Science Fiction Project
The Lost Treasures
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IL PIANETA DI SATANA - Mike Resnick
Prologo
Nel male c'è sempre un alito di bene. (Shakespeare)
Qualunque male di cui non siamo vittime è un bene. (Emerson)
I nostri mali maggiori derivano da noi stessi. (Rousseau)
Sbagliano tutti.
Non si può spiegare il male, ma considerarlo una parte necessaria dell'ordine dell'Universo. Ignorarlo è puerile, lamentarsene insensato. (Maugham)
Ci è andato vicino.
Il male ha una giustificazione in se stesso. Di conseguenza sono prive di senso spiegazioni come potere, piacere e profitto. (Conrad Bland)
Lui ci ha azzeccato, ma è naturale.
Uccise undici milioni di uomini nei campi di sterminio di Pilor IX durante il breve regno del folle imperatore Justacious.
Uccise diciassette milioni di uomini su Boriga II in modo tale da far sembrare umanitari, al confronto, i campi di sterminio del Reich sulla vecchia Terra.
Uccise cinque milioni di donne e bambini su New Rhodesia.
Uccise tremila diciassette uomini su Cambria III, ognuno in modo diverso.
Inventò torture che neppure Spica IV, ribelle alla Repubblica, avrebbe adottato.
Non esistevano foto, olografie o videocassette con la sua immagine. Non gli avevano mai preso le impronte digitali. In nessun computer c'era uno schema vocale o retinico che potesse identificarlo. Non aveva conti in banca, non possedeva azioni o proprietà grazie a cui si potesse rintracciarlo. Molti erano stati al suo servizio, ed erano morti tutti, meno sette, e nessuno di quei sette l'aveva mai visto.
Era un fuggiasco.
Si chiamava Conrad Bland e, per ora, era al sicuro.
Capitolo I
Se uccidi un uomo solo sei un assassino, se ne uccidi milioni sei un conquistatore. Se uccidi tutti, sei un dio. (Conrad Bland)
Orestes Mellan oltrepassò i serpenti e gli scorpioni, gli elefanti e i lemuri, gli erbivori ottopodi di Rigel, i carnivori informi di Vega e gli onnivori corazzati di Spica, meravigliandosi che fossero riusciti tutti ad adattarsi al clima caldo e umido di Serengeti, il mondo-zoo del settore Terrazane. Cominciò ad asciugarsi il sudore dalla faccia paffuta: infine, decise che non voleva attirare ancor più l'attenzione sulla piccola borsa che era legata al polso da una catenella e si fermò per chiamare un carretto robot. Serengeti non era poi tanto affascinante e lui non voleva arrivare senza fiato a destinazione.
Il carretto lo depositò dopo pochi minuti e Mellan estrasse una tessera che gli aprì l'accesso al sentiero schermato il cui tortuoso percorso attraversava la riserva, Lo seguì per due chilometri circa, chiedendosi perché mai tenessero separati gli uccelli di mondi diversi e sforzandosi di assuefarsi all'odore.
Arrivò finalmente a una spianata circolare piena di banche e tavoli e dotata di un chiosco automatico di rinfreschi. Tre uomini e una donna erano seduti ai tavoli, e un vecchio servo in uniforme raccoglieva faticosamente gli avanzi da quelli lasciati liberi.
Mellan osservò i quattro. Due uomini erano troppo giovani e la donna pareva troppo fragile, sebbene potesse essere lei quella che cercava. Ma il quarto uomo rispondeva ai requisiti: enorme, imponente, aveva duri occhi grigi e una profonda cicatrice sulla guancia sinistra.
Un refolo di vento rovesciò la tazza di carta vuota dell'uomo facendola volare via, ma lui la raccolse prima che cadesse, con una sciolta grazia animalesca.
Bene pensò Mellan, se non altro ha il fisico adatto.
Aspettò, incerto sul come iniziare l'approccio. Pochi istanti dopo l'uomo si alzò stiracchiandosi come un animale selvatico e si allontanò. Mellan, perplesso, pensò di seguirlo, ma poi preferì restarsene seduto. I due giovani se ne andarono dopo cinque minuti, e poco dopo se ne andò anche la donna.
L'inserviente attempato si avvicinò al suo tavolo.
- Vi spiace se mi siedo un momento, signore? - chiese con voce senile. - Fare pulizia dopo che i turisti se ne sono andati è un lavoro che mette sete. Muoio di caldo.
- Preferirei che andaste a sedervi da qualche altra parte - ribatté Mellan irritato. - Aspetto qualcuno.
- Non più - disse l'altro prendendo una sedia.
Mellan scrutò quella faccia di vecchio.
- Jenko? - chiese poi.
L'uomo annuì.
- Be', che mi venga un colpo! - esclamò Mellan.
- Vogliamo parlare? - disse Jenko con una voce che non era più da vecchio.
- Qui?
- Non saremo disturbati. Ci ho pensato io.
Mellan si strinse nelle spalle.
- Esiste un motivo speciale per cui avete scelto di incontrarci su questo mondo? - chiese poi, posando la borsa sul tavolo e punzonando una combinazione di quattordici cifre sul lucchetto-computer.
- Non ero mai stato su Serengeti.
- Strano - commentò Mellan. - A me pare un posto ideale per tenervi in esercizio. Ho sentito che rilasciano licenze di caccia, in certe zone.
- Non ho mai ucciso per divertimento - dichiarò Jenko senza scomporsi.
- Bene, passiamo agli affari - disse Mellan, estraendo alcuni involti dalla borsa. Qui - spiegò prendendo un mucchietto di dischi, - c'è quello che ha fatto. E qui - aggiunse indicando un disco isolato - c'è tutto quel che sappiamo di lui. Due minuti di registrazione in tutto. Anzi, dopo diciotto anni, non sappiamo nemmeno se è lui. Dopo tutto, Conrad Bland è solo un nome. Indubbiamente ne ha altri.
- Indubbiamente - fece eco Jenko.
- Naturalmente vorrete esaminarli - continuò Mellan spingendo verso di lui gli involti. - Ho ottenuto il permesso di consegnarveli. Potete anche portarli via per studiarli, se volete.
- Teneteli pure.
- Come? - ribatté Mellan incredulo. - Ma contengono tutti i particolari degli avvenimenti di New Rhodesia, tutte le informazioni su Boriga e Quantos e Pilor, e...
- Non mi interessa quello che ha fatto Conrad Bland su Boriga e sugli altri mondi.
- Non v'interessa conoscere l'indole dell'uomo che dovrete affrontare? - insisté Mellan asciugandosi il sudore che gli ruscellava sulla faccia.
- Non traggo mai giudizi morali - replicò Jenko. - Mi basta sapere che lo volete morto e che siete disposto a pagarmi quello che ho chiesto. Io sono soltanto un esecutore.
- Più precisamente siete un assassino professionale incaricato di eliminare un uomo che la Repubblica non può estradare - disse Mellan torcendo il naso all'odore degli uccelli. - E posso aggiungere, di passaggio, che su di voi ne sappiamo ancora meno che su di lui.
- Sapete che sono dalla vostra, signor Mellan. Dovrebbe bastarvi.
- Non voglio pensare a quanti di noi potete aver ucciso nel corso degli anni - disse con amarezza Mellan. - Trovo estremamente disgustosa l'idea di assumere un assassino per eliminarne un altro.
- Eppure è quello che state facendo.
- Non per mia scelta. Eseguo un ordine. A proposito, Jenko non è il vostro vero nome, eh?
- Fa differenza?
- In verità, no - ammise Mellan. - Ma sospetto che sia un nome in codice, o uno pseudonimo o qualcosa di simile, così come sospetto che siate molto più giovane di quanto non sembriate adesso.
Jenko lo fissò senza alterarsi e non rispose.
Dopo averlo fissato a lungo a sua volta, Mellan scosse la testa. - Accidenti! - esclamò. - Mi aspettavo qualcuno che somigliasse di più a un assassino.
- Secondo voi che aspetto ha un assassino? - chiese blandamente Jenko.
- Voi vi confondete alla perfezione con l'ambiente - continuò Mellan chiedendosi perché mai dovesse sentirsi offeso. - Altezza e peso normali, nessun accento particolare. Sotto il trucco siete probabilmente il prototipo dell'uomo medio.
- Vi consiglio caldamente di smettere di preoccuparvi per il mio aspetto. Non mi vedrete mai più dopo questo incontro.
- Devo almeno sapere che aspetto avrete e quale identità assumerete, in modo che i nostri siano avvertiti.
- Non è necessario.
- Tutto il pianeta è in quarantena militare. Come farete ad andarvene?
- Nello stesso modo con cui sono venuto - rispose Jenko.- Il che mi porta a un altro punto, signor Mellan. Ci sono diciassette navi della Repubblica in orbita intorno a Serengeti, e circa trecento agenti sul pianeta. È evidente che non sono qui per proteggervi, ed è altrettanto evidente che non sono qui per difendere il pianeta da un attacco reale o immaginario. Devo quindi presumere che sono qui per esaminare e raccogliere quelle informazioni che potrebbero esservi utili qualora doveste arrestarmi o eliminarmi alla conclusione di questo affare. Devo avvertirvi che se qualsiasi membro della Repubblica dovesse tentare di violare la mia privacy in qualunque momento d'ora in poi, considererò questo tentativo come una mancanza di lealtà nei miei confronti e mi riterrò libero di rinunciare al compito senza restituirvi il compenso... che confido abbiate portato con voi.
Mellan annuì. Estrasse dalla borsa un piccolo contenitore di titanio e lo porse a Jenko che l'aprì, rovesciò sul palmo della mano una manciata di pietre preziose, annuì e le rimise nel contenitore.
- Non volete esaminarle più da vicino?
- No. Non ho intenzione di iniziare il lavoro prima di farle valutare e di cambiarle in denaro contante.
- Quanto tempo ci vorrà? - chiese Mellan alzando la voce per farsi sentire al di sopra dello stridio degli uccelli.
- Meno di quanto credete - rispose Jenko. - E adesso veniamo al sodo. Ho bisogno di sapere alcune cose nei riguardi di Bland.
- Credevo che non vi interessassero le nostre informazioni.
- Lo sterminio di tutta la popolazione di un pianeta è una cosa che mi lascia del tutto indifferente - disse Jenko distogliendo lo sguardo dalla faccia di Mellan per seguire il volo di un falco che calava in picchiata e afferrava un passero con grandi stridii e sbattere d'ali. - Ma è logico supporre che la Repubblica non avrebbe richiesto i miei servigi se non dopo avere perso un certo numero di suoi incaricati. Quanti uomini hanno cercato di assassinare Conrad Bland senza riuscirci?
- Abbiamo inviato ventitré uomini, quindici soli e gli altri in coppia. Non si è mai più saputo niente di loro.
- Chi erano?
- I migliori uomini di cui disponeva la Repubblica - rispose Mellan. - Compreso Rinehart Guntermann.
- Avreste dovuto sapere che non era il caso di mandare un vecchio soldato a dare la caccia a Bland.
- Scusate un momento! - sbottò Mellan sforzandosi di mantenere la calma. - Guntermann fu l'eroe della battaglia di Canphor VII.
- Che combatté restando a bordo della nave ammiraglia di una flotta impenetrabile - precisò seccamente Jenko. - Se Bland si trovasse alla portata della Flotta Spaziale non sareste venuti a cercarmi né io vi avrei permesso di trovarmi.
- Permesso? - ripeté Mellan.
- Certamente. Vi ho tenuto d'occhio mentre per quasi un anno avete fatto dei goffi e maldestri tentativi, dimostrandovi più cocciuto che abile. Sono state la vostra insistenza e la frenesia dimostrata nei tentativi a convincermi che cercavate di eliminare Conrad Bland.
- E prevedevate che avremmo finito col dare l'incarico a voi?
- Naturalmente, presto o tardi, sì.
- E questo vi allettava?
- Per niente. Mi alletta solo la ricompensa, che è proporzionale al compito.
- Ventitré uomini onesti e di grande valore accettarono lo stesso incarico senza pretendere una ricompensa - puntualizzò Mellan.
- Bel risultato hanno ottenuto! - commentò sempre impassibile Jenko. - A proposito, furono uccisi tutti sul pianeta dove attualmente risiede Bland?
- No. Ci sta sfuggendo da quasi cinque anni. Abbiamo fatto il primo tentativo su Lodin, poi su Belsanidor, la terza volta su Nimbus VIII e il resto su altri pianeti.
- Voglio i dossier di tutti i ventitré incaricati - disse Jenko. - Voglio conoscere il loro grado di abilità, le loro specialità, e a quali operazioni avevano preso parte precedentemente.
- È tutto lì - rispose Mellan indicando il pacchetto più grande. Jenko allungò la mano e lo prese.
- Non siate così arrabbiato, signor Mellan - disse poi. - Comunque la pensiate è nell'interesse di tutti e due che io compia la missione che mi avete affidato.
- Sono venuto qui perché me l'hanno ordinato - spiegò freddamente Mellan. - Collaborerò con voi nei limiti delle mie possibilità, ma non per questo devo ammettere che mi piace farlo.
- D'accordo - disse Jenko gettando alcune briciole oltre la rete di protezione a un uccello che stava pazientemente guardandoli. - E adesso parlatemi del pianeta.
- Si chiama Walpurgis - rispose Mellan. - Walpurgis III per la precisione.
- Me l'avete già detto, ma non l'ho trovato sulle mappe. È stato colonizzato di recente?
- Nel secolo scorso. Lo troverete elencato come Zeta Tau III.
- Walpurgis - ripeté Jenko. - Nome interessante.
- È un mondo interessante - disse Mellan. - Uno psicologo ci troverebbe parecchio da fare.
- In che senso? - volle sapere Jenko e, dalla sua nuova espressione, Mellan capì che si era fatto più attento.
- Durante la Grande Apertura - cominciò il funzionario della Repubblica, - gli esperti di qualsiasi attività reclamarono il possesso di un pianeta o due. La General Combine ne ottenne quattro, la United Silicon un paio, e persino i Puri di Gesù ne ottennero uno, piccolo, tutto per loro.
- I Puri di Gesù?
- La Chiesa della Purità di Gesù Cristo - spiegò Mellan. - C'erano tanti mondi che qualsiasi gruppo o società anche insignificante esigeva un pianeta tutto per sé.
- E Walpurgis quale particolare gruppo rappresentava?
- Quello degli adepti alla stregoneria - rispose Mellan.
- Volete scherzare! - esclamò Jenko sorridendo per la prima volta.
- Magari! - sospirò Mellan.
- Ma la stregoneria non ha senso, è un'assurdità.
- Anche la fede nella Purità di Cristo, quanto a questo - replicò Mellan. - Resta il fatto che un certo numero di congreghe e di culti satanici chiesero di occupare Walpurgis III. La richiesta fu accettata e loro si sistemarono su quel pianeta.
- Bene, dunque credono nella stregoneria - disse Jenko - Qual è il problema?
- Il problema consiste nel fatto che Conrad Bland è volato su Walpurgis e ha chiesto asilo. - Mellan si deterse ancora una volta il sudore che gli colava sulla faccia. - Santo cielo, che umidità c'è qui!
- Continuo a non vedere il problema - insisté Jenko. - Non è un pianeta della Repubblica?
- Le cose non sono tanto semplici - spiegò Mellan. - Quella gente adora il male, se addirittura non lo pratica, per lo meno ufficialmente. Hanno un governo civile, ma in realtà sono governati da una teocrazia, e questa teocrazia si rifiuta di consegnarlo. E dopo i grattacapi che abbiamo avuto su Radillex IV, non abbiamo nessuna intenzione di andare a prenderlo con la forza.
Jenko annuì pensoso. Radillex IV aveva dato asilo a due evasi di cui la Repubblica aveva chiesto l'estradizione; il pianeta si era rifiutato, e a cose fatte tre milioni di Radixelliani erano morti e la Repubblica ebbe un nuovo governo che si rivelò molto meno propenso a ricorrere alla forza per fare valere le proprie ragioni, anche perché c'erano ancora molti mondi alieni che dovevano essere domati.
- Così abbiamo messo un embargo su Walpurgis e l'abbiamo dichiarato in quarantena - continuò Mellan, - il che poi serve a ben poco dal momento che hanno avuto sempre scarsissimi rapporti di ogni genere col resto della Repubblica.
- Siete sicuro che Bland si trovi ancora là?
- Teniamo il pianeta sotto una sorveglianza così stretta che niente e nessuno può andarci o lasciarlo - disse Mellan. - È ancora là, statene certo. Anzi, di recente abbiamo avuto notizie riservate a suo riguardo da parte del governo civile.
- E allora?
- Ci hanno pregato... letteralmente pregato di eliminarlo.
- Hanno spiegato la ragione? - chiese Jenko.
Mellan fece un cenno di diniego.
- Mi servono libri di storia, guide e qualsiasi altra cosa che riguardi Walpurgis.
- Non abbiamo niente.
- Nemmeno una mappa?
- Sì, topografica. Strade e città niente. Dovete capire che i fondatori si ritenevano una minoranza oppressa e si staccarono completamente dal resto della Repubblica. Immigrazione ed emigrazione sono sempre state severamente proibite. Non hanno rapporti commerciali con nessun altro mondo, né repubblicano né alieno. Pagano volentieri le tasse salate obbligatorie per chi rifiuta di prestare servizio militare. Non permettono neanche l'importazione e l'esportazione di trasmissioni televisive. Figuratevi che rifiutano il credito. Come valuta hanno riesumato un'antiquata mescolanza di dollari, sterline e anche rubli.
- Capisco. E attualmente c'è là qualche vostro incaricato?
- Uno, l'unico superstite. Si chiama Ibo Ubusuku.
- Dove si trova e come posso mettermi in contatto con lui in caso di necessità?
- Abbiamo avuto sue notizie solo una volta - disse Mellan. - Si trova nella città di Amaymon, nell'emisfero meridionale, e ci si può mettere in contatto con lui mediante una frase in codice che è registrata in uno di quei dischi. Dopo il primo messaggio non ha più rotto il silenzio radio dato che attualmente la Repubblica non è molto ben vista su Walpurgis.
- C'è altro che dovrei sapere? - chiese Jenko.
- Probabilmente sì, ma purtroppo nessuno è in grado di dirvelo.
- Allora - disse Jenko alzandosi, - credo che possiamo considerare chiuso l'incontro. Fatemi il favore di non tentare di seguirmi.
- Un'ultima cosa - disse Mellan. - Sono autorizzato a permettervi l'acquisto di qualsiasi arma di cui abbiate bisogno.
- Sono sicuro che troverò sul pianeta quanto mi occorre - disse Jenko.
- Ma le nostre armi sono più sofisticate - obiettò Mellan.
- Signor Mellan - replicò lentamente Jenko soppesando le parole, - forse resterete sorpreso, e magari addirittura deluso, ma esistono uomini e donne che sono migliori tiratori di me, così come molti altri sono più abili nel corpo a corpo. Voi non avete assoldato un tiratore o un lottatore, ma un assassino. Troverò quello che mi serve sul pianeta.
Un'enorme aquila rossa scese fulminea con uno strido puntando su un piccolo mammifero. Mellan si distrasse un momento per guardare, e quando tornò a voltarsi l'uomo che diceva di chiamarsi Jenko era scomparso.
Capitolo II
L'assassinio è solo una passione ma lo sterminio è un'arte. (Conrad Bland)
A prima vista non era poi un mondo tanto strano. Jenko ci si era preparato nel miglior modo possibile. Dal punto di vista fisico l'impresa non fu difficile: fu sufficiente regolare i sistemi della nave in modo da adattarsi alla gravità inferiore del pianeta e al più elevato contenuto di ossigeno della sua atmosfera, in modo da potersi muovere su Walpurgis senza attirare l'attenzione dimostrandosi troppo forte o agile, o restando intossicato per un eccesso di ossigeno.
