiedere a Hester di fare delle vere indagini. - Ritengo che la mia assenza sarà brevissima - dissi. - Voglio solo mettere le cose in chiaro con Runstead.
- Vostra moglie non viene con voi? - domandò lei.
- No. Mia moglie è un chirurgo. Ora, dato che la mia intenzione è quella di fare Runstead a pezzi, se fosse venuta con me avrei corso il rischio che lei lo rimettesse assieme.
Hester rise, educatamente, poi mi augurò buon viaggio. Eravamo arrivati alla scaletta d'imbarco della pista numero sei.
Non fu un viaggio piacevole. Anzi, fu un viaggio orribile, su un miserabile apparecchio da turismo che volava bassissimo, e aveva i finestrini prismatici che a me facevano venire il mal d'aria. Per compire l'opera, tutti gli annunci commerciali proiettati durante il volo furono pubblicità della Taunton.
Il mio vicino di posto, un individuo anonimo, vestito in modo banale con abiti della "Universal", mi osservò divertito mentre tentavo di tenere a freno il mio stomaco. In quel momento la pubblicità parlava di un deodorante, ed era visiva, sonora, e olfattiva.
- Stanno esagerando, eh? - disse.
- Mmm! - risposi.
- Ci sono delle pubblicità che farebbero star male una montagna - continuò lui, incoraggiato dalla mia loquacità.
Non potevo lasciar perdere. - Cosa intendete dire, esattamente? - domandai, severo.
Il mio tono lo gelò. - Volevo solo dire che hanno esagerato con quell'odore - rispose. - Mi riferivo a quell'annuncio, in particolare. Per il resto io non ho proprio niente contro la pubblicità.
- Ed è un bene per voi - dissi. Poi voltai la testa.
Non mi aveva fatto piacere trattarlo male, ma era una questione di principio. Avrebbe dovuto capire subito, con chi aveva a che fare!
Arrivammo su Piccola America in compagnia di altri due aerei da turismo. Uno dei due era un apparecchio indiano e la sua vista mi allargò il cuore. Quell'aereo era di costruzione indiana dal muso alla coda. Il suo equipaggio era di scuola indiana, e lavorava per una Società indiana. I suoi passeggeri pagavano le tasse all'India, e l'India pagava i suoi tributi alla Società Fowler Schocken.
Finalmente un basso torpedone ci portò nella grande semisfera a doppie pareti di plastica che racchiudeva Piccola America. Il posto è una trappola per turisti di tutto il mondo. Nella zona ci sono anche delle basi militari, ma sono sparse qua e là, sotto i ghiacci. Un piccolo reattore a torio fornisce calore ed energia, ma non è di alcun interesse militare per nessuna nazione.
Al posto di controllo chiesi di Runstead. L'ufficiale guardò in su e disse: - Fa parte del giro turistico organizzato da Thomas Cook e Figlio. Alloggia al III-C-2205. - Mi mostrò una cartina dell'edificio, e mi spiegò che la definizione si riferiva al terzo anello del terzo piano, quinto settore, ventiduesima stanza. - Non potete sbagliare - aggiunse. - Se volete una camera vicina a quella del signor Runstead posso vedere di sistemarvi.
- Più tardi, grazie - risposi. Dopo di che cominciai ad aprirmi la strada a forza di gomitate in mezzo alla folla intenta a chiacchierare in una dozzina di lingue. Arrivai così al III-C-2205, e suonai il campanello. Nessuno rispose.
Un giovanotto d'aspetto piacevole mi si avvicinò. - Sono il signor Cameron - disse. - Il direttore del giro turistico. Posso esservi utile?
- Vorrei parlare con il signor Runstead, per una questione d'affari.
- Affari! E noi che facciamo di tutto per non sentirne nemmeno parlare! Se avete un attimo di pazienza, guardo nel mio registro.
Mi portò con sé nel suo ufficio-camera-bagno, e si mise a sfogliare il registro. - Scalata al ghiacciaio Starrzelius - disse. - Ecco qui... È andato da solo. Dunque... è partito questa mattina alle sette con la tuta termica, le razioni di viveri, e la ricetrasmittente. Dovrebbe rientrare fra cinque ore circa. Avete già fissato la vostra camera, signor...
- Non ancora. Ma adesso preferisco raggiungere Runstead. Si tratta di una cosa urgente. - E lo era, urgente. Se non riuscivo a mettergli addosso le mani al più presto mi sarebbe venuto un travaso di bile.
Il gentilissimo signor Cameron sprecò cinque minuti per convincermi che la cosa più saggia da fare era iscrivermi al suo giro turistico, e avrebbe pensato lui a sistemare tutto. In caso contrario sarei Stato sballottato da Ponzio a Pilato, per acquistare e noleggiare il necessario equipaggiamento dai vari concessionari col rischio di non riuscire più a trovarli dopo aver espletato tutte le pratiche, e di veder svanire la mia vacanza. Firmai il modulo e lui sfavillò di gioia. Subito mi venne assegnata una stanza in quello stesso settore. Stanza che poteva essere una comoda tre metri per tre e mezzo, se non fosse stato per la forma a cuneo.
Cinque minuti più tardi mi illuminava sul mio equipaggiamento. - Questo è il generatore di corrente, comanda anche il riscaldamento, e va aperto così. È l'unica cosa che può funzionare male. Se si verificasse una perdita di potenza prendete un sonnifero e non vi preoccupate. Congelerete, ma noi vi troveremo prima che i vostri tessuti vengano seriamente compromessi. Ecco gli stivali. Chiudeteli bene... così. I guanti. Chiudeteli bene... così. La tuta. Il cappuccio. Gli occhiali da neve. La trasmittente va sintonizzata sull'onda di ricezione. Basterà che diciate alla guardia incaricata di effettuare il controllo delle apparecchiature dove intendete andare, cioè "Ghiacciaio Starrzelius", e provvederanno loro a sintonizzarla. Per metterla in funzione servitevi di queste due piccole leve. Vedete, hanno la scritta "ascolto" e "tras", che sta per trasmissione. Ricordatevi che durante la scalata il tono diventa a mano a mano più forte, invece si abbassa nel venire in giù. Per i casi di emergenza c'è questa leva rossa. Abbassatela e parlate immediatamente. Un aereo vi raggiungerà in un quarto d'ora. Le spese per l'opera di ricerca e salvataggio sarebbero a vostro carico, quindi vi consiglio di non abbassare la leva semplicemente perché siete un po' stanco. In un caso del genere potete sempre riposarvi per un po', bere una tazza di Caffeissimo, e riprendere poi il cammino. Questa è la carta della zona con la strada segnata. Ecco qui le racchette da neve. La bussola. Il cannocchiale. E le razioni di viveri. Con ciò, signor Courtenay, il vostro equipaggiamento è al completo. Adesso vi accompagnerò alla visita di controllo.
A sentir nominare tutta quella roba mi ero spaventato, ma all'atto pratico mi accorsi che pesava molto di più quello che mi ero messo addosso, uno degli inverni passati, per resistere al vento gelido di Chicago. L'ingombro dato dalla ricetrasmittente, dalle razioni dei viveri, e dal generatore, era ben distribuito e non disturbava. Le racchette da neve sparivano in una specie di budello applicato sulla schiena.
Il controllo fu molto rigoroso. Incominciarono con il mio cuore e proseguirono esaminando minuziosamente tutti i pezzi dell'equipaggiamento, con particolare attenzione per il generatore. Superai l'esame, e una delle guardie sintonizzò la radio sulla lunghezza d'onda relativa al ghiacciaio Starrzelius, raccomandandomi infinite volte di non fare troppo l'audace.
Non faceva freddo, dentro la tuta termica. Così osai aprire la parte anteriore del cappuccio, quella che mi copriva la faccia fino alla radice del naso. Aaaah! La richiusi immediatamente. Mi avevano detto che la temperatura esterna era di quaranta gradi sotto zero. La cifra non aveva avuto per me alcun significato reale finché la punta del mio naso non l'ebbe assaggiata per una frazione di secondo. Non dovetti ricorrere subito alle racchette da neve perché attorno alla semisfera dalla quale ero uscito il terreno era uno spesso strato di solido ghiaccio sul quale le mie scarpe chiodate facevano ottima presa. Guardai la carta, mi orientai con la piccola bussola e mi tuffai nella bianca distesa. Di tanto in tanto davo una strizzatina alla mia manica sinistra azionando la ricevente, e così sentivo dentro il cappuccio il rassicurante "Biip-biip-biip-biip" dell'apparecchio.
Incontrai una compagnia di gitanti, e li salutai agitando il braccio. Sembravano cinesi, o indiani. Ma ero ancora vicinissimo alla cupola. Più avanti vidi un gruppetto di persone intento a un gioco che non conoscevo. Correvano entro una area rettangolare alle cui estremità più lontane erano piantati dei bastoni con attaccato un cesto senza fondo. Il gioco consisteva nel buttare una grossa palla di silicone dentro i cesti.
Ancora più lontano vidi alcuni sciatori che prendevano lezioni da istruttori vestiti di rosso.
Dopo aver proseguito per qualche minuto, almeno così mi parve, mi voltai indietro, ma non riuscii più a vedere nessun vestito rosso. La semisfera che racchiudeva Piccola America mi apparve come una massa confusa e grigia. La mia radio disse "Biip-biip", e io proseguii. Fra poco Runstead avrebbe avuto mie notizie.
Mi sentivo solo, ma non era una sensazione spiacevole. Piccola America era completamente scomparsa alle mie spalle, ma non me ne importava. Pensai a Jack O'Shea. Si era sentito così anche lui? Era questo il motivo per cui il nano faticava sempre a trovare le parole adatte a descrivere Venere, e non era mai soddisfatto di quelle che trovava?
I miei stivali sprofondarono nel morbido. Sfilai le racchette e le applicai ai piedi. Bello! Scivolavo in avanti piacevolmente. Non mi sentivo sospeso, ma non avvertivo nemmeno il normale contatto delle suole con il terreno compatto. Camminavo in quel modo per la prima volta in trent'anni.
Dopo due ore di marcia mi venne improvvisamente fame. Non dovevo far altro che accoccolarmi per terra, aprire una campana di tessuto al silicone e infilarmici. Entro cinque minuti, dopo aver esposto cautamente il naso un paio di volte, giudicai che la temperatura sotto la campana era giunta a un livello sopportabile. Bevvi una tazza di tè caldo e mangiai una specie di carne in umido, poi tentai di fumare una sigaretta, ma alla seconda boccata la minuscola tenda si riempi di fumo che mi entrò negli occhi facendoli lacrimare. A malincuore spensi la sigaretta contro la suola delle scarpe, rialzai la parte frontale del cappuccio, ripiegai la tenda e mi stiracchiai.
Mi rimisi in cammino. "Diavolo" mi dissi, "questa faccenda di Runstead è semplicemente dovuta a una diversità di carattere. Lui non riesce a vedere lo spazio aperto, e io sì. Non si tratta di cattiveria. Runstead pensa che si tratti di un'idea stupida perché non sa rendersi conto che al mondo c'è gente in grado di apprezzarla. Se io glielo spiegassi..."
Questo ragionamento ne ebbe come conseguenza un altro. Runstead era andato sul ghiacciaio, dunque capiva lo spazio se aveva scelto quel posto fra tutti quelli che il mondo offriva.
"Biip-biip...". Un suono gradito.
Guardai attraverso il cannocchiale e inquadrai un oggetto scuro, dritto davanti a me. Non riuscii a capire subito che cosa fosse, ma era là, visibilissimo. E non si muoveva. Mi misi a correre, ma fui costretto a rallentare per l'affanno. Avevo capito. L'oggetto nero era un uomo.
Quando fui a una trentina di metri l'uomo guardò impaziente l'orologio, e io mi rimisi a correre.
- Matt! - chiamai. - Matt Runstead!
- Sono proprio io, Mitch - mi rispose, ringhioso come sempre. - Sei perspicace, oggi!
Lo guardai attentamente, cercando una buona frase da dirgli. Accanto a lui, infilate nella neve c'erano le racchette da sci.
- Cos'è... Cos'è... - incominciai.
- Non ho tempo da perdere, Mitch - disse lui. - Tu invece ne hai già perso troppo. Addio, Mitch. - E mentre io stavo là a fissarlo istupidito, Runstead afferrò le racchette, le fece volteggiare nell'aria, e le abbatté di taglio su di me. Caddi all'indietro, dolorante, sbigottito, con la collera che mi esplodeva dentro il cervello.
Lo sentii che mi frugava all'altezza del petto, poi non sentii più niente.
Mi svegliai pensando di aver respinto, nel sonno, le coperte, e che faceva freddo per essere soltanto autunno. Poi il cielo pallido dell'Antartico mi ferì gli occhi. La neve scricchiolava sotto la mia schiena. Allora non avevo sognato! Avevo un feroce mal di testa ed ero gelato. Mi tastai e scoprii che il generatore di corrente era sparito. Tuta, stivali e guanti non ricevevano più calore. Alla rice-trasmittente non arrivava energia. Non sarebbe servito a niente azionare la leva per il segnale di emergenza.
Mi alzai in piedi barcollando, e il gelo mi serrò come una morsa. C'erano impronte di piedi lì attorno, nella neve, e si allontanavano in direzione... In che direzione? Vidi anche i segni lasciati dalle mie racchette. Tracciavano una specie di sentiero. Mossi un passo lungo quel sentiero, poi un secondo, e un terzo.
I viveri! Potevo infilare i barattoli nella tuta, aprirli, e il vapore che ne sarebbe uscito avrebbe momentaneamente riscaldato i miei vestiti. Avanzando a stento, un passo dopo l'altro, mi domandai se era meglio riposare mentre assorbivo il caldo delle razioni, o farlo continuando a camminare. Avevo bisogno di riposo. Mi era accaduta una cosa incredibile e mi doleva la testa. Mi avrebbe fatto bene sedermi per un po'. Mi sarei scaldato, poi avrei ripreso la marcia.
Non mi sedetti. Capivo che sarebbe stato peggio. Strinsi i denti e andai avanti, mentre costringevo le mie dita, che non volevano obbedirmi, a togliere una scatola di Caffeissimo dalla borsa e a infilarla sotto la tuta. I miei pollici non avevano la forza sufficiente ad aprire il coperchio. "Siediti per un attimo" mi dissi. "Riprenderai un po' di forze. Senza sdraiarti, per quanto sarebbe piacevole...". Finalmente il coperchio si aprì, e la sensazione di caldo fu dolorosa.
Poi si attenuò. Aprii altre scatole finché non ce ne furono più nella borsa. Sedetti, una volta, e mi rimisi in piedi. Poi sedetti ancora, vergognandomi di essere tanto indulgente con me stesso, e dicendomi che mi sarei rialzato fra un secondo, per Kathy... fra due secondi, per Kathy... fra tre secondi, per Kathy.
Ma non mi alzai.

Capitolo VII

Mi addormentai su una montagna di ghiaccio. Mi risvegliai in un inferno rumoroso, pieno di fuoco rosso e di volgari aiutanti del diavolo. Era il genere di posto dove avrei mandato uno della Taunton. Non capivo come mai mi trovassi lì io.
Uno degli apprendisti-diavolo mi scosse rudemente e disse: - Dammi una mano, marmotta. Devo sistemare la mia brandina. - Mi si - schiarirono le idee, e vidi che l'uomo era semplicemente uno di classe inferiore. Forse un inserviente d'ospedale.
- Cos'è questo posto? - domandai. - Siamo tornati a Piccola America?
- Quanto sei spiritoso! - commentò lui. - Allora, mi dai una mano?
- Non ci penso nemmeno - risposi. - Io sono un pubblicitario di prima classe!
Lui mi guardò. Disse: - Buffone! - e sparì nella rossa penombra piena di rumore.
Mi alzai, persi l'equilibrio, e afferrai un gomito che passava frettoloso da ombra a ombra. - Scusate - dissi. - Siamo in un ospedale?
Il gomito apparteneva a un tale con un carattere peggiore del primo. - Lascia andare il mio braccio! - sbraitò. Obbedii. - Se ti serve un medico, aspetta finché non saremo atterrati! - aggiunse.
- Atterrati?
- Sì, sì, atterrati. Senti, buffone, non sai che cos'hai firmato?
- Firmato? No, non lo so. Ma voi usate un tono troppo confidenziale. Io sono un pubblicitario di prima classe, e...
La sua espressione cambiò.
- Ho capito - disse, con aria astuta. - Adesso ci penso io a rimetterti in sesto. Aspetta solo un minuto, buffone. Torno subito con quello che ci vuole.
Tornò, infatti, e "quello che ci vuole" era una piccola capsula verde. - È l'ultima che abbiamo a bordo - disse. - Se gli scossoni ti danno fastidio, questo è l'ideale. Non ti accorgerai nemmeno dell'atterraggio.
- Quale atterraggio? Dove? - gridai. - Cos'è questa storia? Non voglio la vostra droga, voglio solo sapere dove sono, e che cosa ho firmato secondo voi.
L'uomo mi scrutò, poi disse: - Ti ha preso brutta, eh? Ti sei beccato un colpo in testa, per caso? Be', siamo nella stiva Numero Sei del mercantile "Thomas R. Malthus". Condizioni atmosferiche: normali. Rotta: 273 gradi. Velocità: 300. Destinazione: Costa Rica. Carico: nullità come te e me, lavoratori per le piantagioni di chlorella. - Quella era la litania recitata da un ufficiale di guardia alla fine del turno di servizio, o una sua crudele parodia.
- Voi siete... - esitai.
- Ex ufficiale, degradato - concluse lui, in tono amaro, tenendo gli occhi fissi sulla capsula verde. Di colpo portò la mano alla bocca e inghiotti la droga. - Sono comunque deciso a prepararmi la strada del ritorno - proseguì. - Introdurrò nuovi sistemi di lavoro, e più efficienti, per la piantagione. Sarò capo-squadra in una settimana, capo del personale in un mese, direttore in un anno. E poi preleverò la "Cunard Line" e farò ricoprire d'oro massiccio tutti gli apparecchi. Accetterò soltanto contatti di prima classe. E solo il meglio andrà bene per i passeggeri della mia Compagnia. Ti costruirò una cabina tutta d'oro a bordo della mia nave ammiraglia, Buffone. E sarà ancora poco per il mio amico Buffone. E se non ti piace l'oro, te la costruirò di platino. E se non ti piace neppure il platino...
Mi allontanai, ma lui non se ne accorse, e continuò a biascicare parole su parole. Guardandolo, ascoltandolo, mi sentii felice di non aver mai preso droghe. Andai a sedermi accanto a un boccaporto, demoralizzato e amareggiato. Qualcuno venne a sedersi al mio fianco e disse: - Salve.
- Salve - risposi. - Stiamo veramente andando a Costa Rica? Se è così si tratta di un terribile equivoco. Come posso parlare a qualcuno degli ufficiali?
- Perché ti preoccupi tanto? - disse l'uomo. - Vivi e lascia vivere. Mangiare, bere e stare allegro. Questo è il mio motto.
- State allegro, allora, ma tenetevi lontano da me! - gli risposi.
Poi mi alzai e mi allontanai dal boccaporto scavalcando gambe e dorsi. Volevo andarmene dalla stiva Numero Sei. Volevo tornare a New York, scoprire perché Runstead si era comportato in quel modo, ritornare a Kathy e all'amicizia di Jack O'Shea, riprendere il mio importante lavoro alla Fowler Schocken. Avevo tante cose da fare.
Una delle lampadine rosse illuminava la scritta: "Uscita di sicurezza". Pensai alle centinaia di persone ammassate nella stiva e che in caso di pericolo si sarebbero precipitate verso quella porta, e rabbrividii.
Aprii la porta e scivolai fuori.
- Cosa significa? - brontolò un mastodontico poliziotto d'agenzia.
- Voglio parlare con un ufficiale - dissi. - Sono qui per un equivoco. Mi chiamo Mitchell Courtenay e sono un pubblicitario della Fowler Schocken.
- Il vostro numero - tuonò l'altro.
- 16-156-187 - risposi con una sfumatura d'orgoglio nella voce. Un uomo può perdere il suo denaro, o la salute, o le amicizie, ma nessuno può togliergli il suo numero della Sicurezza Sociale.
Lui mi rimboccò la manica. Un attimo dopo rotolavo contro la paratia, la faccia in fiamme per la violenza dello schiaffo a piena mano. - Torna al tuo posto! - ruggì il poliziotto! - Riprovaci e vedrai!
Fissai incredulo l'incavo del mio gomito. Il tatuaggio diceva "1304-9974-1416-156-187723". C'era il mio vero numero. Era lì, ma mescolato agli altri. La differenza d'inchiostro, e nella forma dei numeri, era lievissima, e nessuno poteva accorgersene a prima vista, tranne io.
- Cosa diavolo stai aspettando? - disse la guardia. - Non hai mai visto prima il tuo numero?
- No - risposi. Mi tremavano le gambe. Ero spaventato a morte. - Non ho mai visto questo numero - dissi. - È stato tatuato attorno al mio numero vero. Io sono Courtenay, ve l'ho detto. Posso dimostrarvelo! Vi pagherò... - Frugai in tasca, ma non trovai denaro. Improvvisamente mi accorsi di indossare uno strano abito logoro della ditta "Universal", sporco di sangue e d'altro.
- Paga, dunque - disse la guardia, impassibile.
- Più tardi - dissi. - Accompagnatemi da qualcuno che abbia autorità.
Un giovane tenente comparve nello stretto corridoio. - Cosa succede qui? - domandò alla guardia. - Possibile che non siate capace di mantenere un po' d'ordine? Faremo rapporto alla vostra agenzia. - Non mi degnò di un'occhiata.
- Mi spiace, signor Kobler - mormorò la guardia, salutando. Era diventato rosso fino alla radice dei capelli. - Quest'uomo è venuto a raccontarmi una storia... Dice di essere un pubblicitario di prima classe, e di trovarsi a bordo per errore...
- Guardate il mio numero! - gridai al tenente.
L'ufficiale torse il naso quando gli misi il braccio vicino alla faccia, e la guardia mi afferrò, sbraitando: - Non seccare il...
- Un momento - interruppe l'ufficiale. - Mi occuperò io di questa faccenda. Avete un numero molto alto, amico. Cosa volevate dimostrare, facendomelo leggere?
- Sono state aggiunte delle cifre, in principio e alla fine. Il mio vero numero è 16-156-187. Vedete qui? I numeri che precedono e seguono questi sono di un carattere diverso. È una manomissione!
Il tenente trattenne il fiato per chinarsi a guardare. Poi disse: - Uuum! C'è una lievissima probabilità che sia così... Seguitemi. - La guardia si affrettò ad aprire una porta per lasciar passare l'ufficiale e me. Sembrava spaventato.
Il tenente mi fece strada attraverso la rimbombante sala macchine, e fino a un ufficio non più grande di una scatola per cappelli. Il Commissario di bordo aveva una brutta faccia da gnomo, e indossava la sua uniforme come se fosse stata un sacco. - Fategli vedere il numero - mi disse l'ufficiale, e io eseguii. Poi il tenente si rivolse al Commissario. - Quali sono i dati di quest'uomo? - domandò.
Il Commissario infilò un rullo nel lettore elettronico e si chinò a guardare. - 1304-9974-1416-156-187723 - lesse ad alta voce. - Groby William George, di ventisei anni, scapolo, nato da una famiglia disfatta per la diserzione del padre, terzo di cinque figli, unico maschio, salute 2,9, sette anni di classe tre, tre mesi di classe due e mezzo, istruzione 9, ha firmato un contratto di lavoro di categoria B. - Guardò l'ufficiale. - C'è qualche motivo per cui mi debba interessare a un tipo del genere? - chiese.
- Dichiara di essere un pubblicitario capitato a bordo per sbaglio - rispose il tenente. - Sostiene che qualcuno deve aver alterato il suo numero di matricola della Sicurezza Sociale. E parla un po' troppo raffinato per essere della sua classe.
- Non vi lasciate turbare dalle apparenze - disse il Commissario. - Uno che viene da una famiglia disfatta, specialmente se di un livello molto basso, cerca continuamente di migliorarsi. Ma noterete...
- Basta così! - gridai. - Io sono Mitchell Courtenay, e posso comprarvi quanti siete senza prosciugare il mio conto! Sono il direttore della Sezione Venere della Società Fowler Schocken. Mettetevi immediatamente in contatto con New York, e finiamola con questa farsa. Sbrigatevi, maledizione!
Il tenente parve impressionato e allungò una mano verso il telefono, ma il Commissario sorrise e gli fermò il gesto. - Siete Mitchell Courtenay? - domandò ironicamente. Prese un altro rullino e lo infilò nel visore. - Ecco qui, allora - aggiunse dopo aver manovrato alcune manopole. Il tenente e io ci chinammo a leggere.
Era la prima pagina del "New York Times". La prima colonna era dedicata alla morte di Mitchell Courtenay, capo della Sezione Venere della Società Fowler Schocken. Ero stato trovato congelato sul ghiacciaio Starrzelius, vicino a Piccola America. Avevo usato male il mio generatore di corrente, e l'apparecchio si era guastato. Continuai a leggere anche dopo che il tenente ebbe dimostrato di non interessarsi più alla notizia. Matt Runstead era stato nominato direttore del Progetto Venere. La mia morte era dichiarata una vera perdita per la pubblicità. Mia moglie, la dottoressa Nevin, non aveva voluto ricevere la stampa. E io ero amico personale del pioniere venusiano Jack O'Shea, che era rimasto profondamente scosso e addolorato nell'apprendere la notizia della mia scomparsa.
- Ho comprato la registrazione a Capetown - disse il Commissario. - Tenente, volete per favore rispedire questo miserabile figlio di cane da dove è venuto?
La guardia arrivò subito e mi riportò alla stiva Numero Sei facendomi fare tutta la strada a calci e spintoni.
Ruzzolai addosso a qualcuno appena la guardia mi ebbe buttato dentro la stiva. Dopo aver respirato l'aria relativamente fresca dell'esterno, il puzzo di quel locale era insopportabile.
- Che cos'avete ottenuto? - mi domandò gentilmente il cuscino umano sul quale ero caduto.
- Ho tentato di spiegare chi sono, e... - Dirgli cos'era successo non sarebbe servito a niente. Quindi domandai: - Adesso cosa si fa?
- Sbarchiamo. Ci sistemiamo negli alloggi. Ci mettiamo a lavorare. Che contratto avete firmato?
- Contratto di lavoro, categoria B, mi hanno detto.
L'uomo fece un fischio significativo. - Ce l'avevano proprio con voi, eh? - disse.
- Cioè? Che cosa significa?
- Non lo sapete? Il contratto B ha una durata di cinque anni, ed è per i rifugiati politici, i deficienti, e tutti quelli che sono tanto stupidi da firmarlo. Hanno tentato il colpo anche con me, ma gli è andata male. Sono riuscito a firmare un contratto di categoria F: un anno di lavoro, e il permesso di comprare in spacci che non siano quelli della Compagnia.
Mi strinsi la testa fra le mani per impedirle di esplodere. - Ma non può essere un posto tanto brutto! - dissi. - Vita all'aria aperta, coltivare i campi, sole...
- Già - borbottò l'uomo. - Lo scoprirete da solo.
Quello se ne andò in un altro angolo, e io, invece di mettermi a studiare qualcosa, caddi in uno stato di semi incoscienza.