Trascorse tre settimane a leggere tutto quello che riuscì a trovare sui diversi culti e congreghe esistenti sulla Terra prima della partenza per Walpurgis III avvenuta 123 anni prima, ma poiché le società si evolvono e cambia il modo di vivere, aveva la sensazione che quelle informazioni fossero in gran parte inutili e arcaiche.
Quando ebbe fatto tutti i preparativi, passò all'attuazione dello stadio successivo del suo piano. Il cordone di navi della Repubblica che bloccavano Walpurgis non veniva mai interrotto grazie al costante avvicendamento dei vascelli che lo formavano, e una di queste navi, che entro tre giorni avrebbe dovuto raggiungere la sua postazione, fu costretta a scendere sul pianeta a causa di un'avaria. Nessun membro dell'equipaggio si era accorto della presenza a bordo di Jenko, nessuno sospettò che l'avaria era stata calcolata in modo da consentire alla nave di atterrare sull'emisfero meridionale, e nessuno vide il clandestino sbarcare di nascosto dopo il tramonto.
Vicino allo spazioporto c'era una grande città e, approfittando del buio, Jenko fece un breve ma oculato giro del più vicino centro commerciale. Dopo avere osservato le vetrine di diversi negozi arrivò alla conclusione che l'abbigliamento locale non recava simboli di classe, grado od occupazione. Metodicamente razziò quattro magazzini, prendendo in uno una camicia, in un altro un paio di calzoni, una giacca in un terzo, e scarpe, calze e denaro nel quarto. Per quanto fosse sicuro che nessuno lo avesse visto uscire dallo spazioporto, cambiò il proprio aspetto da giovanotto biondo e corpulento sulla trentina in quello di un cinquantenne più magro. Poiché non conosceva quale tipo di acconciature fosse di moda sul pianeta - i manichini delle vetrine erano sovente antiquati - decise che la cosa migliore fossero dei capelli castani piuttosto radi, che andavano ingrigendo sulle tempie.
Scartò baffi e barba, ma segnò una finta cicatrice lungo la guancia sinistra, casomai avesse dovuto giustificare il fatto che era sbarbato.
Così trasformato, e sentendosi abbastanza sicuro di non essere subito scoperto, fece un'altra e più minuziosa esplorazione dei dintorni per rendersi conto dell'atmosfera locale e infine si diresse verso il centro della città. C'erano numerosi negozi di articoli religiosi o pseudo tali, alcune erboristerie, e studi di chiromanti e frenologi. Molti negozi vendevano quelle che lui considerava merci normali - abiti, generi alimentari, ferramenta e via dicendo - ma recavano sulle insegne o nelle vetrine amuleti o disegni cabalistici.
A un tratto sentì alcune voci, a una certa distanza, sulla sinistra, e si affrettò a nascondersi in un androne buio. Poco dopo un gruppo di donne a seno nudo, tutte con lunghi guanti e alti stivali di gomma, gli passò davanti intonando quella che gli sembrò una lamentosa preghiera, per quanto lui ignorasse la lingua. Due di quelle donne reggevano una piccola lettiga su cui giaceva il cadavere di una gatto evidentemente ucciso da un veicolo.
Che si trattasse di un funerale in cui il gatto rappresentava il caro estinto, era evidente, ma Jenko non capiva perché le dolenti fossero combinate in quel modo, a meno che non fosse per attirare l'attenzione degli uomini.
Jenko percorse un altro isolato, ma dovette nascondersi di nuovo al passaggio di due figure incappucciate avvolte in lunghi mantelli neri, in compagnia di tre uomini vestiti in quello che lui riteneva l'abbigliamento di tipo corrente. Stavano discutendo animatamente a proposito di un avvenimento sportivo, di cui lui non riuscì ad afferrare i particolari. Il fatto che i due fossero abbigliati in modo così strano, non sembrava turbare gli altri membri del gruppo.
Jenko continuò a camminare, osservando e prendendo mentalmente nota di molti particolari. In alcuni punti la città cominciava a rivelare segni di decadimento, nonostante fosse ben tenuta. Le strade erano pulite, i marciapiedi lisci e lustri come se li avessero lucidati, in tutti gli angoli c'erano disgregatori atomici per i rifiuti. Tuttavia, qua e là, si notavano indizi di deterioramento: rattoppi del manto stradale, facciate di case bisognose di una buona ripulita e, incastrati in mezzo a moderni edifici, negozietti polverosi in attesa di essere demoliti per fare posto a un'altra torre di vetro e acciaio.
Lungo il percorso Jenko s'imbatté in numerose chiese, quasi tutte in stile gotico, e tutte avevano davanti un prato su cui pascolavano delle capre. Gli parve di sentire provenire da una di esse gemiti e lamenti, e attraverso la finestra di un'altra scorse dei corpi nudi avvinti in una danza orgiastica, ma evitò di entrare perché ancora non conosceva abbastanza le usanze locali.
Una chiesa più piccola delle altre, appollaiata in cima a una collinetta, aveva un cerchio di fuoco intorno al portale, cerchio che probabilmente i fedeli dovevano saltare per rendere omaggio al loro dio o demone che fosse.
La città era molto estesa, e lui raggiunse il centro solo all'alba. Quando ci fu più animazione nelle strade e cominciarono ad aprirsi negozi e uffici, decise di cercare un alloggio... dopo avere consumato una rapida e insipida colazione in un bar affollato.
Non voleva scendere in uno dei migliori alberghi perché non sapeva quali credenziali chiedessero ai clienti.
Avrebbe preferito affittare una stanza presso un privato, ma non conosceva nessuno e non voleva farsi notare chiedendo informazioni, perciò decise di allontanarsi dal centro e quando si trovò in un quartiere piuttosto squallido entrò nell'atrio di un modesto alberghetto, del tipo in cui, su qualunque pianeta, si affittavano le camere anche a ore.
- Nome? - chiese l'impiegato con fare annoiato.
Jenko si guardò intorno per assicurarsi che l'atrio fosse vuoto.
- Conrad Bland - rispose e aspettò la reazione.
- Non dovete dirlo a me, amico - ribatté l'impiegato spingendo verso di lui il registro con la massima indifferenza. - Dovete scrivere il vostro nome qui.
Jenko prese una penna e scribacchiò il nome in modo tale che neanche una squadra di esperti sarebbe stata in grado di decifrarlo.
- Bagaglio? - chiese l'impiegato.
- Niente.
- Bene - commentò l'altro, senza mostrarsi sorpreso, e gli porse un foglietto su cui era scritta la combinazione della stanza. - Appartenete al Culto del Messaggero o alla Chiesa di Baal?
Jenko scrollò la testa.
- Bene. Se appartenete a un altro culto o setta che esige il sacrificio di animali dovete informare la direzione e pagare un extra. Non mi sembra che abbiate delle candele con voi, ma se decideste di comprarne ricordatevi che sono permesse solo quelle artificiali, non quelle a fiamma viva. Capito?
- Capito - rispose Jenko.
- Dov'è la mia stanza?
- Non ho ancora finito - disse l'impiegato con aria seccata. - Talismani o altro appesi nelle stanze diventano di proprietà dell'albergo, se tenuti a lungo. E così dicasi per qualsiasi tipo di arma rituale che le domestiche potranno trovare nella vostra stanza. Dopo mezzanotte non sono ammessi visitatori, sia uomini che donne. E dovete pagare una settimana di anticipo.
- E se non avessi intenzione di fermarmi una settimana?
- Allora chiederete il rimborso.
- Non mi va - borbottò Jenko.
- Nessuno vi ha obbligato a venire qui. Se non vi va, fate dietrofront e uscite.
Jenko gli lanciò un'occhiataccia ma riuscì a dominarsi. - Quanto? - chiese.
L'uomo sorrise. Il suo era il sogghigno di uno che aveva recitato un'infinità di volte quella scena e sapeva a memoria come andava a finire. - Settanta sterline - disse tendendo la mano.
Jenko trasse di tasca un fascio di banconote e diede all'impiegato la somma richiesta, facendo in modo che vedesse il grosso rotolo.
- È un bel malloppo! - commentò l'uomo. - E avete anche dei bei vestiti nuovi.
- Ho avuto un colpo di fortuna - rispose Jenko, scrutandolo per vedere ancora una volta se reagiva.
- Se vi pesa troppo in tasca io conosco un paio di posticini dove potreste spenderlo. Dietro una piccola ricompensa, ovviamente.
- Più tardi, forse. E allora, la mia stanza?
- Tre dieci. Al terzo piano in fondo al corridoio. L'ascensore è guasto, dovrete salire le scale.
Jenko annuì. Una rapida occhiata all'ascensore gli fece capire che doveva essere fuori uso da mesi, forse addirittura da anni, e si avviò verso la scala. Poco dopo raggiunse la stanza che gli era stata assegnata. Punzonò la combinazione nella serratura computer ed entrò.
La stanza era squallida, nuda, pentagonale come immaginava fossero tutte. C'erano un lettino stretto con la coperta macchiata, un vecchio cassettone, una sedia e un comodino. Aprì il primo cassetto del comò, sperando di trovarci un elenco telefonico, invece c'era solo un logoro mazzo di tarocchi e una copia in edizione economica del Malleus Maleficarum un antico manuale che risaliva all'epoca della caccia alle streghe, quando l'uomo era ancora legato alla Terra. Non c'erano telefono, né radio né televisore, niente da cui potesse ricavare ulteriori informazioni su quel mondo. Nel bagno c'erano un gabinetto chimico e una doccia a ultrasuoni simile a quelle delle navi spaziali, forse perché c'era scarsità di acqua o perché costava troppo collegare le tubazioni all'albergo.
Esaminato a fondo l'alloggio, Jenko si sedette sul bordo del letto e cominciò a leggere il giornale che aveva comprato precedentemente in un distributore automatico. Era un quotidiano di poche pagine, troppo poche per essere pubblicato in una grande città, segno che molte notizie venivano trasmesse solo per radio o TV o attraverso altri sistemi di comunicazione. E questo significava che vi avrebbe trovato solo notizie d'interesse generale e non i fatterelli locali, molto più interessanti per lui.
In prima pagina c'era un lungo articolo sull'economia locale, che a quanto pareva era in crisi, e un altrettanto lungo editoriale che per undici paragrafi riusciva a criticare aspramente la Repubblica senza mai alludere a Conrad Bland. Nella terza pagina si parlava succintamente dei Fratelli della Notte e del Culto del Messaggero, che avevano chiuso le loro succursali nella città di Tifereth, e un rapido controllo alla pagina finanziaria rivelò che la Borsa di quella città aveva chiuso i battenti da circa un mese, causa il grave declino degli affari.
Jenko pensò che forse questo era dovuto alla generale crisi economica, o forse la causa era Bland. Le informazioni erano troppo scarse per poterne trarre indizi sicuri, ma Jenko prese mentalmente nota di fare una capatina a Tifereth.
Sia l'impiegato dell'albergo che alcuni articoli del giornale parlavano di sette e culti, e Jenko pensò di dare un'occhiata alle inserzioni pubblicitarie riguardanti le chiese locali. Purtroppo i suoi timori si rivelarono fondati. Come aveva previsto, nessuno dei culti elencati si reggeva su dogmi a lui noti. C'erano invece sette come il Culto del Messaggero, la Chiesa dell'Inferno, le Figlie della Delizia, la Chiesa di Baal, l'Ordine del Golem, la Sorellanza del Peccato, la Chiesa di Satana, e altre ancora, numerose come le suddivisioni del cristianesimo ai suoi tempi.
Jenko sospirò. Quel mondo era troppo complesso perché potesse farsene un'idea di primo acchito. Fra le inserzioni pubblicitarie di abiti e mobilio ce n'erano anche alcune che reclamizzavano amuleti e riti per proteggersi contro le forze del bene e del male, bambole Vudù e filtri amorosi, nonché elisir che assicuravano l'immortalità.
Dopo avere letto le inserzioni ed essersi fatto così un'idea approssimativa del valore del denaro di cui disponeva, sfogliò il giornale per vedere se era riportata la notizia dei suoi furti, anche se probabilmente il giornale era già in via di stampa quando li aveva commessi. Infatti non si parlava dei furti; tuttavia, scorrendo gli articoli fece un'altra scoperta: non c'era un solo accenno a delitti di qualsiasi genere, e lui non poteva credere che in una città così grande non avvenissero quotidianamente alcuni crimini, furti, rapine, stupri, sequestri di persona, specie in un mondo che nutriva una devozione religiosa per quel genere di cose. Questo implicava che o le notizie venivano volutamente taciute o che il concetto di crimine aveva subito un'incredibile metamorfosi su Walpurgis.
Probabilmente era esatta la prima ipotesi. Per quanto il concetto di male potesse essere distorto su quel pianeta, nessuna società può ignorare i crimini senza precipitare nell'anarchia, e sebbene lui ne sapesse molto poco di quel mondo, tuttavia non aveva trovato il minimo indizio di anarchia.
Se invece si trattava di censura, questo poteva tornare a suo vantaggio. Se Bland era riuscito a inserirsi così saldamente da costringere il governo a chiedere aiuto per eliminarlo, Jenko non aveva modo di raggiungerlo nel suo quartiere generale - ovunque si trovasse - per ucciderlo. Bland doveva essersi creato intorno strati e strati di protezione, altrimenti non sarebbe sopravvissuto abbastanza da arrivare fino su Walpurgis, e questo a sua volta significava che Jenko doveva cercare di raggiungerlo per via indiretta. Non sapeva per quanto tempo avrebbe potuto nascondere la sua presenza, e se non altro lo confortava il sapere che con ogni probabilità il governo non avrebbe dato pubblicità alle sue azioni più di quanta ne avrebbe data lui.
Dopo avere letto attentamente il giornale, si sdraiò sul letto e si addormentò.
Si alzò quando era già calata la sera, fece una doccia, si rase, si truccò e uscì per andare a cena. Scelse un ristorante frequentato da gente vestita come lui e studiò a lungo il menu. Dopo mangiato si mise a passeggiare lungo le strade, ascoltando qua e là brani di conversazione, e infine andò a un cinema Tri-Fi. Se aveva sperato di apprendere qualcos'altro su Walpurgis, rimase deluso, perché si trattava di una normalissima storia d'amore punteggiata dalle risate isteriche del pubblico tutte le volte che la protagonista faceva un sacrificio a Belzebù. Jenko ne dedusse che quei riti erano comuni nei romanzi d'amore, ma non osò chiederne conferma a nessuno.
Impiegò l'ora successiva per recarsi in tre alberghi dove fissò una stanza firmandosi col nome dei personaggi del film. Poi tornò al primo albergo, per uscirne dopo pochi minuti trasformato in un uomo di mezza età, leggermente obeso coi capelli rossi tagliati molto corti. Così camuffato si recò in due bar lontani dall'albergo comportandosi in modo da essere sbattuto fuori, e infine andò in un locale aperto tutta la notte dove si fece servire un caffè, ma quando uscì mezz'ora dopo aveva un coltello affilato nascosto sotto la giacca.
Poi, dal momento che voleva saperne di più sul conto della polizia e della sua abilità, si mise in caccia. Individuò la preda a due isolati dal ristorante. Si trattava di un tipo sulla tarda cinquantina, dall'aria mite e dimessa, che percorreva da solo il marciapiede, tranquillo e pacifico; Jenko gli si mise alle calcagna come una belva che segue la preda nella giungla. Non si affrettò, anzi, a volte cambiò direzione, ma inesorabilmente, centimetro per centimetro, andò sempre più avvicinandosi alla vittima designata. Nel giro di pochi minuti si trovò a sei metri dall'uomo, e allora scattò e colpì con la sveltezza e la precisione di un cobra. L'uomo non emise un lamento, non sentì neanche dolore, non seppe mai che gli avevano tagliato la gola. Era già morto prima di crollare a terra.
E Jenko, come un tecnico di laboratorio che abbia aggiunto un elemento pericoloso a una soluzione, si ritirò per osservare quello che sarebbe successo in seguito.
Capitolo III
Non importa se tu consideri nefanda una cosa, perché non ci si deve chiedere: - È male? - Ma: - È possibile? (Conrad Bland)
John Sable, in piedi davanti al tavolo pentagonale di ossidiana situato in un angolo del suo ufficio, si inginocchiò di fronte alla statuetta di Kali, accese una candela rossa dalla forma strana, e mormorò una breve preghiera a Azazel. Poi accese altre due candele mormorando preghiere in onore di Asmodeo e Arimane, infine sollevò il suo amuleto verso un cartiglio appeso sul tavolo, tracciò in aria il Segno dei Cinque, e andò a sedersi con un sospiro alla scrivania, ripromettendosi per l'ennesima volta di svegliarsi più presto per potere recitare in casa le invocazioni mattutine.
Dopo un momento premette il pulsante del citofono.
- Si sa ancora niente di quel cadavere?
- Sì - gli risposero. - Parnell Burnam, cinquantasette anni, domiciliato all'834 di Viale della Disperazione. Faceva il saldatore.
- Setta?
- Culto del Messaggero.
- Merda! - borbottò Sable e premette un altro pulsante. - Chiamatemi al visifono Benito Vertucci. - Aspettò un attimo che il collegamento fosse stabilito, poi si voltò verso lo schermo posto di fianco alla sua sedia. - Vertucci, qui John Sable.
- So chi siete - disse con voce stentorea l'alta figura incappucciata di nero.
- Credevo che avessimo stipulato un accordo.
- Come sarebbe a dire? - chiese Vertucci.
- Due assassinii rituali all'anno - rispose Sable cercando di dominarsi. - Questi erano i patti.
- Quest'anno ne abbiamo commessi solo due, debitamente registrati nei vostri archivi.
- E allora spiegatemi la faccenda di Parnell Burnam.
- Mai sentito nominare - rispose Vertucci.
- Si dà il caso che fosse un membro del vostro culto! - sbottò Sable. - O per lo meno lo era finché non gli hanno tagliato la gola ieri notte. L'assassinio è un delitto gravissimo anche qui nella città di Amaymon. Abbiamo convenuto di chiudere un occhio davanti a due sacrifici rituali all'anno da parte vostra e della Chiesa di Baal, purché avvengano nell'ambito delle vostre sette. Ma questa volta avete oltrepassato i limiti e me la pagherete.
- Il Culto del Messaggero non uccide tagliando la gola - ribatté Vertucci. - E sono ansioso quanto voi che l'assassino sia consegnato alla giustizia. Dovete credermi.
- Sareste disposto ad affrontare la macchina della verità?
- Sì.
- Aumenterò al massimo della pericolosità la dose.
- Satana è con me - disse Vertucci senza scomporsi. - Mandatemi pure quando volete uno dei vostri incaricati.
- Fra un'ora - promise Sable e troncò la comunicazione. Poi premette un terzo pulsante. - Mandate qualcuno a prendere Benito Vertucci che deve essere interrogato, e informatevi se c'è stato qualche cambiamento nella normale procedura del rituale di assassinio del Messaggero. Ah... e dite a Langston Davies che lo voglio vedere.
Davies entrò poco dopo nell'ufficio del suo capo. Era un uomo alto e cadaverico, sulla trentina, con capelli castani e una corta barba rada.
- Desideravate vedermi?
- Vi siete occupato voi del delitto Burnam, vero?
Langston Davies annuì. - È un caso chiarissimo, dal momento che la vittima era un Messaggero.
- E se vi dicessi che Vertucci è disposto a sottoporsi alla macchina della verità?
- Direi che sta bluffando - dichiarò senza esitare Davies.
- Non credo. Ho appena mandato qualcuno a controllare, e non mi stupirei se si scoprisse che non si è trattato di un omicidio rituale.
- Ma deve essere così! L'uomo aveva tremila yen in tasca e un prezioso amuleto d'oro al collo. Non si è trattato certo di un delitto a scopo di rapina.