Non venne dato alcun segnale d'atterraggio. L'apparecchio colpì il suolo, e lo colpì duro. Un portello si spalancò lasciando entrare l'accecante sole dei tropici. Fu un tormento, dopo il lungo periodo di oscurità. Col sole, invece di entrare l'aria pura, penetrò nella stiva un acuto odore di disinfettante. Mi difesi dalla carica di un gruppo di gente che vomitava bestemmie, e avanzai verso il portello.
- Prendi questo, idiota! - disse un tale dalla faccia dura, che portava un distintivo. Mi mise al collo una corda dalla quale pendeva una placca con un numero. Anche tutti gli altri ne ricevettero una, poi ci allineammo davanti a un tavolo, vicino all'apparecchio. Una struttura di otto piani sorgeva all'ombra della piantagione di chlorella, e ogni piano sembrava un enorme cestello per la posta in arrivo e in partenza, come quelli che si usano negli uffici. A ogni ripiano c'erano degli specchi. Attorno alla grande costruzione, per centinaia di metri, si rifletteva una luce insostenibile. Capii che si trattava di altri specchi, i quali assorbivano la luce del sole, la mandavano agli specchi della torre, e questi la proiettavano sui serbatoi nei quali avveniva il processo di fotosintesi. Visto dall'alto doveva essere uno spettacolo unico. Lì, in terra, era una tortura. Avrei dovuto pensare a qualcosa di utile, fare qualche progetto, ma il mio cervello si era disseccato. "Dalle soleggiate piantagioni di Costa Rica, rese fertili da agricoltori indipendenti orgogliosi del loro lavoro, ci viene la benedizione delle proteine di chlorella!" Sì! Le avevo scritte io quelle parole.
- Muoversi, muoversi! - urlò un altro tipo col distintivo. - Tu, maledetto fetente, muoviti!
Mi protessi gli occhi e andai avanti, verso il tavolo, seguendo il movimento della fila. Un uomo con occhiali scuri, seduto dietro il tavolo mi domandò: - Nome?
- Mitchell Court...
- È quello di cui vi ho parlato - intervenne il Commissario di bordo.
- Ho capito. Grazie - rispose l'altro. E a me: - Groby, ce ne sono stati altri che hanno tentato di svincolarsi da un contratto B. Tutti hanno rimpianto il loro tentativo. Sapete per caso a quanto ammonta il bilancio annuale di Costa Rica?
- No - brontolai.
- Circa cento ottantatré miliardi di dollari. E sapete quanto paga di tasse la Corporazione Piantagioni Chlorella?
- No. Maledizione, io non...
- Circa cento ottanta miliardi di dollari - interruppe lui. - Da ciò, un tipo astuto come voi può capire che il governo, e i tribunali, di Costa Rica, fanno esattamente quello che vuole la Corporazione. Perciò, se noi chiediamo un esempio che scoraggi chiunque a rompere un contratto, governo e tribunali non diranno di no. Potete scommetterci la testa. Dunque, come vi chiamate, Groby?
- Groby - ripetei, con voce rauca.
- Groby e poi? Grado di istruzione? La vostra famiglia?
- Non lo ricordo. Se me li scrivete su un pezzo di carta posso impararli a memoria.
Sentii ridere il Commissario. - Potete credergli - disse.
- Va bene, Groby - riprese l'uomo con gli occhiali scuri. - Eccovi accontentato... Su questo foglio ci sono i vostri dati e la vostra assegnazione. Faremo di voi un buon scrematore. Avanti un altro.
Un uomo col solito distintivo, erano sorveglianti, afferrò il foglio e abbaiò: - Gli scrematori da questa parte.
"Questa parte" era sotto il primo ripiano della torre, dove la luce era più forte che mai, lungo un corridoio nel quale si allineavano puzzolenti serbatoi, e poi dentro una porta che si apriva nel pilone centrale. Al di là della porta c'era una stanza che sembrava buia dopo la luce esterna.
- Scrematore? - domandò un uomo. Io sbattei le palpebre e feci segno di sì. - Sono Multane, e mi occupo dei turni di lavoro. - Mi spiegò. Sbirciò il foglio che gli avevo dato. - Ci serve uno scrematore al sessantasettesimo livello, e uno al quarantunesimo. Sarebbe una fortuna per voi lavorare al quarantunesimo. Del resto non vedo perché dovreste preferire il sessantasettesimo! Oh, mi sono dimenticato di dirvi che gli scrematori e gli altri lavoranti di Classe 3 non possono usare l'ascensore...
- Scelgo il quarantunesimo - dissi, cercando di dare un significato alla sua espressione.
- Molto ragionevole - commentò lui. - Molto, molto ragionevole! - Restò a guardarmi per qualche secondo, poi aggiunse: - In genere le persone ragionevoli si comportano ragionevolmente.
Ci fu un'altra lunga pausa.
- Non ho soldi con me - dissi, alla fine.
- Non vi preoccupate - rispose lui. - Vi presterò io qualcosa. Dovete solo firmare qui, e al resto penseremo noi. Non è che un semplice anticipo di cinque dollari sulla paga.
Lessi il modulo che mi aveva spinto davanti, e firmai dopo aver guardato il mio nome sulla scheda personale. Me l'ero dimenticato. Mullane scrisse in fretta un "41" sulla mia scheda, siglò e uscì dall'ufficio senza darmi i cinque dollari. Non gli corsi dietro.
- Sono la signora Horrocks - disse una voce femminile alle mie spalle. - Benvenuto fra noi, signor Groby. Spero che vi troverete bene, qui... Il signor Mullane mi ha detto che i nuovi arrivi devono essere alloggiati al quarantatreesimo piano. Il mio dovere è di fare in modo che siate sistemato con il gruppo che vi è più congeniale. - La faccia della donna mi ricordò una tarantola. - C'è un posto libero al Dormitorio Sette. Un bel ragazzo come voi si troverà bene fra altri bei ragazzi...
Le dissi che il Dormitorio Sette non mi andava a genio.
- Allora c'è il Dormitorio Dodici - riprese la donna. - È un po' più affollato, ma pazienza. Un bel giovanotto come voi sarà accolto con piacere nel Dormitorio Dodici. Devo assegnarvi lì, signor Groby?
- No - risposi. - Cercate qualcos'altro. E... sentite, non potreste prestarmi qualcosa come anticipo sulla paga?
- Vi sistemerò nel Dormitorio Dieci - disse lei. - Per il resto, vanno bene dieci dollari? Firmate qui, signor Groby. Grazie... - e scomparve alla ricerca del prossimo merlo.
Non dovetti salire a piedi fino al quarantatreesimo piano. Non c'erano ascensori per noi, ma ci si poteva attaccare a una piattaforma destinata al materiale. Ci voleva un po' di coraggio a saltare su e giù mentre quella era in movimento, comunque il sistema funzionava, a patto di non essere troppo rotondi, perché allora si rischiava di rimetterci il posteriore.
Il dormitorio ospitava circa sessanta brande disposte a tre ranghi.
Quando entrai, un vecchio dalla faccia arcigna era intento a pulire la corsia centrale.
- Sei un nuovo? - domandò. Poi prese in mano la mia scheda. - La tua branda è quella là - disse. - Io sono Pine, il capo-camerata. Sai come si fa a scremare?
- No - risposi. - Sentite, signor Pine, si può fare una telefonata da qui?
- Nel ricreatorio - disse, indicandomi una porta, con il pollice.
Passai nel locale accanto. Nel ricreatorio c'era un apparecchio di teleipnosi, un telefono, diversi visori, libri e riviste.
Digrignai i denti vedendo un numero del "Taunton's Weekly". Naturalmente il telefono funzionava a gettoni.
Tornai nel dormitorio. - Signor Pine - dissi al vecchio - potete prestarmi venti dollari di moneta? Devo fare una telefonata intercomunale.
- Quattro per cento di interessi? - si informò lui.
- D'accordo.
Mi fece firmare un foglietto, poi contò attentamente venti dollari in monete, pescandoli dalle sue tasche rigonfie.
Avrei voluto chiamare Kathy, ma non sapevo se era a casa o all'ospedale. Dopo aver infilato ad una ad una le monete nell'apposita fessura, composi il numero di quindici cifre che corrispondeva alla Società Fowler Schocken. Poi aspettai di sentire la voce della telefonista che avrebbe detto: "Qui Società Fowler Schocken. Buongiorno, signore. Per la Società Fowler Schocken e per i suoi clienti è sempre un buon giorno. In cosa posso esservi utile?".
Invece sentii una voce che disse in spagnolo: - Il vostro numero di precedenza, per favore?
Numero di precedenza per le telefonate intercomunali. Non ne avevo. Impossibile che un privato ne avesse uno. Una ditta deve pagare oltre un bilione di tasse prima di ottenere un numero di precedenza per le telefonate. Questo particolare non mi aveva mai preoccupato. Avevo sempre fatto telefonate fuori città con il numero di precedenza della Fowler Schocken.
Riappesi il ricevitore. L'apparecchio non restituì le monete.
Dovevo scrivere a qualcuno, pensai. Anzi, a tutti. A Kathy e a Jack O'Shea, a Fowler e a Collier, e a Hester, e a Tildy. Avrei scritto: "Cara moglie (o amico, o principale), ti scrivo per informarti che tuo marito (o amico, o dipendente) non è affatto morto come credi, ma inspiegabilmente si trova legato a un contratto di lavoro per le piantagioni di chlorella della Costa Rica. Per cortesia, vieni a tirarlo fuori di qui..."
Ma poi le lettere sarebbero passate fra le mani della censura della Corporazione.
Tornai barcollando nel Dormitorio.
Gli altri occupanti della camerata stavano rientrando. - Ehi, c'è un nuovo! - gridò un tale, vedendomi.
- Raduniamo il tribunale per giudicarlo! - gridò un altro.
Non me la presi con loro. Quello che accadde faceva parte di una tradizione, ed era un modo di interrompere la monotonia. Nel Dormitorio Sette avrei avuto una brutta esperienza, e lo stesso dicasi per il Dormitorio Dodici. Lì fu quasi normale amministrazione, e mi fece pensare agli scherzi che tanto tempo fa subivano le matricole a opera degli anziani. Alla fine venni consacrato membro del Dormitorio Dieci.
Però non andai a mangiare coi miei compagni. Rimasi là, sdraiato sulla cuccetta, ad augurarmi di morire come doveva essere morto tutto il resto del mondo tranne la piantagione di Costa Rica.

Capitolo VIII

Il lavoro dello scrematore non è difficile da imparare. Ci si alza all'alba, si butta giù per colazione un po' di pollo "Chicken", aiutandolo a star giù con una tazza di Caffeissimo, si indossa la tuta, e si salta sulla piattaforma per raggiungere il piano di lavoro. Dal levar del sole al tramonto, uno scrematore cammina lungo i suoi serbatoi incrostati di alghe. A camminare lentamente, ogni trenta secondi si incontra un'alga giunta a maturazione. Allora la si stacca, con l'apposito arnese, e la si fa scendere gentilmente nel pozzo inclinato che la porta sino al nuovo serbatoio pieno di una soluzione al glucosio, da dove l'alga passa a un altro reparto che provvede a farla diventare razione di "Chicken", prodotto che nutre le masse di quasi tutto il mondo. Una volta all'ora lo scrematore può bere, e ingoiare una compressa di sale. Ogni due ore può parlare per cinque minuti. Al tramonto va a mangiare una nuova razione di Chicken. Poi ci si può considerare liberi. Liberi di parlare, di leggere, di andare in trance davanti alle teleipnosi, di far compere allo spaccio, di diventar matti a forza di pensare a ciò che si poteva fare invece dello scrematore, e di andare a dormire.
Per lo più si va a dormire.
Io scrissi una montagna di lettere e cercai di dormire il più possibile. Passarono così due settimane senza che me ne accorgessi. Alla fine dei quindici giorni mi trovai debitore con la piantagione di otto dollari e alcuni centesimi. Scoprii però di aver regolarmente pagato la percentuale al "Fondo Integrazione Industriale" (il che significava che stavo pagando le tasse della Corporazione Piantagioni Chlorella), all'assistenza malattia, all'assicurazione per la vecchiaia, alla ricchezza mobile (questa era una tassa mia).
L'unica cosa che ancora riusciva a consolarmi, per quanto in forma molto larvata, era che nessuno di quanti lavoravano in pubblicità era mai stato tanto vicino alla massa dei consumatori come me. Mi ero anche reso conto che i rapporti dei propagandisti incaricati di sondare il pubblico non sempre rispecchiavano i veri sentimenti della gente. Imparai inoltre che gli annunci pubblicitari influiscono sull'animo del pubblico molto più a fondo di quanto avevamo creduto. Osservavo e ascoltavo i miei compagni, studiavo le loro reazioni ai comunicati commerciali, interessandomi maggiormente, com'era logico, ai risultati della campagna per Venere. Era entusiasmante vedere aumentare giorno per giorno l'interesse verso il nuovo pianeta in uomini consci che loro, su Venere, non ci sarebbero mai andati. Sentivo continuamente citare da quella gente gli slogan coniati per Venere dalla Fowler Schocken. Quelli che, notai, avevano maggior successo, erano gli slogan scientifici, particolarmente se affermavano i benefici effetti del pianeta sulla virilità dei terrestri. L'avevo sempre detto che la squadra di Ben Winston era una delle più in gamba di tutta la Fowler Schocken. L'idea infatti era stata di Winston. Per la razza umana il sesso è la molla che guida l'avanzata degli uomini. Ora, la cosa più importante, è incanalare nella giusta direzione la più vitale delle emozioni umane.
Non c'è dubbio che legare un messaggio a una delle più potenti e primitive sensazioni dell'animo umano rende di più che non un immediato successo di vendita. L'incremento dei consumatori è un fattore essenziale all'espansione della razza.
imparai che la Corporazione Piantagioni Chlorella prendeva estremamente a cuore il benessere dei lavoratori, da questo punto di vista. Al cinquantesimo piano c'era la Stanza per la Distensione. L'unica speculazione stava nella clausola di contratto secondo la quale i bambini nati nella piantagione appartenevano alla Corporazione se i loro genitori facevano ancora parte del personale quando i figli avevano raggiunto l'età di dieci anni.
Io però non trovai tempo per la Sala di Distensione. Dovevo studiare a fondo l'ambiente, nell'attesa che si presentasse un'occasione propizia. E se l'occasione non fosse arrivata, bisognava che la fabbricassi. Prima però dovevo osservare, studiare, imparare.
Poi accadde qualcosa di spiacevole.
Impiegai un giorno per accorgermene e una settimana per convincermi che era vero. Venere scomparve dai discorsi. Quando veniva nominata l'astronave per Venere, era" sempre in rapporto a discorsi precisi: avvelenamento da radiazioni, tasse, sacrifici. L'interesse della gente prendeva una piega pericolosa. Si diceva: "Hai sentito di quel povero diavolo morto nella sua tuta spaziale?".
Fowler Schocken poteva anche non accorgersi di quello che stava succedendo, e non avrebbe certo avuto alcun motivo per dubitare dei rapporti quotidiani sui progressi del Progetto Venere. Ma io conoscevo bene il mio progetto, e sapevo cos'era successo.
Matt Runstead gli aveva dato la sua impronta.

Herrera rappresentava l'aristocrazia del Dormitorio Dieci. Lavorava alla piantagione da dieci anni ed era salito di grado. Adesso occupava il posto di capo-razioni e lavorava nel grande magazzino sotterraneo dove venivano preparate le dosi di "Chicken". Il suo era un lavoro di responsabilità, dato che doveva controllare la crescita del Chicken che lievitava continuamente, e provvedere a che nemmeno la più piccola particella del prodotto si guastasse. Con la responsabilità era aumentata anche la paga, eppure Herrera non aveva ancora preso moglie e continuava a vivere nel Dormitorio. Spesso compiva viaggi che suscitavano commenti pesanti durante la sua assenza e davano spunto a educati discorsi quando lui era presente. Per abitudine Herrera non si separava mai dal suo arnese di lavoro, specie di grosso coltello a due lame, e spesso lo affilava con un apposito osso. Quell'uomo mi interessava. Dovevo fare amicizia con lui. Herrera aveva certo parecchio denaro, impossibile che non ne avesse, dopo dieci anni. E io avevo bisogno di denaro.
Non ci avevo messo molto a capire l'essenza di un contratto B. Chi firmava quel tipo di contratto era sempre in debito. La facilità con cui venivano concessi i crediti forzavano ad accettarli. Così, uno si indebitava di dieci dollari una settimana, e alla fine del contratto si trovava in debito di mille e cento dollari con la piantagione. Per pagare il debito doveva continuare a lavorare, e intanto si accumulava un nuovo debito.
Il denaro di Herrera mi serviva per andarmene dalla piantagione e tornare a New York, a Kathy, al Progetto Venere. Runstead stava combinando qualcosa che non mi piaceva, al mio progetto. E Dio solo sapeva che cosa stesse facendo Kathy, convinta di essere vedova. Cercavo di non pensare a Kathy e O'Shea contemporaneamente. Lui era un nano, ma era anche un uomo famoso e ricco. E Kathy gli piaceva, l'aveva detto lui.
I giorni passavano, io continuavo ad alzarmi all'alba, facevo colazione, poi: tuta, salto sull'elevatore, scrematura e spedizione delle alghe mature sotto una luce insostenibile, cena, ricreatorio, e quand'era possibile, quattro chiacchiere con Herrera.
- È tenuto bene, quel coltello, Gus. La gente si divide in due categorie, quelli che non si curano dei loro arnesi, e gli intelligenti.
Sguardo sospettoso da sotto le folte sopracciglia dell'azteco. - Ognuno fa come gli pare. Voi siete nuovo, vero?
- Già. Sono arrivato da poco. Credete che ci resterò?
- Dovete starci per forza. Avete firmato un contratto. - E se ne andò.
Domani è un altro giorno.
- Salve, Gus. Stanco?
- Salve George. Sì, un po'. Dieci ore a tagliare... alla fine sembra che si stacchi il braccio.
- Lo credo. Scremare invece è facile, ma non occorre cervello per fare quel lavoro.
- Be', magari un giorno o l'altro vi promuovono. Adesso voglio gustarmi un po' di teleipnosi.
E un altro giorno.
- Ehi, George, come va?
- Non posso lamentarmi, Gus. Almeno mi prendo una bella abbronzatura.
- Questo è certo. Fra poco sarete nero come me. Vi piacerebbe?
- Porqué, amigo.
- Ehi, ma voi parlate spagnolo? Cuando aprendiste la lengua?
- So dire solo qualche parola, Gus. Mi piacerebbe parlarlo meglio. Un giorno, quando avrò qualche dollaro da spendere, andrò in città a vedere le belle ragazze di qui.
- Se è per questo, le ragazze qui parlano tutte inglese. Certo che se dite qualcosa in spagnolo, le fate contente.
E un altro giorno ancora... Un giorno sorprendente...
Mi avevano pagato di nuovo, e il mio debito era aumentato di otto dollari. Era inutile che mi tormentassi col domandarmi dove andavano a finire i quattrini, lo sapevo benissimo. Uscivo dai serbatoi disidratato, come era previsto. Prendevo una razione d'acqua Popsie dal distributore, per soddisfare i miei tessuti, pagando l'acqua venticinque centesimi. Ma la razione non bastava, così ne prelevavo un'altra. Totale: mezzo dollaro. La cena era la solita, e io davo sì e no due morsi al mio Chicken. Poi naturalmente mi veniva fame, e allora andavo allo spaccio dove acquistavo a credito, in conto paga, dei biscotti Crunchies. I Crunchies mi procuravano dei sintomi che riuscivo a tacitare solo con altre due razioni di Popsie. E l'acqua Popsie mi procurava dei sintomi che solo una sigaretta Starr poteva domare. La Starr mi faceva venir voglia di altri Crunchies... Chissà se Fowler Schocken aveva previsto questi desideri a catena quando aveva organizzato la campagna per i prodotti Starrzelius.
Su tutti i prestiti poi pagavo un interesse del sei per cento.
Dovevo far presto. Se non ne uscivo alla svelta non ne sarei uscito più. Già sentivo gli effetti dell'innocuo alcaloide che lavorava sulle mie cellule. Inoltre c'era la certezza che le cose alla piantagione erano organizzate tanto bene da annullare qualsiasi sforzo per sottrarsi alle regole. E non volevo finire per ricorrere anch'io a quelle capsule verdi che vedevo circolare fra le mani degli altri.
Dovevo, dunque, far presto.
- Como estas, Gus?
Herrera sedette accanto a me, salutandomi con il suo solito sorriso. - Como estas, amigo? Una sigaretta? - E mi tese un pacchetto.
Erano sigarette Universal. - No, grazie - risposi automaticamente. - Io fumo le Starr, sono più gustose. - E automaticamente ne accesi una. Stavo diventando il tipo di consumatore che noi preferiamo. "Pensa di fumare, pensa alle Starr, accendi una Starr. Accesa una Starr pensa alla Popsie, prendine una razione. Bevuta la Popsie pensa ai Crunchies, comprane una scatola. Comprata la scatola pensa alle sigarette, accendi una Starr".
- Io fumo le Starr, sono più gustose - ripetei. - Io bevo Popsie, è più frizzante. Io mangio Crunchies, sono una carezza per il mio palato. Io fumo...
- Non sembri molto felice, George - mi disse Herrera.
- Io non sono felice, amigo - risposi, ed era vero. - Mi trovo in una strana situazione. - "Adesso aspetta che parli lui" pensai.
- Immaginavo che ci fosse sotto qualcosa! Un tipo in gamba come te, che ha girato il mondo... Forse ti serve aiuto?
Magnifico! Stupendo! - Non ci rimetterai niente, Gus! Ti assicuro che non ci rimetterai niente! È una lunga storia che...
- Ssst! Non qui. - E a voce più bassa proseguì: - Vale sempre la pena di correre un rischio per un tipo intelligente. So che un giorno o l'altro commetterò un errore di valutazione, e allora mi prenderanno, e forse mi faranno il lavaggio del cervello. Ma non me ne importa. Posso ridergli in faccia, perché ormai la mia parte l'ho fatta! Prendi questo. Non c'è bisogno che ti dica di essere prudente... - Mi strinse la mano e io sentii qualcosa aderire al palmo. Poi Herrera si alzò, andò davanti alla teleipnosi, regolò l'apparecchio su mezz'ora di trance e prese l'atteggiamento di tutti gli altri spettatori.
Io andai in bagno, feci altri venticinque centesimi di debito per godere dieci minuti di solitudine, e guardai cosa c'era attaccato al mio palmo. La striscia adesiva si aprì più volte finché diventò un grande foglio di carta sottilissima, sul quale lessi:

"Una vita dipende da voi" Siete entrato in contatto con l'Associazione Mondiale dei Conservatori, comunemente detti Indietristi. Questo foglio vi è stato dato da un membro dell'Associazione, il quale ritiene che siate: a) intelligente, b) scontento del presente stato di cose, c) potenzialmente adatto a entrare nei nostri ranghi. Adesso la sua vita dipende da voi. Vi chiediamo di leggere il seguito prima di prendere qualsiasi decisione.
"Che cos'è l'AMC" L'Associazione Mondiale dei Conservatori è un'organizzazione segreta, perseguitata da tutti i governi. Essa è convinta che l'eccessivo sfruttamento delle risorse naturali della Terra sia alla base dell'attuale miseria umana, ed è altresì convinta che continuando su questa strada sì arriverà alla fine della vita sul nostro pianeta. L'AMC crede che questa minaccia possa venire sventata se gli esseri umani torneranno a vivere come nei secoli passati, provvedendo al rimboschimento, a coltivare di nuovo la terra con i naturali prodotti del suolo, a decentrare le città sovrappopolate. Gli esseri umani vanno perciò rieducati, e noi lo facciamo con la propaganda, come stiamo facendo con voi, e con dimostrazioni di forza, e sabotaggi di fattorie dove non è rispettata la natura.
"Menzogne sull'AMC" Probabilmente avete sentito dire che gli Indietristi sono degli assassini, dei pazzi, degli incompetenti che uccidono e distruggono senza uno scopo o mossi dall'invidia. Non è vero. L'AMC annovera fra i suoi membri solo persone di alta umanità, perfettamente razionali, e tra loro molti sono assurti a fama mondiale. La diffamazione di cui l'AMC è oggetto è dovuta a elementi che intendono approfittare di quello sfruttamento della Terra a cui noi vogliamo invece porre un rimedio. Si tratta di criminali fanatici, che commettono le peggiori azioni servendosi del nostro nome sia per farsene uno scudo sia per malinteso idealismo. L'AMC dichiara di non aver niente in comune con essi, e di condannare con orrore la loro attività.
"E adesso, cosa farete?" Dipende tutto da voi. Potete: a) denunciare la persona che vi ha passato questo nostro manifesto, b) distruggere questo foglio e non pensarci più, c) tornare dalla persona che ha avuto fiducia in voi, e pretendere altre e più particolareggiate informazioni. Vi chiediamo ancora di pensarci bene prima di prendere una qualunque decisione.

Ci pensai, a lungo e profondamente. E pensai che quel pezzo di carta era: a) il peggior esempio di prosa propagandistica che avessi mai letto, b) una ammaestrata e distorta versione della realtà, c) un mezzo per liberarmi dalla Corporazione Piantagioni Chlorella e ritornare da Kathy.
Quelli dunque erano gli Indietristi! E io che cos'avrei fatto?
Potevo andare in amministrazione e puntare l'indice su Herrera. In questo modo avrei ottenuto, forse, un momento di celebrità; sarei riuscito, forse, a farmi ascoltare; e loro mi avrebbero, forse, creduto quel tanto sufficiente per spingerli a fare un controllo della mia personalità. Però mi sembrava di ricordare che quando uno denunciava un Indietrista veniva sottoposto al lavaggio del cervello perché poteva sempre darsi che, essendo rimasto esposto al loro virus, l'infezione si sarebbe rivelata in seguito, dopo la prima salutare reazione. Questo non mi piaceva. C'era un'altra soluzione, più rischiosa, ma meno eroica. Potevo assecondare gli Indietristi finché ero alla piantagione. Se la loro Associazione era veramente mondiale come essi affermavano, non vedevo perché non potessi arrivare fino a New York sotto la loro protezione. Poi mi sarei liberato.
Nemmeno per un attimo dubitai di non riuscire a districarmi.
La porta del bagno si spalancò di colpo: i miei dieci minuti erano scaduti. Buttai via il manifestino e tornai in ricreatorio. Herrera stava ancora davanti alla teleipnosi.
Aspettai circa venti minuti. Finalmente l'azteco si scosse, sbatté le palpebre e sì guardò attorno. Mi vide, ma la sua faccia restò impassibile. Io sorrisi e gli feci un cenno con la testa. Lui si alzò e mi venne accanto. - Tutto bene, compañero? - mi domandò.
- Tutto bene - risposi. - Quando vuoi, io sono pronto, Gus.
- Sarà presto - disse lui. - Sempre, dopo un fatto come il nostro, mi servo della teleipnosi. Non riuscirei ad aspettare i risultati... Un giorno o l'altro mi sveglierò dal trance circondato da poliziotti, temo. - Tolse di tasca il suo osso e prese ad affilare il coltello.
Guardai quel lavoro da un nuovo punto di vista. - È per i poliziotti, che lo tieni sempre affilato? - chiesi.
Parve stupito. - No - rispose. - Devi esserti fatto delle idee sbagliate - aggiunse. - Caso mai lo tengo affilato per me. Non voglio avere l'occasione di tradire.
Parole nobili anche per una causa come la sua. Provai un odio improvviso per i cervelli distorti che avevano ridotto in quello stato un buon consumatore come Gus. Era come averlo ucciso. Gus avrebbe potuto conquistarsi un posto nel mondo, comprando, lavorando, guadagnando, spendendo, aumentando le sue necessità, crescendo figli che sarebbero diventati a loro volta buoni consumatori. Mi irritava vederlo fermo in una missione sterile.
Decisi che avrei fatto qualcosa per lui appena fuori dei guai. Doveva esistere un sistema per recuperare gli Indietristi come Gus. Avrei chiesto se... No, sarebbe stato meglio non chiedere niente a nessuno. Mi pareva già di sentire le risposte: "Non dico che potrebbe essere una buona idea, Mitch, ma è solo un'idea...", "Niente da fare, Mitch, lo sanno tutti". Già. Una volta che uno è diventato Indietrista, lo resta per sempre.
Oh, al diavolo Herrera. Chiunque si metta in mente di capovolgere il mondo non ha diritto a compassione se viene scoperto.