- Un litigio fra innamorati?
- Improbabile - rispose Davies con una risatina. - L'uomo viveva da solo e secondo il referto medico doveva essere impotente da almeno vent'anni.
- Non potrebbe trattarsi di un'innamorata delusa? - insisté Sable.
- Controllerò, ma sarà un lavoro inutile... A proposito, capo - continuò Davies, - non avreste uno di quei vostri ottimi sigari?
Sable sorrise ironicamente. Anche lui aveva voglia di fumare, ma se ne era astenuto proprio per non offrire un sigaro anche a Davies. Erano sigari molto costosi, e anche il capo della polizia cominciava a risentire della crescente inflazione e faceva qualche economia. Infine si decise, aprì la scatola, offrì un sigaro a Davies e ne accese uno per sé, poi chiese: - Burnam aveva dei problemi sul lavoro?
- Non credo. L'anno scorso ha ereditato un discreto patrimonio. Ne ha regalato buona parte al Culto del Messaggero, ma gliene è rimasto abbastanza da vivere agiatamente. Ha perfino rifiutato una promozione nell'officina dove lavorava, perché preferiva non cambiare tipo di lavoro, e dubito che un uomo di quel tipo si fosse fatto dei nemici.
- E che cosa ha fatto ieri notte?
- Si è fatto ammazzare.
- Prima - precisò irritato Sable.
- Non lo so - rispose Davies. - Viveva solo e non mangiava in casa. Forse è andato al cinema o in un bar. O a una cerimonia del suo culto. Loro naturalmente lo negano, ma io propendo per questa ipotesi. L'hanno sgozzato per motivi loro e poi l'hanno trasportato dove è stato trovato.
Sable scosse lentamente la testa. - Ho la sensazione che non siano stati i Messaggeri. In questa città avvengono parecchi omicidi, ma si tratta sempre di delitti rituali, o dei soliti assassinii passionali o per interesse. Questo mi suona diverso, ha qualcosa che non quadra.
- È un peccato che abbiate rinunciato al Vudù sposando Siboyan - disse Davies. - So che i cultori del Vudù hanno dei metodi infallibili per estorcere una confessione.
- Vi hanno informato male - replicò Sable. - Il Vudù è come tutte le religioni: consola ma dà pochi risultati.
- Già, lo dite sempre - osservò sorridendo Davies, - eppure rimane una delle nostre sette più popolari.
- Quasi tutti gli uomini di colore cominciano col Vudù - ribatté Sable. - Molti però prima o poi lo abbandonano. È un po' troppo barbaro per i miei gusti. E adesso torniamo all'argomento che c'interessa, anche se è altrettanto barbaro.
- A dire il vero non si è poi trattato di un omicidio particolarmente brutale - disse Davies. - È stato rapido, pulito, efficiente. Credo che Burnam non se ne sia nemmeno accorto.
- Farete bene a controllare bar e ristoranti della zona per vedere se la notte scorsa qualcuno ha litigato o si è comportato in modo insolito. Penserò io ai Messaggeri, ma non credo che servirà a qualcosa.
- C'è altro?
- Sì. Provate a vedere se la Chiesa di Baal nutre dei rancori nei riguardi dei Messaggeri. Forse l'uccisione di Burnam è stata una specie di avvertimento, sebbene ne dubiti.
Davies uscì e Sable si rilassò intrecciando le mani dietro la nuca e assaporando l'aroma del sigaro.
Non riusciva a raccapezzarsi. Sapeva che aveva dato a Davies un incarico inutile, anche se ovviamente non poteva lasciare niente di intentato. Ma se il caso Burnam era un biglietto da visita della Chiesa di Baal, allora si era dimenticata di firmarlo, e non era ammissibile una tale trascuratezza. Esisteva un ordine dell'Universo, un eccesso più che una scarsità di motivi, e Sable sapeva che procedendo con rigore e con metodo avrebbe prima o poi scoperto il movente di quel delitto e allora tutte le tessere del mosaico sarebbero andate a posto. Era proprio questo il suo compito: evitare che il caos della psiche umana traboccasse invadendo l'ordine della vita quotidiana. Era un compito gravoso ma le cose sarebbero anche potute andare peggio; per lo meno lui viveva in un mondo dove l'odio e l'aggressività venivano incanalati in modo da avere uno sfogo spirituale invece di essere forzatamente repressi fino a esplodere.
Le sue fantasticherie vennero interrotte da una chiamata di Siboyan, la quale lo informò che il loro figlio minore aveva una leggera influenza, e lo pregava di passare dall'erborista a comprare dell'assafetida e della verbena e di ricordarsi, se aveva tempo, che occorrevano altre candele rituali. Lui scrisse accuratamente quello che doveva acquistare, aggiunse all'elenco un giocattolo per il bambino, e poi disse a sua moglie che doveva tornare al lavoro.
Andò poi a sottoporre Vertucci alla macchina della verità. Ottenne le risposte negative che aveva previsto e lo rilasciò.
Lungo il corso della mattinata e del pomeriggio arrivarono altre informazioni. Non era stata trovata l'arma del delitto. La Chiesa di Baal andava d'accordo con tutti. Gli assassinii rituali del Culto del Messaggero venivano sempre commessi con una coltellata al cuore della vittima stesa su un altare. Non c'erano impronte sul cadavere. Burnam aveva mangiato al Roost, un modesto ristorante del centro, ma non si sapeva come e dove avesse trascorso le tre ore successive. Un uomo corpulento, rosso di capelli, era stato buttato fuori da due bar, ma era così ubriaco che non sembrava in condizioni di maneggiare un coltello e tanto meno di vibrare un colpo da esperto. Tuttavia valeva sempre la pena di indagare anche in quella direzione. Burnam era molto ben voluto dai compagni di lavoro e dai superiori e non aveva un nemico al mondo. Da almeno vent'anni non era mai stato visto con una donna e non erano state scoperte amicizie particolari sul suo conto. Pagava l'affitto con tre mesi di anticipo e aveva un grosso deposito in una banca locale.
Eppure doveva esserci un motivo! Sable era sicuro che l'omicidio non era stato commesso da un pazzo o da un fanatico sotto gli effetti della droga o spinto da frenesia religiosa; si era trattato di un gesto compiuto troppo a freddo per poterlo attribuire a un esaltato.
Sable quasi quasi si augurava di essere stato meno abile nel passato, perché in questo modo si sarebbe aggiunto un altro delitto alla catena dei crimini insoluti, ma non era questo il caso. Nei sette anni da che reggeva il dicastero della polizia erano stati commessi quarantatré delitti, seguiti da quarantatré arresti e quarantatré condanne. Non esisteva niente, nel passato, che potesse collegarsi a questo caso.
Si accese un altro sigaro - il quarto della giornata, constatò con un lieve senso di colpa - e si concentrò su quanto sapeva.
Bene, il Culto del Messaggero non c'entrava, e nemmeno la Chiesa di Baal, il colpevole non era un amante dell'uno o dell'altro sesso. Non si trattava di un ladro né di un pazzo. E allora chi poteva essere il colpevole?
Sable chinò la testa pensoso, per poi raddrizzarsi di scatto.
Bland?
Sable ci pensò sopra per un momento, poi scartò l'ipotesi. Bland era ancora a Tifereth e, per di più, loro erano dalla sua parte. Come se poi non bastasse erano gli unici in tutta la Repubblica a stare dalla sua. Sarebbe stato sciocco da parte sua comportarsi a quel modo.
Bene... ma allora se non era stato Bland chi era stato?
E se l'omicidio non aveva dei punti di contatto con altri crimini avvenuti nel passato, poteva forse essere collegato a qualcos'altro?
Sable fissò a lungo il cartiglio appeso al muro prendendo in esame tutte le possibilità.
Poi, di punto in bianco, si animò. Gli era venuta un'idea, la più assurda di tutte le idee possibili, ma nell'intimo, dove soppesava e formulava un giudizio, sapeva di avere ragione.
Capitolo IV
La sofferenza non è di alcuna utilità, ma compiace la vista. (Conrad Bland)
Jenko tornò in ognuna delle quattro stanze che aveva affittato, per scomporre i letti e lasciare il bagno in disordine come se qualcuno l'avesse usato. Quindi razziò altri due negozi, e si trasferì al Talisman, un albergo di seconda categoria. Dormì fino all'alba, fece colazione, acquistò degli abiti più eleganti, gettò via gli altri e trascorse il resto della mattinata e buona parte del pomeriggio a guardare la TV nella sua stanza. Diede la preferenza agli sceneggiati, sperando di potere apprendere qualcosa di più sugli usi e i costumi di Walpurgis.
Ma quello che vide servì solo a confondergli le idee. Fra Walpurgis e gli altri mondi della Repubblica c'erano delle differenze notevoli, anche se sottili. Non rimase sorpreso nello scoprire che dicendo Gezundheit quando uno sternutiva gli si rivolgeva un insulto o una maledizione e non un augurio, in quanto quella gente non desiderava che si scacciassero i diavoli dal loro corpo. Ma per quanto si scervellasse non riuscì a capire perché una preghiera a Belial fosse fonte di risa, mentre la stessa preghiera rivolta a Baal strappava lacrime al pubblico; né perché una donna si lasciasse violentare da un tizio con mantello e cappuccio nero, dimostrandosi consenziente, mentre si ribellava se un altro cercava solo di stringerle la mano.
C'era poi, per esempio, il Culto di Cthulu, un demone che - come lui aveva scoperto durante le sue ricerche - era frutto della fantasia di uno scrittore, ma per quanto gli era dato sapere nessuno adorava e nemmeno nominava Lucifugo Rofocale, che veniva considerato il capo delle armate infernali.
Alcune attrici erano vestite nel modo più fantasioso che un ragazzo pervertito potesse escogitare, con tanto di stivali, frusta e speroni, mentre altre erano coperte dalla testa ai piedi, e lui non riusciva a trovare un parallelo tra il loro modo di vestire e la parte che recitavano.
Dopo avere visto una dozzina di spettacoli, spense il televisore e decise che doveva cercare Ibo Ubusuku, l'agente segreto della Repubblica, per ottenere da lui le informazioni necessarie sulla società in cui si doveva infiltrare. Non avrebbe voluto rivelare a nessuno la sua presenza, nemmeno a un agente della Repubblica, ma aveva troppe lacune; erano troppe le probabilità di comportarsi nella maniera sbagliata per cercare subito di avvicinarsi a Bland.
Guardò l'ora e pensò che fosse venuto il momento di controllare se la polizia aveva fatto dei progressi. Aveva concesso agli investigatori tutto il tempo di arrivare alla conclusione che non stavano indagando su uno dei soliti delitti. Aveva perfino stabilito un orario: se prima di sera non cercavano un tipo obeso, rosso di capelli e ubriaco e non frugavano nelle quattro stanze che aveva affittato entro il pomeriggio del giorno seguente, avrebbe potuto stare tranquillo. Non gli avrebbero dato dei grattacapi in avvenire. Se invece si dimostravano più abili del previsto, bene, era sempre un vantaggio sapere a quali difficoltà poteva andare incontro.
Travestito da giovanotto biondo sulla trentina, mimetizzazione che aveva assunto subito dopo aver commesso il delitto, si recò in uno dei due locali dove era andato la sera prima.
Aveva percorso tre quarti di strada quando fu avvicinato da un tizio con la tunica rossa che portava un fascio di volantini e aveva appuntato sul petto un amuleto adorno di gemme.
- Scusatemi, cittadino - disse l'uomo, - posso darvi uno di questi? - e porse a Jenko un volantino.
- Perché no? - rispose Jenko prendendolo.
- Cosa ne pensate di Conrad Bland?
- Niente.
- Come? Avrete pur sentito parlare di lui.
- Vagamente, di passaggio.
- Secondo noi - e secondo tutte le Chiese - Bland è il salvatore di Walpurgis - asserì con calore l'uomo. - È tutto spiegato nel volantino.
- Da cosa ha bisogno di essere salvato Walpurgis? - chiese Jenko.
- Dalla Repubblica. Sapete che hanno chiesto la sua estradizione e noi abbiamo rifiutato?
- Non leggo i giornali - disse Jenko.
- I giornali non ne hanno parlato. Il governo... il governo civile non lo vuole. Vuole consegnarlo alla Repubblica ma il Consiglio delle Sette ha fatto pressione, e così il governo è stato costretto a fare marcia indietro.
- E allora in che consiste il problema?
- Hanno messo il bavaglio alla stampa. Diavolo, un terzo della popolazione non sa neppure che Bland è qui, e quelli che lo sanno si mostrano indifferenti, come voi. Prima o poi verremo ai ferri corti con la Repubblica per lui, e di conseguenza stiamo cercando di illuminare la popolazione.
- Allora leggerò attentamente questo foglio - promise Jenko.
- È quello che vi chiediamo - ribatté l'uomo, dirigendosi verso un altro passante.
Jenko diede una rapida occhiata al volantino. Non apprese niente di quanto già non sapesse su Bland. Lo scritto era tutto un coro di lodi nei suoi riguardi. Bland era ammirato come personificazione del male, ma non si faceva menzione delle prove che suffragavano questa asserzione.
Se lo scritto non gli rivelò niente di nuovo nei riguardi di Bland, gli disse invece parecchio sulla situazione politica di Walpurgis. La teocrazia non era poi così onnipotente come Mellan gli aveva lasciato credere, altrimenti avrebbe cercato di tirare dalla sua l'opinione pubblica con la forza delle argomentazioni. Il governo civile reggeva ancora le redini del potere, sicuramente controllava i mezzi di diffusione, e costituiva un ostacolo per la teocrazia per quanto concerneva Bland. Ma la scoperta più interessante fu che l'uomo della strada non era un appassionato difensore della causa di Bland. Anzi, molti ne ignoravano addirittura l'esistenza, il che spiegava come l'impiegato dell'albergo non avesse battuto ciglio quando lui gli aveva detto di chiamarsi Conrad Bland.
Jenko gettò il foglio nel più vicino disintegratore atomico e proseguì verso il bar. Il locale era tranquillo, non c'erano poliziotti, gli uffici erano ancora quasi tutti aperti per cui non c'era ressa. Jenko ordinò un brandy locale e lo sorseggiò lentamente con gli occhi fissi allo specchio dietro al banco, che rifletteva la strada antistante.
Passarono due ore. Nessuno lo importunò e lui era abituato alle lunghe attese nella sua professione.
Era ormai pomeriggio e le strade cominciavano ad affollarsi di passanti e veicoli. Un uomo alto e magro, con una barbetta rada, entrò nel locale, si avvicinò al barista e cominciò a parlare a bassa voce con lui. L'altro lo ascoltò attentamente, poi scrollò le spalle e annuì. L'uomo gli disse ancora qualcosa e il barista scosse decisamente la testa. Infine l'uomo si allontanò dal banco per portarsi al centro del locale. - Scusatemi - disse a voce alta mostrando un distintivo dorato ai presenti. - Sono Langston Davies, assistente del Capo della polizia Sable, e sto cercando un uomo corpulento, coi capelli rossi o castani, che è stato qui la notte scorsa. Nessuno ricorda di averlo visto?
Gli rispose un mormorio di negazioni. Jenko fu lì lì per dire qualcosa in modo da creare un'altra falsa pista, ma ci ripensò. Prima o poi la polizia si sarebbe accorta che aveva mentito, e poiché solo una persona aveva dei buoni motivi per farlo, la sua abilità di trasformarsi a volontà sarebbe stata smascherata.
- Probabilmente era ubriaco fradicio - continuò Davies guardandosi intorno speranzoso. - Veniva dal Devil's Den o ci è andato direttamente dopo essere stato qui. Chiunque fosse in grado di fornirci informazioni utili riceverà una ricompensa.
- Quanto? - chiese una donna che sedeva sola a un tavolo.
- Dipende dall'informazione - rispose Davies. - Lascio qui il mio biglietto da visita nel caso che qualcuno voglia mettersi in contatto con me.
Nessuno rispose, e dopo un breve silenzio, Davies se ne andò.
Jenko guardò l'ora. La polizia rispettava l'orario che lui le aveva fissato. Adesso Davies sarebbe andato al Devil's Den e poi, prima di sera, al ristorante. Forse avrebbe trovato qualcuno che aveva visto «l'uomo corpulento, coi capelli rossi o castani», ma era più probabile di no, perché i clienti che frequentavano i bar nel pomeriggio di solito non li frequentavano anche di notte.
Davies sarebbe tornato in sede a fare rapporto, e la polizia avrebbe finito col persuadersi che la ricerca di qualche testimonio non aveva sbocchi. A sera avrebbero perlustrato tutti gli alberghi della zona, e al più tardi nella mattinata dell'indomani avrebbero capito che stavano seguendo una falsa pista. Allora avrebbero cominciato a controllare metodicamente i registri degli alberghi per appurare quali stanze erano state affittate di recente, e quanto prima avrebbero scoperto le sue quattro stanze.
Buon lavoro, efficiente, ma senza ispirazione. Jenko si concesse il lusso di un breve sorriso.
Pagò e uscì, e per poco non si scontrò con Davies che gesticolava discutendo animatamente con un tizio che doveva essere un suo collega.
- Ma cosa diavolo vuole che facciamo? - stava chiedendo Davies.
- Non lo so - gli rispose il collega, - ma dice che stiamo perdendo tempo, che non c'è nessun uomo grasso.
- E non vuole che cominciamo a controllare negli alberghi? - insisté Davies.
Jenko avrebbe voluto continuare ad ascoltare, ma anche lasciare cadere qualcosa e poi indugiare a raccoglierla sarebbe stata una scusa troppo palese. Così, deluso e seccato, continuò a camminare.
Non sapeva chi fosse il tizio di cui parlavano quei due. Probabilmente si trattava del loro capo, Sable. Ma chiunque fosse, era un po' troppo sveglio per i suoi gusti.
Tornò a fare il giro delle quattro stanze in modo da lasciare credere che ci avesse abitato, poi tornò al primo albergo dove era sceso e prese il disco su cui erano incise le informazioni riguardanti Ubusuku.
Quello che apprese non era per niente incoraggiante. Ibo Ubusuku era stato un funzionario di secondo piano nel corpo diplomatico che aveva accettato la destinazione di Walpurgis al solo scopo di avere un aumento di stipendio. Era un uomo alto, di ascendenza Zulù, con un curriculum di studi eccellente ma nessuna esperienza come spia o agente segreto di qualsiasi genere, né risultava dalla registrazione che fosse un esperto nel campo dei culti e delle congreghe. Il Dipartimento per l'Immigrazione di Walpurgis gli aveva concesso il nulla osta due anni prima - nulla osta concesso solo a venti diplomatici - e Ubusuku aveva inviato un solo rapporto ai suoi superiori nel corso di quei due anni...
Il succo di quel rapporto era che non aveva trovato traccia né sentito parlare di Conrad Bland, e che se qualcuno voleva mettersi in contatto con lui doveva mettere un'inserzione sul giornale di Amaymon dichiarando che cercava un facsimile del Malleus Maleficarum nel testo originale latino. Ubusuku avrebbe risposto al numero della casella relativo all'inserzione e si sarebbe combinato un incontro.
Jenko ripose il disco ed esaminò la situazione. Qualcuno aveva già capito chi era nonostante i travestimenti e non ci aveva messo molto per arrivarci. Non era irragionevole supporre che quella stessa persona aspettasse ora che lui si mettesse in contatto con un agente che si trovava già sul posto. Non poteva sapere che quell'agente era Ubusuku o, se lo sapeva, l'avrebbe già arrestato e lui non avrebbe potuto contattarlo.
Jenko doveva agire supponendo che Ubusuku fosse ancora libero e che nessuno sospettasse di lui. Ora, se il suo avversario non sapeva come lui si sarebbe messo in contatto con Ubusuku, era logico che cercasse di risalire alla fonte. La polizia non poteva mettere sotto controllo tutti i visifoni della città, ma Jenko aveva già controllato e scoperto che Ubusuku non aveva visifono. Quel Sable non era certo uno stupido, sicuramente sapeva di partire svantaggiato e non avrebbe perso tempo coi visifoni e la posta. Avrebbe agito nella presunzione che Jenko ignorava dove si trovasse Ubusuku, così come Jenko doveva presumere che il domicilio attuale di Ubusuku non era un carcere né un campo di concentramento.
Sdraiato sul letto, con gli occhi fissi al soffitto dove qualcuno aveva dipinto un ingenuo affresco di una Messa Nera, Jenko cercò d'indovinare la prossima mossa di Sable. Il poliziotto avrebbe tenuto d'occhio tutti i mezzi con cui si poteva contattare una persona, e questo avrebbe compreso anche gli annunci economici. Nel messaggio non c'era niente che potesse destare dei sospetti, ma ora che Sable aveva capito che lui poteva cambiare aspetto, qualsiasi straniero che inseriva un annuncio sarebbe diventato automaticamente sospetto. Ciononostante, lui, Jenko, non poteva procedere senza sapere qualcosa di più su Walpurgis, e perciò giunse a un compromesso: avrebbe messo un'inserzione, ma non quella che avrebbe provocato la risposta di Ubusuku. Se nessuno si fosse interessato alla cosa, avrebbe messo la vera inserzione un paio di giorni dopo.
Si piazzò davanti allo specchio, cambiando in grigio il colore dei capelli, che rese più folti. Poi inserì dei sopralzi nelle scarpe, col risultato che aumentò la sua statura di qualche centimetro. Non sapeva se questo sarebbe stato molto utile, dato che la polizia cercava un camaleonte senza faccia, ma c'era almeno la probabilità che cercassero un uomo più piccolo... e Jenko non sarebbe sopravvissuto fino a quel momento se non fosse stato oltremodo cauto.
Così trasformato si recò alla sede del giornale locale e fece inserire un annuncio in cui diceva che cercava una ragazza bionda conosciuta a un party una quindicina di giorni prima, pagò in contanti, diede come indirizzo quello di un albergo situato proprio di fronte al suo, e tornò nella sua stanza. Si fece la barba, fece una doccia calda e, dopo aver riposato, sdraiato, un'oretta, si piazzò alla finestra per tenere d'occhio l'altro albergo. Mentre aspettava, cercò di mettersi nei panni di Sable per intuire quale sarebbe stata la sua prossima mossa.
Capitolo V
I gemiti di un moribondo possono essere una musica più dolce di qualsiasi sinfonia. (Conrad Bland)
Per quanto ci si sforzasse, Sable non riusciva mai ad abituarsi alle manifestazioni esteriori del lusso. Adesso sedeva a disagio su una vibropoltrona chiedendosi se poteva azzardarsi ad accendere un sigaro, con la certezza che il suo ospite si sarebbe affrettato ad offrirgliene uno più costoso. Spaziò con lo sguardo sulla stanza arredata con sfarzo, adorna di ninnoli ingemmati, di splendidi quadri, finché non si soffermò su una statuetta d'oro di un Lucifero alato che sembrava ridere per qualche suo motivo personale.
- Be', John, cosa preferisci? - chiese Pietre Veshinsky, un uomo alto, distinto, vestito in modo impeccabile, il vero prototipo dell'aristocratico walpurgano. - Un po' di liquore, una pillola che ti metta allegria o qualcosa di più esotico?
- Solo un caffè - disse Sable.
- Non è da te - disse sorridendo Veshinsky. - Cosa ne è stato della sete vorace di Sable?
- Oh, per questo c'è ancora - rispose Sable ricambiando il sorriso. - Ma stavolta sono qui per lavoro.
- Davvero? - disse Veshinsky inarcando le sopracciglia. - Sai che mi fa sempre piacere vederti in casa mia, John, ma se si tratta di lavoro non era meglio cercarmi in ufficio?
- Ho cercato, ma mi hanno dato il largo.
- Bisognerà che gliene parli - disse Pietre Veshinsky.
- Non sono i soli. A quanto pare nessuno, al governo è disposto a rispondere alle mie chiamate o a ricevermi, e dal momento che ti conosco da quindici anni ho pensato che fosse meglio venire a fare due chiacchiere con te.
- Felice di poterti essere utile. Di cosa si tratta, John?
- Ho ragione di credere che la Repubblica abbia piazzato un agente qui, con l'intenzione di assassinare Conrad Bland.
Sable si aspettava che Veshinsky facesse il Segno delle Corna, bestemmiasse o insomma facesse qualcosa. Invece l'altro si limitò a sorseggiare la sua bibita come se stessero parlando del tempo.
- Perché ti sei rivolto a me? - chiese poi.
- Sei membro del Consiglio Cittadino - rispose Sable, sorpreso perché Veshinsky non aveva reagito come lui si aspettava.
- E questo cosa c'entra col tuo problema?
- Il mio dicastero incontra delle difficoltà nell'ottenere la necessaria documentazione su questo caso - spiegò Sable. - Dossier, registrazioni e via dicendo. Nessuno nega la nostra priorità in materia, ma la tirano per le lunghe, e secondo me non dispongo che di quarantotto ore al massimo per mettere le mani su quei killer.
- Solo per curiosità, John - disse Veshinsky prendendo in mano un idolo satanico e carezzandolo distrattamente. - Ma cosa ti fa supporre che c'è un assassino in giro?
- C'è stato un omicidio, la notte scorsa.
- Ah sì? E chi è stato ucciso?
- Il nome non conta. Conta invece che si è trattato di un lavoro da professionista, di cui non siamo riusciti a scoprire il movente.
- E da questo tu deduci la presenza di un assassino prezzolato dalla Repubblica? - Veshinsky rise. Depose l'idolo e andò al bar a versarsi un altro bicchiere.
- No - rispose Sable. - Da questo possiamo solo dedurre che abbiamo a che fare con un assassino molto abile. Ma dopo aver constatato che seguendo la solita procedura non approdavamo a nessun risultato, e dopo avere scoperto che una nave della Repubblica è scesa qui l'altra notte e si trova allo spazioporto per riparazioni...
- Se mi consenti di dirlo - lo interruppe Veshinsky dopo essersi messo a sedere e avere posato il bicchiere sul bordo di onice di un tavolo a forma di altare, - la tua ipotesi si basa su presupposti molto deboli, e se fossi in te dimenticherei tutta la faccenda prima di diventare lo zimbello dell'opinione pubblica.
- Non ti ho detto tutto - ribatté Sable facendo uno sforzo per dominarsi.
- Sentiamo. Ma, caro John, ti prego di dare retta al consiglio di un vecchio amico e di rinunciare. Anche se tu avessi ragione, Conrad Bland è lontano migliaia di chilometri, e non sta a te proteggerlo.
- Sì, ma l'omicidio di Parnell Burnam è affare mio.
- E chi sarebbe questo Burnam?
- L'uomo di cui ti ho parlato. Quello che hanno ucciso. L'assassinio è stato commesso in questa città, e si dà il caso che sia mio compito risolvere i delitti che vengono commessi ad Amaymon. Dal momento che quella nave avrebbe potuto scendere in qualche altro spazioporto con il pretesto delle riparazioni, io presumo che l'agente segreto della Repubblica abbia scelto questa città perché ha un contatto qui. Mi aspetto che cerchi di mettersi in comunicazione con lui nei prossimi giorni, e se non riusciremo ad arrestarlo allora non ci riusciremo mai.
- Cosa state facendo adesso per scoprirlo? - chiese Veshinsky guardandolo di sottecchi.
- Sto facendo sorvegliare tutti gli stranieri arrivati qui nel corso degli ultimi due anni. Se avessi più personale estenderei la sorveglianza su quelli immigrati negli ultimi dieci anni, ma mi mancano gli uomini.
- E se il tuo presunto contatto fosse un walpurgano?
- Allora non approderemmo a niente.
- Credo che non approderete a niente comunque. Non mi hai fornito nessuna ragione valida del perché tu supponi che l'assassino di Burnam sia un agente della Repubblica.
- Quanto a questo la ragione c'è! Ieri pomeriggio ha messo un'inserzione sul giornale. Forse era una frase in codice per comunicare al contatto il suo arrivo.
- Perché lo credi? - chiese Veshinsky andando al bar per versarsi ancora da bere.
- Perché ha dato come indirizzo l'Hotel Hanover.
- E con questo?
- L'Hotel Hanover è riservato esclusivamente alle donne! - rispose trionfante Sable. - Il nostro assassino lo ignorava. Evidentemente aveva osservato il posto, aveva notato degli uomini che entravano nel bar o nel ristorante, o che andavano a fare visita a qualche signora residente nell'albergo, ma è chiaro che non ci è mai entrato. Per di più l'albergo appartiene alla Sorellanza del Peccato, e lui non ha riconosciuto il loro talismano, ignorava il suo significato. Solo uno straniero potrebbe commettere un simile sbaglio. Il nostro killer ha commesso il suo primo errore. Appena telefonerà dando il nome fasullo che ha inventato, la telefonista dell'albergo ci avvertirà.
- Ma andiamo, John! - esclamò Veshinsky. - Come fai a essere certo che non si tratti di uno scherzo?
- Non sono certo di niente - spiegò Sable pazientemente, - mi limito a trarre delle deduzioni. Se aspetto di avere delle prove concrete riguardo a un uomo come quello, posso aspettare anche che lui compia la sua missione e se ne riparta in totale tranquillità.
- Come vuoi, John - disse Veshinsky con una certa durezza. - Mi permetti di farti qualche semplice domanda?
- Fai pure.
- Hai scoperto un qualsiasi rapporto fra Parnell Burnam e Conrad Bland?
- No.
- Sei sicuro che qualcuno sia sbarcato dalla nave della Repubblica?
- No.
- Hai motivo di credere che qualche immigrato lavori per la Repubblica?
- Solo la presenza dell'assassino.
- Se esiste un assassino - corresse Veshinsky. - Hai la prova che gli altri dicasteri tirino la faccenda per le lunghe su questo caso?
- Una prova sicura? No.
- E allora permettimi di suggerirti che hai bisogno di una vacanza. Tu stai mettendo a repentaglio la tua salute lavorando troppo.
- Non se ne parla nemmeno - replicò con fermezza Sable. - C'è un assassino a piede libero che non se ne sta certo con le mani in mano ad aspettare che lo arrestiamo. Si metterà in contatto col suo compare e poi andrà a Tifereth.
- Se non una vacanza un breve congedo per motivi di salute - disse allora Veshinsky. - Provvederò io perché continuino a versarti lo stipendio.
- Perché invece di preoccuparti tanto per me non ti preoccupi un po' di più per Bland? - chiese Sable. - Anche se le mie deduzioni non ti convincono, resta il fatto che c'è un killer a piede libero ad Amaymon, e che Bland sarà il suo bersaglio.
- Oh, John! - sospirò Veshinsky, - la sagacia non è mai stata il tuo forte, vero? Mi hai convinto che quanto dici è vero, vorrei solo potere fare lo stesso.
- Come sarebbe a dire?
- Cosa te ne pare della mia casa, John?
- Perché?
- Rispondi alla mia domanda.
- È bellissima.
- È più che una bella casa. È un palazzo. Ha diciassette stanze, prese per il video-cinema in ogni stanza, caminetti e bar, tappeti, oggetti artistici che tu non ti potresti permettere neanche decuplicando il tuo stipendio. Ho quattro camerieri, due domestiche, un robot come governante, un medico sempre a portata di mano. Ho...
- So bene tutto quello che hai - lo interruppe Sable, - dimmi dove vuoi arrivare.
- Presto detto, John. Voglio solo sottolineare il fatto che non sono riuscito a ottenere tutto questo ficcando il naso in cose che non mi riguardavano.
- Un momento, Pietre. Stai cercando di indurmi a lasciare perdere? A non occuparmi più di questo caso?
- Satana me ne guardi, John! Un uomo è stato ucciso, tu sei il Capo della polizia, ed è tuo compito risolvere il caso.
- Ma il mio compito termina a cinquemila chilometri a sud di Tifereth, non è così?
- Non ho mai detto questo, John. Anche se, ovviamente, è vero.
- Vorresti farmi credere sul serio che il governo è al corrente della presenza di qualcuno che ha intenzione di uccidere Conrad Bland e che tu non alzerai un dito per impedirlo?
- Non ho detto questo.
- Ma lo diresti se fossi libero di farlo - asserì Sable.
- Che sciocchezze!
- Allora posso sperare che tu mi faciliterai il lavoro?
- Farò quel che potrò - disse Veshinsky e, presa dal tavolo una grossa scatola, L'aprì e ne trasse sei finissimi sigari che offrì a Sable.
- Prendili. Ti piaceranno, questi sigari.
- Veramente non dovrei - rispose Sable, che tuttavia tese la mano.
- Non vuoi assaggiarne uno adesso?
- Sono troppo buoni per fumarli mentre lavoro. Ne fumerò uno stasera. Grazie.
- Il piacere è tutto mio. Ti accompagno alla porta.
- Conosco la strada - disse Sable. - Addio, Pietre.
- Addio, John - rispose Veshinsky. Premette un pulsante dietro al bar e fu subito attorniato da ologrammi quadrifonici della sua orchestra preferita.
Uscito dalla casa di Veshinsky, Sable tornò in ufficio. Durante il tragitto continuò a chiedersi perché mai sembrava che il governo non si preoccupasse della probabile uccisione di Bland, e che anzi la favorisse. Non avendo trovato una spiegazione, quando fu arrivato chiamò subito Davies e altri sei agenti, due uomini e quattro donne.
- Come sono andate le cose con Veshinsky? - chiese una delle donne dopo che si furono messi tutti a sedere.
- Non molto bene - rispose Sable. - E cosa avete saputo dai nostri che sono andati all'estero di recente?
Aveva dato incarico di intervistare i cinque uomini d'affari di Amaymon che negli ultimi tempi si erano recati su altri pianeti per il semplice motivo che se l'assassino ignorava le usanze di Walpurgis, né lui né i suoi agenti avevano mai lasciato il pianeta e di conseguenza non potevano sapere con esattezza in cosa queste usanze si differenziassero da quelle degli altri mondi della Repubblica. Sperava che qualcuno gli sapesse dire cosa differenziava un comportamento strano da un comportamento sospetto.
- Stanno facendo degli elenchi - rispose ironicamente Davies. - Cos'altro possono fare?
- E quando ce li porteranno?
- Non so. Ma ho la netta impressione che in certi ambienti governativi si vorrebbe che non li sollecitassimo troppo.
- È un'impressione che condivido - dichiarò Sable. - Bene - disse poi, - non sono un esperto, ma ritengo che se aspettiamo il nulla osta delle autorità nonché un aiuto da parte loro faremo in tempo a morire di vecchiaia. Quindi lasciate che vi esponga per grandi linee quello che dovranno fare gli agenti dei vostri rispettivi reparti. In primo luogo - continuò - dimenticate la lingua. Su Walpurgis ci sono molte cadenze dialettali e nella Repubblica tutti parlano la stessa lingua base. Se il nostro assassino conosce il nome di qualche altra città, e ormai dovrà conoscerne almeno uno, basta che dica che viene da là.
«Secondo: dimenticate le descrizioni fisiche. Quell'individuo è un camaleonte e quando voi state cercando un tizio con determinate caratteristiche, lui magari ha già cambiato aspetto.»
- E allora cosa dobbiamo cercare? - chiese uno.
- Dovete badare alle piccolezze - rispose Sable. - Alle cose che non ha avuto ancora la possibilità d'imparare. Non pensate che possa commettere dei grossi sbagli, perché non ne farà.
- Fateci un esempio - disse una delle donne.
- D'accordo. Se è abile come credo, farà in modo che la cameriera del suo albergo lo veda accendere le candele e fare delle offerte a certi demoni. Credo che dovremmo cercare una stanza dove le candele sono sistemate in modo insolito, o quelle in cui, poniamo, ci sono delle offerte di frutta a Belial. Credo che dobbiamo cercare un uomo che non conosce le nostre usanze nei particolari, ma ne abbia solo un'infarinatura. Per esempio, noi sappiamo che chi fa il Segno dei Cinque non farà mai il Segno delle Corna o il Segno di Satana, ma probabilmente lui non lo sa ancora, e non lo imparerà finché non avrà commesso uno sbaglio e qualcuno se ne sarà accorto. Può anche darsi che in principio si trovi in difficoltà con i nostri simboli: potrà dedurre che un uomo che porta il Talismano di Saturno a sinistra, sul petto, è un membro dell'Ordine di Golem, ma non saprà mai che lo stesso oggetto portato sulla destra contraddistingue gli stregoni della Chiesa dell'Inferno. Se voi lo incontraste per strada col talismano addosso non vi accorgereste, forse, che sbaglia, ma prima o poi si tradirà frequentando la chiesa sbagliata o facendo il segno sbagliato.
- Ho l'impressione che, tutto sommato, sarebbe più facile trovare un ago in un pagliaio - osservò un altro.
- Il trucco consiste nell'affrontare il problema dall'angolatura giusta - disse Sable. - Se guardate direttamente un serpente argenteo in mezzo a un ciuffo di argentana forse non riuscirete a distinguerlo, ma se socchiudete un occhio o chinate la testa ecco che spicca grosso come una montagna. Dobbiamo abituarci a socchiudere gli occhi, e abituarci in fretta. Ogni minuto che passa il nostro assassino impara sempre più, e l'ovvio corollario è che più impara sul nostro conto meno noi riusciremo a imparare su di lui.
- Non per sembrare disfattista - disse il primo agente, - però mi sembra che le speranze di successo siano molto scarse. Forse una massiccia dose di pubblicità e magari anche un po' di panico fra la popolazione potrebbero indurre il nostro uomo a uscire allo scoperto.
Sable scrollò la testa. - Non lui. Non è tipo da perdere il controllo, statene certi.
- Perché ne siete tanto sicuro?
- Perché la Repubblica non ha mandato un dilettante. Abbiamo a che fare con un uomo che fa l'assassino di professione. Conosce tutti i trucchi del mestiere, forse si sente a suo agio nascondendosi in mezzo alla folla. È arrivato clandestinamente, ed è riuscito a conservare almeno due identità e a commettere un omicidio sotto il nostro naso. Ha fatto un solo errore, e anche questo insignificante. - Sable guardò i presenti uno per uno. - Quanti errori pensate che commetterà un uomo del genere?
Come lui aveva previsto, nessuno rispose e, un attimo dopo, tutti si avviarono verso la porta. Rimase soltanto Davies, il quale chiese: - Credete che servirà a qualcosa?
- Chi lo sa? - rispose Sable con un'alzata di spalle. - Però dobbiamo pure fare qualcosa. Sono aperto a tutte le alternative.
- Vorrei averne una - confessò Davies.
Rimasero in silenzio per cinque minuti buoni, poi la segretaria passò una chiamata al visifono da parte di Pietre Veshinsky.
- Pronto, John.
- Pronto. Non mi aspettavo che mi chiamassi così presto.
- Non c'era senso ad aspettare. Ho parlato con qualcuno e non ci è parso il caso di procrastinare.
- Puoi aiutarci?
- No, John, non posso.
- Qualcun altro potrebbe?
- È una domanda imbarazzante, John.
- È la situazione che è imbarazzante, Pietre. Quell'uomo è un assassino prezzolato. Ha già ucciso un cittadino di Amaymon. Non posso starmene con le mani in mano.
- Capisco, John.
- C'è il caso che mi si ostacoli in qualche modo se lo catturo?
- Ne dubito.
- Ne dubiti? Vuoi dire che ci sarebbe questa possibilità?
- No, John. Te lo dico chiaramente: nessuno ti ostacolerà, in nessun modo.