Capitolo IX

I giorni passavano. Ogni tanto Herrera parlava qualche minuto con me, finché venne una sera in cui, nel ricreatorio, l'atzeco mi domandò: - Non hai mai visto il reparto dove si prepara il Chicken? - Risposi di no, e lui aggiunse: - Vieni giù allora. Posso farti entrare. È un posto da vedere.
Percorremmo una fila di corridoi e prendemmo l'ascensore in discesa. Io chiusi gli occhi. Venire giù da quelle altezze era impressionante. Passammo dal quarantesimo piano al piano-terra, e poi giù ancora.
- Salta - mi disse a un certo punto Gus. - Siamo arrivati. - Eravamo dieci livelli sotto terra. Saltai.
Il Reparto Meno Dieci trasudava acqua dalle pareti. Il soffitto era sorretto da immensi piloni. Intricate condutture attraversavano il corridoio nel quale ci addentrammo. - Lì dentro scorre la soluzione nutriente - mi spiegò Herrera.
Domandai di che cos'era fatto il soffitto. - Cemento e piombo - mi rispose. - Serve a schermare i raggi cosmici. - Poi aprì una porta. - Ecco dove nascono i polli Chicken - annunciò con orgoglio.
Io guardai e mi venne la nausea.
Eravamo in una immensa cupola quasi tutta riempita dal "pollo" di color grigio-bruno. Decine di condutture passavano in mezzo alla massa di "carne" pulsante. Quel "pollo" era vivo!
- Io passo la giornata qui - riprese Herrera. - Sorveglio continuamente la mia gallina, e quando una sua parte si gonfia rapidamente e si vede a occhio che è sana e tenera, taglio via il pezzo. I miei aiutanti si impadroniscono della porzione, la tagliano in pezzi più piccoli, e li sistemano sui nastri convettori. - Mi indicò una serie di aperture nella parete, dove sparivano dei nastri mobili.
- Di notte continua la crescita? - mi informai.
- No. Di notte l'afflusso della soluzione nutriente viene regolato al minimo. Ogni notte la mia gallina quasi muore, e ogni mattino rinasce a nuova vita, come Lazaro. - Col suo coltello diede un paio di colpetti affettuosi alla massa palpitante.
- Le vuoi bene! - esclamai, sbalordito.
- Certo - disse. - La mia gallina mi aiuta. - Si guardò attorno, compì tutto il giro della cupola sbirciando dentro ogni convettore, poi prese un bastone da uno dei tunnel e andò a metterlo contro la porta della cupola, inserendolo fra una scanalatura del pavimento e una sbarra che attraversava il battente. Così la porta era sprangata.
- Ti farò vedere un mio trucco - mi disse, sorridendo. Con un gesto da prestigiatore tolse di tasca una specie di fischietto che funzionava con una piccola pompa collegata a un minuscolo serbatoio d'aria. - Lo chiamano il fischietto di Galton, ma chi sia questo Galton non lo so. Guarda, e ascolta.
Azionò la pompa puntando il fischietto contro il "pollo". Non sentii alcun suono, ma rimasi di stucco vedendo formarsi una depressione semisferica nel protoplasma, in corrispondenza di una conduttura.
- Non ti spaventare - disse Herrera. Premette più forte sulla pompa, e contemporaneamente mi passò una torcia elettrica che io automaticamente accesi. Herrera continuò a dirigere il fischio silenzioso contro il "pollo", e la massa reagì aprendo in sé una cavità sempre più grande, finché si formò una specie di corridoio a volta il cui pavimento coincideva con quello del locale. Herrera penetrò nel passaggio dicendo: - Seguimi. - Lo seguii con il cuore che mi batteva in gola dalla paura. Lui proseguì sempre azionando il suo fischietto, e il passaggio diventò una cupola mentre alle nostre spalle l'apertura da cui eravamo entrati si restringeva sempre più.
Adesso eravamo al centro di una grotta dalle pareti pulsanti, circondati da cento tonnellate di carne grigio-bruno. - Fai luce sul pavimento, amigo - disse Herrera, e io rivolsi la torcia in basso.
Sul cemento c'erano dei segni, ed Herrera li seguì. Proseguimmo, e io mi domandai che cosa sarebbe successo se il fischio di Galton si fosse guastato.
Dopo aver percorso lentamente circa duecento metri, il raggio della torcia illuminò una piastra metallica a forma di mezza luna. Herrera vi diresse il suo aggeggio, e la piastra prese la forma di un disco. Senza smettere di premere sulla pompa, l'azteco batté tre volte sul piatto metallico, che si spalancò come una botola. - Vai avanti tu - disse Herrera. Mi lasciai cadere giù senza preoccuparmi se sarei finito sul duro o sul morbido. Approdai su qualcosa di soffice e rimasi là, tremante. Un attimo dopo, Herrera cadde accanto a me, e la botola sopra le nostre teste si richiuse. Il mio compagno si rialzò massaggiandosi un braccio. - Una bella fatica! - commentò. - Io continuo a pompare questo coso, e non sento niente. Una volta o l'altra si stancherà di funzionare e io me ne accorgerò solo quando... - si interruppe con una smorfia. Poi sorrise e disse: - George Groby, ti presento Ronnie Bowen e Arturo Denzer.
Bowen era un consumatore dall'aria tranquilla, vestito come un impiegato. Denzer era molto giovane, e nervoso.

Mi trovavo in un piccolo ufficio tutto in cemento, bene illuminato e fornito di generatori d'aria. Oltre le scrivanie vidi un'apparecchiatura radiotelefonica. Incredibile che l'unico modo per arrivare lì fosse quello di aprirsi la strada nella montagna di protoplasma accumulata sopra di noi. Del resto era ancora più difficile credere che una emissione sorda di suoni ad alta frequenza potesse convincere una insensata cultura idroponica ad aprirsi per lasciar passare della gente.
- Felice di avervi con noi, signor Groby - disse Bowen. - Herrera ci ha detto che siete in gamba. Qui non diamo molta importanza ai precedenti, però abbiamo bisogno lo stesso dei vostri dati.
Gli fornii tutte le informazioni relative a Groby, e gli vidi torcere la bocca quando comunicai il "mio" basso livello, d'istruzione.
- Non mi pare che vi esprimiate come un individuo così poco istruito - commentò Bowen.
- Sapete com'è - dissi. - I tipi del mio stampo si danno un gran da fare a leggere e ascoltare il più possibile per vedere di migliorarsi. Non è facile la vita per chi è il terzo di cinque figli. Significa non essere abbastanza anziano per pretendere rispetto e non abbastanza giovane per aver diritto alle preferenze della famiglia...
Accettò per buona la mia spiegazione. - Sentiamo adesso cosa pensate di poter fare per noi - disse.
- Be'... Credo che potrei migliorare il vostro manifesto.
- Capisco. E d'altro?
- Ecco, mi posso occupare della vostra propaganda. Si potrebbero far circolare notizie e voci senza che il pubblico sappia che vengono dagli In... da noi. Notizie e voci naturalmente studiate apposta per svegliare l'opinione pubblica e far sì che nasca uno scontento generale.
- Mi sembra un'idea interessante. Datemene un esempio.
Il mio cervello entrò in azione. - Ecco, si può spargere la voce che è stata trovata una nuova proteina. Poi si dice che il suo sapore è identico a quello del roast-beef e che costerà tre dollari al chilo, infine si fa circolare la notizia che l'annuncio ufficiale sarà fatto entro tre giorni. Passati i tre giorni senza che, logicamente, sia avvenuto nessun annuncio, si comincia a spargere in giro qualche battuta, di questo genere: "Che differenza c'è fra il roast-beef e il pollo Chicken?". Risposta: "Cento cinquant'anni di progresso". Così la gente che aspettava l'arrivo del roast-beef, delusa, comincia a pensare con rimpianto al passato.
Una piccola trovata che non mi era costata nessuna fatica.
Bowen aveva scritto tutto quel che avevo detto con una silenziosa macchina. - Bene - disse. - Molto ingegnoso, Groby. Lo metteremo in pratica. Ma perché avete parlato proprio di tre giorni?
Non potevo spiegargli che il periodo di tre giorni era statisticamente il più adatto a ottenere i migliori risultati da una pubblicità verbale. Quindi, con aria impacciata, gli dissi: - Mi è sembrato giusto così.
- Bene. Adotteremo anche i tre giorni. Adesso, Groby, dovrete seguire certi studi. Abbiamo i testi classici del Conservatorismo, e dovrete leggerli. Ci sono poi alcune speciali pubblicazioni molto interessanti, e vi chiediamo di prenderne visione. Sono: "Diario del volo spaziale", "Biometrica", "Bollettino dell'Agricoltura", e altri. Se incontrerete qualche difficoltà, com'è naturale, chiedete pure spiegazioni. Poi potrete scegliere l'argomento che vi attira maggiormente, e specializzarvi in quello. Un conservatore ben preparato è un conservatore che vale.
- Come mai avete fra i vostri testi il "Diario del volo spaziale"? - domandai, aspettando con ansia la risposta. Mi sembrava di essere sul punto di sciogliere l'enigma del comportamento di Runstead, il mio rapimento, il ritardo del progetto Venere. Poteva essere stata tutta una mossa degli Indietristi. I loro cervelli illogici e miserabili forse avevano deciso che i viaggi nello spazio fossero un ostacolo alla sopravvivenza della razza, o altro.
- Lo consideriamo molto importante - rispose Bowen. - Dovrete cercare di imparare il più possibile a questo riguardo.
- Volete dire che il movimento è contrario ai voli nello spazio?
- Assolutamente no, Groby! - esclamò Bowen. - Santo cielo, provate un po' a pensare che cosa significa Venere per noi! Un pianeta ancora vergine, sano come vogliamo noi, con suolo naturale che può produrre buon cibo! Usate il cervello, giovanotto!
- Ah - dissi. Il nodo gordiano non si era affatto sciolto.
Mi immersi nella lettura dell'opuscolo "Biometrica", e ogni tanto chiesi spiegazioni di cui non avevo affatto bisogno. La biometrica era l'ABC di un pubblicitario. La materia tratta la storia dei mutamenti nelle popolazioni. Cambia il quoziente d'intelligenza, cambiano i dati sulla mortalità, cambiano le cause della morte, eccetera. E ogni cambiamento che andava bene per la pubblicità, andava bene anche per gli Indietristi in quanto sosteneva apparentemente le loro ideologie. L'aumento della popolazione era, ad esempio, un argomento molto apprezzato dai pubblicitari, perché più gente significa aumento nelle vendite. Anche un quoziente più basso di intelligenza significa aumento nelle vendite. Naturalmente quei fanatici Indietristi ne traevano auspici diversi, ma io non intendevo mettermi a discutere.
Dopo un po' passai al "Diario del volo spaziale". Lì le notizie erano cattive, per me. Tutte cattive. Il giornale parlava di apatia nel pubblico, di sorda resistenza alle restrizioni imposte per la realizzazione dell'astronave per Venere, al disfattismo che circondava l'idea di una colonia su quel pianeta.
Maledetto Runstead!
Ma la notizia peggiore la vidi sulla copertina dell'ultimo numero della pubblicazione. La didascalia diceva: "Jack O'Shea sorride alla sua bella compagna che lo bacia per congratularsi con lui del conferimento di una medaglia da parte del Presidente". La bella compagna era mia moglie Kathy.

Lavorai per la squadra indietrista alla quale mi ero unito. In tre giorni riuscii a suscitare un bel malcontento generale.
Tempo una settimana, e i consumatori brontolavano frasi di questo genere: "Vorrei essere nato cent'anni fa!". "Vorrei che questo maledetto dormitorio non fosse così affollato!". "Vorrei avere un pezzo di terra da qualche parte e poter lavorare per me stesso!".
I miei nuovi compagni di fede erano felici dei risultati. Avevo fatto più io in una settimana di tutti loro in un anno. Un giorno Bowen mi disse: - Avevamo proprio bisogno di un cervello come il vostro Groby! Vi prometto che non passerete la vita a fare lo scrematore. Uno dei prossimi giorni l'assistente ai lavori vi chiederà se avete cognizioni di chimica applicata. Ditegli di sì, poi ci penserò io a farvi un rapido corso di aggiornamento spiegandovi tutto il necessario. Non dovrete più cuocervi al sole.
La promozione arrivò dopo una settimana, quando la gente diceva: "Deve essere bello passeggiare in una foresta", "Riesci a immaginare le distese di alberi che c'erano una volta?", "Maledetta quest'acqua salata che rovina la faccia!". Nessuno aveva mai pensato che la faccia si rovinava con l'acqua salata.
L'assistente ai lavori venne su al mio livello, e mi domandò: - Groby, te ne intendi di chimica applicata?
- Strano che me lo chiediate - risposi. - Ho studiato un po' quella materia. Mi intendo di temperature di adattamento, e conosco le reazioni zolfo-fosforo-carbonio-ossigeno-idrogeno-nitrogeno...
Evidentemente queste quattro parole erano più di quanto ne sapesse lui sull'argomento. Disse: - Ah, sì - e se ne andò, chiaramente impressionato della mia competenza.
In capo a un'altra settimana circolava una strofetta spinta che avevo coniato sui prodotti Starrzelius, e io venivo trasferito a lavorare all'interno del pilone, per sole otto ore al giorno, con l'incarico di controllare gli strumenti che regolavano l'afflusso della soluzione nutriente ai serbatoi di chlorella. Un lavoro molto più leggero e facile. La maggior parte del tempo però lo passavo sotto il "pollo". Avevo imparato ad attraversare quella montagna nauseante con l'aiuto di un fischietto Galton senza tremare troppo. Stavo riscrivendo il messaggio indietrista.
Bowen era esultante. - Siete un pubblicitario nato, Groby - mi disse in tono solenne. - In un'America Conservatrice sareste un prima classe. - Presi un'espressione modesta. Lui proseguì: - Vi affiderò un incarico più importante, perché non è giusto sacrificare il vostro talento in una semplice squadra. Inoltrerò un rapporto su di voi - aggiunse, indicando l'apparecchiatura radio - e come risultato vi porteranno via a noi. Ma non mi lamenterò, per quanto mi dispiaccia vedervi andar via. Comunque ho già fatto qualcosa per voi. Qui c'è il manuale per gli affari della Chlorella...
Il mio cuore fece un balzo. Sapevo che la Corporazione trattava affari con parecchi clienti di New York City.
- Grazie - mormorai. - La mia aspirazione è di servire la causa come meglio posso.
- So che lo farete, Groby - esclamò lui con enfasi. - A proposito, volevo dirvi... sono in pochi a saperlo, ma anch'io di tanto in tanto scrivo qualcosa. Devo avere qui qualche mio lavoro... credo che si chiamino "sketches"... Mi farebbe molto piacere che deste un'occhiata a queste mie cosette...
Finalmente me ne venni via con il manuale e solo una quindicina di sketches scritti da Bowen. Erano miseri tentativi di prosa inadatti a vendere qualunque cosa. Bowen mi aveva assicurato di averne pronti molti altri sui quali lui e io avremmo potuto lavorare.
Mi costava caro quel manuale.
Girare manopole mi faceva sentire più vivo alla fine di una giornata che non lo scremare alghe. Inoltre Bowen mi lasciò molto tempo libero dal lavoro di Indietrista, in modo che potessi dedicarmi alle sue opere. Il risultato fu che riuscii, per la prima volta, a vedere un po' del posto in cui mi trovavo. Una volta Herrera mi portò con sé in città, così scoprii che cosa faceva l'azteco durante i suoi viaggi. Ne rimasi colpito, ma non disgustato. Se non altro l'esperienza mi ricordò che l'abisso tra un dirigente e un consumatore poteva essere colmato solo da quella cosa astratta e impalpabile che si chiama amicizia.
Per prima cosa ci fermammo a mangiare in un ristorante di Costa Rica. Herrera insistette per pagare lui, e fu brillantissimo a tavola, un autentico ventilatore bilingue fra me e i camerieri. Poi uscimmo dal ristorante e andammo in una... biblioteca.
Sentii su di me lo sguardo di Herrera, e cercai di non dimostrare i miei sentimenti. Restammo là dentro per oltre un'ora, lui a divorare un enorme volume che mi pare portasse il titolo "Moby Dick", e io a sfogliare vecchie riviste. I libri mi paralizzavano. L'idea di tutte quelle pagine senza annunci pubblicitari mi dava le vertigini. Non sono contrario agli svaghi solitari quando hanno uno scopo, ma la mia tolleranza ha dei limiti.
Probabilmente Herrera capì che mentivo quando gli dissi di avere mal di testa. Molto più tardi lui entrò nel dormitorio, ma io mi voltai dall'altra parte. Dopo questo episodio ci parlammo raramente. Passò una settimana, poi venni chiamato dall'amministrazione. Il capo del Personale mi ricevette dopo avermi fatto aspettare un'ora. - Siete Groby? - mi domandò.
- Sì, signor Milo.
- Vedo che le vostre note caratteristiche sono notevoli - riprese lui. - Molto notevoli. La vostra efficienza supera ogni aspettativa.
Quello era lavoro di Bowen. Li preparava lui i rapporti. Aveva impiegato cinque anni per conquistare il suo posto.
- Grazie, signor Milo - dissi.
- Un riconoscimento che vi è dovuto. Noi... ecco, si tratta di questo. Abbiamo un incarico scoperto. Uno dei nostri uomini, su al nord, non rende bene.
Non lui. Quello era il parere che di lui dava un pezzo di carta accuratamente riempito da Bowen. Cominciai ad apprezzare l'enorme potere degli Indietristi.
- Non vi sentireste per caso portato agli affari, Groby?
- Strano che me lo domandiate, signor Milo - risposi. - È una cosa che mi ha sempre attirato. Penso di essere abbastanza tagliato per gli affari.
Mi guardò scettico. La mia era stata una risposta troppo comune. Allora cominciò a bersagliarmi di domande, e io gli spiattellai rispettosamente le risposte pescate nel manuale della Corporazione Piantatori Chlorella. Il signor Milo aveva imparato a memoria quelle risposte vent'anni prima, io solo una settimana prima. Non c'era neanche gusto! Dopo un'ora il signor Milo si sentì pienamente convinto che George Groby era l'unica speranza per la Corporazione, e che non bisognava lasciarmi scappare.
Quella sera informai la squadra.
- Andrete a New York - commentò Bowen. - È certo, ormai. - Io non riuscii a trattenere un gran sospiro di soddisfazione. "Kathy!" pensai. - Adesso devo mettervi al corrente di alcune cose - proseguì Bowen. - Prima di tutto i segni di riconoscimento.
Imparai tutti i segni di riconoscimento. Per brevi distanze c'era un segno a mano. Per distanze medie il segno era vocale. Per grandi distanze era stato studiato un annuncio commerciale in codice, niente male, fra l'altro. Il codice dovetti impararlo a memoria. Ci volle un paio d'ore. Mentre ripassavamo in mezzo al "pollo" mi venne in mente che da un giorno non vedevo Herrera. Domandai sue notizie.
- Ha ceduto - disse semplicemente Bowen.
Anche quello era linguaggio in codice indietrista. "Il Tal dei Tali ha ceduto". E voleva dire: "Il Tal dei Tali si è votato per anni alla causa dell'AMC. Ha rinunciato per noi a tutti i piaceri che la vita poteva offrirgli, non si è sposato per non farci correre dei rischi in più. Poi ha cominciato a nutrire dubbi che non ha voluto confessare né a noi né a se stesso. I dubbi e la paura sono andati sempre aumentando. E alla fine non ce l'ha fatta più ed è morto.
- Herrera ha ceduto - ripetei, istupidito.
- Non vi tormentate per questo - disse Bowen. - Adesso voi dovete andare al nord. Dovrete lavorare.
Sì, dovevo lavorare.

Capitolo X

Arrivai a New York quasi come una persona rispettabile, con un abito da impiegato, e a bordo di un aereo da turismo, di terza classe. Sopra di me i rispettabili consumatori di Costa Rica lanciavano esclamazioni di stupore allo spettacolo che potevano ammirare dai finestrini prismatici, o contavano preoccupati i loro soldi chiedendosi quanto avrebbero potuto permettersi di comperare nel colosso nordico.
Giù nella stiva noi non avevamo finestrini, però c'era la luce, e le macchine a gettone. Un sorvegliante dalla piantagione ci fece un discorsetto prima dell'atterraggio. - Fra poco sarete a New York - ci disse - fuori della giurisdizione di Costa Rica. Inizierete un lavoro migliore, ma non dimenticate che siete qui per lavorare, e che siete legati alla Chlorella. Nel caso qualcuno di voi pensasse di poter rompere il suo contratto, si accorgerà di quanto arriva lontano la legge sull'estradizione per scorrettezza commerciale. Se qualche altro invece avesse intenzione di scomparire, vi avverto che la Corporazione paga ogni anno sette miliardi all'Agenzia Investigativa Burns. Tutto chiaro? - Era tutto chiarissimo. - Bene, allora. Preparatevi a sbarcare, e buona fortuna. E salutatemi Broadway.
Atterrammo senza incidenti. Aspettammo nella stiva che consumatori e turisti sbarcassero con i loro bagagli. Poi aspettammo che l'Ispettore dei Generi Commestibili avesse finito di urlare con il nostro cameriere di bordo per alcune razioni di cui non tornava il conto. Durante il viaggio quattro di noi erano morti, e il cameriere aveva pensato bene di cedere al mercato nero le loro razioni di Chicken. E poi aspettammo ancora.
Finalmente ci venne dato l'ordine di sbarco. Ci mettemmo in fila e un incaricato provvide e stamparci sul polso il nostro permesso d'entrata. Dopo di che, a gruppi, ci avviarono alla metropolitana diretta in città. Fui fortunato. Il mio gruppo capitò in un carro-merci. Alla Divisione Lavoro ci separarono secondo le varie destinazioni. Ci fu un momento di paura collettiva quando scoprimmo che venti di noi erano stati ceduti dalla Chlorella alla I. G. Farben. Nessuno ci teneva a lavorare nelle miniere di uranio. Io comunque non mi preoccupai. L'uomo accanto a me osservò cupo le guardie che allineavano i venti sfortunati e li dirottavano altrove. - Ci trattano come schiavi - commentò. - Questo è un vero delitto, non ti pare? È una violazione della dignità del lavoro!
Lo guardai severamente. Quello era un indietrista, non c'era da sbagliare. Poi mi ricordai che anch'io ero un Indietrista.
Mi domandai se fosse il caso di usare il segno di riconoscimento, ma decisi che non era prudente. Se avessi avuto bisogno di quell'uomo me ne sarei ricordato. Ma se io mi rivelavo adesso, poteva darsi che in seguito fosse lui a ricordarsi di me per chiedermi aiuto.
Ci avviammo al deposito della Chlorella, nel quartiere periferico di Nyack.
Assolutamente vietato qualsiasi spreco. Sotto New York, come sotto ogni città, in qualsiasi parte del mondo, passa una rete di condutture che approdano a bacini di raccolta collegati con altri condotti. Come ogni altro cittadino, anch'io sapevo che i rifiuti organici di ventitré milioni di persone scorrono nei condotti sotterranei, sapevo che i sali e gli acidi venivano neutralizzati da reazioni chimiche e bombardamento di ioni, che il liquido così depurato veniva immesso in tubazioni che lo convogliavano verso le fabbriche di Long Island Sound, mentre il resto era pompato in serbatoi e destinato alle piantagioni della Chlorella. Io sapevo tutto questo, ma non l'avevo mai "sentito".
Il mio nuovo titolo era Procuratore Acquisti, Classe 9. Il mio lavoro consisteva nell'accoppiare i cavi flessibili entro i quali scorrevano i rifiuti. Dopo il primo giorno di lavoro spesi la paga di una settimana per comprare un tappa-naso. Non riusciva a filtrare tutta la puzza, ma rendeva possibile viverci in mezzo.
Al terzo giorno finì il mio primo turno, e andai alle docce. Avevo già fatto un piano d'azione. Dopo sei ore passate nelle condutture, dove non esistevano macchine distributrici per il semplice motivo che nessuno sarebbe mai riuscito a mangiare, bere, o fumare, in quell'atmosfera, la folla di lavoratori si avvicendava ai distributori di Popsie, Chrunchies e Starr per almeno una mezz'ora prima che qualcuno pensasse alla doccia. Io volevo godermi una doccia tutta per me.
Però quando arrivai c'era già un altro. Pazienza. In due quasi non ci si toccava. Lui mi tese il sapone. Mi insaponai e mi feci scorrere sul corpo il getto d'acqua rigenerata ignorando quasi la presenza dell'altro. Ma quando gli restituii il sapone porgendoglielo da dietro la schiena sentii che mi premeva il polso con un dito, il medio, mentre con l'indice mi circondava il pollice.
- Ohi - dissi come uno stupido, ricambiando il segno. - Anche voi siete un...
- Ssst! - impose lui, indicando con un gesto nervoso il microfono-spia che pendeva dal soffitto. Poi mi voltò le spalle e riprese a insaponarsi meticolosamente.
Quando mi ridiede il sapone c'era attaccato un pezzo di carta. Mi chiusi nello spogliatoio, strizzai il foglietto, lo lisciai e lessi: «Questa sera dopo mezzanotte, al Museo d'Arte, sala opere classiche. Mettetevi davanti a "Forma di ragazza" esattamente cinque minuti prima della chiusura.»
Appena vestito mi misi in fila davanti al tavolo del controllore. In meno di mezz'ora ottenni il permesso che mi autorizzava a dormire fuori per quella notte. Andai a prendere i miei effetti personali, avvertii l'uomo che mi sostituiva che quello della cuccetta superiore parlava nel sonno, e presi uno scivolo per Bronxville. Da lì raggiunsi una delle stazioni locali, presi un convoglio per la parte sud della città e giunsi davanti alla torre Schocken. Mi parve che nessuno mi avesse seguito. Non che lo temessi in modo particolare, ma non mi piacciono i rischi inutili.
Il mio appuntamento indietrista era fra quattro ore. Gironzolai lì attorno finché un poliziotto, attirato dai miei abiti, venne verso di me. Avevo sperato di vedere Hester, o magari lo stesso Fowler Schocken. Ma non fui fortunato. Vidi sì parecchie facce conosciute, ma nessuno di cui mi potessi veramente fidare. Finché non avessi scoperto cosa c'era dietro la storia del ghiaccio Starrzelius preferivo non far sapere a tutti che ero ancora vivo.
- Vuoi per caso fare affari con la Schocken, vagabondo? - disse l'uomo dell'Agenzia Pinkerton. - Hai un po' di denaro da portare alla Ditta, forse?
- Scusatemi - dissi. - Sono arrivato con qualche minuto di anticipo e non volevo... - Entrai nel palazzo. Lui non mi seguì nell'atrio pieno di gente, dove un gruppo di consumatori stava guardando un film d'amore presentato dalla "Senza-Guai" e altri ritiravano i loro omaggi di Caffeissimo. Mi avviai agli ascensori di servizio. - Ottantottesimo - dissi all'operatore, e immediatamente mi resi conto del mio sbaglio.
La voce dell'operatore mi arrivò aspra attraverso l'altoparlante. - Gli ascensori di servizio arrivano solo fino al settantesimo. Cosa siete venuto a fare?
- Sono un fattorino - mentii, vergognandomi. - Devo ritirare un pacchetto dall'ufficio del signor Schocken. Gliel'ho detto che non avrebbero lasciato entrare nel suo ufficio un tipo come me, e che probabilmente lui ha attorno almeno una ventina di segretarie dalle quali dovrei passare prima di essere ammesso alla sua presenza. Ho detto che...
- Per il ritiro e la consegna dei pacchi, quarantacinquesimo piano - riprese l'operatore, appena un po' meno aspramente. - Mettetevi davanti alla porta della cabina, in modo che possa vedervi.
Mi spostai per entrare nel raggio d'azione dell'occhio-spia. Avrei voluto evitarlo, ma non era possibile. Mi parve di sentire un suono provenire dalla griglia dell'altoparlante, però non ne ero sicuro. Non ero mai stato nella sala degli operatori, situata a circa trecento metri sotto di me. In quel locale gli addetti agli ascensori premevano i pulsanti che mandavano le varie cabine su e giù per i numerosi pozzi. Adesso avrei dato un anno di paga per poter guardare là dentro.
Per circa mezzo minuto rimasi fermo davanti alla porta della cabina. Poi risentii la voce dell'operatore. - Va bene. Risalite pure. Quarantacinquesimo piano, prima rampa a sinistra.
Gli altri occupanti della cabina mi fissarono con lo sguardo reso apatico dall'alcaloide del Caffeissimo finché non smontai. Girai a sinistra, oltrepassai la porta con la targa "Ritiro-Consegna Posta" e proseguii fin dove il corridoio tornava su se stesso. Impiegai un po' di tempo per trovare le scale, ma alla fine ci riuscii.
Mai provato a salire a piedi quarantatre piani?