- Però non mi aiuteranno?
- Sì, questo è il succo della questione.
- Be', allora che vadano a farsi fottere, Pietre! - esclamò seccatissimo Sable. - Non ne so niente di Bland, ma so quello che devo fare e puoi dire ai tuoi amici che lo farò.
Troncò la comunicazione e si mise a camminare avanti e indietro, sentendosi soffocare dalle pareti, dal soffitto, dai vestiti, da tutto.
- Ben detto - commentò Davies.
- Non dire stronzate, Langston.
- Come?
- Conosco il mio lavoro! - ripeté Sable in tono di scherno. - Maledizione, Lang, adesso come adesso, il mio lavoro consiste nello starmene qui seduto ad aspettare che quello commetta un altro delitto.
Andò alla finestra a guardare le strade tortuose di Amaymon, imprecando fra i denti e chiedendosi se magari il killer non fosse una delle persone che stava guardando passare o cosa stesse facendo e dove.
Capitolo VI
Il male non ha amici e quindi non deve preoccuparsi di essere leale. (Conrad Bland)
Ibo Ubusuku scese dall'ascensore, percorse il corridoio che portava al suo appartamento e punzonò la combinazione della serratura. Quando la porta si aprì, gettò il mantello di raso rosso su un attaccapanni di ebano a forma di enorme fallo, poi andò in cucina a deporre sulla credenza due bottiglie di liquore che aveva comprato tornando dal lavoro, si versò una dose abbondante da una delle bottiglie, vi aggiunse un paio di cubetti di ghiaccio e infine si diresse verso lo studio con l'intenzione di leggere un po'. Appena varcata la soglia vide seduto alla sua scrivania un tizio biondo e insignificante che lo fissava impassibile.
- Chi siete e cosa credete di fare, qui? - gli chiese.
- Pensavo che forse vi piacerebbe acquistare un'edizione in facsimile nell'originale latino del Malleus Maleficarum.
Ubusuku scoppiò a ridere: - Mi avete fatto morire per lo spavento! Perché non avete cercato di mettervi in contatto con me attraverso il giornale? Era questa la prassi concordata.
- Ho fatto una prova, ieri, per vedere se ci fossero state reazioni.
- E l'hanno scoperto? Bene, che bel successo ha avuto la mia idea!
- Che io sappia nessuno l'ha notato - disse Jenko.
- Forse mi sfugge qualcosa, ma se il primo tentativo è riuscito, perché non avete fatto pubblicare la vera inserzione?
- Istinto - rispose Jenko.
- Niente di preciso, ma qualcosa mi ha detto di non ritentare, e non sarei vissuto tanto a lungo se non avessi dato sempre retta al mio istinto.
- Allora come avete fatto a trovarmi? - chiese Ubusuku offrendogli da bere. Jenko rifiutò.
- Non è stato poi così difficile. Sapevo che da qualche parte doveva esserci un elenco degli stranieri residenti qui e mi è parso che il posto migliore dove trovarlo fosse l'ufficio postale. Così mi ci sono introdotto la notte scorsa, ho trovato quello che cercavo ed eccomi qui.
- Vi siete introdotto di nascosto nell'ufficio postale? - ripeté Ubusuku sorridendo.
- Forse dovrei dire intrufolato - precisò Jenko. - Comunque, non ho portato via niente e non ho lasciato tracce della mia presenza. I videomonitor riveleranno al controllo che nessuno è entrato e uscito dopo l'ora di chiusura.
- E poi ve ne siete venuto tranquillamente qui a casa mia?
- Non è stato così semplice - rispose Jenko. - Dovevo accertarmi che nessuno mi vedesse entrare, e poi la serratura è un aggeggio davvero complicato. Ho impiegato almeno dieci minuti per aprirla.
- Dieci minuti! - esclamò Ubusuku. - Sapete quanto mi è costata?
- Se fossi in voi non mi preoccuperei - ribatté senza scomporsi Jenko. - Sono certo che non esiste un'altra persona su tutto il pianeta capace di aprirla, se non scassinandola.
- Bene, ormai siete qui sano e salvo, ed è questo che conta - disse Ubusuku. - Era quasi un anno che stavo aspettando che la Repubblica mandasse qualcuno. Credo che Amaymon vi piacerà. Ha un ottimo clima e la gente...
- Non sono qui per divertirmi - tagliò corto Jenko.
- Scusate - disse Ubusuku che non si era riavuto ancora completamente dalla sorpresa iniziale. - Comunque debbo avvertirvi che dovete bandire tutti i preconcetti sulla stregoneria e i culti demoniaci. Sono fuori luogo.
- Davvero?
- Anch'io la pensavo così... come tutti del resto, appena arrivato qui. Credevo che ci fosse gente che squartava i bambini quando c'è la luna piena e stupidaggini del genere. Invece le cose non stanno così. Ho osservato a lungo e intensamente il comportamento di questa gente e, per dio... dovrei dire per Lucifero, mi sono convertito!
- Ho notato la chincaglieria - disse Jenko indicando i ninnoli di soggetto satanico che riempivano la stanza. - Questa è la prima abitazione privata in cui sono entrato, dopo il mio arrivo. È tipica?
- Non per tutti - rispose Ubusuku con una punta di orgoglio. - È tipica del mio culto.
Depose il bicchiere e fece il giro della stanza indicando i vari oggetti. - Vedete queste statuine? Ce ne sono molte uguali, con la testa di capra, ma la barba sta a indicare che sono un oggetto di culto dell'Ordine di Golem. E quella cosa rotonda lì, che sembra un amuleto di grosse proporzioni? È un sigillo di Salomone, il sigillo del mio culto.
- E quei dipinti pornografici sulle pareti, sono anch'essi simboli religiosi? - chiese sorridendo Jenko.
- Certamente! Il mio culto è forse un po' più edonistico degli altri, il che è tutto dire per un culto di Walpurgis. Noi siamo pienamente consapevoli che il piacere è indispensabile, perciò ci circondiamo di oggetti per così dire artistici. La vecchia Nellie, qui - disse dando una pacca sul sedere di una bella ragazza che stava fornicando con tre enormi rospi contemporaneamente, è la mia preferita. L'ha dipinta un tale che abita in questo palazzo, se vi fa piacere ve lo presento... ma no, naturalmente non volete conoscerlo. Scusatemi, parlo troppo. In cosa consiste la vostra missione qui, e come posso aiutarvi?
- È una cosa molto riservata.
- Immagino che abbia a che fare con Conrad Bland, vero?
- Perché lo pensate?
- Oh, andiamo! - rise Ubusuku. - Che cos'altro potrebbe interessare alla Repubblica, su questo pianeta? Secondo me siete qui perché dovete rapirlo o ucciderlo... non che me ne importi, badate bene.
- Perché non ve ne importa? - volle sapere Jenko, giocherellando con uno stiletto sacrificale sulla cui impugnatura erano incisi rospi, serpenti e lucertole.
- Cos'è quel tizio, per me? - ribatté Ubusuku. - È un maledetto macellaio, no? Questo non ha niente a che fare col satanismo.
- Davvero?
- No! - insisté Ibo Ubusuku accalorandosi tutto. - Ecco, vedete come vi traggono in inganno i preconcetti? Noi crediamo nel piacere, nella tolleranza, nella soddisfazione dei sensi, non nella soppressione di tutto quello che può recare gioia.
- Da quanto ho sentito, il piacere di Bland consiste nello sterminare la gente.
- Appunto per questo non me ne importa niente di lui - insisté Ubusuku.
Jenko decise di lasciar perdere. Era inutile tirare per le lunghe quella discussione pseudo-teologica facendo notare a Ubusuku che si contraddiceva.
Per tornare a bomba - disse, - voi potete aiutarmi istruendomi un po' sulle abitudini e sugli usi di questa società.
- Storia o religione?
- Né l'una né l'altra, almeno in senso accademico. Ma devono prendermi tutti per un indigeno e devo imparare parecchie cose se non voglio tradirmi.
- Di quanto tempo disponete?
- Non so bene - rispose Jenko chiedendosi fino a che punto Sable si fosse avvicinato alla verità. - Un giorno, forse due.
- È impossibile - dichiarò Ubusuku. - Sì, potrei elencarvi i culti principali e in che cosa differiscono, e quali sono i più gravi errori di comportamento, e come ci si deve comportare... ma non potrete mai passare per un walpurgano in un paio di giorni.
- Mi adatto in fretta.
- Nessuno può farlo - ribatté Ubusuku. - Io ci ho messo dei mesi, e non avevo altro da fare per impiegare il mio tempo che cercare di integrarmi. È ingannevole, perché Walpurgis somiglia in molte cose agli altri mondi della Repubblica. Mangiamo le stesse cose, viviamo in case simili, paghiamo gli acquisti in denaro. Ma a un livello più profondo e in modo molto sottile ci sono delle enormi differenze.
- Per esempio?
- Per esempio, io recito il Regie Satanis invece del Padrenostro. Non pago in crediti a meno che non stia trattando con un altro mondo della Repubblica. Compro bistecche, pane, vino, ma anche ali di pipistrello e ragni morti. Passo sotto una scala, ma mi faccio il Segno delle Corna quando sento un tuono. Però parlo la stessa lingua che parlate voi, indosso gli indumenti nello stesso modo, e non penso che le mie tecniche sessuali siano molto diverse. Cominciate a capire il problema?
- Proviamo a partire da un altro punto di vista - disse Jenko. - Si fanno tutti il Segno delle Corna quando tuona?
- No, naturalmente. Le figlie della Delizia lo fanno, la Confraternita della Notte invece fa il Segno del Cinque, mentre gli adepti delle altre sette si limitano a prendere l'ombrello se devono uscire quando piove.
- Bene! - commentò Jenko. - Avete semplificato molto le cose.
- Davvero?
- Sì. Non è necessario che impari tutti i gesti e i simboli di una determinata setta, basta che sappia quelli comuni a tutte. Potete farmene un elenco?
- Sì, ma non basterà.
- Perché?
- Perché se non praticate una qualsiasi forma di culto, non passerete inosservato. Sentite: i voli spaziali costano poco, di mondi a disposizione ce ne sono tanti, e Walpurgis è alla sua quinta o sesta generazione. Chiunque non creda al satanismo o alla stregoneria, tanto per cominciare, non emigrò qui, e naturalmente i bambini sono cresciuti coi loro principi religiosi intatti da più di un secolo. Qui non esistevano buddismo né cristianesimo, altrimenti avrebbero scelto un altro dei mille e mille mondi disponibili. Qui si pratica la stregoneria e il culto di Satana. Non è obbligatorio essere un Golemita piuttosto che un Messaggero o un Infernale, ma bisogna appartenere a qualche culto. - Si accese un sigaro, ne offrì uno a Jenko, che rifiutò, e si servì di una statuetta oscena come portacenere.
- Capisco.
- Potrei spiegarvi i principi e i riti dell'Ordine di Golem - si offrì Ubusuku chiaramente speranzoso di fare un adepto.
- Grazie, ma non è il caso. Del resto - mentì Jenko, - se mi catturassero nel corso della missione il mio modo di parlare o di comportarmi potrebbe tradirmi e la polizia finirebbe per arrivare a voi.
- Già, avete ragione - ammise Ubusuku. - Be', che specie di religione preferite?
- Una delle più diffuse.
- Strano, avrei creduto il contrario.
- È più facile nascondersi in mezzo a una folla che in un piccolo gruppo - spiegò Jenko. - Mi andrebbe bene una religione in cui i laici non portano simboli o talismani, ma si limitano a presenziare ai riti e a dire qualche preghiera.
- Bene - disse Ubusuku, - allora credo che vada bene la Chiesa di Satana. Anche il Vudù è molto diffuso ma soprattutto fra i negri, e voi vi fareste notare.
- Se il Vudù è la religione dei negri come mai voi non la seguite?
- Balli, canti, incantesimi e il Padrenostro alla rovescia, no grazie! - disse Ubusuku con una smorfia. - Anche se non avessi approvato i suoi principi avrei aderito all'Ordine di Golem solo per il sesso. Jenko non fece commenti.
- Bene - riprese l'altro. - Adesso ordino un buon pranzetto al computer e poi ci mettiamo al lavoro, d'accordo? Potrei anche vedere se potremmo partecipare a qualche rito satanico stasera stessa. Intanto consideratevi a casa vostra anche se la mia offerta arriva un po' in ritardo, date le circostanze.
- Posso disporre anche della vostra biblioteca?
- Certamente - rispose Ubusuku avviandosi verso la cucina.
- Avete delle mappe? - chiese ancora Jenko.
- Sì, lì nel cassetto in alto a sinistra della scrivania.
Naturalmente Jenko sapeva già dove si trovavano le mappe; aveva avuto più di due ore a disposizione per perlustrare a fondo l'abitazione di Ubusuku prima che questi rincasasse, e le mappe erano la prima cosa che aveva cercato. Tuttavia, per non dare l'impressione di essere un ospite ficcanaso, trasse dal cassetto una mappa della città e l'aprì sulla scrivania. Poi prese anche delle altre mappe, meno dettagliate, perché erano quelle che gli servivano. Se la polizia non l'aveva ancora identificato, l'avrebbe fatto fra poco, e probabilmente avrebbe avvertito Bland di stare in guardia perché la Repubblica aveva incaricato un suo agente di assassinarlo, e questo agente si trovava ad Amaymon, a cinquemila chilometri circa a sudest di Tifereth.
Jenko aveva già deciso di non seguire i due itinerari più diretti ancora prima che Ubusuku arrivasse, e voleva trovare delle alternative. Finalmente trovò quello che cercava, una cittadina a circa quattrocento chilometri a nord di Tifereth. Si chiamava Malkuth e aveva cinquantamila abitanti. Decise di arrivarci da nord, assimilarsi, se possibile, alla popolazione e poi scendere a sud fino a Tifereth. Se Bland non disponeva di un esercito, aveva per lo meno un vasto spiegamento di agenti di sicurezza, e se li assoldavano anche al di fuori di Tifereth, Malkuth sembrava uno dei posti più probabili. Forse sarebbe persino riuscito ad arruolarsi al soldo di Bland. Valeva la pena di tentare.
Tornò a esaminare attentamente la mappa. Walpurgis era stato colonizzato da relativamente poco tempo, e la popolazione non sarebbe stata ancora in grado di coprire tutto il pianeta con una rete di città, paesi, villaggi per almeno qualche altro secolo ancora. Era addirittura insolito il fatto che esistessero un centinaio di stanziamenti più o meno vasti in quanto la maggior parte delle colonie iniziava con uno o al massimo due villaggi che via via andavano ingrandendosi fino a diventare città nel corso di alcuni decenni, ma la maggior parte della superficie del pianeta era ancora vergine. Forse Walpurgis si era sviluppata in modo diverso perché le diverse sette erano avversarie e ognuna aveva voluto in origine avere una residenza propria. Comunque fosse, Jenko prese mentalmente nota di controllare questo fatto.
Impiegò alcuni minuti per mandare a mente i tratti più importanti della mappa, poi la ripiegò con cura e la rimise nel cassetto. Non si preoccupò di cancellare le impronte digitali: non ne aveva più da quindici anni.
Poi si alzò e cominciò a leggere i titoli dei libri e dei nastri che riempivano gli scaffali. Per la maggior parte erano trattati di entomologia dei mondi con atmosfera al cloro o testi pornografici, dal che dedusse che si trattava delle materie che interessavano di più Ubusuku, sia pur per diversi motivi.
Passò poi nella camera da letto, zeppa di quadri, statue e ologrammi di demoni e donne strettamente avvinti nelle più svariate e pervertite forme di accoppiamento. Jenko non si soffermò a guardare, ma andò direttamente al mucchio di libri e giornali sparsi disordinatamente per terra. Prima non aveva avuto il tempo di sfogliarli, e sperava di potervi scoprire qualche informazione utile. Invece rimase deluso perché si trattava principalmente di libri e riviste di entomologia.
Tornò nello studio, poco prima che vi rientrasse Ubusuku, che gli chiese: - Vi piacciono le uova alla diavola?
- Certo - rispose Jenko. - E dopo mangiato magari mi potreste indicare un paio di libri o riviste che mi potrebbero essere utili.
- Parleremo delle abitudini e delle superstizioni più diffuse mangiando - disse Ubusuku, - ma dopo non avrete il tempo di leggere.
- Perché?
- Un mio amico è membro della Chiesa di Satana. Sono mesi che sta cercando di convertirmi, e ha acconsentito a farci partecipare a una Messa Nera stanotte.
- Bene - rispose Jenko, seguendo Ubusuku dalla cucina alla sala da pranzo.
- Mangeremo anche bistecche oltre alle uova - disse Ubusuku deponendo sul tavolo due piatti e mettendosi a sedere. - A proposito di alimenti - disse poi, - non ci sono molti tabù, su Walpurgis, ma quei pochi sono universalmente diffusi.
- Per esempio quali?
- Non si deve mai mangiare carne di capra o prodotti caprini.
- Perché?
- La capra è uno dei nostri simboli sacri, comune a tutte le religioni.
- E allora perché qualcuno dovrebbe metterli nel menù? - chiese Jenko.
- Perché ci sono circa due milioni di capre sul pianeta, e qualche ristorante serve carne o latte di capra per le Bianche.
- Chi sono le Bianche?
- Le Streghe Bianche - spiegò Ubusuku. - Non ce ne sono molte, ma sempre abbastanza perché qualche ristorante pensi anche a loro.
- In cosa differiscono le Bianche dalle altre?
- Si servono delle pratiche magiche per fare il bene.
- Mi sembra che sia poco remunerativo su un pianeta come questo - commentò Jenko.
- Infatti - convenne Ubusuku. - Il che mi fa ricordare un altro tabù: non vestitevi mai di bianco.
- Ho notato, infatti, che nessun uomo si veste di bianco.
- Per un ottimo motivo - disse Ubusuku. - Il nero è il colore sacro di quasi tutte le sette. Il bianco è il colore distintivo delle Streghe Bianche, e siccome sono pochissime, vi si noterebbe subito. Quindi badate a non indossare mai indumenti bianchi.
- Ci sono anche gli stregoni bianchi oltre alle Streghe? - volle sapere Jenko.
- Naturalmente, ma non sono molto ben visti dalle loro consorelle, che hanno già abbastanza guai anche senza di loro. Le donne occupano una posizione alquanto ambigua su Walpurgis.
- In che senso?
- Politicamente sono uguali sotto tutti gli aspetti, come in tutto il resto della Repubblica, ma le nostre religioni esigono la pratica di svariate forme di incantesimi. Per lo più si tratta di incantesimi rituali, ma alcuni sono a sfondo sessuale e questo crea dei conflitti. Un certo numero di donne ricopre posizioni di grande potere: c'è la Maddalena Jezebel capo delle Figlie della Delizia, e anche il Culto del Messaggero ha una Grande Sacerdotessa. Ma la maggior parte delle religioni risale ai tempi in cui le donne erano oggetto di concupiscenza e libidine, e ce ne sono alcune che incontrano qualche difficoltà a pareggiare la loro posizione nelle chiese con il potere economico e politico che detengono al di fuori del culto. È una situazione pericolosa che può esplodere da un momento all'altro. Però spero di essere morto e sepolto prima che accada.
- Gli uomini come trattano le donne? - chiese Jenko.
- L'ho appena detto.
- Intendevo nella vita di tutti i giorni.
- Ah! - esclamò Ubusuku, illuminandosi. - Be', come ho detto, sul piano politico sono uguali, e anche su quello privato, in modo così rigoroso che non ci leviamo il cappello per salutarle, non teniamo aperta la porta quando una deve passare, insomma le trattiamo come uomini. La cavalleria è un'usanza della Repubblica. E a proposito della Repubblica, non parlatene mai bene. Da quando hanno cercato di indurre Walpurgis a estradare Bland è in corso una vasta campagna di odio popolare, per cui è meglio stare attenti.
- Capisco. C'è altro? - chiese Jenko attaccando le uova alla diavola.
- Sì - rispose Ubusuku. - Per esempio, se fossi in voi non stringerei la mano a nessuno. Qui non è considerata una scortesia non farlo, e ci sono talmente tante strette di mano segrete che non riuscireste mai a imparare a rispondere nel modo giusto... Ah, è anche utile avere un nome segreto.
- Un nome segreto?
- L'hanno tutti. È una particolarità comune ai seguaci di quasi tutti i culti. Sarà meglio che ci pensiate subito, perché se avrete intenzione di diventare adepto di una chiesa ve lo chiederanno. Il mio - dichiarò con una punta di orgoglio, - è Ehlis.
- Io credo che sceglierò Giuda - disse Jenko sorridendo fra sé.
- Non è il nome di un demone - gli fece notare Ubusuku.
- Però sento una certa quale affinità con lui - replicò Jenko.
- Fate come vi pare. E poi sceglietevi una città come residenza abituale.
- Amaymon non va bene?
- È la città più grande del pianeta e quasi tutti ci vengono, una volta o l'altra. Sarà meglio che scegliate una cittadina poco frequentata, così sarà meno facile che vi colgano in castagna se qualcuno vi chiede qualche informazione in proposito.
- Potreste suggerirmene una?
- Be', a circa novecento chilometri a ovest di qui c'è una cittadina che si chiama Tannis. So che hanno una Chiesa di Satana e da quando sono qui ho conosciuto solo tre persone che venivano da Tannis. Inoltre, se qualcuno dovesse rivolgervi delle domande precise, potreste mentire, cosa impossibile se si trattasse di Amaymon.
- Perché?
- Amaymon è la città più antica di Walpurgis, ma molte religioni non approvano la libertà di culto e la tolleranza che Amaymon è stata costretta a concedere come sede di una settantina di sette. Perciò chi non approvava se ne andò, fondando dei villaggi che col tempo divennero città. La maggior parte si trovano sulle rive del fiume Stige, perché il traffico fluviale è il sistema meno costoso per il trasporto delle merci da una città all'altra, ma molte sono chiuse agli stranieri salvo che nella zona portuale. Siccome Amaymon ha l'unico spazioporto capace di ricevere le navi più grandi, ha sempre accolto un numero maggiore di religioni.
- Voi conoscete qualche altra città?
- Perché dovrei? Qui sto benone, e poi nelle città più piccole in genere prendono la religione un po' troppo sul serio.
- Io credevo che voi prendeste sul serio la vostra - commentò Jenko.
- Sono serio quando me la spasso con le donne e mi diverto - rispose Ubusuku. - Ma in qualche città non si limitano solo a divertirsi e a pregare il diavolo, credetemi. Non credo che Bland sia finito a Tifereth per caso; era un posto strano già prima che ci andasse lui. Ma per tornare a quello che dovete evitare di fare, vi raccomando caldamente di non menzionare mai Dio, o Allah, o Geova o in qualsiasi altro modo sia menzionato il Creatore nella vostra religione. Da voi lo si nomina senza farci caso, o magari per bestemmiarlo. - Ubusuku sorrise. - Qui non si nomina mai il nemico. E inoltre non fischiate.
- Perché no?
- Molte sette hanno dei fischi segreti di identificazione, così come hanno parole d'ordine e strette di mano segrete. Fischiate nel modo sbagliato e potreste trovarvi in un mare di guai. E già che ci penso - continuò Ubusuku, - qualcuno si fa il Segno del Cinque come i cristiani si fanno il Segno della Croce. La vostra chiesa non ha segni distintivi perciò non cercate di imitare quelli che vedete fare agli altri.
- Cos'altro dovrei sapere sulla Chiesa di Satana?
- Solo che il talismano è una testa di capra dentro a una stella a cinque punte inserita in un cerchio. Ne vedrete parecchi qui ad Amaymon.
- Ho visto diversi tipi di talismani.
- Be', evitate gli altri. Quasi tutte le sette hanno dei bar, dei ristoranti o degli uffici esclusivi su cui è esposto il talismano della setta con la scritta «Riservato ai membri». Badate di non entrarci se non volete correre dei guai.
- Non avete per caso una guida degli usi locali? - chiese Jenko.
- Ho un opuscolo che mi hanno dato al mio arrivo. Ma probabilmente serve solo per Amaymon.
- Gli vorrei dare una scorsa prima di uscire.
- Certo. Ve lo mostrerò dopo cena.
- Grazie - rispose Jenko sistemandosi con circospezione sulla sedia per non spostare lo stiletto sacrificale che aveva attaccato alla gamba.
Capitolo VII
Non farei mai un patto con Satana. Non ho bisogno di intermediari. (Conrad Bland)
La Chiesa di Satana, nuova di zecca, scintillante al chiaro di luna, era un enorme edificio in stile romanico con qualche tocco moresco, situata a circa duecento metri dalla strada e circondata da una cancellata di ferro battuto con le punte taglienti come rasoi. Dall'interno scaturiva una discordante musica elettronica, e l'esterno era illuminato da fumose luci rosse.
Ubusuku e Jenko si fermarono a pochi passi dal cancello, e mentre Jenko restava a guardare la gente che entrava nella chiesa, Ubusuku si avvicinò a uno dei guardiani incappucciati che sorvegliavano l'ingresso e gli sussurrò qualche parola. Il guardiano annuì, si allontanò un istante e poi tornò insieme a un uomo di bassa statura, avvolto in un mantello la cui principale caratteristica era una massa di capelli grigi scarmigliati.
- Non credevo proprio che ti saresti deciso! - esclamò afferrando Ubusuku per le spalle e dandogli un'affettuosa scrollata. - Ma dov'è il tuo amico?
Ubusuku lo accompagnò da Jenko. - Questo è Gaston Leroux - disse, indicando l'ometto - e questo il mio amico...
- Orestes Mellan - lo interruppe Jenko, facendosi avanti.
- Bene, sono contento di conoscervi, davvero contento - disse Leroux con un sorriso cordiale. - Più tardi avremo tempo di conoscerci meglio, ma adesso dobbiamo entrare perché il rito comincerà fra pochissimo.
- C'è molta gente? - chiese Ubusuku mentre Leroux li precedeva lungo il vialetto di pietra che portava alla chiesa.
- È una serata qualsiasi - disse Leroux alzando le spalle, - ma nei fine settimana abbiamo una tale folla che siamo costretti a tenere due servizi.
- Io non credo che avrei energia sufficiente per partecipare a due servizi Golem in una stessa serata - rise Ubusuku.
- Il mio amico è un libertino! - esclamò Leroux, strizzando l'occhio a Jenko.
- Lo sono sempre stato - ammise Ubusuku. - Ma qui su Walpurgis ho trovato una religione che non lo considera un peccato. Tuttavia sono disposto a confessare i miei errori, ma vi avverto che non sarà facile.
- Le vie del Signore Lucifero non sono mai facili - asserì Leroux, - ma noi faremo tutto il possibile, e se non altro tu sei almeno disposto ad ascoltarci. Intanto ci siederemo in fondo alla chiesa, così potrò spiegarvi quello che si sta svolgendo senza disturbare i sacerdoti. - Guardò gli altri due a lungo, poi sospirò e disse: - Per essere sinceri, dobbiamo sederci in fondo, nella Galleria dei Laici. Voi due non indossate la cappa rituale.
Attraversarono un'anticamera, poi svoltarono a sinistra e percorsero una serie di brevi corridoi bui per arrivare infine nella chiesa vera e propria, davanti a una fila di sedili imbottiti distante circa cinquanta metri da un altare di onice. Pareti e soffitto erano adorni di affreschi raffiguranti orge e torture incruente, illuminati da migliaia di candele rituali dalla forma strana. Sulla parete dietro l'altare pendeva un talismano della Chiesa di Satana colore nero e oro, del diametro di almeno dieci metri.
Dozzine di altoparlanti disposti lungo la chiesa amplificavano la musica che Jenko trovava atonale ma trascinante, dotata di un istintivo ritmo accentuato e punteggiata da urli e gemiti sia di piacere che di dolore che non si capiva se fossero umani o animaleschi.
Sul bracciolo dei sedili c'era un piccolo foro per le candele, e Leroux ne diede una per ciascuno a Ubusuku e Jenko spiegando che quelle candele differivano da quelle delle altre sette in quanto erano fatte di grasso umano, e non animale, gentilmente offerto alla Chiesa di Satana dai fedeli. Ubusuku rimase un po' sconcertato, mentre Jenko rimase impassibile e continuò a guardarsi intorno.
Nelle tre prime file sedevano uomini e donne le cui braccia nude suggerivano che sotto i mantelli erano nudi o quasi. Poi seguivano circa venticinque file di uomini e donne, per lo più uomini, vestiti come Leroux.
Quindi, dopo un intervallo di altre sei file c'era la Galleria dei Laici in cui quella sera avevano preso posto solo una trentina fra uomini e donne, per Io più isolati o a coppie, e nessuno tanto vicino da poter essere disturbato dai bisbigli di Leroux.
Poco dopo comparve accanto all'altare un uomo alto, completamente vestito di nero con un copricapo fornito di corna che avrebbero dovuto sembrare spaventose ma che Jenko trovava piuttosto ridicole.
- Quello è Dennison, il nostro Primo Sacerdote - sussurrò Leroux. - Dicono che fra un paio d'anni diventerà Sommo Sacerdote di Amaymon.
Dennison aspettò che si facesse silenzio, poi trasse una verga dalla cappa e toccò cinque punti nell'aria davanti a sé.
Si udì un rintocco di gong e il sacerdote disse: - Io regno su di te, disse il Signore delle Mosche, con un potere esaltato in alto e in basso.
- Imitate il pubblico - sussurrò Leroux, e Jenko mosse le labbra mentre la congregazione mormorava: - Regie Satanis!
- Mirate, gridò Satana - intonò Dennison. - Io sono un cerchio nelle cui mani stanno i Dodici Regni. Sei sono i seggi dell'alito vivente, gli altri sono affilati come falci, o le corna della morte.
- Regie Satanis - salmodiarono i fedeli.
Continuò in questo modo per qualche minuto, dopo di che il sacerdote tornò a toccare i cinque punti immaginari con la verga e gridò «Shemhamforash» e i fedeli gli fecero eco.
- È la nostra più eccelsa invocazione a Satana - spiegò Leroux. - Finora il rito ha seguito la routine comune a tutti i riti. Adesso seguirà una predica che spero non troverete troppo noiosa e poi ci sarà la messa vera e propria.
Jenko annuì e tornò a guardare Dennison. - Miei parrocchiani! - gridò il sacerdote con l'accompagnamento di un altro colpo di gong. - Ora debbo parlarvi dell'uomo che potrebbe essere l'Atteso.
- Oh, merda! - bisbigliò Leroux. - No, basta!
- Parlo di colui che è venuto per essere chiamato il Messia Nero - stava intanto dicendo Dennison, - Colui che da solo ha schiacciato le forze della temuta Repubblica. Colui che rappresenta il culmine di tutto quello che amiamo e adoriamo. Colui che ha invocato l'aiuto delle sette di Walpurgis. Possiamo, osiamo, rifiutare il nostro aiuto a un simile uomo?
- Sommo Lucifero, speravo che avesse trovato un altro argomento! - sussurrò Leroux.
- Conrad Bland è l'incarnazione di Satana, lo spirito fatto carne! - gridò Dennison. - E tuttavia anche ora mentre vi sto parlando, navi da guerra della Repubblica ruotano intorno al nostro pianeta minacciando immediate rappresaglie se non esaudiamo le loro richieste. Lo faremo?
- No! - tuonò il pubblico.
- No davvero! - fece eco Dennison. - Perché, così come la chiesa non impone la sua volontà allo stato - a questa uscita Leroux e Ubusuku non riuscirono a trattenere un sorriso, -... così lo stato non deve imporsi alla chiesa. E le sette di Walpurgis non abbandoneranno il salvatore dei credenti di Satana.
- Salvatore dei miei coglioni! - borbottò fra i denti Leroux.
- Perché? - cercò d'informarsi Jenko mentre Dennison continuava a tuonare.
- Non sono andato di persona a Tifereth - gli rispose a bassa voce Leroux, - ma un mio amico che ci è stato dice che Bland ha trasformato quella maledetta città in un mattatoio.
- Ma non mi dite!
Leroux annuì. - Credo che ci siano cadaveri sparsi dappertutto e la tortura è arrivata al punto che perfino i Messaggeri se ne sono andati. Quel Bland ha commesso tali stragi che la popolazione della città si è ormai dimezzata.
- Il che rende piuttosto difficile adorare il male - commentò secco Jenko.
- Bland non è il male - replicò Leroux con calore. - È solo pazzo. Non ha niente a che fare con la mia religione. Cosa diavolo ne sa del piacere, della contemplazione, o...
- Abbassate la voce - gli sussurrò Jenko notando che stavano attirando l'attenzione.
- Scusate, ma mi rivolta lo stomaco sentire parlare così di quel matto - e guardò con odio e disprezzo Dennison.
- Guardatevi dalla Repubblica - stava intanto dicendo il sacerdote. - Pur essendo tanto lontani possono ancora influenzare e sovvertire. Io vi dico che Conrad Bland non è altri che Satana liberato dalle catene, Satana incarnato!
Dennison proseguì sullo stesso tono per un altro quarto d'ora, e poi tornò a suonare il gong.
- Bene, finalmente è finita - sospirò Leroux. - Avete mai assistito a una Messa Nera in una chiesa di Satana, Orestes?
Jenko fece un cenno di diniego.
- Be', non importa quello che può avervi detto il nostro comune amico. Si tratta di una cerimonia puramente simbolica in cui ogni gesto ha il suo significato. I laici non vi partecipano, ma se osserverete le persone delle prime tre file vedrete che più avanti vi prenderanno parte.
Una giovane donna si alzò dalla sua sedia in prima fila, si avviò verso l'altare, sciolse la cintura del mantello, lo lasciò cadere a terra, e si voltò per fare vedere a tutti che era completamente nuda. Poi andò a stendersi sull'altare di onice.
- Scopo della Messa Nera è invertire la tradizionale messa cattolica - spiegò Leroux. - Ho sentito che alcune chiese a nord di Amaymon la prendono così sul serio da sacrificare realmente bambini o vergini, ma da noi in genere è solo rituale. La ragazza rappresenta un altare, cosa quanto mai blasfema per la cristianità.
Un sacerdote incappucciato di nero andò a porre una candela nera nella mano sinistra della giovane.
- La candela è fatta col grasso di bambini non battezzati - continuò a spiegare Leroux, - o almeno dovrebbe. Comunque quello che conta è il simbolo.
Una donna col seno nudo, che indossava una grottesca parodia dell'abito da suora, si accostò all'altare, depose una coppetta sul ventre della ragazza e le si mise alle spalle reggendo una croce capovolta.
- Anche questo è blasfemo - disse Leroux. - La suora tiene la croce al contrario e la coppa dovrebbe contenere il sangue di una prostituta. Dal momento che su Walpurgis non ci sono prostitute, usiamo il sangue di una capra sacrificale.
Jenko avrebbe voluto sapere come mai uccidevano un animale che ritenevano sacro, ma si astenne dal chiederlo.
Un altro sacerdote si avvicinò all'altare con un vassoio su cui era posato un piccolo oggetto.
- È una rapa macchiata di nero - spiegò Leroux. - La sfregherà sulle labbra della ragazza e poi ci traccerà intorno un pentagramma.
- Per quale motivo?
- Credo che sia la cosa più blasfema che si possa adoperare per questo scopo. Adesso il sacerdote comincerà a parlare in latino. È una lingua morta, ma quello che fa consiste nel recitare al contrario preghiere e salmi cristiani intercalandoli con oscenità per confondere gli angeli che potrebbero riconoscere alcune parole.
- Questo evoca simbolicamente Satana? - chiese Jenko.
Leroux annuì. - Adesso ha quasi finito col latino, e parlerà in una lingua che comprendiamo tutti.
Il sacerdote si fece dare un gatto a nove code dalla finta monaca e cominciò a passarlo delicatamente sul corpo nudo della ragazza.
- Forse è inutile spiegare che così facendo la purifica scacciando quello che per noi è il male - disse Leroux.
- Davanti all'onnipotente e ineffabile Principe delle tenebre, e alla presenza di tutti i temibili demoni dell'Abisso - intonò il sacerdote, - io rinuncio a tutte le devozioni del passato, io proclamo che Satana governa l'Universo, e attesto e rinnovo la promessa di servirlo e onorarlo senza riserve, chiedendogli in cambio la sua protezione affinché i miei sforzi siano coronati dal successo e possa appagare i miei desideri.
Poi il sacerdote mangiò un pezzetto di rapa e bevve il sangue della capra, e una seconda monaca a seno nudo prese rapa e coppa e li portò alle persone delle prime tre file.
- Ave, Satanis! - esclamò il sacerdote e tutti gli fecero eco.
Poi arrivò di corsa un uomo completamente nudo ma con una maschera che raffigurava una testa di capra, e balzò nel pentagramma.
- Satana? - chiese Jenko.
Leroux annuì senza distogliere gli occhi dalla cerimonia.
Il prete-Satana prese la frusta dall'altro sacerdote e la fece schioccare due o tre volte. Poi sferzò la ragazza nuda, che emise un grido ma non si mosse. Quindi, gettata la frusta, il prete compì alcuni gesti e mormorò parole di cui Jenko non capì il senso e che Leroux non si curò di spiegargli. Infine il rappresentante di Satana si gettò sulla ragazza e cominciò ritmicamente a possederla accompagnato da un coro di Ave Satanis. Infine la ragazza emise un altro grido e avvolse le gambe intorno a lui. L'uomo la sollevò e continuarono fino a raggiungere l'orgasmo piroettando sul bordo del pentagramma.
Quando ebbero finito, l'uomo la depose a pancia in giù sull'altare, compì qualche gesto osceno con una candela nera e scomparve nei bui recessi della chiesa.
- È finito? - chiese Jenko.
- No, è appena incominciata - disse Leroux col sudore che colava sulla faccia eccitata. - Adesso i partecipanti faranno pressappoco lo stesso per il resto della congrega.
Jenko osservò attentamente mandando a memoria particolari e frasi in caso ne avesse avuto bisogno in qualche occasione, mentre Ubusuku e Leroux si univano agli altri salmodiando ritmicamente Ave Satanis.
Quando gli ultimi, esausti partecipanti furono tornati ai loro posti, riapparve Dennison che impartì una bene-maledizione in Enochiano, la lingua ufficiale satanica, e la congregazione si alzò per uscire.
- Bene, cosa ne pensate? - chiese tutto eccitato Leroux avviandosi alla porta insieme a Jenko e Ubusuku.
- Ho visto un sacco di uomini che scopavano altrettante donne - disse Ubusuku.
- No, Ibo - lo corresse Leroux. - Quello che hai visto era una invocazione simbolica a Satana e una messa cattolica a rovescio per scopi demoniaci. È uno scambio fra il Bene e il Male, un rifiuto di tutte le credenze che hanno ingannato per secoli e secoli l'umanità. Capisci?
- Certo che capisco - rise Ubusuku. - Un sacco di uomini scopavano altrettante donne.
- Sei proprio un caso disperato! - esclamò Leroux. - E voi, Orestes? Vi è piaciuto?
- Ehi, se è per questo è piaciuto anche a me! - protestò ridendo Ubusuku.
- Era interessante - disse Jenko. - Mi piacerebbe assistere anche a un'altra cerimonia.
- Sarò felice di invitarvi - disse Gaston Leroux. - Vi piacerebbe aderire alla Chiesa di Satana?
- Forse.