Verso le ultime rampe le cose incominciarono ad andar male. E non solo perché mi sentivo indolenzito dalla punta dei piedi alla cima dei capelli, o perché stavo sprecando in quella scalata un sacco di tempo prezioso, o cose del genere. Il fatto è che si avvicinavano le dieci, e i consumatori che vivevano lì dentro cominciavano a sistemarsi per la notte. Io cercai di stare il più attento possibile, ma per poco non ci fu una vera battaglia a suon di pugni, al settantaquattresimo piano, perché il tipo che si era accaparrato il terzo scalino risultò avere le gambe più lunghe di quanto avessi immaginato.
Fortunatamente non c'era nessuno sui gradini oltre il settantottesimo piano. Quello era dominio dei dirigenti.
Imboccai un corridoio, consapevole che se avessi incontrato qualcuno sarei stato subito riconosciuto o buttato fuori. Fortunatamente incontrai soltanto piccoli impiegati. Mi stava andando bene.
Ma non benissimo. Infatti l'ufficio di Fowler Schocken era chiuso a chiave.
Mi infilai nell'ufficio della sua segretaria. Nessuno. Sapevo che di solito Fowler andava a fare un paio di tiri al campo di golf del Circolo locale. Era un po' tardi quella sera, ma potevo ancora trovarlo. Il Circolo era solo quattro piani più in alto. Nel Circolo c'è un campo da golf, un campo da tennis, e una palestra. All'altra estremità della stanza, poi, c'è un vero bosco fatto con una decina di alberi finti tra i quali ci sono almeno venti cabine per chi vuol leggere, o guardare un film, o dedicarsi ad altri divertimenti.
Due persone stavano giocando a golf. Mi avvicinai cercando di non disturbarli. Erano entrambi intenti a manovrare i loro giocatori, regolando manopole e leve per ottenere una buca, e non li avevo mai visti.
Prima di uscire esitai un attimo domandandomi quale sarebbe stato il mio prossimo passo. Fowler comunque non era in vista, lì al Circolo. Poteva anche darsi che fosse in una delle cabine, ma certo non potevo andare ad aprire tutte le porte per controllare.
Dal campo di golf mi arrivò un brano di conversazione, e io mi voltai a guardare. I giocatori erano cambiati e una ragazza, ricevuti i complimenti per una bella buca, si chinò in avanti per spostare la leva e far tornare indietro il pupazzo che aveva segnato il punto. La guardai. Era Hester, la mia segretaria.
Non riuscivo a capire come mai Hester frequentasse il Circolo, però la conoscevo abbastanza per sapere che potevo fidarmi di lei. E per conoscere le sue abitudini. Andai a mettermi in una rientranza della parete vicino alla toilette destinata alle signore, e dopo un'attesa di soli dieci minuti, lei arrivò.
Quando mi vide svenne. Io bestemmiai, e la portai a braccia in un salottino. Nel salottino c'era un divano. Vi sdraiai la ragazza. Poi, dato che c'era una porta, la chiusi. Poco dopo Hester riprese conoscenza, e mi fissò sbattendo le palpebre, - Mitch! - disse, a metà fra il mormorio e lo strillo.
- Non sono morto - la rassicurai. - Il morto era un altro. Devono aver sbagliato cadavere. Non so chi è stato a combinare tutto, ma non sono morto. Credetemi, Hester, sono proprio Mitchell Courtenay, il vostro capo. Posso dimostrarvelo. Ad esempio, vi ricordate la festa per il Natale dell'anno scorso, quando voi eravate preoccupata perché...
- Non dite altro - mi interruppe. - Dio mio, Mitch... Volevo dire, signor Courtenay...
- Mitch va benissimo - le dissi. Le lasciai andare le mani che stavo massaggiando e lei si drizzò un poco per guardarmi meglio. - Sentite, Hester - ripresi - sono vivo, ma mi trovo in una situazione molto particolare. Devo mettermi in contatto con Fowler Schocken. Potete organizzarmi voi un incontro al più presto?
- Oh, Mitch - disse lei. - Il signor Schocken è sulla Luna. C'è andato in grande segreto, ma credo che a voi ne posso parlare. Il suo viaggio ha a che fare con il Progetto Venere. Dopo che siete stato ucciso... cioè... capite cosa voglio dire... Dopo quel fatto lui ha messo Runstead al vostro posto. Ma poi le cose sono cominciate a non andare troppo bene e il signor Schocken ha deciso di occuparsene personalmente. Io gli ho dato tutti i vostri appunti. Uno di questi accennava alla Luna, mi pare. Il fatto è che due giorni fa il signor Schocken è partito.
- Accidenti! - imprecai. - A chi ha dato l'incarico di sostituirlo durante la sua assenza? Ad Harvey Bruner? Potete dire a lui...
Hester scosse la testa. - Non è il signor Bruner che lo sostituisce, Mitch, ma il signor Runstead. Il signor Schocken è partito talmente in fretta che al momento l'unico che lo potesse rappresentare era Runstead. Ma posso dire a lui...
- No! - esclamai. Poi guardai l'orologio. Avevo appena il tempo per andare all'appuntamento indietrista. - Sentite - dissi - adesso devo lasciarvi. Non dite niente a nessuno, per favore. Penserò a cosa conviene fare, e poi vi telefonerò. Vediamo... dirò che sono... come si chiama il medico di vostra madre... ah, sì, il dottor Galant. Farò in modo di incontrarmi con voi e ci accorderemo sul da farsi. Posso contare su di voi, Hester?
- Certo, Mitch - mi rispose, con un filo di voce.
- Benissimo - approvai. - Adesso dovete mettermi su un ascensore. Non ho il tempo di scendere a piedi e sarebbero guai se un tipo col mio aspetto tentasse di salire in una cabina dal piano del Circolo. - Mi interruppi di colpo e la fissai. - A proposito - aggiunsi - che cosa ci fate voi, qui?
Hester arrossì. - Oh, sapete com'è - disse, a disagio. - Quando voi ve ne siete andato, nella Società non c'erano posti disponibili per una segretaria. Gli altri dirigenti avevano già la loro ragazza, e io non potevo tornare a fare la consumatrice! Allora ho dovuto accettare un'offerta qui...
- Capisco - dissi, sperando che la mia faccia non dimostrasse quel che provavo. Dentro di me maledissi Runstead. Pensavo alla madre di Hester, e al giovanotto che forse lei aveva sperato di sposare un giorno, e all'ingiustizia che permetteva a un Runstead di ridurre un dirigente, io, e una sua collaboratrice, Hester, al livello di consumatori e peggio.
- Non vi preoccupate, Hester - le dissi con dolcezza.
- Vi devo qualcosa per l'aiuto che mi date, e non ci sarà bisogno che me lo ricordiate. Sistemerò ogni cosa io. - Sapevo già come avrei fatto. Entro l'anno non avrei avuto la cifra necessaria alla penale per rottura di contratto di una ragazza da Circolo, ma conoscevo tanti dirigenti, e una mia raccomandazione avrebbe ottenuto lo scopo.
Non sono tenero, come uomo d'affari, ma come vedete, quando si tratta di relazioni personali divento un cuore d'oro.

Hester insistette per prestarmi un po' di denaro, potei così risparmiare altro tempo arrivando al Museo in tassì. Per quanto avessi pagato l'autista in anticipo, lui non esitò a fare un commento salato sul tono di vita di certi consumatori. Se non avessi avuto cose più importanti a cui pensare, gli avrei dato la lezione che si meritava.
Il Museo non mi aveva mai entusiasmato, più che altro perché è Taunton a farne la pubblicità. Però devo ammettere che l'atmosfera di quel posto pieno di opere d'arte mi infonde un senso di pace e di riverenza. Ero arrivato con qualche minuto di anticipo, e sostai un poco in silenzio davanti al busto di G. Washington. Mi fece bene. Dopo mi sentii molto più calmo.
Cinque minuti prima di mezzanotte ero di fronte alla grande opera dell'ultimo periodo, "Forma di ragazza", numero trentacinque del catalogo, che portava questa dicitura: "Ho sognato di pattinare sul ghiaccio nel mio busto Maidenform!". Quasi subito sentii qualcuno fischiettare alle mie spalle, e riconobbi uno dei segnali imparati nel buco sotto il "pollo". Mi voltai. Un guardiano si stava allontanando tranquillamente. La ragazza mi guardò e sorrise.
A un eventuale spettatore il nostro sarebbe sembrato un normale "agganciamento". La presi sotto braccio, e sentii le sue dita trasmettermi un messaggio in codice premendo sul mio polso. "Non parlate. Quando sarete entrato nella sala in fondo, sedetevi e aspettate".
La ragazza mi guidò verso una porta di plastica, l'aprì, e io entrai, da solo.
Nella sala c'erano una quindicina di consumatori seduti di fronte a un consumatore più anziano degli altri. Trovai una sedia libera in fondo alla sala e sedetti. Nessuno aveva fatto caso a me.
La conferenza aveva come argomento il noioso periodo precommerciale. Ascoltai solo per metà, cercando di trovare i punti di contatto fra le persone presenti. Erano tutti Indietristi, di questo mi sentivo quasi certo, se no perché sarei stato lì io? Ma non riuscivo a scoprire in loro i segni del fanatismo. Sembravano normali consumatori con il tipico sguardo di chi mangia salsicce di soia, e se li avessi incontrati per la strada non li avrei nemmeno notati. Ma eravamo a New York, e Bowen mi aveva lasciato capire che le persone con le quali sarei entrato in contatto occupavano un gradino molto alto nella scala dell'associazione.
Questo era importante. Una volta fuori da quel pasticcio, mi sarei trovato nella posizione ideale per stroncare definitivamente il movimento dei cospiratori. Guardai più attentamente quelle persone, stampandomi bene in mente le loro facce per essere certo di poterli riconoscere quando li avrei riincontrati.
Forse c'era stato una specie di segnale, ma io non me n'ero accorto. Sta di fatto che l'oratore s'interruppe nel bel mezzo di una frase, e un tale grassoccio, con la barba, si alzò da una sedia della prima fila. - Bene - disse - ormai ci siamo tutti, e non è il caso di perdere altro tempo. Non fate rumore, e non pronunciate nomi - raccomandò. - Durante questa riunione ci serviremo solo di numeri. Voi sarete il numero uno, voi il due - continuò, indicando i primi due uomini della prima fila - e così di seguito sino in fondo alla sala. Chiaro? Adesso ascoltate attentamente. Voi che vi trovate presenti qui fate parte del nostro Quartier Generale Mondiale. Non potreste occupare posto più alto. Questa notte stessa vi saranno assegnati i vostri incarichi, prima però voglio chiarire una cosa: voi non mi conoscete e io non vi conosco, ognuno di voi è stato scelto dal capo della sua squadra, e mi auguro che la scelta non sia stata opera di un troppo facile entusiasmo. Se i rispettivi capi si sono sbagliati sul conto di qualcuno di voi... Mi avete capito?
Tutti fecero cenno di sì. Anch'io, naturalmente. E intanto osservavo bene il tipo grasso che aveva parlato, per mettermelo bene in testa. Poi venimmo chiamati ad uno ad uno, per numero, e ad uno ad uno andammo a conferire brevemente con l'uomo della prima fila, dopo di che furono destinate le varie mansioni, a due o tre per volta. Io fui l'ultimo. Vicino a me era rimasta solo una ragazza molto giovane, con i capelli arancione, e gli occhi leggermente strabici.
- Voi due - disse l'uomo con la barba - lavorerete insieme, quindi potete conoscere i vostri rispettivi nomi. Groby, vi presento la signorina Corvin. Groby si interessa di pubblicità per noi. Clelia Corvin è un'artista.
- Bene - commentò la ragazza accendendo una Starr con il mozzicone di un'altra. Se quei fanatici non l'avessero corrotta, sarebbe stata un'ottima consumatrice. Notai che continuava a masticare gomma pur senza smettere di fumare.
- Ci troveremo bene insieme - dissi.
- Questo è sicuro - ribatté l'uomo. - Per darvi la possibilità di dimostrarci cosa sapete fare, dovremo mettervi al corrente di un sacco di cose che non ci piacerebbe vedere divulgate. Se non funzionerete bene per noi, Groby - proseguì in tono quasi scherzoso - sistemeremo le cose diversamente. - Batté la mano su una bottiglietta piena di liquido incolore posata sul ripiano del tavolo.
- Sì, signore - dissi con voce appena percettibile. Sapevo, o comunque intuivo, che cosa potevano contenere le bottigliette di liquido incolore come quella.
Il lavoro che mi affidarono però non mi parve un grosso problema. Passai tre ore a parlarne, poi spiegai che se non rientravo alle baracche della Chlorella in tempo per l'appello del mattino si sarebbe scatenato l'inferno. Al che mi permisero di andare.
Mancai lo stesso all'appello del mattino.
Uscii dall'edificio del Museo in una stupenda alba primaverile, sentendomi soddisfatto della vita. Una figura umana comparve nella foschia della prima luce e mi guardò bene in faccia. Riconobbi il tassista che mi aveva accompagnato lì. - Salve, signor Courtenay - disse lui, poi l'obelisco che sorgeva dietro il Museo, o qualcosa di simile, mi crollò sulla nuca.

Capitolo XI

Sentii dire: -... sveglio fra pochi minuti.
- È pronto per "Hedy"? - disse qualcun altro.
- Buon Dio, no!
- Be', credevo.
- Dovreste saperlo. Prima ci vuole un trattamento di anfetamina, poi il plasma, poi un milione di unità di niacina. Solo dopo, sono pronti per Hedy. Se svengono, lei si arrabbia.
Una risata fredda, nervosa.
Aprii gli occhi e dissi: - Sia ringraziato il cielo! - Sopra di me c'era un soffitto grigio, di quella particolare sfumatura intellettuale che viene usata solo per i locali dei dirigenti di una Compagnia di Pubblicità. Ero salvo, fra le braccia della Società Fowler Schocken! Però... Però non riconobbi la faccia che si chinò su di me.
- Perché siete così contento, Courtenay? - domandò la faccia. - Non sapete dove siete?
Queste parole mi schiarirono le idee. - Taunton! - balbettai.
- Esatto.
Cercai di muovere braccia e gambe, e scoprii che non mi ubbidivano. Ma non sapevo se era per effetto di droghe o se mi avevano rinchiuso in una pelle di plastica. - Sentite - dissi - non so che cos'abbiate intenzione di fare, ma vi consiglio di rinunciare. Questo è un rapimento per motivi commerciali. Comunque le vostre intenzioni possono essere soltanto due: o uccidermi, o lasciarmi andare. Se mi uccidete senza una regolare Notifica, dovrete subire un trattamento di cerebrina, quindi penso che non mi ucciderete. Ora, siccome alla fine mi lascerete andare, è meglio che lo facciate subito.
- Uccidervi, signor Courtenay? - domandò la faccia, in tono ironico. - Non possiamo. Siete già morto! Lo sanno tutti. Siete morto sul ghiacciaio Starrzelius, non ve ne ricordate?
Mi agitai ancora senza risultato. - Vi sottoporranno al lavaggio del cervello! - sbraitai. - Siete impazziti? A nessuno piace il lavaggio del cervello!
- Questo lo dite voi - ribatté la faccia. Poi si voltò e disse a qualcuno: - Avvertite Hedy che fra poco sarà pronto. - Un paio di mani mi mossero, sentii una specie di scatto metallico, poi mi aiutarono a mettermi seduto. La pressione che sentii alle giunture mi fece capire che ero in una pelle di plastica, quindi potevo fare a meno di sciupare le forze per cercare di liberarmi.
Risuonò il ronzio di un cicalino, e una voce aspra mi avvertì: - Attento a quello che dite, signor Courtenay, e a come lo dite. Sta arrivando il signor Taunton.
B. J. Taunton barcollò dentro la stanza, ubriaco. Era come l'avevo sempre visto, in centinaia di banchetti, e davanti ai microfoni: mastodontico, florido, vestito troppo, e ubriaco. Mi guardò, piantandosi a gambe larghe, mani sui fianchi, leggermente malfermo. - Courtenay - disse - come mi dispiace! Sareste diventato qualcuno se non vi foste impegolato con quel figlio d'un cane di Fowler Schocken. Un vero peccato!
Era sempre ubriaco, era una macchia nera per la nostra professione, ciononostante non riuscii a impedire che la mia voce suonasse rispettosa. - Signore, deve trattarsi di un equivoco - dissi. - Alla Società Taunton non è stata fatta alcuna provocazione che giustifichi un delitto commerciale, o mi sbaglio?
- Giustissimo - rispose lui.
- Non è stato fatto niente che legalmente possa venire considerata una provocazione. Quel bastardo di Schocken mi ha solo minato il terreno sotto i piedi, corrompendo i miei senatori, comprando i miei testimoni, e rubandomi Venere!
- Si era messo a strillare. - No, nessuna provocazione. Se n'è guardato bene dall'uccidere qualcuno dei miei. Il furbo Schocken, il moralissimo Schocken, il maledetto Schocken! - Mi fissò gelido. - E voi! Di tutti i trucchi meschini, ripugnanti, amorali, dai quali mi sono visto bersagliato, i più disgustosi sono stati i vostri! Io... - si diede una manata sul petto rischiando di perdere l'equilibrio -...io ho trovato il sistema di commettere un omicidio commerciale senza pagarne le conseguenze, e voi mi farete da cavia!
- Signor Taunton, non so a cosa miriate - dissi, disperato. Pensai che fosse effetto dell'alcool. Solo un cervello ottenebrato poteva pensare ciò che lui aveva detto.
Taunton sedette sul niente. Uno dei suoi si mosse come una saetta, e arrivò appena in tempo a ficcare una sedia al punto giusto. - Courtenay - mi disse Taunton, con un gran gesto - io, prima di ogni altra cosa, sono un artista. Soprattutto un artista! Sono un sognatore che sogna, un evocatore di visioni. - Doveva essere vero, perché a me pareva che là ci fosse seduto Fowler Schocken invece del suo rivale. - Io volevo Venere, e devo averla, Schocken me l'ha rubata, ma fra poco me la riprenderò. Nessuna astronave si solleverà dal suolo per ordine di Schocken, dovessi corrompere tutto il mondo, e uccidere tutti i suoi collaboratori, perché io sono, soprattutto, un artista.
- Signor Taunton, potete uccidere tutti i dirigenti che volete, ma alla fine vi sottoporranno al lavaggio del cervello. Vi daranno la cerebrina. Non troverete nessuno che voglia correre questo rischio per voi, perché nessuno accetta di vivere vent'anni in un inferno!
- Ho trovato un meccanico disposto a perdere il carico di un elicottero sopra la vostra testa - disse lui con aria sognante - ho trovato un uomo disposto a spararvi dalla finestra del vostro appartamento. Sfortunatamente entrambi hanno sbagliato. Poi avete avuto quella bella trovata del ghiacciaio!
Non dissi che la storia del ghiacciaio non era stata una mia idea. E Dio solo sapeva perché Runstead mi avesse colpito in quel modo e perché al mio posto fosse stato trovato il cadavere di non sapevo nemmeno chi.
- Per poco non ve la cavavate - riprese Taunton. - Se non fosse stato per qualche leale servitore, un conducente di tassì e alcuni altri non saremmo mai riusciti a pescarvi. Io sono un artista, signor Courtenay, e la grandezza di un artista sta nella sua semplicità. Voi avete detto "A nessuno piace subire il lavaggio del cervello". Ma voi siete un mediocre. Io dico: "Trovatemi qualcuno a cui piaccia subire il lavaggio del cervello, e usiamo lui". Perché io sono grande!
- Qualcuno a cui piaccia subire il lavaggio del cervello - ripetei come uno stupido.
- Spiegateglielo - disse Taunton a uno dei suoi. - Voglio che sia convinto a fondo che facciamo sul serio.
- Non avete mai sentito parlare di Albert Fish? - mi domandò uno dei presenti.
- No - risposi.
- È stato un genio dei primi anni dell'Età della Ragione, attorno al 1920 o giù di lì. Albert Fish si ficcava degli aghi nel corpo, si bruciava da solo con cotone imbevuto di alcool, si frustava da solo, e gli piaceva. A lui sarebbe piaciuto il lavaggio del cervello. Vivere venti deliziosi anni sentendosi soffocare, nauseare, scorticare, per lui sarebbe stato un sogno divenuto realtà. In quei giorni è vissuto un solo Albert Fish. Del resto era assurdo aspettarsi che una popolazione di soli tre miliardi di persone, ne producesse più di uno. Ma adesso siamo molto, molto più di tre miliardi, è normale quindi che esistano più Albert Fish. Bisogna soltanto trovarli. Con le facilitazioni offerte dall'organizzazione della Taunton, ne abbiamo già individuati alcuni. Voi dite che non possiamo assoldare un assassino perché tutti temono la punizione. Ma il signor Taunton dice che basta assumere un assassino al quale piaccia essere punito. E c'è di meglio: coloro ai quali piace la sofferenza sono gli stessi ai quali piace far del male agli altri, per esempio a voi.
Aveva ragione! Seguivo anche io la cronaca, e sapevo che nel nostro mondo c'erano adesso più mostri, e più eroi, di una volta. Sì, Taunton era un artista. Aveva afferrato il senso di questa semplice verità e se ne serviva. E questo voleva dire che potevo già considerarmi morto. "Kathy" pensai. "La mia Kathy!".
La voce impastata di Taunton mi strappò alle mie riflessioni. - Avete capito la genialità della trovata? L'importanza della idea? Il messaggio che essa contiene? L'essenza è che io riavrò Venere! Ora parlateci della Società Schocken. Voglio conoscere tutti i suoi piccoli segreti, i suoi punti deboli, i suoi guadagni e le sue spese, sapere quali sono i dipendenti corruttibili, l'importanza dei suoi contratti con Washington, eccetera.
Poiché ero un uomo morto, non avevo più niente da perdere. - No - risposi.
Uno degli uomini di Taunton disse: - È pronto per Hedy - e uscì.
- Forse il nome di Gilles de Rais vi dice qualcosa - mi spiegò Taunton.
Sentii attorno alla testa una morsa come se avessi addosso un elmetto d'acciaio troppo stretto. Quel nome forse a voi fa venire in mente Barbablù. - Fra tutte le persone adatte a fare questo speciale lavoro per me - riprese Taunton - ho scelto Hedy. Adesso capirete il perché.
La porta si aprì e comparve una ragazza pallida con lunghi capelli biondi. Sorrideva in un modo strano e le sue labbra erano sottili ed esangui. In mano aveva un ago lungo dodici centimetri, con un'impugnatura di plastica.
Io la guardai negli occhi e cominciai a urlare. Non smisi finché non l'ebbero portata via e la porta non si fu richiusa. Ero crollato.
- Taunton - mormorai - vi prego...
Lui si appoggiò comodamente allo schienale della sedia, e disse: - Parlate.
Tentai, ma non mi fu possibile. Le mie corde vocali non funzionavano, e nemmeno la mia memoria. Non riuscivo a ricordare nemmeno se la mia ditta era la Fowler Schocken o la Schocken Fowler.
Infine Taunton si alzò. - Vi terremo in conserva per un po', Courtenay, così avrete il tempo di riprendervi. Intanto io vado a bere un bicchiere, ne ho bisogno. - E se ne andò.
Due dei suoi uomini mi portarono fuori da quella stanza e giù per un corridoio, sino a una specie di cella spoglia, munita di una solida porta. Incontrammo soltanto un guardiano seduto dietro il suo tavolino. Forse era notte.
- Non potete togliermi questa pelle? - domandai.
- Non abbiamo ordini in merito - mi rispose uno dei due. La porta sbatté alle mie spalle. Io rotolai attorno per la stanza, alla ricerca di qualcosa che servisse a fare uno strappo nella plastica. Poi avrei avuto qualche speranza di liberarmi. Ma non c'era proprio niente. Dopo una serie di inenarrabili contorsioni compresi che non sarei mai riuscito a mettermi in piedi. La maniglia della porta mi aveva dato una debolissima speranza, ma era come se fosse lontana dieci chilometri.
Mitchell Courtenay, pubblicitario di prima classe, Mitchell Courtenay, capo della Sezione Venere, Mitchell Courtenay, futuro distruttore degli Indietristi, Mitchell Courtenay buttato come un sacco sul pavimento di una cella nell'edificio della più lurida, disonesta, farabutti ditta di pubblicità, sconcio della professione, senz'altra prospettiva che quella di diventare un traditore e, con un po' di fortuna, di morire alla svelta. Almeno Kathy non l'avrebbe mai saputo. Kathy avrebbe continuato a pensare che ero morto come un cretino su un ghiacciaio, a furia di fare giochetti con un generatore di energia in un momento in cui non avevo altro a cui pensare...
La maniglia della porta si abbassò. Venivano a prendermi.
Ma quando il battente si aprì, dalla mia posizione invece di vedere una selva di pantaloni vidi un paio di caviglie fasciate di nylon.
- Ti amo - disse una strana, gelida voce femminile. - Mi hanno detto che dovevo aspettare, ma non ho resistito. - Era Hedy, con il suo ago.
Tentai di gridare aiuto, ma lei si inginocchiò accanto a me guardandomi con gli occhi scintillanti e io mi sentii paralizzato. Pareva che nella cella la temperatura fosse scesa di colpo a dieci sotto zero. Lei incollò le labbra smunte sulle mie, e fu come toccare un pezzo di metallo. Poi pensai che mi stessero staccando il lato sinistro della faccia e della testa. La sensazione durò pochi secondi, e finì in un lampo rosso e nell'incoscienza.
- Svegliati! - disse la voce sorda. - Svegliati! - Sentii una scarica elettrica al gomito destro. Gridai, e il mio braccio fece uno scatto. Il mio braccio si era mosso.
Si era mosso!
Le labbra morte calarono ancora sulle mie, e di nuovo l'ago mi penetrò nella mascella cercando, e trovando, il trigemino. Lottai contro la nebbia rossa che tentava di ingoiarmi. Il mio braccio si era mosso! Hedy aveva perforato la membrana plastica e la pelle artificiale si era rotta. L'ago cercò ancora e questa volta il dolore venne incanalato nel braccio destro. Con uno scatto convulso il braccio fu libero.
Credo di averle afferrato il collo tra le mani e di aver stretto, ma non ne sono sicuro. Preferisco non esserne sicuro. Comunque sia, cinque minuti più tardi lei e il suo amore per me non esistevano più. Strappai la membrana di plastica, la feci a pezzi, e mi misi in piedi, un centimetro per volta, anchilosato dal lungo periodo di rigidità forzata.
Il guardiano non aveva importanza. Se non era accorso alle mie grida significava che non sarebbe accorso mai più. Uscii dalla cella, e vidi l'uomo con la testa ripiegata sul tavolino, come se dormisse. Quando gli arrivai vicino notai un sottile filo di sangue che gli colava lungo il collo. Un unico colpo inferto nel midollo cervicale era stato più che sufficiente. Io ero adattissimo a testimoniare sulla assoluta, perfetta conoscenza di Hedy circa la topografia del sistema nervoso.
Il guardiano aveva addosso una pistola. Dopo un attimo di esitazione rinunciai a prenderla. I pochi dollari che gli trovai in tasca, invece, mi sarebbero tornati utili. Poi mi affrettai giù per le scale. L'orologio da polso dell'ex guardiano segnava le sei e cinque.
Sapevo già come si fa a salire le scale. Adesso imparai a scenderle. Per chi ha il cuore in buone condizioni la differenza non è poi molta. Nel mio stato calcolai di aver impiegato trenta minuti per arrivare dai piani dei dirigenti a quelli inferiori. Gli abitanti notturni del palazzo Taunton erano un mucchio di gentaglia che non avrebbe mai trovato ospitalità sulle scale della torre Schocken. Passai attraverso una decina di incontri di pugilato e un tentativo di accoltellamento. In compenso i miei abiti malridotti e la ferita fresca sulla faccia mi fecero passare inosservato in quell'ambiente.
Uscii dall'edificio insieme a una folla che si affrettava a raggiungere il posto di lavoro, qualunque fosse, e per un attimo mi parve di vedere gente che guardava tra la folla dalle finestre del primo piano, ma non mi fermai ad assicurarmene. Montai su uno scivolo.
A una stazione pubblica andai a cambiare i miei dollari, e mi offrii una doccia coi fiocchi: acqua salata, acqua fresca, e sapone. Ne sentivo un enorme bisogno. Scoprii così che quando il getto d'acqua fredda mi colpiva la faccia sul lato sinistro, il dolore diventava insopportabile.
Dopo la doccia mi ficcai su un altro scivolo e passai due ore a girovagare sotto la città. Scesi a Times Square, il quartiere dei mercati. Mentre la folla dei consumatori si agitava tutt'attorno, cercai di chiamare Kathy. Non era in casa.
Pescai Hester al Circolo della torre Schocken, e le dissi: - Dovete raggranellare tutto il denaro che potete. Fatevelo prestare, saccheggiate il vostro salvadanaio, fate quel che volete, ma compratemi un vestito Starrzelius completo di tutto, poi venite al più presto a raggiungermi nel posto esatto dove due anni fa vostra madre si è rotta una gamba. Il posto esatto! Lo ricordate?
- Sì, lo ricordo, Mitch - mi rispose. - Ma il mio contratto...
- Hester, non vi fate pregare - le dissi. - Fidatevi di me, non vi succederà niente. Ma per l'amor di Dio, fate in fretta. Se per caso arrivando qui mi vedete in mezzo ai poliziotti, fate finta di non conoscermi. Al lavoro, adesso!
Riappesi, ma restai nella cabina finché un tale non cominciò a tempestare la porta di pugni.
Poi presi a camminare lentamente attorno alla piazza, bevvi Caffeissimo, mangiai dei panini al formaggio, e comperai un giornale. La notizia che mi riguardava era a pagina tre. "Ricercato per rottura di contratto e donnicidio". L'articolo diceva che George Groby non era tornato al suo lavoro dopo un permesso di libera uscita, e aveva approfittato del periodo di libertà per saccheggiare il quartiere direttoriale nel palazzo Taunton. Poi era fuggito, uccidendo una segretaria che aveva cercato di ostacolarlo.
Mezz'ora più tardi, Hester arrivò sotto il piano di carico dal quale una volta una gabbia d'imballaggio era crollata su una gamba di sua madre. Aveva l'aria preoccupata. Tecnicamente era colpevole di rottura di contratto come George Groby.
Le tolsi l'ingombro della scatola con i vestiti, e domandai: - Vi sono rimasti mille e cinquecento dollari?
- Più o meno - mi rispose.
- Prenotate due posti per noi sul primo mezzo in partenza per la Luna. Ci incontreremo di nuovo qui. Indosserò gli abiti che avete comprato.
- Sulla Luna? Noi due? - domandò.
- Sì, noi due. Bisogna che lasci la Terra prima che mi ammazzino. E questa volta il cadavere sarebbe proprio il mio!

Capitolo XII

La piccola Hester raddrizzò le spalle e si avviò a compiere miracoli.
Entro dieci ore stavamo gemendo a fianco a fianco sotto gli effetti dell'accelerazione, a bordo dell'astronave lunare "David Ricardo". Con encomiabile sangue freddo Hester si era fatta passare per una dipendente della Fowler Schocken con un incarico speciale per Venere, e aveva fatto passare me per il signor George Groby, analista alle Vendite, Classe 6. Naturalmente la rete tesa per George Groby, Procuratore Spedizioni, Classe 9, non era arrivata fino all'astroporto Astoria. Criminali ricercati per rottura di contratto o per donnicidio, non hanno quattrini per pagarsi un viaggio in astronave, questo è logico.
Affittammo un compartimento con diritto alle massime razioni, come la maggior parte dei passeggeri. La Luna era solitamente meta di affaristi interessati per lo più alle miniere. Fra i nostri compagni di viaggio, che noi incontrammo solo sulla rampa d'imbarco, c'erano alcuni ingegneri dalla faccia preoccupata, e alcuni ricconi con le loro mogli, di quelli che ci tenevano a dire di essere stati là.
Dopo il decollo, Hester fu istericamente allegra per un po', poi cedette e pianse sulla mia spalla, spaventata dall'enormità commessa. Era cresciuta in una famiglia moralissima, che nutriva un sacro terrore per le Vendite, e non si poteva pretendere che la ragazza commettesse il grosso delitto commerciale di rompere un contratto di lavoro senza riportarne una forte scossa. - Signor Courtenay... - Mitch - singhiozzò - se solo fossi sicura che è stato un bene! Voi siete sempre stato gentile con me, e so che non fareste mai una cosa sbagliata, ma io ho tanta paura!
Le asciugai gli occhi, e presi la decisione di dirle tutto. - Vi racconterò cos'è successo - le dissi - e giudicherete da sola. Taunton ha fatto una scoperta spaventosa. Ha scoperto che esistono persone le quali non hanno affatto paura di affrontare un trattamento di cerebrina quale punizione per un delitto commerciale commesso senza provocazione. Secondo lui il signor Schocken gli ha portato via Venere in maniera immorale, e così non si fermerà di fronte a nessun ostacolo pur di riprendersi il pianeta. Ha tentato due volte di farmi uccidere. Secondo me Runstead è un suo agente, il quale doveva fare in modo che il progetto Venere incontrasse continui ostacoli, ma di questo non sono sicuro. È certo invece che al Polo Sud è stato Runstead a farmi imbarcare su un mercantile che trasportava lavoratori e a spacciare per il mio il cadavere di uno sconosciuto dopo avermi dato una falsa identità. C'erano di mezzo gli Indietristi - aggiunsi cautamente.
Hester lanciò un piccolo grido.
- Non so fino a che punto c'entrino - proseguii - ma io sono capitato in una squadra indietrista.
- Signor Courtenay!
- Ero prigioniero in una piantagione di Costa Rica - aggiunsi in fretta - e soltanto la rete indietrista poteva fornirmi il modo di tornare al nord. Nella piantagione c'era una loro squadra. Mi sono unito a loro, ho dato una dimostrazione del mio valore, e così sono stato trasferito a New York. Il resto lo sapete.
Hester ci pensò a lungo, in silenzio, poi domandò: - Siete sicuro di aver fatto bene?
Augurandomi che fosse vero risposi: - Certamente, Hester.
Lei mi sorrise. - Andrò a prendere le nostre razioni - disse. - Voi è meglio che non vi facciate vedere.

Quaranta ore più tardi dissi a Hester: - Il cameriere esagera con il suo mercato nero! Guardate qui! - Le feci vedere i recipienti della mia razione d'acqua e di viveri. I coperchi di entrambi i barattoli erano stati chiaramente manomessi, ed era evidente che mancava acqua. - Le razioni massime dovrebbero essere a prova di scasso - sentenziai. - Questo è un autentico caso di rapina! Le vostre come sono?
- Nelle identiche condizioni - mi rispose. - Ma che volete farci? Cosa ne dite di fare una partita a tennis prima di mangiare?
- Volentieri - brontolai, e allestii il campo togliendolo dal cassetto riservato agli arnesi di svago. Hester era più brava di me a tennis, ma alla fine vinsi io. La ragazza mancava di organizzazione. Comunque quella mezz'ora di sport fece bene a entrambi. Mangiammo con appetito.
Un incontro di tennis prima di mangiare diventò una specie di rito. Non c'era molto da divertirsi, nel compartimento. Ogni otto ore lei andava a prelevare le razioni, io brontolavo e protestavo contro le violazioni dei barattoli, giocavamo un po' a tennis, poi mangiavamo. Per il resto del tempo guardavamo gli annunci commerciali sfilare sulle pareti. Tutti annunci della Schocken. Io intanto pensavo che Fowler Schocken era sulla Luna, e che lassù niente mi avrebbe impedito di vederlo. Erano tre le mie tappe: la Luna, Schocken, Kathy. Avrei potuto chiedere a Hester così, tanto per dire qualcosa, che cosa si diceva di Jack O'Shea e di Kathy, ma non lo feci. Temevo che non mi sarebbe piaciuto quello che lei aveva sentito dire dell'eroico nano e del suo trionfale passaggio da città a città e da donna a donna.
Un annuncio di servizio comparve sulla parete interrompendo la sfilata delle pubblicità.
"Dal servizio-cucina. I passeggeri sono pregati di consumare l'ultimo pasto liquido. Niente altro verrà servito fino all'allunaggio".
Hester mi sorrise e uscì con il vassoio. Tornò come al solito dopo una decina di minuti. Eravamo già sotto l'influenza della gravità lunare, e il mio stomaco si ribellava. Hester entrò con i due barattoli di Caffeissimo e subito mi disse, in tono di rimprovero: - Mitch, non avete ancora preparato il tennis!
- Non mi va di giocare. - Tesi una mano per prendere il mio barattolo, ma Hester lo mise fuori portata. - Cosa significa? - domandai.
- Solo cinque minuti! - pregò la ragazza.
- Mi sembra di aver parlato chiaro - scattai. - Non dimenticate con chi avete a che fare. - Probabilmente non mi sarei espresso in quel modo se non fosse stato per il Caffeissimo. La vista del barattolo rosso della Starrzelius risvegliava in me il dirigente.
Hester si irrigidì. - Scusatemi, signor Courtenay - disse. Poi, di colpo si ripiegò su se stessa, la faccia contratta da una smorfia. Sbalordito, l'afferrai per le braccia. Era pallida come una morta e sudava. Gemeva di dolore.
- Hester! Hester, cos'avete? Cosa...
- Non bevetelo! - riuscì a dire. Si premeva le mani sullo stomaco. - Il Caffeissimo. Veleno... Le vostre razioni... io le ho sempre assaggiate. - Sotto gli spasimi del male, lacerò con le unghie la stoffa della camicetta.
- Mandate un medico! - gridai nel microfono. - C'è una donna che sta morendo!
Mi rispose la voce del capo-cameriere. - Subito, signore. Il medico di bordo verrà immediatamente.
La faccia contorta di Hester parve distendersi, e io mi spaventai ancora di più. - Kathy vi ha abbandonato... - disse Hester. - Abbandonarvi così... Mitch e Kathy... Siete... Lei non vi merita. Non avrebbe... la mia vita... - Uno spasimo le contrasse il volto. - La moglie denuncia la segretaria. Che ridere. Voi non mi avete mai baciato.
E non ebbi più l'occasione di farlo. Era morta. Il medico di bordo fece di tutto. Tentò il massaggio al cuore e per un attimo mi parve che lei riprendesse a respirare. Interrogai il medico con lo sguardo.
- Nessuna speranza - disse lui, in tono gentile. - Lo so che è difficile credere alla morte di una persona cara, ma... - Tolse la corrente alla sua macchina e sfilò l'ago dal corpo di Hester. - Ha denunciato nausea? - domandò. Feci segno di sì. - Era il suo primo volo spaziale? - Feci segno di sì. - Dolori addominali? Vertigini? - Non sapevo se aveva avuto vertigini ma feci segno di sì lo stesso. Lui continuò a fare domande, e io a rispondere. Alla fine dichiarò: - Credo che il decesso sia dovuto al morbo di Fleischman. Non conosciamo ancora a fondo questa malattia, ma crediamo che gli effetti della caduta libera provochino una reazione a catena di incompatibilità fra gli anticorpi presenti nel midollo cerebro-spinale...
Mi guardò un attimo, poi aggiunse in altro tono: - Volete bere qualcosa di forte?
Stavo già per accettare, poi dissi: - Grazie. Ne ho anch'io, di là.
- Non bevete troppo però - disse lui. - Manca poco alla decelerazione.
Rimasi con il medico ancora qualche minuto, poi tornai barcollando nel mio compartimento.

Gli effetti dell'alcool, il dolore, e la paura, si accompagnarono alle manovre di sbarco. Mi comportavo come un idiota. Un paio di volte sentii gli uomini dell'equipaggio dire: - Trattatelo bene. Gli è morta la ragazza durante il viaggio.
Al posto di controllo, dove facevano ai passeggeri un'infinità di domande, scelsi l'atteggiamento di chi non sa niente sulla sua missione. Mi chiamavo Groby, ero di Classe 6, e la cosa migliore era di mandarmi da Fowler Schocken. Alla fine parvero convinti e mi dissero di aspettare lì su una panca mentre si informavano alla succursale della Schocken, a Luna City.
Aspettai e cercai di pensare. Non era facile. La gente che andava e veniva dal posto di controllo sapeva, tutta, esattamente che cosa doveva fare. Io ero l'eccezione. Era già molto se non mi avevano buttato fuori.
Una lampadina lampeggiò sul piano inclinato lontano solo pochi metri da me. Stringendo gli occhi riuscii a leggere sulla striscia di carta. "Schocken in risposta a vostra richiesta. Con il volo segnalato non previsto alcun arrivo. Non chiamato da noi nessun dipendente a nome Groby. Impossibile che sotto-dirigente abbia agito sua iniziativa. Fine".
Fine davvero. Mi guardavano dalle scrivanie e parlavano fra loro a bassa voce. Fra pochi minuti avrebbero chiamato le guardie che circolavano per l'edificio.
Mi alzai mescolandomi, calmo, alla folla, giocando la mia ultima carta: il segno di riconoscimento a breve distanza, per casi di emergenza, degli Indietristi.
Un poliziotto si fece strada fra la gente e mi mise una mano sulla spalla. - Avete intenzione di combinare guai? - domandò.
- No - risposi. - Volevo solo passare.
Lui fece un gesto verso quelli dietro le scrivanie e loro risposero a segno, sogghignando. Lui mi spinse avanti, premendomi lo sfollagente tra le scapole. Mi lasciai portare, istupidito, fuori dal posto di controllo, giù per una strada che sembrava un tunnel. Insegne luminose consigliavano di acquistare lì le tute spaziali più resistenti o là quelle più a buon mercato, di vestirsi all'ultima moda lunare, o comperare oggetti ricordo. L'ultima che vidi diceva: "Warren Astron - Si riceve solo su appuntamento".
- Fermo - ordinò la guardia. Eravamo davanti all'insegna di Warren Astron. - Strappatemi di mano lo sfollagente - proseguì a bassa voce - colpitemi forte alla testa, sparate alla lampada stradale, entrate da Astron e fategli il segno. Buona fortuna... e non picchiate troppo forte!
- Siete... - balbettai.
- Già - rispose il poliziotto con una smorfia. - Ma avrei preferito non vedere il segnale. Mi costerà una degradazione! Sbrigatevi.
Mi sbrigai. Il colpo che partì da un'estremità dello sfollagente mandò in frantumi la lampada con un fragore di mille tuoni che si ripercosse lungo tutta la strada a volta. Nel buio corsi verso la porta di Astron, e mi trovai davanti un uomo alto, magro, con la barba.
- Cosa sta succedendo? - domandò lui. - Io ricevo su appuntamento...
Gli afferrai un braccio nel modo indicato. - Cercate rifugio? - chiese lui, abbandonando di colpo lo studiato tono professionale.
- Sì. Presto.
Mi fece strada fino a una specie di osservatorio, con una piccola cupola trasparente, zeppo di tavolini, carte astrali, orologi, e un telescopio. Premette forte su un lato di un tavolo, e il mobile si piegò su invisibili cardini. La botola scoprì un buco nero lungo il quale scendeva una scala a pioli. - Andate giù! - disse Astron.
Scesi nel buio per un paio di metri e mi trovai in un locale di modestissime proporzioni. C'erano dei secchi e pezzi di roccia lunare.
Capovolsi uno dei secchi e me ne servii per sedermi. Dopo aver contato cinquecento settantasei battiti cardiaci, mi trasferii sul pavimento e smisi di contare. Quando la posizione diventò troppo scomoda, cercai di spostare qualche pezzo di roccia per mettermi sdraiato. E dopo che ebbi fatto tutte queste manovre per cinque volte, dall'alto mi arrivò un suono di voci. Una era quella professionale di Astron. L'altra era la voce petulante di una donna grassa. Dovevano essere seduti al tavolo che copriva il mio rifugio.
- Mi sembra veramente eccessivo dottore!
- Come madame vuole! Se volete scusarmi, devo tornare alle mie efemeridi...
- Ma dottor Astron, non intendevo affatto...
- Madame mi perdonerà se sono arrivato alla conclusione che... Allora, per cortesia, giorno e data di nascita.
La donna mormorò qualcosa, e io mi domandai come se la cavasse il dottor Astron con le clienti che mentivano sull'età.
Il colloquio fra la donna e l'astrologo durò circa un'ora e mezza, poi arrivarono altri due clienti, e infine non sentii più niente, fin quando una voce mi chiamò dall'alto. La botola era aperta, e la testa del dottor Astron stava affacciata sul mio nascondiglio. - Salite - mi disse. - Per dodici ore non saremo più disturbati.
Mi arrampicai, indolenzito in tutte le giunture.
- Voi siete Groby - affermò Astron.
- Sì - risposi.
- Abbiamo avuto un rapporto su di voi dal nostro corriere a bordo del "Ricardo". Dio solo sa che cosa state combinando! Comunque, io rinuncio ad occuparmene. - Notai che teneva la mano destra nella tasca della giacca. - Siete legato con contratto alla Chlorella, avete il dono di essere un pubblicitario nato, vi hanno trasferito a New York, siete stato rapito davanti al Museo, in seguito ad accordi o a vostra insaputa, non lo so, avete ucciso una ragazza e siete scomparso. Adesso, eccovi sulla Luna. Dio solo sa cosa state combinando! Io non voglio occuparmene. Un membro del Comitato Centrale verrà qui tra poco per cercare di capirci qualcosa. Non avete niente da confessare? Non siete un agente provocatore, o non soffrirete per caso di mania depressiva?
Non risposi.
- Bene - disse lui. Sentii aprirsi una porta e poi la sentii richiudersi. - Dev'essere lei - commentò Astron.
E mia moglie Kathy entrò nell'osservatorio.