- Bene, allora questa serata non è stata inutile - commentò Leroux. - Vedi, Ibo, chi ha più bisogno di te? Mi hai procurato un convertito, e scommetto che la polizia non si è mai interessata a lui.
- Di cosa stai parlando?
- Nel pomeriggio mi hanno telefonato dall'ufficio di Sable per chiedere qualche informazione sul tuo conto - spiegò con indifferenza Leroux. - Ho detto che sei un onesto cittadino e che fai onore alla comunità. Probabilmente stanno passando al setaccio tutti gli immigrati, non credi?
- Già, forse - disse Ubusuku, evidentemente preoccupato.
- Cosa hanno chiesto di preciso? - volle sapere Jenko, fingendo di non dare troppo peso alla cosa.
- Oh, niente di particolare - rispose Leroux - le solite domande che si possono aspettare da una burocrazia incapace.
- Capisco.
- Bene, chi ha sete? Pago io.
- D'accordo - disse Jenko. - Conosco un piccolo bar qui vicino.
- Fateci strada - disse Leroux, e Jenko svoltò a sinistra allontanandosi dalle zone più frequentate.
- Sono davvero contento che siate venuti - disse Leroux mentre percorrevano un viale deserto. - La Messa Nera è una delle nostre cerimonie più importanti, ma ce ne sono altre forse più interessanti - e si dilungò in un'esaltante spiegazione dei meriti della Chiesa di Satana per dieci minuti almeno, finché non s'interruppe, fermandosi. - Siete sicuro che il bar sia da queste parti? - chiese poi a Jenko. - A me sembra che questa sia una zona residenziale.
- Ancora un paio di isolati - disse Jenko. - A proposito uno di voi due ha perso un talismano?
- No - rispose Leroux. - Perché?
- Perché ho visto luccicare qualcosa lì per terra.
Leroux si chinò per guardare e Jenko lo colpì con forza di taglio sul collo. Si udì un forte scricchiolio, e Leroux cadde morto.
- Perché l'avete fatto? - chiese Ubusuku sconcertato.
- Abbassate la voce.
- Era mio amico.
- Era un anello di collegamento. Tramite voi avrebbe potuto condurre i poliziotti fino a me. Meglio eliminarlo qui e subito.
- E io? - chiese Ubusuku.
- Voi cosa? - disse Jenko.
- Anche tramite mio possono arrivare fino a voi. Probabilmente la polizia sorveglia il mio appartamento.
- Lo so.
- Mi avete cacciato in un mare di guai! Cosa intendete fare?
- Ci ho già pensato.
Jenko si chinò per staccare il nastro adesivo che fissava lo stiletto alla gamba.
Capitolo VIII
Il dopo-massacro è il momento più piacevole per riflettere. (Conrad Bland)
Avendo preferito seguire un percorso tortuoso e complesso per essere sicuro che nessuno lo seguiva, Jenko arrivò all'albergo due ore dopo. Aveva già deciso che la personificazione del giovane biondo andava eliminata, e che era venuto il momento di andarsene da Amaymon, per avvicinarsi di più a Bland.
Salì in ascensore, punzonò la combinazione della serratura, ed entrò nella stanza. Una ragazza di non più di vent'anni, vestita di bianco, stava seduta sul letto.
- Salve, Jenko - disse. - Hai fatto il cattivo.
Capitolo IX
Il supremo vantaggio del Male nella sua lotta contro il Bene consiste nel fatto che i suoi avversari presumono sempre che debba essere in definitiva irrazionale. (Conrad Bland)
John Sable accese la lampada sul comodino, allungò la mano per attivare il visifono, e borbottò un assonnato: - Cosa c'è?
- Agente Belasco, signore - disse il giovanotto la cui immagine era apparsa sullo schermo. - Avevate detto di chiamarvi se succedeva qualcosa.
- Sì - rispose Sable cercando di mettere a fuoco la vista. - Che ora è?
- Le tre. Ci sono stati due omicidi, signore - disse Belasco. - Uno degli uccisi è Ibo Ubusuku.
- E chi è?
- Uno straniero.
- E l'altro?
- Gaston Leroux, signore. Un amico di Ubusuku.
- Come sono stati uccisi?
- Ubusuku è stato pugnalato. Un colpo solo, che va dal ventre al petto. A Leroux pare che abbiano spezzato il collo. Li abbiamo trovati a una distanza di circa venti metri l'uno dall'altro.
- Da quanto erano morti?
- Da meno di un'ora, secondo il medico.
- Vado subito in ufficio - disse Sable. - Dite a Davies che l'aspetto là e fate portare i cadaveri al laboratorio di medicina legale. Voglio vederli prima che li trasportino all'obitorio.
Troncò la comunicazione e, senza pensare a lavarsi e a radersi, si vestì in un minuto. Si chinò sul letto per dare un bacio alla moglie che dormiva, lasciò un messaggio sul computer personale per dire che non sapeva a che ora sarebbe rincasato, e dieci minuti dopo era già in ufficio.
Davies lo stava aspettando e raggiunsero insieme il laboratorio di medicina legale dove i due cadaveri erano stati adagiati su tavoli di metallo.
- Un vero lavoro da professionista - commentò a mezza voce Sable osservando la ferita di Ubusuku. Poi andò a esaminare Leroux, voltò il cadavere ed osservò la nuca. - Un colpo solo, preciso.
- Pare che sia opera del nostro uomo - osservò Davies.
- Perché, ne dubitavi? - ribatté Sable avviandosi lungo il corridoio che portava al suo ufficio. Si fermò nell'anticamera per dire alla segretaria di portargli un caffè, poi entrò e trovò Belasco che lo stava aspettando.
- Immagino che non sia stato trovato alcun indizio, vero? - chiese lasciandosi cadere sulla seggiola.
- Infatti, signore - rispose l'agente. - Una squadra sta ancora perlustrando la zona, ma finora non hanno scoperto niente.
- Dove li avete trovati?
- Davanti all'isolato quattromilasettecento di Via dell'Avarizia.
- Cosa diavolo stavano facendo da quelle parti?
- Due testimoni hanno dichiarato che Leroux aveva assistito a una cerimonia nelle vicina Chiesa di Satana insieme a due ospiti. Uno sembra Ubusuku, dalla descrizione.
- E l'altro? - chiese Sable intrecciando le mani dietro la nuca e fissando una statuetta di Kali.
- Non si sa bene - rispose Belasco, - perché secondo uno dei due era un giovanotto biondo sulla trentina alto circa uno e ottanta, secondo l'altro un uomo sulla quarantina, castano, alto circa uno e settanta.
- Be', non importa - commentò sospirando Sable. - Non si servirà più di quel travestimento. Bene, le cose stanno così, Langston - disse poi a Davies. - Non ha più motivo di rimanere ad Amaymon. Ha ucciso il suo unico contatto e l'unico uomo tramite cui si potesse risalire a quel contatto.
- Ci sono altri stranieri, qui - obiettò Davies. - Come possiamo sapere che non abbia altri contatti?
- Perché se ne avesse altri - spiegò Sable, - non li avrebbe spaventati uccidendo Ubusuku così presto.
- E allora cosa dobbiamo fare?
- Proibire a chiunque di entrare o uscire dalla città, e tenere d'occhio i Satanisti, anche se quell'uomo è troppo furbo per assumerne l'aspetto così presto. Chiudiamo aeroporti e stazioni ferroviarie nonché il porto fluviale, blocchiamo tutte le strade e avvertiamo Conrad Bland, perché sono sempre più sicuro che sia in pericolo. Nonostante le precauzioni forse l'assassino riuscirà ugualmente a uscire dalla città, ma d'altra parte non saprei che altro fare. Bisogna agire subito, perché se aspettiamo fino a mattina con tutta probabilità se ne sarà già andato.
- Vado subito - disse Davies avviandosi.
- E, Langdon... - lo richiamò Sable.
- Cosa?
- ...solo perché dubito di ottenere dei risultati non è un buon motivo per fare un lavoro malfatto. Tutti devono impegnarsi senza interruzioni finché non l'avremo preso o non saremo sicuri che ci è sfuggito. Datemi un'ora per fare qualche telefonata e avrete a disposizione uomini di altri dipartimenti.
Davies annuì e se ne andò.
- Bene, agente Belasco - disse Sable accendendosi un sigaro appena Davies fu uscito, - qual è la tua ricostruzione degli omicidi?
- Non direi che quell'uomo ci stia prendendo in giro, signore - cominciò Belasco, - ma di certo non ci teme. Avrebbe potuto sistemare le cose in modo da fare credere che quei due si fossero uccisi a vicenda, invece non l'ha fatto; dopo tutto un uomo col collo rotto non può pugnalare un assalitore, né uno con il ventre squarciato può avere la forza di spezzare il collo a un altro e poi allontanarsi di una ventina di metri, e morire. E se voleva nascondere il fatto che erano stati uccisi dalla stessa persona, bastava che ne portasse uno a qualche isolato di distanza. Avendoli uccisi in modo diverso, noi avremmo impiegato anche un paio di giorni per collegare i due delitti.
- Ottimo ragionamento, Belasco. Avanti.
- Bene, secondo me prima ha ucciso l'uomo col collo rotto.
- Perché?
- Perché uccidere un uomo a mani nude se ha già visto che tu hai un coltello?
- Sensato - commentò Sable. - Immagino che non abbiamo ritrovato ancora il coltello, vero?
Belasco scrollò la testa. - Dalle dimensioni della ferita parrebbe che abbia adoperato uno stiletto cerimoniale, non il coltello da cucina del primo delitto, se si tratta dello stesso assassino.
- È sempre lo stesso - disse Sable. - Hai fatto un ottimo lavoro, Belasco. Ora vai a dare una mano a Davies e informami se scoprite qualcosa.
Belasco uscì mentre arrivava il caffè. Sable ne bevve una lunga sorsata, poi sospirò e cominciò a chiamare i capi degli altri dipartimenti per chiedere che gli prestassero quanti più uomini potevano. Nel giro di un'ora fu in grado di offrire a Belasco altri seicento uomini per aiutarlo a bloccare la città.
- Aspettò fino alle sei poi premette un pulsante sul citofono, e disse alla segretaria: - Chiamatemi Tifereth. Voglio parlare con Conrad Bland. Se dorme, fatelo svegliare.
Poco dopo la segretaria lo informava che Bland non accettava chiamate personali e che il centralino di Tifereth si rifiutava di dare il suo numero.
- Be', chiamatemi qualcun altro! - gridò Sable irritato.
- Chi?
- Non lo so... Il Capo del Servizio di Sicurezza di Bland.
- Farò il possibile.
Dopo dieci minuti fu messo in comunicazione con un uomo di mezza età che indossava una semplice divisa militare grigia. L'uomo lo fissava dallo schermo senza parlare.
- Qui John Sable, Capo del Dipartimento di Polizia di Amaymon. Con chi sto parlando?
- Jacob Bromberg.
- Potete mettervi in contatto con Conrad Bland?
- Se necessario, sì - rispose Bromberg.
- Bene. Ho fondati motivi per ritenere che un sicario sia stato assoldato dalla Repubblica con l'incarico di eliminare Bland. Adesso si trova qui ad Amaymon, ma non credo che riusciremo a trattenerlo a lungo.
- E allora?
- Come sarebbe a dire «e allora»? Vi sto dicendo che qualcuno ha intenzione di assassinare il vostro capo.
- Dovrà mettersi in fila - disse sorridendo Bromberg.
- Vi assicuro che non sto scherzando! - esclamò Sable accalorandosi. - Quell'uomo è un professionista, e ormai è stato qui abbastanza tempo per conoscere le nostre usanze. Siamo disposti ad aiutarvi nei limiti delle nostre possibilità, ma devo sottolineare che la situazione è veramente seria.
- Vi ringrazio per averci avvertito - rispose Blomberg, - ma vi assicuro che non era necessario. Nessuno ucciderà il Mio Signore Bland.
- Almeno glielo direte? - chiese Sable arrabbiatissimo.
- Se ne avrò l'occasione - disse l'altro e troncò la comunicazione.
Sable imprecò fra i denti, poi frugò in un cassetto, pescò la sua agenda e cercò il numero di Casper Wallenbach, suo pari grado a Tifereth.
- Sì? - rispose Wallenbach, che era evidentemente mattiniero perché era seduto a tavola intento a fare colazione.
- Wallenbach? Qui Sable, di Amaymon.
- Signor Sable! - esclamò con un sorriso l'altro. - Che piacere rivedervi. Cosa posso fare per voi?
- Ho un piccolo problema che spero mi aiuterete a risolvere - rispose Sable.
- Dite pure. Vi dobbiamo un paio di favori.
- Qui a Amaymon c'è un sicario della Repubblica a piede libero. Abbiamo bloccato gli accessi alla città, ma non so se riusciremo a impedirgli di andarsene.
- Sarei ben felice di inviarvi dei rinforzi - disse Wallenbach, - ma purtroppo sono a corto di uomini.
- Non è questo - spiegò Sable. - Se riusciamo a trattenerlo qui non ci sarà bisogno di aiuto, ma in caso contrario sarà un brutto affare perché ha intenzione di venire dalle vostre parti. Credo che dia la caccia a Bland. Ho chiamato il Capo del Servizio di Sicurezza di Bland, un certo Blomberg, ma non credo che mi abbia preso molto sul serio, perciò ho preferito informare anche voi.
- Un sicario, avete detto?
- Sì.
- Esperto?
- Ci sta prendendo in giro da tre giorni. Uccide con estrema perizia, e può cambiare identità più in fretta di quanto impieghi io a cambiare vestito.
- Molto interessante - commentò Wallenbach con lo sguardo fisso nel vuoto.
- Vi informerò non appena avrò idea che se ne sia andato - continuò Sable. - Temo proprio che non riusciremo a trattenerlo a lungo.
- Certo, signor Sable - disse distrattamente Wallenbach, - fate pure.
- Avrete bisogno di aiuto?
- Non credo - rispose l'altro mentre un sorriso gli aleggiava sulle labbra. - Credo che sapremo cosa fare.
Ma cosa diavolo succede? Pensò Sable. Il Capo del Servizio di Sicurezza di Bland crede che sia uno scherzo, e il Capo della Polizia si comporta come se non gliene importasse niente.
- Bene - disse, - mi terrò in contatto.
- A vostra disposizione - rispose Wallenbach. Allungò la mano e spense il suo visifono lasciando Sable a chiedersi Perché mai il probabile assassinio del Messia Nero lasciasse apparentemente indifferenti le autorità di Tifereth.
Capitolo X
Se mi dicessero che mi resta solo un'ora di vita, per prima cosa ucciderei chi me l'ha detto. (Conrad Bland)
- Chi sei? - chiese senza alterarsi Jenko, dopo avere chiuso la porta.
La ragazza in bianco gli sorrise. - Che tu mi creda o no, sono un'amica.
- Non ti credo - dichiarò Jenko. Andò a chiudere anche la finestra e alzò al massimo l'audio della TV.
- Prima che tu mi uccida - riprese calma la ragazza, - devo dirti che se vai a Malkuth, ti ucciderebbero.
Jenko la guardò a lungo, poi andò a sedersi su una sedia di metallo e infine disse: - Ti sei guadagnata tre minuti. Sentiamo cos'hai da dirmi.
- Come dicevo, sarebbe uno sbaglio andare a Malkuth.
- Perché, ci dovrei andare?
- Certo, ne hai tutte le intenzioni, Jenko.
- Cosa ti fa credere che io mi chiami Jenko?
- Infatti non è il tuo vero nome - disse lei sorridendo, - ma un nome qualunque che ti sei scelto per l'occasione.
- Per quale occasione?
- Per assassinare Conrad Bland.
- Mai sentito nominare - disse Jenko. - Perché dovrei ucciderlo?
- Non fare lo gnorri, Jenko. Tu hai già fatto fuori Parnell Burnam, Gaston Leroux e Ibo Ubusuku.
- Chi sono? - chiese Jenko, sempre impassibile.
La ragazza sospirò. - Se non siamo sinceri l'uno con l'altra non vedo come potrò aiutarti. Hai ucciso Leroux e Ubusuku meno di due ore fa.
Jenko tornò a fissarla per un minuto intero, poi andò a piazzarsi davanti alla porta.
- Bene - disse infine. - Non mi hai detto niente che la polizia non sappia già o che non scopra prima o poi. Posso quindi desumere che tu sei una donna poliziotto. Mi vuoi dire perché dovrei risparmiarti la vita?
- Sei davvero un tipo impossibile! - esclamò lei, divertita. - Cosa diresti se ti raccontassi che, sotto diverso nome, hai assassinato Gustav Gagenbach su Sirius V circa dodici anni fa?
- Direi che le tue sono solo supposizioni - rispose Jenko. - O Sable ha intenzione di risolvere tutti i delitti insoluti della Galassia?
La ragazza scosse la testa. - Debbo essere franca come vorrei che tu lo fossi con me - fece una breve pausa, poi lanciò la bomba. - So per certo che hai ucciso Benson Rallings su Belore VII.
Jenko dovette fare uno sforzo per non tradire la sorpresa. La ragazza aveva alluso a una delle sue prime imprese, avvenuta su un mondo disabitato. Il cadavere di Rallings era stato distrutto, e chi l'aveva incaricato dell'impresa era morto per cause naturali prima che lui potesse riferirgli l'esito dell'incarico. Nessuno all'infuori di lui sapeva di quel delitto.
- Ah! - esclamò la ragazza. - Vedo che sei rimasto colpito.
- Hai ragione - ammise Jenko. - Come hai fatto a saperlo?
- Non ci sono segreti per Lucia Bianca.
- Sei tu Lucia Bianca?
- Oh, no! Io mi limito a servirla. Mi chiamo Colas.
- Allora chi o cos'è questa Lucia?
- Lo scoprirai presto. Lei vuole vederti.
- E perché io dovrei vederla?
- Perché non puoi andare a Tifereth senza il suo aiuto - rispose Colas. - E se non vai a Tifereth, non puoi uccidere Conrad Bland.
- Sembra che su questo pianeta tutti lo adorino. Perché invece questa Lucia Bianca lo vuole morto?
- Perché è la Vivente Incarnazione del Male - spiegò con calore la ragazza, - ed è intollerabile che continui a vivere.
- Le Streghe Bianche di Walpurgis la pensano tutte così? - chiese Jenko.
- Non ne ho idea - rispose Colas stringendosi nelle spalle. - Lucia Bianca e le sue accoliti sono una setta molto chiusa. Non abbiamo contatti con le Streghe Bianche. Quelle naturalmente dichiarano di preferire il bene al male, ma sono soltanto parole. I concetti di bene e di male si possono confondere facilmente qui, casomai tu non te ne sia accorto.
- Tutti i membri della tua setta possono leggere il pensiero?
- No - rispose Colas, - anche se io non ho bisogno di questa facoltà per sapere cosa pensi, e devo avvertirti che se mi uccidi Lucia Bianca ti farà arrestare, anche se ti nascondi e cambi identità.
- Perché non l'ha già fatto? Mi pare che se io fossi Sable, per prima cosa sarei andato da Lucia Bianca.
- In primo luogo lui non sa dove trovarla.
- Giustificazione debole - disse Jenko. - Sono certo che se lo volesse, Sable saprebbe dove trovarla.
- E in secondo luogo Sable ignora che Lucia Bianca è dotata di questo potere.
- Mi sembra difficile nasconderlo se passa il tempo ad aiutare a far fuori quelli che secondo lei impersonano il male - commentò Jenko.
- Non ha mai fatto niente del genere, prima d'ora - disse Colas. - Bene e male sono semplicemente due concetti astratti, o per lo meno lo erano prima che comparisse Conrad Bland. A noi non importa se qualcuno ammazza qualcun altro, finché ci lascia in pace.
- E allora perché ve la prendete tanto per Bland?