Capitolo XIII

- Mitch! - esclamò, sbalordita. - Dio mio, Mitch! - Rise, nervosamente.
L'astrologo tolse di tasca la rivoltella, e domandò: - Devo...
- No, Warren, va tutto bene. Lo conosco. Volete lasciarci soli, per favore?
Lui ci lasciò soli. Kathy crollò su una poltroncina, tremando. Io non riuscivo a muovermi. Mia moglie una cospiratrice indietrista! Pensavo di conoscerla, ma mi ero sbagliato. Lei mi aveva mentito continuamente, e io non me n'ero mai accorto.
- Non hai niente da dire? - domandai, secco.
Kathy si riprese. - Sei un po' scosso? - domandò a sua volta. - Tu, un pubblicitario di prima classe compromesso matrimonialmente con un'indietrista! Hai paura che la cosa si risappia e non ti faccia buona pubblicità? - Tentò un sorriso che si spense appena la guardai. - Accidenti! - riprese. - Tutto quello che pretendevo da te era che uscissi dalla mia vita e ti tenessi alla larga. Il più colossale errore che abbia mai commesso è stato quello di proibire a Runstead di ammazzarti.
- Sei stata tu a farmi attirare in una trappola da Runstead?
- E tu ci sei caduto come uno stupido. Si può sapere cosa fai qui, adesso? Perché, perché non mi lasci in pace? - Si era messa a gridare.
Kathy una Indietrista. Runstead un Indietrista. Insieme, Kathy e Runstead avevano deciso che cosa fosse meglio per il povero Mitch, e l'avevano fatto. Taunton aveva deciso che cosa fosse meglio per il povero Mitch, e l'aveva fatto, Tutti insieme mi stavano muovendo come se fossi una pedina su una scacchiera.
- Perché voglio dare scacco alla regina! - dissi. La tirai in piedi con uno strattone e le diedi uno schiaffo. Il suo sguardo perse intensità, e Kathy mi guardò, stupita. - Fai venire quel come-diavolo-si-chiama - ordinai.
- Mitch, cosa vuoi fare? - Pareva tornata la Kathy di sempre.
- Fallo venire qui.
- Non puoi darmi ordini!
- Ehi, voi! - gridai. - Voi, medico-stregone!
Entrò di corsa, dritto contro il mio pugno. Kathy mi fu addosso, da dietro, graffiando come un gatto selvatico, e intanto io frugavo nelle tasche di Astron. Trovai la pistola, una calibro 25, e mi scrollai di dosso Kathy mandandola a rotolare sul pavimento. Lei mi guardò, dal basso, grandemente offesa, strofinandosi meccanicamente un fianco.
- Sei un farabutto - mi disse.
- D'accordo. Fowler Schocken sa che sei sulla Luna?
- No - mi rispose sfregando insieme pollice e indice.
- È una bugia.
- Il mio grande investigatore! - commentò, ironica. - Il mio piccolo grande pubblicitario giocoliere!
- Rispondi, se non vuoi gustare l'efficacia di questa pistola - dissi.
- Buon Dio, credo che saresti capace di farlo - mormorò, Kathy, e alzò una mano al viso fissando l'arma.
- Finalmente ci siamo intesi. Fowler Schocken sa che sei sulla Luna?
- Non esattamente - mi rispose senza staccare gli occhi dalla rivoltella. - Mi aveva solo consigliato di venirci... per distrarmi dal mio dolore.
- Chiamalo, digli che venga qui.
Non parlò e non si mosse.
- Sentimi bene - le dissi. - È Groby che parla. Groby è stato frustato, accoltellato, derubato e rapito. Poche ore fa Groby ha visto morire avvelenata l'unica persona che gli fosse amica. Groby è servito da passatempo a una sadica che sapeva tutto sull'anatomia. Lui l'ha uccisa ed è stato felice di averlo fatto. Lui è talmente impegolato con la Chlorella che non riuscirà mai a liberarsi. È ricercato per rottura di contratto e omicidio. Ha scoperto che la donna della quale credeva di essere innamorato è soltanto una bugiarda fanatica e una carogna. Groby non ha niente da perdere. Quindi posso uscire sulla strada e gridare forte tutto quello che so. Non mi crederanno sulla parola, ma per prudenza faranno delle, indagini, e prima o poi avranno la conferma. Intanto io sarò già stato trattato con la cerebrina, ma questo non ha importanza. Io non ho più niente da perdere.
- E che cos'hai da guadagnare? - disse Kathy.
- Smettila, e chiama Schocken.
- Prima voglio dirti una cosa, Mitch. Di tutto quello che mi hai detto, una parola è stata particolarmente offensiva: fanatica. Sono stati due i motivi per cui ho pregato Runstead di attirarti nella sua trappola. Volevo metterti fuori della portata degli assassini comprati da Taunton. Inoltre volevo che tu provassi la vita del consumatore. Pensavo che tu dovessi vedere com'era diventato veramente il mondo. È difficile capirlo, quando si è un prima classe. Dal basso, invece, è molto più facile. Pensavo che così sarebbe stata possibile un'intesa fra noi, quando tu saresti tornato alla vita, e allora forse avremmo potuto lavorare insieme all'unica cosa che ne vale la pena. Invece non è andata così. Quel tuo maledetto cervello! A te preme soltanto tornare a essere un prima classe, e mangiare, bere, e dormire un po' meglio di tutti gli altri. È un vero peccato Mitch, che non sia un fanatico anche tu. Non puoi cambiare, vero? Be', io ho tentato. Adesso tu continua pure per la tua strada. Non ti preoccupare di farmi del male. Qualunque cosa tu faccia non potrai ferirmi più delle notti passate a litigare fra noi. O di quando dovevo uscire per le riunioni indietriste e non potevo dirtelo, e tu eri geloso. O, ancora, di averti dovuto imbarcare per la piantagione di chlorella, per tentare di trasformarti in un uomo sano a dispetto di ciò che la pubblicità ti aveva fatto diventare. O della certezza di non poter essere mai completamente la tua donna perché tra noi c'era un segreto. Io sono già stata ferita, e offesa. Un colpo di pistola non sarebbe niente in confronto alle ferite che ho già dovuto sopportare.
Seguì una pausa che parve dovesse protrarsi per sempre.
- Chiama Schocken - dissi, infine, un po' meno sicuro di me. - Digli di venire qui. Poi vattene, e porta con te quel mago da strapazzo. Non so che cosa dirò a Schocken, ma farò in modo da concedere a te e ai tuoi amici un paio di giorni di tregua. Il tempo necessario per trasferire il vostro Quartier Generale, cambiare i segnali di riconoscimento e tutto quello che riguarda la vostra ridicola carnevalata. Chiama Schocken, poi vattene. Non voglio più rivederti.
Non riuscii a capire la sua espressione mentre lei sollevava il ricevitore e componeva il numero.
- La terza segretaria del signor Schocken, per favore - disse. - Sono la dottoressa Nevin... la vedova del signor Courtenay... Grazie... La seconda segretaria del signor Schocken, per favore. Sono la dottoressa Nevin, vedova del signor Courtenay. Posso parlare con la segretaria del signor Schoken? Sì, sono in linea... Grazie... Pronto, signorina Grice, sono la dottoressa Nevin. Posso parlare con il signor Schocken?... Certo... Grazie... - Si voltò e mi disse: - Devo aspettare qualche minuto. - La pausa trascorse in silenzio, poi Kathy riprese: - Pronto, signor Schocken?... Bene, grazie. Vi ho telefonato per chiedervi un favore. Ho bisogno di vedervi per una questione importante... Di affari, e personale... Piuttosto urgente, temo... Sono nel negozio del dottor Astron... No, niente del genere. Sono qui solo perché è un posto adattissimo per un incontro... Vi ringrazio infinitamente, signor Schocken.
Le strappai di mano il ricevitore e feci in tempo a sentire la voce di Fowler Schocken che diceva: - Va bene, mia cara. Quest'aria di mistero mi attira. A presto. - Vi fu lo scatto della comunicazione interrotta. Kathy era abbastanza furba da fingere una conversazione unilaterale. Ma non l'aveva fatto. La voce che avevo sentito era inconfondibile. Sentendola mi era parso di tornare alle riunioni di direzione improntate alla brillante dialettica di Fowler e alle dure e soddisfacenti ore di lavoro nel clima di una gradita approvazione di Fowler e dei suoi consigli intelligenti. Silenziosamente Kathy stava trascinandosi appresso lo stordito astrologo. Lasciò l'osservatorio senza dire una parola. Sentii una porta aprirsi e richiudersi.
Al diavolo!
Passarono alcuni minuti prima che mi arrivasse la voce gioviale di Fowler Schocken. - Kathy! C'è nessuno qui?
- Ci sono io - gridai.
Un attimo dopo Fowler Schocken entrava preceduto e seguito da un agente della Agenzia Investigativa Brink. La faccia di Fowler prese un bel colore rosso, chiazzato. - Dove... - cominciò. E poi: - Ma voi assomigliate a... No, voi siete... Mitch! - Mi afferrò, trascinandomi con sé, a saltelli, attorno alla stanza, ridendo, mentre i poliziotti guardavano a bocca aperta. - Che razza di scherzo vi è saltato in mente di farmi? Cos'è tutta questa storia, figliolo? E dov'è Kathy? - Finalmente si fermò, col fiato grosso nonostante la bassa gravità lunare.
- Ero impegnato in un lavoro segreto - gli dissi. - E ho paura di essermi messo nei guai. Vi dispiace far venire altre guardie? Può darsi che quelli dell'Agenzia Burns tentino di interferire. - Gli uomini dell'Agenzia Brink, i nostri, orgogliosi del lavoro che svolgevano, sogghignarono felici alla prospettiva di muovere le mani.
- Certamente, Mitch. Pensateci voi - ordinò Schocken al sergente. Il poliziotto si affrettò a telefonare, tutto allegro. - Adesso volete darmi qualche spiegazione? - mi domandò Fowler Schocken.
- Per il momento mi limiterò a dirvi che mi sono degradato temporaneamente e volontariamente per saggiare il parere dei consumatori sul Progetto Venere, e sono in un mare di pasticci. Per favore Fowler, mettetemi voi un po' al corrente della situazione. Io non ci capisco più niente, forse anche perché sono in condizioni pietose: affamato, stanco, terrorizzato e sporco.
- Va bene, Mitch. Sapete che quando scopro un buon cavallo lo lascio correre a modo suo finché ce la fa. Voi non mi avete mai deluso, e Dio sa quanto sono felice di vedere che siete ancora vivo. Il Progetto Venere potrà ancora beneficiare del vostro talento! Adesso come adesso non ne va dritta una. Le percentuali dei favorevoli in tutto il nord America sono del 3,77 per cento, mentre dovrebbero essere del quattro e in continuo aumento. Io sono qui per cercare gente nelle miniere e altrove.
Era bello trovarsi di nuovo a casa. - Chi è in carica al Progetto? - domandai.
- Io. Ho tentato a rotazione con diversi direttori della Società, ma nessuno è stato all'altezza, Perciò, nonostante avessi altro da fare, ho dovuto assumere io la direzione della Sezione Venere. Ah, Mitch, come sono felice che adesso ci siate voi!
- E Runstead?
- Pover'uomo! Sta facendo le mie veci. Ma come mai vi siete messo nei pasticci con le guardie? E dov'è Kathy?
- Più tardi, vi prego... Mi cercano per omicidio e per rottura di contratto B, sulla Terra. Qui sono considerato un individuo sospetto la cui posizione non è ancora stata chiarita. Inoltre ho opposto resistenza all'arresto, ho tramortito una guardia, e ho fatto danni alla proprietà di Luna City.
- Non mi piace quel contratto B - disse Schocken. - Immagino che il vostro contratto avesse qualche irregolarità.
- Parecchie - gli assicurai.
Diventò radioso. - Allora incaricheremo la Camera di Commercio di indagare. Che ditta è?
- La piantagione di chlorella di Costa Rica.
- Non eccessivamente importante, ma solida. Gente ottima. Un piacere fare affari con loro.
"Ma non dal basso" pensai.
- Sono certo che si dimostreranno ragionevoli. E se non fosse così, resta sempre il fatto che ho la maggioranza della Camera del Commercio dalla mia parte. - Mi diede un colpetto nelle costole, ridendo. Il sollievo di potersi togliere dalle spalle la responsabilità del Progetto Venere l'aveva reso euforico.
Finalmente arrivò una dozzina di altri agenti della Brink. - Così dovrebbe bastare - esclamò Schocken. - Tenente, può darsi che quelli della Burns tentino di portarci via il signor Courtenay. Noi non vogliamo che questo accada, vero?
- No, signore - rispose il tenente.
- Bene. Allora possiamo andare.
Invademmo la strada sbalordendo alcuni turisti.
- Ehi, voi! - gridò un poliziotto Burns. Avanzavamo in ordine sparso e lui non doveva aver capito che gli uomini della Brink erano la mia scorta.
- Vai a farti un bagno, buffone - gli rispose un nostro sergente.
L'uomo di Burns impallidì, ma osò azionare il suo fischietto. Cadde in una giostra di pugni e calci.
Altri uomini della Burns arrivarono di corsa, compiendo salti grotteschi per via della gravità. Alcune facce sporsero da varie porte. Il nostro caposquadra gridò: - Forza! - e dalle divise dei nostri uomini comparvero sbarre, rulli, canne, nastri di munizioni, e altro. In un attimo due mitragliatori furono montati sui loro treppiedi e pronti a spazzare le due estremità della strada. Quelli della Burns si fermarono di scatto, rigirandosi tra le mani gli sfollagente, con aria infelice.
Il nostro tenente gridò: - Che cosa succede, signori?
Uno degli altri gridò in risposta: - Quell'uomo che è con voi si chiama George Groby?
- Siete George Groby? - mi domandò il tenente.
- No. Sono Mitchell Courtenay - risposi.
- Avete sentito? - gridò il tenente. Gli uomini addetti ai mitragliatori tolsero la sicura alle loro armi obbedendo a un gesto del loro capo. Le facce dei curiosi scomparvero d'incanto quando i due scatti metallici echeggiarono sotto la volta.
- Be', niente da dire, allora. Proseguite pure - gridò il capo dei Burns. Poi si rivolse ai suoi. - Che cosa state aspettando, scimmioni? Non avete sentito cos'ho detto? - I poliziotti dell'Agenzia Burns sgombrarono la strada, e noi svoltammo per la via Commercio Uno mentre alcuni dei nostri si incaricavano di smontare le armi. La sede della Fowler Schocken a Luna City era al numero 75 della Commercio Uno. Entrammo fischiettando. Gli uomini piazzarono di nuovo i due mitragliatori, nell'atrio.
Non ero mai stato lì e Fowler mi fece da cicerone. - Qui siamo ancora dei pionieri, Mitch. È un elemento che potete sfruttare nei vostri slogan. Qui non ha molta importanza il rango di un individuo. Un gruppo di uomini bene armati è molto più utile di un nobile numero della Sicurezza Sociale.
Passammo davanti a una porta. - È la stanza di Jack O'Shea - disse Fowler. - Ma adesso non c'è di sicuro. Quell'ometto se la spassa, e fa bene, fin che può. - Poi mi fece entrare in un piccolo locale, andò a tirar giù personalmente il letto, e togliendo di tasca un fascio di appunti mi disse: - Date un'occhiata a questa roba. Vi manderò qualcosa da mangiare e un po' di Caffeissimo. Lavorate un paio d'ore e poi godetevi il sonno del giusto!
- Sì, signor Schocken.
Mi sorrise e se ne andò. Io sfogliai gli appunti. "Sei colori, doppio canale. Servirsi dei primi tentativi falliti. Citare Learoyd, 1959, Holden, 1961, McGill, 2002, e tutti gli eroici pionieri col loro sublime sacrificio eccetera. Non parlare di Myers e White, 2010, probabilmente esplosi poco dopo essere usciti dall'orbita lunare. Possibile far scomparire documentazione relativa a Myers-White dagli archivi del giornali? Fare un preventivo di quanto può costare. Raccogliere notizie su Learoyd, Holden e McGill. Donna. Astronave sullo sfondo. Gli eroici pionieri guardano la donna ma senza esagerato interesse..."
Nella stanzetta c'era abbondante carta per scrivere e alcune matite. Incominciai a scrivere. "Eravamo ragazzi comuni. Ci piaceva la Terra e tutto ciò che il nostro pianeta ci dava. La tazza mattutina di Caffeissimo... la prima boccata di una Starr... la soddisfazione di indossare un buon abito Starrzelius... il caldo sorriso di una ragazza in un bel vestito primaverile. Ma questo non ci bastava. C'erano tanti posti lontani che dovevamo vedere. Tante cose che volevamo conoscere. Questo mio compagno piccolo è Learoyd. Diciannove anni. Io sono Holden. Diciannove anni. L'altro, con i capelli rossi, è McGill. Vent'anni. Sì, noi siamo morti. Ma prima di morire abbiamo visto posti lontani, e abbiamo imparato tutto ciò che c'era da imparare. Non compiangeteci. L'abbiamo fatto per voi. L'astronomo può fare solo supposizioni su Venere. Atmosfera di gas venefici, dicono. Venti così caldi che vi potrebbero incendiare i capelli, e così forti da spazzarvi via. Ma non sono sicuri che sia proprio così. E cosa fa un uomo quando non è sicuro di una cosa? Va a vedere di persona".
Una guardia arrivò con alcuni panini e il Caffeissimo. Ruminai e bevvi, aiutandomi con una mano mentre con l'altra continuavo a scrivere.
«Avevamo buone astronavi, ai nostri giorni. Ci imbarcammo con sufficiente carburante per arrivare lassù. Mancava solo il carburante per tornare indietro. Non compiangeteci. Noi "dovevamo" sapere. Poteva anche darsi che gli astronomi sì fossero sbagliati, che lassù noi potessimo respirare aria purissima, nuotare nell'acqua limpida, e poi trovare il carburante per il viaggio di ritorno, e portare le buone notizie. Ma non andò così. Scoprimmo che gli astronomi sapevano il fatto loro. Learoyd non aspettò di morire d'inedia nella sua cabina. Aprì il portello e respirò metano dopo aver compilato il libro di bordo. La mia capsula era più leggera e il vento la portò via mandandola in pezzi con me dentro. McGill aveva una maggior scorta di viveri e un'astronave molto più pesante. Scrisse per una settimana e poi... Dopo che noi due non eravamo ritornati, sapevano già quasi con certezza come sarebbe finita. Così McGill si era portato una pastiglia di cianuro. Ma non compiangeteci. Noi siamo andati là e abbiamo visto. Lo abbiamo fatto per voi. Adesso sapete che gli astronomi avevano ragione, ma sapete anche cosa ci vuole per vincere le minacce di Venere. Quando troverete i nostri corpi e i relitti delle nostre astronavi, non compiangeteci. L'abbiamo fatto per voi. Perché sapevamo che non ci avreste lasciati soli.»
Era bello sentirsi di nuovo a casa.

Capitolo XIV

- Un buon lavoro - mi disse Fowler Schocken posando sulla scrivania la mia fatica notturna. - Parlatene un po' con O'Shea. Lui più di chiunque altro vi può fornire l'ispirazione per dare drammaticità e pathos. E preparatevi a imbarcarvi sulla "Vilfredo Pareto". Stavo dimenticandomi di dirvelo! Andate a far compere, e portate con voi qualcuno dei nostri agenti. Per via dell'assoluta eguaglianza, come vi ho detto ieri sera! - Mi strizzò l'occhio.
Andai da O'Shea. Se ne stava raggomitolato come un gatto nel mezzo di un letto normale, in una stanza uguale alla mia. Aprì gli occhi e mi vide. - Mitch! - disse. - Un altro dei miei incubi!
- Jack - chiamai. - Svegliati bene, Jack.
Si drizzò a sedere e mi fissò. - Cosa diavolo... Ehi, salve, Mitch! Dio, mi sembra di morire. Ho un mal di testa spaventoso e... Uuuuh! - Si afferrò la testa con le mani. - Portami qualcosa da buttar giù, per favore. - Tornò a sdraiarsi, gemendo. Andai in cucina, preparai una tazza di Caffeissimo, una fetta di prosciutto, del burro. Quando già stavo per rientrare nella stanza mi fermai, presi la bottiglia del Bourbon e ne versai due dita in un bicchiere.
O'Shea sbirciò con occhio critico il vassoio e quel che c'era sopra. - Cos'è quella porcheria? - domandò, riferendosi al Caffeissimo, al prosciutto e al burro, poi prese il bicchiere, bevve il whisky e rabbrividì.
- Tanto tempo che non ci vediamo, Jack - dissi.
- Oooh, ne avevo proprio bisogno - gemette. Parlava del whisky. Fece per alzarsi, ma ricadde all'indietro. - La mia povera schiena - si lamentò.
- Bisogna che mi decida a entrare in un monastero. Per mantenere alta la mia reputazione, mi sto ammazzando poco alla volta! Povero me, quella turista della Nuova Scozia! Siamo in primavera, Mitch? La stagione spiegherebbe certe cose.
- È autunno, Jack - risposi.
- Forse lei non lo sapeva - brontolò. - Dammi quel caffè.
- Non disse "per favore", non aggiunse "grazie". Era cambiato.
- Credi di poter lavorare un po', questa mattina? - domandai, in tono secco.
- Perché no? - rispose, con indifferenza. - Dopo tutto Schocken paga. Di che lavoro si tratta?
Gli feci vedere quel che avevo scritto. Lesse mentre mangiava il prosciutto.
- Mi pare che tu abbia un po' imbrogliato le carte - disse alla fine, con ironia. - Non ho conosciuto personalmente Learoyd, Holden e McGill, ma so che non sono stati loro a voler andare su Venere. Ce li hanno mandati!
- Facciamo invece finta che abbiano voluto andarci - risposi. - Anzi, se lo preferisci, dirò che vogliamo cercare di convincere la gente che loro hanno voluto andarci. Tu devi darmi qualche elemento che faccia "sensazione". Prima di tutto dimmi, che effetto ti ha fatto, quel pezzo?
- Mi ha dato la nausea - disse, annoiato. - Vuoi prepararmi la doccia, Mitch? Dieci minuti di acqua potabile, molto calda, e al diavolo il danaro. - Si mise a sedere sull'orlo del letto e guardò i suoi piedi che penzolavano a quindici centimetri dal pavimento.
- Non mi dici niente su quel che hai letto? - domandai.
- Vedrai il mio rapporto - disse lui. - A che punto siamo con la mia doccia?
- Chiedilo al tuo cameriere - ribattei, e me ne andai schiumando rabbia. Per un paio d'ore trasudai "sensazione" nella mia opera, poi uscii a fare acquisti, in compagnia di una squadra di poliziotti. Non ci furono guai con altri agenti. Passando davanti al negozio di Astron vidi che c'era affisso un cartello. Diceva: "Il dottor Astron è molto dispiaciuto di dover annunciare che affari urgenti l'hanno chiamato improvvisamente sulla Terra".
- È partita la "Ricardo"? - domandai a uno dei miei uomini.
- Sì, ha decollato un paio d'ore fa, signor Courtenay. La prossima partenza sarà quella della "Pareto", domani.
Potevo parlare.
Raccontai quindi a Schocken la storia completa. E Fowler Schocken non credette nemmeno una parola.
Fu però molto gentile e cercò di non ferire i miei sentimenti. - Nessuno intende biasimarvi, Mitch - mi disse, in tono cortese. - Siete passato attraverso una difficile esperienza, e questo vi ha scosso. Capita sempre così quando ci si trova faccia a faccia con la realtà. Ma non dovete sentirvi solo. Vedremo insieme di uscire dalla vostra situazione. Il mio psichiatra...
Temo di averlo interrotto con un urlo.
- Su, calmatevi, figliolo - riprese lui, ancora gentilissimo e pieno di comprensione.
- Lasciate che vi spieghi cosa...
- Spiegatemi questo, piuttosto - scattai, ficcandogli sotto il naso il mio braccio con il falso numero della Sicurezza Sociale.
- Come volete - mi disse, calmo. - Fa parte dello schema relativo alla vostra... diciamo breve vacanza dalla realtà. Avete voluto sfuggire a voi stesso. Avete assunto una nuova personalità, un lavoro il più lontano possibile dal vostro. Per questo avete scelto il facile tran-tran di uno scrematore che passa le giornate ad abbronzarsi al sole dei tropici...
A questo punto compresi perfettamente chi di noi due viveva fuori della realtà.
- Le vostre orribili calunnie contro Taunton verrebbero chiaramente spiegate dal mio... da una persona con una buona conoscenza degli istinti inconsci, Mi ha fatto piacere sentirvele esporre. Significa che siete già a metà strada sulla via del ritorno alla vostra vera personalità. Qual è il nostro problema centrale? Il problema centrale del vero Mitchell Courtenay, pubblicitario di prima classe? Abbattere l'opposizione. Distruggere i concorrenti. È proprio questo che traspare dalla vostra fantastica storia su Taunton. Il vostro immaginario incontro con Hedy potrebbe fornire materia per un volume sulla psicologia.
- Immaginario incontro! - gridai, - Maledizione, Fowler, guardate la mia mascella! Non vedete il buco? Mi fa ancora male!
Lui sorrise, e disse: - Sono felice che non vi siate fatto di peggio. Vedete...
- E cosa mi dite di Kathy? - interruppi, furibondo. - E di tutte le informazioni che vi ho fornito sugli Indietristi?
- Mitch - rispose lui, senza nemmeno riflettere un attimo - lo sdoppiamento di personalità che si è operata in voi dando vita a un Groby-Courtenay, vi ha fatto identificare vostra moglie con qualcosa da odiare e temere: gli Indietristi.
- Non sono un pazzo! - protestai.
- Il mio psichiatra...
- Dovete credermi!
-... che questi conflitti dell'inconscio...
- Vi dico che Taunton ha assoldato degli assassini!
- Sapete cosa mi ha dato la mia convinzione, Mitch?
- Cosa? - domandai, amareggiato.
- La fantastica descrizione di una squadra indietrista che ha il suo rifugio sotto una massa di Chicken in formazione. Il simbolismo è... è evidentissimo.
Mi arresi, ma non del tutto.
- Si usa ancora dar sempre ragione ai pazzi? - domandai.
- Voi non siete pazzo, ragazzo mio! Avete solo bisogno di essere aiutato, come molti...
- Sarò più chiaro. Siete disposto ad assecondarmi su un particolare?
Lui rise, assecondandomi.
- Allora badate a voi stesso, e a me. Taunton ha assoldato degli assassini. Io, o Groby, o quel che diavolo preferite, la pensiamo così. Se la vostra voglia di non contraddirmi arriverà a fornire voi stesso e me di guardie del corpo, vi prometto di non commettere stranezze come mettermi a camminare sul soffitto.

Povero vecchio Schocken! Come si poteva criticarlo? Tutto quello che io avevo detto era un attacco al suo mondo. La mia storia era una serie di bestemmie contro il dio delle Vendite. Non poteva credermi, e non poteva ammettere che ci credessi io, il vero Courtenay. Per lui era assolutamente impossibile che Mitchell Courtenay, pubblicitario di prima classe, potesse dichiarare che:
- Gli interessi dei produttori e quelli dei consumatori non coincidevano.
- La maggior parte del mondo era infelice.
- Gli uomini non fanno quasi mai il lavoro per il quale sono portati.
- Gli Indietristi sono intelligenti e bene organizzati e non sono pazzi.
Fowler Schocken non ci credeva, e il dio delle Vendite aveva ragione.
Comportandomi da dissociato psichico, in una maniera che avrebbe reso felice lo psichiatra di Fowler Schocken, mi dissi ad alta voce: - Sai, Mitch, stai parlando come un Indietrista.
Gli risposi: - Sì, perché lo sono. Questo è il terribile!
- Bene - ribattei. - Io non me ne intendo, ma forse...
- Già - dissi. - Forse...
"Trattami pure come un matto, Fowler" pensai. "Ma per favore mettimi attorno qualcuno che tenga gli occhi bene aperti. Non mi piacerebbe incontrare qualche altra ambivalente fantasia come Hedy. Può darsi che il simbolismo sia ovvio, ma lei mi ha fatto un male cane con il suo ago simbolico!".

Capitolo XV

Quando arrivammo alla Torre Schocken, Runstead non c'era. Arrivammo insieme: Fowler Schocken, io, O'Shea, alcune segretarie, e un gruppo di poliziotti armati secondo i miei desideri.
La segretaria di Runstead ci disse che il suo capo era uscito un momento. Aspettammo, aspettammo, aspettammo, e alla fine, dopo un'ora, io insinuai che forse non sarebbe tornato. Dopo un'altra ora, vennero a dirci che era stato trovato un cadavere spiaccicato su un terrazzo della torre, e che era molto difficile identificarlo.
La segretaria di Runstead ebbe una crisi isterica, poi aprì la scrivania e la cassaforte del suo capo. Vi trovammo, alla fine, un diario relativo agli ultimi mesi della vita di Runstead. Qua e là, mescolate ai particolari del suo lavoro, al resoconto delle sue avventure sentimentali, ai conti dei ristoranti, e altre cose del genere, c'erano queste frasi: "È venuto anche questa notte. Mi ha detto di usare più mordente nella mia pubblicità. Ne sono spaventato... Lui dice che la campagna per la Starrzelius necessita di un nuovo sviluppo. Mi ha terrorizzato. Pare che spaventasse tutti quando era ancora vivo... La notte scorsa ho visto ancora G. W. H... Oggi l'ho visto per la prima volta alla luce del giorno. Ho urlato, ma nessuno se n'è accorto. Vorrei che non tornasse più... Oggi i denti di G. W. H. erano più grossi e più appuntiti. Ho bisogno di aiuto... Mi ha detto che sono una vergogna per la mia professione..."
Ci mettemmo un po' a capire che il "lui" di Runstead era il fantasma di George Washington Hill, padre della pubblicità, fondatore di un sacco di cose.
- Poveretto! - esclamò Schocken, pallidissimo. - Povero... povero Runstead! Se avessi immaginato... Se si fosse rivolto a me! - Mancava poco che si mettesse a piangere. Mi disse: - Vedete, Mitch, come ci logoriamo nel nostro lavoro! E che terribili risultati.
Certo, vedevo. Vedevo un diario fabbricato su misura, e un mucchio di protoplasma al quale era impossibile dare una identità. Sul terrazzo della torre, per quel che ne pensavo io c'erano novanta chili di Chicken. Ma avrei perso il mio tempo a cercare di convincere Schocken.
- Terribili - dissi, senza contraddirlo.
Venni rimesso al mio vecchio posto: direttore del Progetto Venere. Ogni giorno andavo dallo psichiatra di Fowler. E continuavo a circondarmi di poliziotti armati. Il signor Fowler Schocken mi diceva che il dottor Lawler gli aveva detto che miglioravo. E il dottor Lawler diceva a Fowler Schocken quello che gli dicevo io. Io dicevo al dottor Lawler quello che uno studente in medicina, l'avevo assunto e lo stipendiavo apposta, escogitava per costruirmi un trauma psichico in via di assorbimento, lavorando sul presupposto che il periodo da me vissuto come consumatore era stato soltanto una fuga psicologica. Qualcuna di queste trovate non le sfruttavo, per dignità, ma quel che restava era più che sufficiente a convincere il dottor Lawler di un mio costante miglioramento. Ad una ad una distruggemmo insieme le mie "fantasie".
A una sola non rinunciai, a quella che mi faceva considerare in pericolo tanto la mia vita quanto la vita di Fowler.
Poi venne il giorno in cui Fowler mi disse: - Mitch, bisogna ricorrere a misure eroiche. Non vi chiedo di rinunciare a quel vostro ultimo baluardo contro la realtà. Io però non voglio più una guardia del corpo.
- Vi uccideranno, Fowler! - esclamai.
Lui scosse la testa. - Vedrete che non sarà così. Io, comunque, non ho paura. - Fu tutto inutile. Dopo aver accettato qualche minuto di discussione, Fowler chiamò il tenente che comandava la sua guardia personale. - Non ho più bisogno dei vostri servizi - disse. - Potete quindi rientrare all'Agenzia con i vostri uomini. Vi ringrazio infinitamente per la lealtà che mi avete dimostrato e per la cura messa nell'eseguire il vostro lavoro durante queste settimane.
Il tenente salutò, ma tanto lui quanto i suoi uomini non sembravano contenti. E li capivo. Lasciavano un lavoro facile, in un ambiente comodo come quello dei dirigenti, per tornare alle pattuglie per le strade o al servizio postale, o ad altro del genere. Se ne andarono, e io sapevo che i giorni di Fowler Schocken erano contati.
Quella sera mentre rientrava a casa, venne strangolato da un uomo che aveva messo fuori combattimento l'autista e si era sostituito a lui ai pedali della Cadillac di Fowler Schocken. L'assassino si oppose all'arresto e venne picchiato a morte. Il tatuaggio con il numero della Sicurezza Sociale era stato cancellato, e l'omicida restò così sconosciuto.

Potete immaginare anche voi tutto quello che ci fu da fare in ufficio il giorno seguente. Per prima cosa la direzione si radunò al completo per un discorso su Fowler Schocken e sui suoi meriti. Poi cominciarono ad arrivare i telegrammi di condoglianza dalle altre Agenzie di pubblicità, compresa la Taunton. Io mi espressi in termini alquanto forti, quando ebbi tra le mani il telegramma della Taunton, ma nessuno dei miei compagni direttori mi prestò attenzione. Stavano tutti facendo il conto delle azioni della Società. Attorno al tavolo della direzione l'uomo che aveva più azioni era Harvey Bruner. Qualcuno già gli faceva la ruota, ma erano degli stupidi. Ottimo nel suo campo, onesto, leale, Harvey mancava completamente di fantasia, negli affari. Sotto le sue mani pesanti, quella delicata costruzione che si chiamava Società Fowler Schocken si sarebbe disintegrata in un anno.
Se quello fosse stato un gioco io avrei puntato piuttosto su Sillery. Aveva anche lui i suoi cortigiani che gli ronzavano attorno, rispettosi. Io, a una estremità del tavolo, ero invece circondato dalle mie guardie del corpo. Sillery guardò i miei ragazzi, una volta, e io lessi nei suoi occhi come in un libro. "Quella storia è già durata troppo" dicevano. "Per prima cosa, adesso ci libereremo di quello snob!".
E alla fine arrivarono gli uomini che aspettavamo: i legali della Associazione Americana Donazioni e Lasciti.
Sembravano tutti dei becchini, proprio come pretende la tradizione. Sillery li accolse con un discorsetto di benvenuto, peccato che la circostanza fosse così dolorosa, eccetera.
Loro lessero il testamento in un mormorio indistinto, poi ne distribuirono copie a tutti. Il paragrafo che lessi per primo diceva: "Al mio caro amico e collaboratore Mitchell Courtenay lascio il mio anello di quercia con applicazioni in avorio, e le settantacinque azioni dell'Istituto per la Diffusione della Psicanalisi, con la raccomandazione di dedicare il suo tempo libero a questo Istituto per il suo progresso e il suo benessere". "Bene, Mitch" mi dissi. "Ti hanno estromesso".
Deposi il foglio sul tavolo e mi appoggiai allo schienale della poltrona facendo mentalmente l'inventario dei miei fondi.
- Si mette male - mi disse un tale che io conoscevo appena. - Il signor Sillery sembra molto soddisfatto.
Guardai il paragrafo che si riferiva a Sillery. A lui spettavano le azioni personali di Schocken, e altri pacchetti di altre organizzazioni.
L'uomo seduto accanto a me sbirciò la mia copia del testamento. - Non per impicciarmi dei fatti vostri, signor Courtenay - disse - ma il vecchio poteva trattarvi meglio! Non ho mai sentito parlare di quell'Istituto, eppure mi interesso di psicanalisi!
A me parve di sentire la risata del vecchio Fowler.
Sillery tossicchiò, e in un attimo nella sala del consiglio si fece silenzio assoluto.
Il grande uomo parlò. - Signori, questa sala è troppo affollata. Vorrei chiedere a tutti coloro che non fanno parte della direzione di ritirarsi...
- Vi risparmierò la fatica, Sillery - dissi, alzandomi. - Andiamo, ragazzi. Sillery, potrei tornare! - E me ne andai con le mie guardie.
L'Istituto per la Diffusione della Psicanalisi era tutto in tre misere stanze nel quartiere di Yonkers. Nel primo ufficio c'era una signorina matura, intenta a scrivere a macchina. Pareva uscita da un romanzo di Dickens.
- Vengo dalla Società Fowler Schocken - le dissi.
Lei saltò in piedi. - Scusatemi signore, non vi avevo sentito entrare! Come sta il signor Schocken?
Io le dissi come mi pareva che stesse, e lei cominciò a singhiozzare. Poveretto, così buono, così generoso! Cos'avrebbero fatto adesso lei e suo fratello! Povero signor Schocken! Poveretta lei! Poverino suo fratello!
- Può darsi che abbiate ancora qualche speranza - la consolai. - Chi è il direttore dell'Istituto?
Mi rispose che nell'altro ufficio c'era suo fratello. - Per favore, diteglielo con le dovute cautele, signor Courtenay. È tanto sensibile!
Glielo promisi, ed entrai nel secondo ufficio. Il fratello russava, con la testa sulla scrivania. Lo svegliai, scuotendolo, e lui aprì un occhio. - Cosa diavolo succede?
- Vengo dalla Società Fowler Schocken - gli spiegai. - Voglio vedere i vostri libri.
Luì scosse la testa. - Nossignore. Soltanto il vecchio in persona può vedere i nostri libri.
- Il vecchio è morto - risposi. - Qui c'è il suo testamento. - Gli mostrai il paragrafo che mi riguardava, e i miei documenti.
- Allora ve ne occupate voi, adesso? - domandò lui. - Qui c'è scritto che dovete...
- Lo so - interruppi. - I libri, per favore.
Li tolse da una antiquata cassaforte nascosta dietro una porta finta.
Dopo aver studiato quei registri per tre ore, scoprii che l'Istituto esisteva unicamente per amministrare il cinquantasei per cento delle azioni della Cooperativa Generale Fosfati, una ditta di Newark.
- Ragazzi, a Newark - dissi ai miei agenti.
Non vi annoierò con tutti i particolari. Dalla Cooperativa Fosfati passai alla Macchine e Utensili, che aveva il 32 per cento delle azioni della Società Fowler Schocken. Dalla Macchine e Utensili arrivai alla Cooperativa Odontotecnici che possedeva quello che ancora mancava.
Due settimane più tardi, alla riunione dei dirigenti, entrai in sala di consiglio con le mie guardie.
Sillery presiedeva la riunione. Aveva una brutta faccia, come se avesse passato tutte le notti delle ultime due settimane a cercare qualcosa.
- Courtenay! - mi assalì. - Credevo aveste capito che il vostro esercito non deve entrare qui dentro.
Io feci un cenno all'onesto Harvey Bruner, al quale avevo detto tutto. Era stato leale con Schocken, e sarebbe stato leale con me. Bruner si alzò e disse: - Signor Presidente, faccio presente che i membri della direzione hanno il permesso di ammettere alle riunioni il personale di vigilanza nel numero che ritengono necessario alla loro sicurezza!
- Perciò, dato che è permesso, signor Presidente... - dissi. - Ragazzi, portate qui. - Le mie guardie del corpo, sogghignando, cominciarono a trasportare nella sala le cassette piene di procure a mio nome.
Alla fine il risultato della votazione fu: 99 per 100 a favore, 1 per cento contro. Il voto di Sillery. Nessuna astensione. Mi si affollarono tutti intorno: ero il Presidente della Società Fowler Schocken. E avevo imparato a non disprezzare niente, nella vita.

Capitolo XVI

- Signor Courtenay - disse la voce della mia segretaria - ad Albany è stato arrestato un Indietrista. Devo regolarmi come al solito?
- Maledizione! - esplosi. - Quante volte ve lo devo dire di attenervi ai miei ordini? Perché diavolo questa volta dovrebbe essere diversa dal solito?
- Vi prego di scusarmi, signor Courtenay - balbettò. - Pensavo che fosse troppo lontano e...
- Smettetela di pensare e occupatevi invece del mezzo di trasporto! - Forse non avrei dovuto essere così rude con lei, ma volevo ritrovare Kathy, anche a costo di rivoltare come un guanto ogni squadra indietrista esistente al mondo. Ero stato io a spingere Kathy a nascondersi, ma adesso volevo trovarla.
Un'ora più tardi ero al Quartier Generale della Protezione. Si trattava di un'associazione di New York, il cui potere arrivava sino ad Albany. Il Presidente della Società accompagnò me e la mia guardia del corpo all'ascensore. - Un vero onore! - biascicava. - Un immenso onore avervi tra noi, signor Courtenay. Cosa posso fare per voi?
- La mia segretaria vi deve aver chiesto di non "lavorare" l'Indietrista finché non arrivavo io. Spero che sia così.
- Naturalmente, signor Courtenay! Forse qualcuno dei dipendenti sarà stato un po' rude con lui, di sua iniziativa, ma vi assicuro che è in perfette condizioni.
- Voglio vederlo.
Mi fece strada, premurosamente. Sperava di poter annoverare la Fowler Schocken tra i suoi clienti, ma non osava dirlo apertamente.
Il detenuto sospetto di Indietrismo stava seduto su uno sgabello, sotto una lampada abbagliante. Era un consumatore di circa trent'anni. Aveva un paio di lividi sulla faccia.
- Spegnete quella luce - dissi.
Una specie di capo squadra dalla faccia quadrata protestò: - Ma noi teniamo sempre... - Non finì la frase. Uno dei miei uomini lo scostò bruscamente, senza dire una parola, e spense la lampada.
- Va bene così, Lombardo - disse il Presidente al capo squadra. - Stiamo collaborando con questi signori.
- Sedia - ordinai, e un attimo dopo potevo sedermi di fronte al detenuto. - Mi chiamo Courtenay - gli dissi. - E voi come vi chiamate?
Mi guardò con le pupille dilatate. - Fillmore - rispose. Poi precisò: - August Fillmore. Potete dirmi perché mi hanno portato qui?
- Siete sospettato di essere un Indietrista.
Gli uomini della Protezione presenti nella stanza trattennero il fiato. Informando l'accusato sulla natura del delitto che gli era imputato, io stavo violando il più elementare principio di giurisprudenza. Lo sapevo benissimo ma non me ne importava niente.
- È ridicolo! - protestò Fillmore. - Sono un uomo rispettabile, sposato, con otto figli e un nono in arrivo. Chi vi ha detto una stupidaggine simile?
- Glielo diciamo? - domandai al Presidente.
Lui mi fissò, incapace di credere che avessi fatto una proposta del genere. - Signor Courtenay - disse alla fine - con tutto il rispetto, io non posso prendermi questa responsabilità. Tutto il mondo della legge rispetta i diritti degli informatori...
- Me la prendo io, la responsabilità. Volete che vi rilasci una dichiarazione scritta?
- No! No, no, no, no! Per carità! Vi prego, signor Courtenay, non mi offendete! Possiamo fare così. Io dico a voi il nome dell'informatore e poi esco da questa stanza. Va bene?
- Se va bene per voi, io non ho niente in contrario.
Lui tirò un sospiro di sollievo, poi si chinò a bisbigliarmi la notizia. - È stata una certa signora Worley. La sua famiglia e quella dell'imputato coabitano nella stessa stanza. Vi prego di usare questa informazione con cautela, signor Courtenay.
- Grazie - dissi. Lui chiuse gli occhi per non vedere l'orrore di quel che aveva fatto e uscì dalla stanza con i suoi dipendenti.
- Bene, Fillmore, mi hanno detto che è stata una certa signora Worley - annunciai all'imputato.
Lui incominciò a bestemmiare, ma io l'interruppi. - Ho molto da fare, quindi non perdiamo tempo - gli dissi. - Sapete che cosa afferma Vogt a proposito dello spirito di conservazione?
Evidentemente quel nome non aveva nessun significato per lui. - Che cos'è la conservazione? - domandò distrattamente.
- Non importa. Cambiamo argomento. Io sono ricco, e se voi siete disposto a collaborare, ammettendo di essere un Indietrista, assicurerò una buona pensione alla vostra famiglia mentre voi sconterete la condanna.
Lui ci pensò attentamente per qualche minuto, poi affermò: - Certo che sono un Indietrista. E con questo? Anche se non lo fossi sarei nei guai lo stesso, quindi...
- Se siete un Indietrista, citatemi qualche brano di Osborne.
Non aveva mai sentito nominare Osborne, quindi dovette inventare. - Ecco... c'è un pezzo che incomincia così: "Il primo dovere di un Indietrista... è di prepararsi per una... generale sommossa...". Be', non mi ricordo il resto, ma incomincia così.
- Pressappoco. E che cosa potete dirmi della vostra squadra? Chi sono gli altri componenti?
- Non li conosco per nome - rispose, più disinvolto di prima. - Usiamo soltanto dei numeri. C'è un tale con i capelli neri, che è il nostro capo, e... c'è...
Fu una recita niente male. Alla fine lo lasciai.
- Non è un Indietrista - dissi al Presidente della Protezione, che mi aspettava impaziente in corridoio.
Io ero il Presidente della Società Fowler Schocken, e lui solo il Presidente di una organizzazione locale di polizia, ma questo era troppo. Si raddrizzò, e disse con grande dignità: - Noi amministriamo la giustizia, signor Courtenay, e uno dei più antichi concetti della giustizia dice che è meglio che vengano condannati mille innocenti piuttosto che un solo colpevole sfugga alla giusta pena!
- Conosco questa massima - risposi. - Buongiorno.
Uno dei miei uomini mi passò il telefono portatile sul quale era arrivato il segnale di comunicazione con precedenza. Era la mia segretaria, che mi telefonava dalla torre Schocken per informarmi che alla città Pilone Tre di Cape Cod era stato operato un altro arresto.
Volammo alla Città Pilone Tre, che quel giorno ondeggiava più del solito per le onde lunghe dell'oceano. Io odio le Città Pilone perché soffro il mal di mare come il mal d'aria.
Quel particolare Indietrista risultò un delinquente abituale. Aveva tentato di saccheggiare la vetrina di un gioielliere dove c'erano esposte spille di mogano e collane di quercia. Per stornare i sospetti aveva lasciato una nota nella quale si parlava di vendetta indietrista contro gli uomini troppo ricchi.
Un delinquente molto stupido.
Dalla Città Pilone tornammo a New York, dove era stato arrestato un terzo Indietrista. Lo vidi e gli parlai per qualche minuto. Era al corrente dell'evoluzione storica degli Indietristi, e mi citò brani di Vogt e di Osborne. Disse anche che Dio l'aveva scelto per spazzare dal mondo gli inetti. Poi dichiarò che sarebbe morto piuttosto di rivelare i segreti dell'organizzazione indietrista. Io ne ero convinto perché lui, di quei segreti non ne conosceva nemmeno uno. Gli Indietristi non avrebbero mai accettato tra loro un tipo del genere nemmeno se fossero stati ridotti a tre gatti.
Rientrammo alla torre che era già il tramonto. Altri agenti diedero il cambio alla mia guardia del corpo. Era stato un giorno buttato via, quasi come tutti gli altri giorni che l'avevano preceduto da quando avevo ereditato l'Agenzia di Pubblicità.
C'era in programma una riunione. Non avrei voluto andarci, ma la mia coscienza mi rimordeva al pensiero della fiducia che Fowler Schocken aveva avuto in me. Prima di trascinarmi in sala di consiglio, però, chiamai il capo di una speciale squadra che avevo formato in seno alla Sezione Spionaggio Commerciale.
- Niente di nuovo, signore - mi disse l'uomo. - Nessuna traccia della dottoressa Nevin. Gli uomini che ci avete incaricato di rintracciare alla Chlorella sembrano svaniti. Dobbiamo tentare di...
- Tentate! - dissi. - E se vi servono altri uomini o denaro, chiedete pure.
Mi assicurò la sua lealtà e riappese il ricevitore, probabilmente pensando che il suo capo era un pazzo che sbavava dietro una moglie, nemmeno sua di fatto, e che aveva deciso di piantarlo. Non sapevo che cosa avesse combinato esattamente il mio servizio privato di spionaggio. Sapevo però che tutti quelli che volevo trovare erano scomparsi. Tutti i miei contatti con gli Indietristi di Costa Rica e con quelli di New York, e della Luna, erano svaniti. Come se non fossero mai esistiti. Kathy non era mai più tornata né al suo appartamento né all'ospedale. Warren Astron non era mai più tornato al suo osservatorio da veggente. I miei compagni di squadra alla Chlorella risultavano introvabili.
La riunione!
- Scusate il ritardo, signori. Vi risparmierò il discorso di apertura. Charlie, cosa mi potete dire del Reparto Ricerche e Sviluppo in rapporto alla questione Venere?
Charlie si alzò. - Signor Courtenay, signori, credo di potervi dire umilmente che la mia Sezione fa del suo meglio e che i miei collaboratori rendono ottimamente alla Fowler Schocken. Abbiamo ottenuto l'effetto di serra che ci era stato richiesto. Inoltre gli esperimenti in vitro hanno confermato le predizioni dei nostri abilissimi fisici e chimici e del reparto termodinamica. Attorno a Venere, all'altezza approssimativa di dodicimila metri, ci vorrebbe una coltre di anidride carbonica spessa circa dieci centimetri. Servirebbe a moderare la temperatura del pianeta abbassandola da ottantacinque a ottanta gradi. Stiamo adesso cercando il modo di ottenere questa immensa nuvola di gas, e studiando un sistema per proiettarla nella stratosfera di Venere. L'anidride carbonica può anche venire ottenuta artificialmente, nel caso non ne trovassimo in natura. Io dico che la troveremo. A parte l'attività vulcanica esistente sul pianeta, pare che l'emanazione tipica della superficie venusiana sia data da ammoniaca liquida compressa nelle spaccature del suolo e nelle crepe delle rocce, a notevole profondità. Siamo certi, comunque, che perforando a fondo si può trovare una notevole riserva di anidride carbonica.
- Certi fino a che punto? - domandai.
- Quasi certi, signor Courtenay - disse Charlie, senza riuscire a nascondere del tutto il sorrisetto "non-potete-capire-queste-cose" che i tecnici sfoderano sempre verso i non tecnici. - Secondo le analisi fatte in base al rapporto di O'Shea...
Lo interruppi ancora. - Andreste su Venere forte di questa quasi certezza, ammesso che tutte le altre caratteristiche del pianeta risultassero inalterate?
- Certamente, signor Courtenay! - rispose Charlie, lievemente offeso. - Volete che entri in particolari tecnici?
- No, grazie, Charlie. Continuate pure.
- Dunque... Stiamo progettando una macchina per trivellazioni a grandi profondità, tenendo conto che deve essere azionata da una fonte indipendente di energia, e comandata a distanza. Spero che il mio rapporto venga considerato soddisfacente.
- Molto soddisfacente. Grazie, Charlie. Voglio però chiarire una cosa. Se i depositi di anidride carbonica di Venere risultano troppo abbondanti e troppo facili da raggiungere, si rischia che Venere esporti poi anidride carbonica liquida sulla Terra, cosa che non deve assolutamente succedere. Tenete ben presente tutti che Venere non deve mettersi a competere con il pianeta madre. La Terra acquisterà da Venere ferro e nitrati, a buon prezzo e in cambio di altri prodotti, ma non dimenticate mai che siamo noi quelli che sfrutteranno Venere, e che non deve mai verificarsi il contrario. Ostacolare i produttori terrestri di anidride carbonica non sarebbe buona politica. Perciò voglio che voi, Charlie, scopriate se estraendo anidride carbonica dal sottosuolo venusiano non capiterà poi che Venere possa in futuro esportare lo stesso prodotto consegnandolo franco New York a un prezzo di concorrenza. Se è così, dovrete cambiare i vostri progetti e studiare il modo di produrre artificialmente il gas che vi serve, anche se la spesa risulterà maggiore.
- Va bene, signor Courtenay - disse Charlie, prendendo frettolosamente appunti.
- Bene. Qualcuno ha delle comunicazioni speciali da fare sul Progetto Venere, prima che si chiuda la seduta?
Bernard, l'amministratore, sollevò la mano, e io gli feci segno di parlare.
- Si tratta di O'Shea - brontolò. - Noi ci serviamo di lui quale consulente, perciò ho indagato un po' qua e là sul suo conto. Spero di essere scusato per questa mia iniziativa, data la natura del mio lavoro. Devo riferire che O'Shea nelle ultime settimane ha chiesto notevoli anticipi su compensi non ancora maturati. Se per caso dovessimo troncare i nostri rapporti di lavoro con lui, O'Shea ci sarebbe debitore di forti somme. Inoltre... so che si tratta di un argomento banale, ma... Ecco, signor Courtenay, le ragazze della mia Sezione si lamentano delle eccessive attenzioni del signor O'Shea.
Inarcai le sopracciglia. - Credo che continueremo a servirci di lui, Ben, per quanto il suo momento di massima gloria stia passando. Vedete un po' di parlargli, se chiedesse altri anticipi. In quanto alle ragazze... be', mi stupisce! Credevo che nessuna si lamentasse per aver fatto colpo su Jack O'Shea.
- L'avete visto ultimamente? - borbottò Bernard.
Mi resi conto che non vedevo il nano da parecchio tempo.
La riunione non durò ancora a lungo.
Tornato nel mio ufficio chiesi alla segretaria di informarsi se O'Shea era nel palazzo, e se c'era di farlo venire da me.
Con O'Shea entrò nel mio ufficio un tanfo di liquore. - Maledizione, Mitch! Quando è troppo è troppo! - si lamentò Jack. - Avevo appena cominciato a convincere una bambola a farmi compagnia per questa sera, e tu mi mandi a chiamare! Stai prendendo troppo sul serio la faccenda delle consultazioni con l'esperto... Hai la facoltà di usare il mio nome come più ti fa comodo, cos'altro vuoi?
Aveva un bruttissimo aspetto. Sembrava la caricatura di Napoleone all'isola d'Elba, ma non era per questo che lo guardavo senza parlare. Pochi secondi dopo il suo arrivo, avevo cominciato a pensare a Kathy e non riuscivo a togliermela dalla testa. Mi ci volle un po' per capire il perché. - E allora? - domandò lui. - Si può sapere cosa stai guardando? Ho una macchia verde sul naso?
L'odore dell'alcool lo copriva un po', ma riusciva lo stesso a farsi sentire. Quello era "Menage a deux", il profumo che io avevo creato per Kathy, e per lei sola, quando eravamo andati a Parigi, il profumo che lei adorava e che qualche volta metteva in dose eccessiva. Mi sembrava ancora di sentirla dire: "Non riesco a farne a meno, tesoro. È tanto più buono dell'odore di formalina che mi sento addosso dopo una giornata passata all'ospedale!". - Mi dispiace di averti disturbato, Jack - dissi, finalmente. - Non sapevo che fossi occupato. Posso aspettare un altro momento. Divertiti.
Lui fece una smorfia, e se ne andò barcollando sulle gambe troppo corte.
Io afferrai il ricevitore del telefono e abbassai la levetta che mi metteva direttamente in comunicazione con il mio Servizio di Spionaggio. - Fate pedinare Jack O'Shea - ordinai. - Uscirà dall'edificio fra poco. Pedinate lui e tutte le persone con cui entra in contatto. Notte e giorno. Se voi e i vostri uomini riuscirete a portarmi la notizia che aspetto, avrete tutti un avanzamento e un premio. Ma che Dio vi aiuti se vi lasciate scappare la persona che mi preme.

Capitolo XVII

Mi comportavo in modo da scoraggiare chiunque a venirmi vicino. Non riuscivo a fare altrimenti. Ormai vivevo per una sola cosa: il rapporto quotidiano sul pedinamento di Jack O'Shea. Tutto il resto mi infastidiva e mi irritava.
In capo a una settimana erano ventiquattro gli uomini impegnati a pedinare Jack e le persone con le quali il nano aveva parlato. C'erano camerieri, ragazze, un poliziotto che l'aveva fermato una sera per controllare i suoi documenti, un suo vecchio compagno d'astroporto, gli agenti che gli organizzavano le conferenze, e parecchia altra gente. Una notte, alla lista del pedinato si aggiunse una persona descritta così: "Consumatrice, trent'anni circa, capelli rossi, (non è stato possibile notare gli occhi) vestita a buon mercato, altezza circa un metro e sessanta. Il soggetto è entrato al ristorante Hash Heaven alle 18:37 dopo aver aspettato in strada per quattordici minuti, ed è immediatamente andato al tavolo in uno degli ultimi contatti. Il soggetto ha mangiato di buon appetito, scambiando poche parole con il contatto. Può darsi che ci sia stato un passaggio di carte, ma non è stato possibile capirlo alla prudente distanza di pedinamento. Una nostra agente femmina ha fatto in modo di avvicinare il soggetto".
Trent'anni, alta circa un metro e sessanta. Poteva essere lei. Afferrai il telefono. - Concentratevi sull'ultimo soggetto. E fatemi sapere immediatamente tutto quello che scoprite. Non si potrebbe cercar di sapere qualcosa dal ristorante?
L'uomo del Servizio di Spionaggio cominciò a spiegarmi che se io insistevo loro l'avrebbero fatto ma che non era una buona tecnica, perché di solito, agendo in quel modo si finiva per informare indirettamente del pedinamento proprio la persona pedinata.
- Va bene - dissi. - Fate a modo vostro, allora.
- Aspettate un attimo, signor Courtenay! La nostra agente ha appena fatto rapporto. Il nuovo contatto è rientrato a casa, nel palazzo Taunton. Occupa i gradini diciassette e diciotto, al trentacinquesimo piano.
- Chi alloggia al trentacinquesimo piano? - domandai. Mi sentiva il cuore pesante.
- Soltanto coppie.
- E lei è...
- È sola, signor Courtenay. La nostra ragazza ha fatto finta di aver bisogno di un alloggio e ha chiesto se c'era un posto libero. Le hanno spiegato che la signora del 17 tiene a sua disposizione anche il 18 perché aspetta che arrivi il marito.
- A che ora chiudono le scale del Taunton?
- Alle ventidue, signor Courtenay.
Guardai il mio orologio da scrivania. - Richiamate l'agente per la pedina - ordinai. - Per il momento non c'è altro.
Mi alzai. - Questa sera esco senza di voi - dissi alle mie guardie. - Tenente, potete prestarmi la vostra rivoltella?
- Certamente, signor Courtenay - mi rispose il tenente, consegnandomi una calibro 25. Controllai il caricatore, poi uscii a piedi, solo.
Appena lasciai l'atrio della torre Schocken, un giovane confuso nell'ombra si staccò da un muro e mi seguì. Lo misi in difficoltà svoltando nella prima laterale scura e stretta tra alti edifici, e dove, mancando gli impianti di condizionamento, lo smog e le esalazioni di carbonio appesantivano l'aria. Io ero munito di depuratori. Lui no. Infatti lo sentii tossire a notevole distanza dietro di me. Senza voltarmi girai l'angolo, e mi appiattii contro il muro. Il mio pedinatore comparve dopo parecchi secondi fermandosi subito a sbirciare nel buio assoluto.
Lo colpii alla nuca con la canna della pistola, e me ne andai. Probabilmente era uno dei miei uomini, ma io non volevo essere seguito.
Alle 21:59 arrivai all'ingresso del palazzo Taunton. Feci appena in tempo a entrare. La porta si richiuse alle mie spalle con uno scatto, comandata da un meccanismo a orologeria. Montai in un ascensore, premetti il pulsante del trentacinquesimo piano, e mentre la cabina saliva lessi il foglio con le disposizioni del palazzo. "Gli inquilini notturni sono tenuti a difendersi da soli. L'amministrazione non assume responsabilità per eventuali furti, assalti a mano armata o rapine. L'affitto deve essere pagato ogni notte, e in anticipo, all'auto-portiere. Le barriere vengono alzate alle 22:10. L'amministrazione si riserva il diritto di rifiutare l'alloggio ai clienti della Starrzelius".
La porta dell'ascensore si aprì sull'atrio del trentacinquesimo piano. Mi parve di guardare una fetta di formaggio brulicante di larve. Uomini e donne si agitavano senza posa nel tentativo di trovare una comoda sistemazione prima che si levassero le barriere. Guardai il mio orologio. Erano le 22:08.
Mi feci strada tra i corpi con la massima attenzione, scusandomi continuamente, e contando. Arrivato al diciassettesimo gradino mi fermai, chinandomi su una figura distesa. Il mio orologio faceva le 22:10.
La donna si rizzò a sedere, spaventata e irritata. Stringeva in mano una piccola rivoltella.
- Kathy! - dissi.
Lei abbassò l'arma. - Mitch! Sei un pazzo! - Parlava a bassa voce e in fretta. - Che cosa sei venuto a fare, qui? Loro non si sono ancora arresi, non hanno rinunciato ancora a ucciderti...
- Lo so - risposi. - Sono disposto a mettere la testa nella bocca del leone, per dimostrarti che ho capito di avere torto.
- Come hai fatto a trovarmi? - domandò, sospettosa.
- Un po' del tuo profumo è rimasto appiccicato a O'Shea. "Menage à deux". Kathy, quello che ho detto prima è vero. Non sono venuto soltanto per riprenderti, con o senza il tuo consenso, ma per dirti che sono con te. Dimmi tutto quello che vuoi, e l'avrai.
Mi guardò attentamente. - Anche Venere? - domandò.
- È tuo.
- Mitch, se hai mentito... se hai mentito...
- Ne avrai la prova domani, se riusciamo a uscire di qui vivi. Nel frattempo non c'è altro da dire. Ma abbiamo tutta una notte per noi.
- Abbiamo tutta una notte per noi - ripeté Kathy. Poi, in tono improvvisamente appassionato, aggiunse: - Dio mio, quanto ho sentito la tua mancanza!

Fummo svegliati da fischi acuti alle sei del mattino. Il segnale era collegato, e completato, con un apparato per impulsi subsonici che colpivano il cranio dei dormienti. In tal modo nessuno avrebbe continuato a dormire ostacolando l'evacuazione degli inquilini.
Kathy fece sparire la cuccetta dentro il gradino. - Le barriere si chiudono fra cinque minuti - disse, concitata. Sollevò il coperchio del diciassettesimo gradino, e dopo aver frugato ne tolse una scatola piatta, una specie di nécessaire per il trucco. - Stai fermo - ordinò.
Sussultai quando mi fece passare un rasoio sul sopracciglio destro. - Fermo! - raccomandò. Un altro solco, sul sopracciglio sinistro. Poi, rapidissima, mi passò le mani qua e là sulla faccia tenendo fra le dita misteriosi oggetti. Infine mi sollevò il labbro superiore e vi infilò sotto una striscia di sostanza plastica. E mi incollò le orecchie alla testa con una gomma speciale. - Fatto! - annunciò, mettendomi uno specchietto davanti alla faccia. Quasi non mi riconobbi.
- Le barriere! - esclamò Kathy, probabilmente avvertita da qualche particolare rumore, che andò perso, invece, per le mie orecchie inesperte.
Poi sentii anch'io il fragore dei cancelli metallici. Eravamo gli unici inquilini notturni rimasti al trentacinquesimo piano.
Ma non eravamo soli. B. J. Taunton e due dei suoi uomini stavano fermi davanti a noi, e ci guardavano. Taunton barcollava lievemente, e sogghignava. Ognuno degli altri due mi teneva puntata addosso una pistola mitragliatrice.
- Siete stato sfortunato a scegliere questo posto per cambiarvi la faccia, mio caro Courtenay - biascicò Taunton. - Un apparecchio prende fotografie di tutti quelli che varcano i cancelli! Figliola, se vi tirate da parte...
Kathy non si tirò da parte. Andò a buttarsi dritta fra le braccia di Taunton, e gli puntò contro il ventre la sua rivoltella. La faccia di Taunton, da rossa che era, diventò verde. - Credo che sappiate quello che dovete fare - mormorò Kathy.
- Ragazzi, lasciate cadere le armi - balbettò Taunton. - Per l'amor del cielo, buttatele via!
Le due guardie si scambiarono un'occhiata. - Giù le armi! - singhiozzò Taunton.
Ci misero un'eternità a deporre al suolo le pistole mitragliatrici, ma alla fine lo fecero.
- Voltatevi - ordinai - e sdraiatevi, a faccia in giù. - Poi tolsi di tasca la calibro 25 avuta in prestito. Servì egregiamente.
Preferimmo scendere a piedi, per paura che le cabine degli ascensori fossero state impregnate di gas. Fu una discesa lunga e faticosa, con Taunton che singhiozzava e barcollava. Al decimo piano gemette: - Bisogna che beva qualcosa, Courtenay! Mi sento morire. C'è un bar su questo piano. Voi potete tenere la pistola puntata su di me e...
La trovata di Taunton divertì molto Kathy. Continuammo a scendere, lentamente.
Arrivati all'uscita degli inquilini notturni misi il mio soprabito sul braccio di Kathy, in maniera da coprire l'arma che lei teneva in mano.
- Tutto a posto - gridò B. J. Taunton, con voce in falsetto, a uno stupito guardiano che si era messo sulla nostra strada. - Questi sono amici miei. Tutto a posto... Tutto in ordine...
Lo portammo con noi sino all'ingresso di uno scivolo pubblico, piantandolo poi in mezzo alla strada, sudato e tremante. Lì, tra tutta quella gente, eravamo salvi. Per nuocere a noi avrebbe dovuto far saltare in aria l'intera rete sotterranea, ma non era equipaggiato per un'impresa del genere. Girammo sotto la città per un'ora, e io chiamai il mio ufficio dal telefono di una stazione, fissando un appuntamento con una squadra di uomini armati in un altro punto della città. Quindici minuti più tardi eravamo alla torre Schocken.
Davanti al vassoio con la colazione dissi a Kathy: - I tuoi capelli sono un disastro. Non si può lavar via quel colore orribile?
- Adesso non c'è tempo per queste sciocchezze - rispose lei. - Ieri sera mi hai detto che potevo avere Venere. Mitch, io lo voglio sul serio. Quel pianeta appartiene a noi. Noi siamo gli unici che sappiamo cosa si deve fare per vivere su quel mondo. Lo sappiamo da quando il primo uomo è atterrato lassù. Mitch, O'Shea è dei nostri.
- Da quando? - domandai.
- Dal giorno in cui sua madre e suo padre hanno scoperto che Jack sarebbe rimasto un nano. Gli O'Shea erano al corrente del nostro movimento, e sapevano che l'Associazione Mondiale dei Conservatori cercava piloti spaziali di piccola statura. Non è stata la Terra a scoprire Venere, Mitch. Sono stati i Conservatori! Adesso chiediamo il diritto di stabilirci su quel mondo. Tu puoi fare qualcosa?
- Certo - dissi. - Però sarà un bel mal di testa per me. Finora abbiamo studiato il modo di fare del pianeta un mondo interamente da sfruttare per la Società Fowler Schocken... Be', dovrò fare marcia indietro!
Azionai l'interfono mettendomi in comunicazione con la Sezione Ricerche e Sviluppo. - Charlie - dissi - annullate tutto quello che è stato detto a proposito della produzione venusiana di anidride carbonica. Ho scoperto che tutte le ditte terrestri che producono CO2, sono della Taunton.
- Benissimo, signor Courtenay - rispose Charlie, felice del contrordine, - Dal risultato dei primi esperimenti, posso assicurarvi che la Taunton si prenderà un bel calcio!
Chiusi la comunicazione e mi rivolsi ancora a Kathy. - Puoi farmi il favore di resuscitare Runstead? Ho bisogno di lui. C'è un sacco di lavoro da fare, qui. Un pubblicitario possiede la somma arte di convincere la gente senza che questa si renda conto di essere stata convinta. Adesso invece io devo usare la mia arte per "non" convincere la gente senza che gli altri pubblicitari si accorgano di quello che sto combinando. Quindi ho bisogno di qualcuno pratico di pubblicità, e con il quale possa parlare liberamente.
- Ti troverò Runstead - rispose Kathy, sfiorandomi con un bacio.
La fissai. - Senti, tesoro, qua sopra io possiedo un elegante appartamento da dirigente. Tu hai passato una notte agitata. Cosa ne dici di andare di sopra a riposarti? Intanto io farò un po' di lavoro.
Mi baciò ancora e disse: - Non lavorare troppo, Mitch. Voglio stare con te questa sera.

Capitolo XVIII

Non ci sarei riuscito senza Runstead. O, per lo meno, non avrei fatto in tempo. Lui arrivò in volata da Chi, dove era rimasto nascosto dal momento del suo finto suicidio, in risposta a una chiamata di Kathy fattagli pervenire attraverso la rete clandestina. Arrivò esattamente nel bel mezzo di una riunione di consiglio. Gran scambio di strette di mano, seguite dalla spiegazione che lui era sparito per eseguire un certo lavoro da tenere nella massima segretezza. I direttori della Fowler Schocken ci credettero.
Lui sapeva già che lavoro doveva fare, e vi si buttò a corpo morto.
Indietrista o no, ero ancora del parere che Runstead fosse un miserabile, ma devo ammettere che lavorò bene.
Per il mondo, la Fowler Schocken lanciò un grande concorso con mille e cinquecento primi premi, i quali consistevano tutti in un posto a bordo dell'astronave per Venere. Quali giudici del concorso vennero nominati i capi di una ditta assolutamente estranea agli interessi della Schocken, però la giuria era presieduta dal cognato di Runstead. Dei mille e cinquecento vincitori, così mi disse Matt Runstead, mille e quattrocento erano membri del movimento clandestino. Gli altri cento erano solo nominativi di comodo.
Per la visita finale all'astronave portai Kathy con me a Washington. Ero già stato spesso in quella città, ma solo per mezza giornata. Adesso invece mi dovevo fermare là due giorni interi. Mi preparai al viaggio con l'entusiasmo di un ragazzo. Arrivati a Washington lasciai Kathy all'albergo, facendomi promettere che non avrebbe messo il naso fuori della porta, poi presi un tassì e mi feci portare al Dipartimento di Stato.
Un ometto imbronciato stava facendo anticamera, e quando sentì il mio nome scattò in piedi per offrirmi la sedia. Che diversità dai giorni passati nella piantagione chlorella! Il nostro rappresentante si precipitò a porgermi i suoi omaggi. Io frenai il diluvio di parole e gli spiegai il motivo della mia visita.
- Niente di più facile, signor Courtenay - mi rispose. - Farò una nota per la riunione di oggi pomeriggio, e con tutta probabilità le due camere prenderanno una decisione questa sera.
- Benissimo - dissi. - Occorre che dia qualche chiarimento?
- Oh, non credo, signor Courtenay - disse il nostro rappresentante. - Certo sarebbe un bel gesto se parlaste alla Camera nella mattinata di domani, sempre se ne avete il tempo. Saranno felici di sentirvi parlare e meglio disposti.
- Lo farò con piacere - dissi, e mi chinai per prendere la valigia. L'ometto imbronciato fu più svelto di me, e me la porse con un mezzo sorriso. - Sistemate tutto voi, Abels, allora - raccomandai. - Ci vediamo domani.
- Vi ringrazio infinitamente, signor Courtenay! - Mi aprì la porta. L'ometto gli si avvicinò.
- Signor Abels... - disse, timido.
Il nostro rappresentante scosse la testa. - Sono molto occupato - rispose, abbastanza gentilmente. - Tornate domani.
L'ometto sorrise, ringraziò, e mi seguì. Facemmo contemporaneamente segno a un tassi, e quando l'autista fermò, lui mi aprì la portiera. - Posso offrirvi un passaggio? - domandai all'ometto servizievole.
- Siete molto, molto gentile - ringraziò, salendo dopo di me.
L'autista si voltò a guardarci, in attesa di ordini.
- Portatemi al Park Starr - gli dissi. - Ma prima accompagniamo a destinazione questo signore.
- Va bene. - L'autista si rivolse al mio compagno. - Alla Casa Bianca, signor Presidente?
- Sì, grazie - rispose l'ometto. Poi aggiunse, rivolto a me: - Non so dirvi quanto mi abbia fatto felice incontrarvi, signor Courtenay. Ho sentito la vostra conversazione con il signor Abels, e mi ha fatto piacere la notizia che l'astronave per Venere è quasi finita. Il Congresso purtroppo ha perso l'abitudine di tenermi informato di quel che succede! Sapete che ho partecipato anch'io al vostro concorso? Però forse non avrei potuto accettare il viaggio per Venere anche se avessi vinto!
- Non credo infatti che sarebbe stato possibile - commentai, in piena sincerità. E un po' meno sinceramente, aggiunsi: - Inoltre dovete essere molto occupato qui, sulla Terra.
- Oh, non tanto. il mese più pesante è gennaio, quando ci sono le riunioni del Congresso, ma per il resto dell'anno c'è ben poco da fare, e il tempo non passa mai. Parlerete davvero al Congresso, signor Courtenay? Quella di domani dovrebbe essere una seduta aggiunta, ma di solito mi permettono di intervenire.
- Sarò felicissimo della vostra presenza - dissi, cordiale.
L'ometto mi sorrise. Il tassi fermò, e il Presidente scese dopo avere scambiato con me una calda stretta di mano.
Poi si volse, ficcò la testa nel finestrino sbirciando l'autista, e disse: - Quello che sto per dirvi esula dai miei compiti, ma se permettete, vi do un consiglio... Vedete, io mi intendo un po' di astronomia, è una specie di hobby, per me... Così spero che non rimanderete la partenza dell'astronave fin dopo l'attuale periodo di congiunzione.
Rimasi sbalordito. In quel momento Venere era in fase di opposizione, e si stava sempre più allontanando dalla Terra... Però, in fondo, questo non importava molto, dato che il viaggio sarebbe stato effettuato seguendo il percorso lungo.
Il Presidente si portò un dito alle labbra. - Arrivederci - concluse.
Per il resto del tragitto in tassì fissai la schiena dell'autista domandandomi cos'aveva voluto dire l'ometto con il suo discorso.
Kathy e io trascorremmo la serata fuori, a vedere le vetrine. Uno spettacolo che non mi entusiasmò. I famosi rami di ciliegio erano bellissimi, d'accordo, ma il mio nuovo spirito conservatore li giudicò un'ostentazione. - Una decina di rami sarebbero stati più che sufficienti - commentai. - Ma questo enorme spreco mi dà fastidio. Non si devono buttare via così i soldi dei contribuenti!
- Oh, Mitch! - esclamò Kathy. - Quando saremo su Venere avremo un intero pianeta a nostra disposizione per crescere alberi e fiori! Ci pensi?
Un tale che stava passando accanto a noi ci diede un'occhiata malevola, arricciò il naso e si allontanò in fretta. - Non parlare così forte - dissi a Kathy. - Ci fai una cattiva reputazione... Anzi, prima di metterci nei guai sarà meglio rientrare in albergo.

Mi svegliò uno strillo di entusiasmo. - Mitch! Ma qui c'è una vera vasca da bagno! - gridò Kathy sporgendosi dalla porta, avvolta in un asciugamano. - Posso adoperarla, Mitch, per favore!
Ci sono momenti in cui un onesto conservatore prova soddisfazione ad essere il presidente della Società Fowler Schocken. Le buttai un bacio con la punta delle dita. - Ma certo, cara! - risposi. - E adopera acqua potabile.
Kathy ubbidì immediatamente. Dopo colazione ci dirigemmo verso il Campidoglio, tenendoci per mano.
Trovai un posto per Kathy nella tribuna della stampa, poi seguii il capo della nostra filiale di Washington, il quale mi fece strada tra la folla, dopo avermi consegnato la fotocopia di un messaggio. - Qui c'è tutto - mi disse. - Va bene?
- Benissimo - risposi. Lui si allontanò e io guardai la copia. Veniva da Dicken in servizio all'astronave, "Passeggeri ed equipaggio sono pronti. Il carico sarà completato alle 16:45. Il propellente è già stato pompato nel serbatoio sin dalle ore 9:15. La sala nautica mi incarica di ricordarvi che il decollo è possibile soltanto nelle ore antimeridiane".
Arrotolai il foglio tra le mani e la carta si dissolse in cenere. Mentre salivo sul podio mi sentii toccare un braccio. Era il Presidente, che si chinava verso di me dal suo posto d'onore. - Signor Courtenay - bisbigliò, un sorriso stampato sulla faccia - spero che abbiate capito il mio discorso di ieri in tassi. Sono felice che l'astronave sia pronta. E... - sorrise ancora di più e mosse la testa come fanno tutti gli uomini di Stato quando scambiano convenevoli con un ospite di riguardo - forse lo sapete già, ma "lui" è qui.
Non ebbi l'occasione di scoprire chi fosse questo "lui". Lo speaker ufficiale mi venne incontro con le mani tese, e dalla platea salì un uragano di applausi, lo mi sforzai di sorridere. Ma fu più una smorfia che altro. C'era poco da ridere se le notizie riguardanti l'astronave di Venere erano arrivate fin giù al Presidente.
Fu merito di Fowler Schocken se riuscii a pronunciare il mio discorso. Mi parve di sentire la sua voce nelle orecchie: "Mitch, se sapete quello che vogliono comprare, glielo potete vendere facilmente". Vendetti all'Assemblea quello che l'Assemblea voleva. Fu un bel discorso sull'eroismo dei pionieri, e l'abilità degli uomini d'affari americani che adesso avrebbero portato la loro civiltà anche sui pianeti. Gli applausi furono frenetici.
Mentre mi inchinavo al mio pubblico, notai con stupore che Kathy non era più al suo posto. Poi lo speaker diede la parola al vecchio Colbee della Yummy-Cola. La Società di Colbee era ufficialmente indipendente, mi ricordavo che Fowler Schocken una volta aveva insinuato che gli interessi della Yummy-Cola erano strettamente legati a quelli della Taunton.
- Vi ringrazio molto, signor speaker - incominciò Colbee. Sorrideva; ma i suoi occhi sembravano gli occhi di un serpente. - Se avessi la fortuna di parlare a nome della Camera di Commercio, mi piacerebbe molto ringraziare il nostro distinto ospite per il suo ottimo discorso. Sono sicuro che tutti i presenti hanno gioito nell'ascoltare un uomo del suo calibro e della sua posizione. Ora, col permesso del Presidente, vorrei rivolgere a questo nostro ospite alcune domande che si basano sulla legislazione che oggi è stata messa all'ordine del giorno.
"Bastardo!" pensai. Tutti i presenti avevano ormai capito che stava per succedere qualcosa. Per conto mio non avevo nemmeno bisogno di sentire il seguito.
- Può darsi che vi sia sfuggito, ma oggi abbiamo tra noi un altro importante ospite - proseguì Colbee. - Mi riferisco al signor Taunton. - Colbee fece un cenno verso le tribune dove apparve la faccia rossa di Taunton affiancato da due guardie del corpo. - Durante un breve colloquio che ha preceduto questa sessione, il signor Taunton è stato tanto gentile da darmi alcune informazioni per le quali ora vorrei chiedere una spiegazione al signor Courtenay. Primo... - Gli occhi da serpente mi fissarono, duri. -... Vorrei chiedere al signor Courtenay che cosa gli dice il nome di George Groby, ricercato per rottura di contratto e donnicidio. Secondo, mi piacerebbe chiedere se il signor Courtenay è anche il signor Groby. Terzo, vorrei domandare al signor Courtenay se c'è qualche fondamento di verità nel rapporto che mi è stato fatto confidenzialmente da una persona nella quale il signor Taunton mi assicura che posso avere completa fiducia. In questo rapporto si afferma che il signor Courtenay è un importante membro dell'Associazione Mondiale dei Conservatori, movimento conosciuto dalla maggior parte dei leali americani come...
Persino lo stesso Colbee non poté, credo, sentire la fine della sua frase. L'urlo della folla parve un'esplosione atomica.

Capitolo XIX

Visto in retrospettiva, tutto quello che accadde nel quarto d'ora che seguì, prende l'aspetto di un caleidoscopio impazzito. Io mi ricordo episodi, frasi staccate, movimenti a se stanti, che sembrano non avere alcuna relazione fra loro. L'ondata d'odio che si scatenò attorno a me. La faccia contratta del Presidente che mi urlava qualcosa dal suo scranno. Lo sguardo furibondo dello speaker che mi balzava incontro per afferrarmi.
Il carosello si fermò quando la voce del Presidente piovve nell'aula ingigantita dall'altoparlante regolato al massimo. - Dichiaro aggiornata la seduta! - E ricordo le espressioni sbalordite dei legislatori americani di fronte al gesto temerario dell'ometto. E poi, prima che qualcuno potesse riscuotersi o anche solo pensare, lui batté le mani un paio di volte, e una squadra di uomini in uniforme avanzò verso di noi.
- Portatelo via! - comandò il Presidente accompagnando l'ordine con un gesto imponente, e subito gli uomini in divisa mi circondarono, spingendomi giù dal podio. Il Presidente ci seguì sino alla porta, mentre l'assemblea cercava di raccogliere le idee. L'ometto era bianco di paura mentre mi bisbigliava: - Io non potrò sostenere a lungo la situazione, ma quelli impiegheranno almeno tutto il pomeriggio per ottenere un decreto dalla Camera di Commercio. Che Dio vi protegga, signor Courtenay!
E si voltò a fronteggiare il Congresso. Non credo che i cristiani dell'epoca di Caligola abbiano avuto maggior coraggio per affrontare i leoni nel circo.

Le guardie facevano parte della scorta privata del Presidente, e provenivano dall'ottima Agenzia Brink. Il tenente che le comandava non mi rivolse mai la parola, ma io gli lessi in faccia un profondo disgusto nei miei confronti quando ebbe visto cosa c'era scritto sul foglietto che gli aveva dato il Presidente. Sapevo che non gli piaceva eseguire quell'ordine, ma sapevo anche che l'avrebbe eseguito.
Mi portarono ad Anacosta e mi fecero salire sull'aereo personale del Presidente. Rimasero sempre accanto a me, mi diedero da mangiare, e uno giocò persino a carte, con me, mentre il jet si lasciava alle spalle l'aeroporto. Una sola cosa non avrebbe fatto per niente al mondo: parlare con me.
Fu un lungo viaggio, tutto compiuto a bordo dell'elegante apparecchio che per tradizione spettava ai presidenti. All'aeroporto avevamo perso parecchio tempo, e quando l'aereo diminuì di quota per prepararsi all'atterraggio era piena notte. Per me, comunque, l'attesa si protrasse anche dopo l'atterraggio.
Attesa, e il continuo domandarmi se avrei mai rivisto Kathy, e se anche lei era nella mia situazione.
Il tenente era sbarcato, da solo, e ormai la sua assenza durava da parecchio.
Passai il tempo rimuginando nel cervello problemi che anche prima mi si erano affacciati alla mente ma che avevo sempre voluto ignorare.
Adesso, poiché avevo parecchio tempo a disposizione, li andai a ripescare e ci ragionai sopra.
Problemi come questi.
Kathy e Matt Runstead e Jack O'Shea avevano complottato di comune accordo per mettermi nelle peste. Questo quadrava con quasi tutto ciò che prima mi aveva lasciato perplesso. Ma non capivo la parte che riguardava Hester. Inoltre restava incomprensibile anche l'atteggiamento di Runstead.
Gli Indietristi erano favorevoli al viaggio spaziale. Ma Runstead aveva sabotato i sondaggi di prova in California e nel Messico, e su questo non c'erano dubbi. Infatti io avevo avuto una chiara confessione dal suo dipendente di San Diego. Che ci fosse sotto un doppio gioco? Runstead poteva aver fatto finta di essere un Indietrista che faceva finta di essere un dirigente pubblicitario, mentre in effetti era... Che cos'era, in effetti?
Se ci fosse stata lì Kathy forse avrebbe potuto spiegarmi tutto.
Il tenente tornò a mezzanotte. - Tutto bene - mi disse. - Una macchina vi aspetta. L'autista sa dove deve portarvi.
Mi alzai dalla cuccetta. - Grazie - brontolai.
Mi aprirono il portello, io smontai, e uscii dalla pista.
L'autista era un messicano. Cercai di fargli una domanda, ma lui non parlava inglese. La ripetei nel mio scarso spagnolo imparato alla piantagione di Costa Rica. Mi guardò a bocca aperta. Avevo almeno una cinquantina di motivi per non voler andare con lui senza sapere dove sarei finito. Ma quando finii di passarli in rassegna mi accorsi di non avere altra scelta. Il tenente delle guardie aveva eseguito a puntino gli ordini ricevuti, ma adesso che aveva obbedito mi pareva quasi di vederlo coi miei occhi fare il rapporto che avrebbe messo immediatamente qualcuno sulle tracce del noto Indietrista Mitchell Courtenay.
Dopo di che poteva: o arrivare prima la polizia, o arrivare prima Taunton.
Decisi che valeva la pena di complicargli un po' le ricerche.
Perciò montai in macchina.
Forse pensate che, essendo l'autista un messicano, io avrei dovuto capire subito, o quasi. Be', non capii. Per lo meno, non capii di trovarmi in Arizona, né ciò che il Presidente aveva fatto per me, fin quando non mi vidi davanti agli occhi la massiccia sagoma del Progetto illuminata dalle stelle.
Un gruppo di agenti della Pinkerton e di uomini della nostra Sicurezza si radunò attorno a me e mi fece da scorta attraverso i posti di blocco, sino all'astronave. Il Comandante mi accolse dicendo: - Adesso siete salvo, signor Courtenay.
- Ma io non voglio andare su Venere! - dissi.
Lui rise di gusto.
In fretta, e poi aspetta. In fretta, e poi aspetta. Il lungo volo in aereo era stato un periodo di stasi, ma quello che era accaduto prima, e quello che accadde dopo fu tutto una frenesia di movimenti che sfuggiva al mio controllo e mi impediva di pensare. Mi sentii afferrare per il fondo dei pantaloni, e mi trovai dentro. Poi qualcun altro mi trascinò quasi di peso fino a una cuccetta d'accelerazione, mi legò con le apposite cinghie, e mi piantò solo.
La cuccetta cominciò a ondeggiare e sussultare mentre almeno dodici giganti mi saltavano sullo stomaco. Addio, Kathy! Addio, torre Schocken! Che mi piacesse o no ero in viaggio per Venere.
Ma non fu un addio a Kathy.
Finita la prima fase d'accelerazione, venne lei stessa a sciogliermi le cinghie.
Io rotolai fuori della cuccetta, barcollando per la mancanza di peso e massaggiandomi la schiena indolenzita. Aprii la bocca per salutarla e ne venne fuori il suo nome in uno strillo.
Non fu un discorso brillante, ma mi mancò il tempo di rimediare: le labbra di Kathy si erano incollate alle mie.
Quando smettemmo di baciarci per riprendere fiato, domandai: - Che tipo di alcaloide usi? - Non mi rispose, ma capii che voleva un altro bacio.
L'accontentai.
Reggersi in piedi era una fatica. Ogni volta che uno di noi si muoveva, finivamo tutti e due contro una paratia o rotolavamo sul pavimento.
Allora ci sedemmo.
Dopo un po', parlammo.
Io mi guardai attorno. - Bel posticino - dissi. - Adesso però devo farti due domande. - Gliele enunciai, spiegandole la faccenda, di San Diego e l'assassinio di Hester.
- Oh, buon Dio, Mitch! - esclamò Kathy. - Ma come hai fatto a diventare un prima classe?
- Ho seguito un corso serale - brontolai. - Comunque non mi hai risposto.
- Be', mi pare che sia facile da intuire! Certo che noi Indietristi volevamo il viaggio spaziale. La razza umana aveva bisogno di Venere, un mondo non saccheggiato, non rovinato, non sfruttato, non fatto a fette, non...
- Basta! - gemetti.
-... pirateggiato, non devastato. Puoi giurarci che volevamo un'astronave per andare su Venere! Ma non volevamo la Fowler Schocken, su Venere. E nemmeno Mitchell Courtenay, finché lui restava il tipo che considerava Venere come un elenco di cifre nella colonna degli utili. Non sono molti i pianeti sui quali la razza umana può espandersi. Per questo non volevamo che il Progetto Venere della Fowler Schocken avesse successo.
- Capisco - brontolai. - Ed Hester?
Kathy scosse la testa. - Arrivaci da solo.
- Non sai rispondermi?
- So risponderti, Mitch. Non è difficile.
Mi guardò in un certo modo che mi spinse a baciarla. Poi entrò un tale che portava sulla spallina le insegne di ufficiale-astronauta. - Non volete guardare le stelle? - ci domandò, col tono di una guida turistica. Non mi era piaciuta l'interruzione, non mi piaceva lui, e non mi piaceva quel tono. Lo detestavo persino nelle guide turistiche.
Comunque andammo a guardare dall'oblò.
Ho detto oblò per modo di dire, perché non esistono finestrini sulle astronavi. Sono tutti sostituiti da apparecchi radar, occhi elettronici che sacrificano l'inutile spettacolo diretto delle stelle alla maestà dell'acciaio.
Non avevo mai visto le stelle attraverso quell'aggeggio.
Adesso vidi un gran bianco. Stelle luminosissime spiccavano su uno sfondo di particelle luminose sparse su luminosa polvere di stelle. Non riuscii a vedere un centimetro quadrato di nero.
Ci staccammo dall'oblò. - Dov'è Runstead? - domandai.
- Alla torre Schocken - rispose Kathy - a inghiottire pillole di eccitanti per stare sveglio finché non avrà appianato il pasticcio. Qualcuno doveva ben pensarci, Mitch. Fortunatamente Matt può votare con le tue deleghe. Non abbiamo avuto tempo di parlargli a Washington, e adesso Matt avrà un sacco di domande da fare, e nessuno a cui farle!
- Cosa diavolo ci faceva Runstead a Washington? - chiesi.
- Ti tirava fuori dai guai, Mitch. Dopo che O'Shea è crollato...
- Dopo cosa?
- Oh, buon Dio! Ascoltami. Procediamo con ordine. O'Shea è crollato. Si è ubriacato una notte di troppo, non è riuscito a trovare il punto giusto del braccio per infilare l'ago, e ha scelto la ragazza sbagliata per testimone al suo crollo. L'hanno cucinato a dovere, cavandogli fuori tutto quello che sapeva su te, su me, sull'astronave, e il resto.
- Chi è stato?
- Il tuo grande amico B. J. Taunton. - Kathy accese una sigaretta con un gesto rabbioso. Riuscivo a leggere i suoi pensieri: il piccolo Jack O'Shea, settanta centimetri di levigata porcellana viva, nelle mani di Taunton. Nelle ultime settimane c'erano stati momenti in cui avevo odiato il nano. Li cancellai adesso dal mio ricordo, tutti. - Se Runstead non avesse provveduto a mettere un microfono spia nella stanza degli interrogatori del palazzo Taunton, anche noi saremmo finiti male. Così invece Runstead ha fatto in tempo ad andare a Washington, e avvertire me e il Presidente. No, il Presidente non è un Indietrista, ma è un brav'uomo, ed eccoci qui.
Il Comandante ci interruppe. - Fra cinque minuti effettueremo una variazione di velocità - avvertì. - È meglio che torniate alle vostre cuccette. Non sarà una cosa lunga, ma potrebbe essere sgradevole.
Kathy e io ci avviammo ai nostri posti.
- Kathy - dissi. - Un'altra domanda. Forse non è bella, ma devo sapere cosa c'è stato fra...
- La stessa cosa che c'era fra te ed Hester - rispose lei senza lasciarmi finire.
- Fra te e Jack, volevo sapere.
- Avevo capito, e ti ho già risposto. Tra me e Jack c'era quello che c'era fra te ed Hester: un sentimento unilaterale. Jack era innamorato di me, credo, ma io non lo ero di lui. - E aggiunse, con impeto: - Perché io sono sempre stata innamorata come una cretina di te!
- Ah - dissi. Mi sembrò che quello fosse il momento di darle un altro bacio, ma evidentemente sbagliavo perché lei mi respinse.
- E tu non te ne sei mai accorto! - proseguì Kathy. - Non l'hai nemmeno immaginato! Non hai mai capito quanto mi importasse di te, così come non hai capito che cos'eri, tu, per Hester. Povera Hester!
- Hester innamorata di me? - balbettai.
- Ma sì, accidenti! Altrimenti perché si sarebbe uccisa?
Mi grattai la testa. - Be'... - dissi.
Il cicalino incominciò a scandire i secondi.
- Le cuccette! - disse Kathy, gli occhi pieni di lacrime. - E spero che l'interrogatorio sia finito!
L'abbracciai.

FINE