- Perché se resta in vita ucciderà tutti, qui su Walpurgis. La sua filosofia ci ripugna, ma non più di altre in voga su questo pianeta. La differenza sta nel fatto che lui ha la volontà e il potere di attuare le sue convinzioni.
- Capisco - commentò Jenko. - Ma io preferisco lavorare da solo.
- Se continuerai così, morirai anche da solo - dichiarò con fermezza Colas.
- Correrò il rischio.
- Se non parlerai con Lucia Bianca morirai sicuramente a Malkuth. Lei sapeva dove ti trovavi, conosceva la combinazione della serratura della tua stanza, sapeva cosa hai fatto nel passato, sapeva che questa sera avevi ucciso e chi, sapeva che per andare a Tifereth volevi passare da Malkuth, e non ha rivelato niente a nessuno per dimostrarti la sua buona fede. Mi ha consentito di rivelarti parte dei suoi poteri, e anche questa è una dimostrazione di buonafede, dal momento che solo pochissimi ne sono al corrente.
- Apprezzo molto il suo gesto - disse Jenko.
- E allora apprezza anche questo: in qualsiasi momento avrebbe potuto dire a Sable dove ti trovavi, e non lo ha fatto. Lucia Bianca è dalla tua parte, Jenko, e dice che senza il suo aiuto non puoi andare a Tifereth. Non ti pare che sia nel tuo interesse parlare con lei?
- Ci penserò - disse Jenko.
- Bene. A duecento chilometri circa da Amaymon c'è un ponte costruito di recente sullo Stige. Trovatici domani al tramonto e ti porteranno da lei.
- Chi, tu?
- Non credo. John Sable ha già trovato i cadaveri dei due uomini che hai ucciso stanotte e tutti gli accessi alla città sono stati bloccati. Non sarà facile per nessuno uscire da Amaymon.
- E ti aspetti che io possa trovarmi a duecento chilometri da qui per domani sera? - obiettò Jenko.
- Lucia Bianca dice che non hai bisogno del nostro aiuto per farlo. Io ti accompagnerei, ma lei asserisce che devi fare delle cose a cui non posso prendere parte.
- Quando l'ha detto?
- Adesso, mentre stavamo parlando - rispose con la massima naturalezza Colas.
Jenko si fece da parte. Colas andò alla porta, punzonò senza esitare la combinazione della serratura e un momento dopo era scomparsa. Jenko pensò per un momento di seguirla, ma preferì non farlo per evitare il rischio di essere scoperto, dal momento che aveva ancora l'aspetto del giovane biondo.
Si pose davanti allo specchio e con rapidi e attenti tocchi si trasformò in pochi minuti in un uomo con una calvizie incipiente e una leggera pancetta, di età indefinibile fra i quaranta e i sessanta. Indossò poi abiti più ordinari e scarpe completamente prive di tacco che lo facevano sembrare meno alto di un paio di centimetri.
Dopo essersi esaminato attentamente senza trovare la minima traccia del giovane biondo ormai scomparso definitivamente, uscì per l'ultima volta nella fresca e asciutta notte di Amaymon con la scatola del trucco infilata nella camicia.
Mancavano due ore al sorgere del sole e le strade erano semideserte. Questo rendeva il suo compito più difficile ma non impossibile. Camminò lungo i viali finché non ebbe trovato quello che cercava: un passante.
Non avendo il tempo di pedinarlo come aveva fatto con la sua prima vittima svoltò in un vicolo, corse per tutta la lunghezza dell'isolato e si appostò all'angolo. Quando il Passante sopraggiunse, Jenko balzò fuori, lo abbatté con un rapido colpo al collo e si scostò mentre il corpo crollava a terra. Percorse ancora quasi due chilometri prima di trovare la seconda vittima che se ne tornava barcollando a casa dall'osteria. Lo stesso procedimento con lo stesso risultato e Jenko cambiò direzione avviandosi verso il centro.
Poi incontrò una donna, ma la lasciò andare, perché la polizia non pensasse che fosse vittima di un maniaco sessuale.
Trovò la terza vittima vicino al Devil's Den, uno dei bar dove era stato prima di uccidere Parnell e Burnam. La pugnalò e lasciò lo stiletto sotto il cadavere.
Poi aspettò l'alba, e appena si fece luce entrò nell'androne di una palazzina proprio al centro della città. Gli passarono davanti sei poliziotti prima di trovare quello che faceva al caso suo: un uomo snello, coi capelli scuri, alto pressappoco come lui. Allora uscì dall'androne e lo seguì a una ventina di metri finché l'agente non entrò in un caffè. Jenko entrò a sua volta, gli sedette accanto, fece in modo di schizzargli qualche goccia di caffè sulla manica e si scusò.
Quando il poliziotto andò alla toilette per pulire la manica, lo seguì.
Tre minuti dopo, vestito con la divisa della polizia metropolitana di Amaymon, Jenko usciva dalla toilette. Attigua a questa c'era una stanza adibita a magazzino, piena di casse e cartoni. Vi trascinò il cadavere dell'agente, e bruciò i suoi vestiti nell'inceneritore della toilette. Infine si fece dare i due scontrini, pagò i caffè e uscì. Poi salì su un autobus e andò fino al capolinea, distante solo un chilometro da uno dei punti di accesso alla città, dove era stato installato un posto di blocco con numerosi agenti.
Jenko si unì al gruppo, rimandò indietro tre pedoni nella successiva mezz'ora, e osservò quello che facevano i poliziotti quando fermavano un veicolo che voleva entrare o uscire. Poi si portò verso il lato esterno del posto di blocco per sostituire un agente nel rinviare i furibondi conducenti. Alle dieci, quando arrivò una corriera, fu lui che andò a dire all'autista che non poteva entrare in Amaymon. L'uomo protestò, altri poliziotti sopraggiunsero per spiegare la situazione, e finalmente, fra gli improperi e i commenti dell'autista sulla polizia di Amaymon, l'autobus fece dietrofront e ripartì nella direzione da cui era venuto, lasciando a terra un poliziotto di meno dei tre che avevano partecipato alla discussione.
Capitolo XI
Confusione e Caos sono le ancelle del Male. (Conrad Bland)
- Ne abbiamo appena trovato un terzo - disse Langston Davies entrando nell'ufficio Sable.
- Stesso autore? - chiese Sable.
- Collo spezzato, pare da un unico colpo di taglio.
- Trovate impronte su quel pugnale?
Davies fece un cenno di diniego. - Sembra che non sia stato ripulito, ma non ci sono impronte. Il laboratorio dice che ci sono dei segni, ma forse portava i guanti o si era fatto togliere le impronte.
- Questo è più probabile - commentò Sable. - Maledizione, Lang, c'è qualcosa che non va e non riesco a capire cosa!
- Vi pare strano che siano state assassinate cinque persone in una sola notte? - chiese Davies.
- No, non è questo. Prima o poi era prevedibile che eliminasse Ubusuku, e si capisce anche perché abbia ucciso Leroux, dal momento che poteva identificarlo. Questo è logico Ma perché gli altri tre?
- Non sappiamo niente dell'ultima vittima - disse Davies. - Potrebbe essere anche quello uno straniero.
Sable scosse la testa: - Non sono tipo da fare scommesse, ma sono pronto a scommettere una settimana di stipendio che anche quello era un essere innocuo come gli ultimi due. Vorrei solo sapere se quei tre avevano qualcosa in comune. Immaginavo che dopo aver eliminato Ubusuku andasse a Tifereth. Mi sono sbagliato? Ha qualche motivo per restare qui ad Amaymon?
Davies rispose con un'alzata di spalle e Sable cominciò ad andare su e giù per l'ufficio borbottando fra sé.
- Perché ha lasciato il pugnale? - chiese dopo un po'. - E perché li ha uccisi nello stesso modo? Non è uno stupido, Langston, e sembrerebbe più probabile che dovesse cambiare sistema adesso che sappiamo cosa cercare.
- Fa lo spaccone? Ci vuol prendere in giro?
- È un professionista - asserì Sable, - e i professionisti non corrono rischi inutili. Non si vantano di quello che fanno, preferiscono invece nasconderlo. - Si lasciò cadere sulla sua sedia. - Non capisco, proprio non capisco! Perché non ha lasciato le impronte, doveva sapere che avremmo scoperto a chi apparteneva il pugnale... e allora perché lasciarlo?
In quella si accese lo schermo di un piccolo computer sulla scrivania.
- I dati dell'ultima vittima - disse Davies leggendo. - Hector Block, trentasette anni, gerente di un negozio di alimentari. Indirizzo: Nono Cerchio... è un residence che appartiene ai Fratelli della Notte. Mai lasciato il pianeta, mai avuto contatti con stranieri. Causa della morte: frattura del collo.
- Uno qualunque, come gli altri! - sbottò Sable. - Qual è il motivo?
- Forse lo aveva riconosciuto - suggerì Davies poco convinto. - L'aveva visto compiere uno dei delitti.
- E l'assassino l'ha lasciato allontanare per più di due chilometri prima di farlo fuori? No. Quel disgraziato non ha visto chi l'ha colpito, e non aveva motivo per temere per la propria vita. Controlleremo, ma sono certo che quei tre non si conoscevano e che non c'è alcun rapporto fra loro.
Riprese a passeggiare accendendosi distrattamente un sigaro. - Be', per lo meno sappiamo che è ancora ad Amaymon.
- Però non sappiamo se ha completato o meno il suo incarico - osservò Davies.
- È vero - ammise Sable, - tuttavia non possiamo restarcene con le mani in mano senza fare niente. Dobbiamo scoprire qualche traccia, qualche indizio prima che quel delinquente si rimetta al lavoro. Sei omicidi in... quanto?
- In cinquantaquattro ore. Dobbiamo fermarlo!
Nelle due ore successive Sable si recò sulla scena dei delitti ed esaminò le vittime. Poi, poco prima di mezzogiorno tornò in ufficio per aspettare gli ulteriori sviluppi della situazione e per cercare di trovare una spiegazione.
Non quadrava. Se l'assassino voleva eliminare Bland non aveva niente da guadagnare restando ad Amaymon dopo avere eliminato il suo contatto. Anzi, aveva degli ottimi motivi per andarsene da una città dove tutta la polizia gli dava la caccia. E se invece il suo bersaglio si trovava ad Amaymon perché aveva messo sul chi vive la polizia uccidendo Parnell Burnam? Sì, c'era proprio qualcosa che non quadrava, ma Sable non riusciva a capire cosa.
Poco dopo mezzogiorno Davies entrò a precipizio nel suo ufficio.
- Ne abbiamo trovato un altro! - disse ansando.
- Un tipo anonimo come gli altri?
- No. Questo era Vladimir Kosminov.
- Il nostro Vladimir Kosminov della squadra antirapine?
Davies annuì. - Lo abbiamo trovato nel retro di un caffè. O più precisamente, ci ha chiamato il proprietario quando lo ha trovato.
- Come è stato ucciso?
- Gli hanno rotto il collo Un colpo solo, come gli altri. Però c'è qualcosa di diverso. Potrebbe trattarsi di un delitto a sfondo sessuale.
- Cosa te lo fa pensare?
- Perché era completamente nudo.
- Oh, merda! - sbottò Sable. - Ce l'ha fatta!
- Come? Chi?
- L'assassino! L'assassino! - gridò Sable. - Se n'è andato. Chiama tutti i posti di blocco.
- Come? Cosa vuol dire? - chiese Davies che non si raccappezzava.
- Kosminov - disse Sable lasciandosi cadere sulla sedia completamente esausto. - Era lui il pezzo mancante. Adesso è tutto chiaro.
- Non per me - disse Davies.
- Pensaci, Langston. Perché uccidere tre uomini che non avevano niente a che fare con lui? Perché non ha cercato di cambiare metodo? Merda! Abbiamo perfino fatto le domande giuste e tuttavia non abbiamo intuito la risposta.
- Continuo a non capire.
- Adopera il cervello - disse Sable. - Sapeva che avremmo cercato di bloccare la città dopo avere scoperto che aveva ucciso Ubusuku. Sapeva che avremmo tenuto d'occhio tutte le vie d'uscita della città perché non aveva più motivo di restare qui. E allora cos'ha fatto? Ha ammazzato le prime tre persone che ha incontrato solo per farci credere che aveva ancora da fare qui. Quei tre uomini erano un'esca, e noi abbiamo abboccato! Così si è guadagnato almeno mezza giornata di respiro. L'omicidio importante, quello che contava, era Kosminov. Con tutta probabilità ha lasciato Amaymon da tre ore travestito da poliziotto.
- E allora mandate un avviso.
- Ma, per il grande Lucifero, non crederai che indossi ancora l'uniforme di Kosminov, vero? A lui serviva solo un mezzo per superare il nostro posto di blocco e un paio d'ore di respiro. Sapeva che avremmo trovato Kosminov prima di sera, ma non gliene importava. Gli bastava solo di aver il tempo di svignarsela. Chi può sapere che aspetto ha ora? Non è possibile diramare un bollettino a tutte le stazioni di polizia del pianeta, senza dati precisi. - In preda alla rabbia e alla delusione scagliò contro il muro un portacenere facendo schizzare in tutte le direzioni frantumi di vetro. - Maledizione, non riesco a crederci! Sapevamo tutto quello che ci serviva e ci è sfuggito lo stesso!
Davies aspettò che si calmasse un po' prima di chiedergli: - E adesso cosa facciamo?
- Non possiamo fare niente - disse amaramente Sable. - Se ne è andato. Non è più nella nostra giurisdizione. Tutto quello che posso fare è richiamare Wallenbach e Bromberg e cercare di convincerli che quel tipo fa sul serio.
- E io posso fare qualcosa? - chiese Davies.
- No - rispose sospirando Sable. - Sei stato in piedi tutta la notte. Vai a casa a riposare.
Rimasto solo, Sable fissò a lungo la finestra, immerso nei suoi pensieri. Poi, ricordatosi in ritardo che era cominciato un nuovo giorno ormai da ore, si genufletté davanti a Kali, accese le candele rituali e mormorò le preghiere ad Azazel, Asmodeus e Ahriman. Sollevò l'amuleto che portava al collo, tracciò nell'aria il Segno dei Cinque e tornò alla scrivania.
Pochi minuti dopo l'immagine di Casper Wallenbach appariva sul suo visifono.
- Signor Sable - disse Wallenbach, - non mi aspettavo che mi richiamaste così presto.
- Ci è sfuggito - disse senza preamboli Sable.
- Chi, l'assassino?
- Sì, purtroppo.
- Non preoccupatevi. Sappiamo come agire se arriverà fin qui.
- Ha ucciso altre cinque persone - disse Sable. - Non voglio sottovalutare la vostra abilità, ma temo che non vi rendiate conto della pericolosità di quell'uomo. Voi non sapete con chi avete a che fare.
- Ditemelo voi.
Per venti minuti Sable si dilungò nella spiegazione di tutto quello che era successo negli ultimi tre giorni.
Quando ebbe finito, Wallenbach distolse gli occhi e si mise a riordinare alcune carte sulla scrivania.
- Bene - disse poi, - vi ringrazio per le informazioni dettagliate, signor Sable. Sono sicuro che ci aiuteranno ad assicurare al più presto quel criminale alla giustizia.
- Non sottovalutatelo - raccomandò Sable, sentendosi molto deluso.
- Non c'è pericolo - disse Wallenbach. - E adesso, se non avete altro da dirmi, devo dare gli ordini del caso ai miei agenti.
Sable si strinse nelle spalle, troncò la comunicazione e rimase a fissare perplesso lo schermo spento. Non aveva più voglia di chiamare Bromberg ma, vista la reazione di Wallenbach, non gli restava altro da fare.
- Sì? - disse Jacob Bromberg.
- Qui John Sable da Amaymon. Ci siamo parlati ieri.
- So chi siete - rispose Bromberg.
- Vi ho richiamato per dirvi che l'assassino è riuscito a svignarsela da Amaymon, e sta sicuramente dirigendosi verso Tifereth.
- Secondo voi che cosa dovrei fare adesso? - replicò li altro con una risatina secca.
- Maledizione! - urlò Sable. - Cosa avete voi di Tifereth? Vi sto dicendo che l'assassino più abile in cui mi sia mai imbattuto sta venendo a Tifereth per assassinare Conrad Bland. Vi pare niente?
- Mi pare che quando arriverà qui avrà di che pentirsene - rispose Bromberg sorridendo.
- Sentite. Lasciatemi parlare con Bland... solo per pochi minuti - insisté Sable dominandosi a stento. - È ora che qualcuno, a Tifereth, prenda la cosa sul serio!
- Oh, ma io la prendo sul serio! - dichiarò Blomberg soffocando un altro sorriso. - Cosa volete che faccia... che me la faccia addosso solo perché un altro matto vuole ammazzare il Mio Signore Bland?
- Non capite - disse Sable rammaricandosi di non avere sottomano nessun oggetto da frantumare. - Quell'uomo non è matto, ma un abilissimo assassino professionale.
- Signor Sable - s'intromise una voce strana, acuta che sembrava crepitante di elettricità.
- Chi parla? - chiese Sable.
- Sono Conrad Bland - spiegò la voce. - Ho ascoltato la vostra conversazione e vi ringrazio per le vostre premure. Ma adesso vi prego di lasciarci in pace.
- Concedetemi cinque minuti per convincervi della serietà della situazione, signore - disse Sable.
- Me ne rendo pienamente conto - disse Bland. - Un assassino abile ed esperto sta venendo a Tifereth per assassinarmi. Se mai ci arriverà, cosa di cui dubito, imparerà a sue spese che non sono privo di risorse.
- Ma quell'uomo è diverso - insisté Sable.
- Sono tutti diversi - dichiarò Bland. - Ma io sono ancora vivo e loro sono morti.
- Lasciate almeno che spieghi alle vostre forze di sicurezza con chi hanno a che fare. Posso venire in volo a Tifereth e restarci un paio di giorni.
- Questo è fuori questione, signor Sable. Non sareste il benvenuto, a Tifereth.
- Ma...
- Signor Sable, le usanze cambiano da città a città su Walpurgis, ma una è valida per tutte: le Chiese sono sacrosante e quanto accade nel loro ambito non riguarda il mondo esterno.
- Cosa c'entra questo?
- Signor Sable - disse Bland, e la sua voce divenne ancora più acuta. - Tifereth è la mia Chiesa. Statene lontano!
Una mano invisibile troncò la comunicazione.
Capitolo XII
C'è una certa qual bellezza poetica nel distruggere quello che si ama. (Conrad Bland)
Jenko scese dalla corriera quaranta chilometri a sud di Amaymon. Pochi minuti dopo riuscì a fermare un camion diretto a sud. Si sbarazzò del conducente in modo rapido ed efficiente, indossò i suoi vestiti e sistemò il cadavere nel cassone del camion. Poi passò nella corsia opposta e si diresse a nord tenendosi alla larga da Amaymon e seguendo un'autostrada che correva quasi parallela al fiume Stige. Quando fu a dodici chilometri dal luogo dell'appuntamento, aspettò che non ci fossero altri veicoli in vista, e poi fece scivolare il camion nel fiume saltando a terra all'ultimo momento. Sebbene il veicolo fosse scomparso sott'acqua pensò che probabilmente l'avrebbero trovato fra un giorno o due, perché il fiume non era molto profondo e la carcassa avrebbe forse ostacolato il traffico fluviale. Ma un paio di giorni gli bastavano, specie ora che non si trovava più entro la giurisdizione di Sable ed era libero di scegliersi una nuova identità.
Gli ci volle meno di un'ora per raggiungere il ponte mentre calava la sera, e vi arrivò nello stesso momento in cui le due piccole lune del pianeta facevano da pittoresco contrappunto agli ultimi raggi del sole. Pochi minuti dopo gli si avvicinò una donna tutta vestita di bianco.
- Jenko?
Lui assentì.
- Seguitemi, per favore - e girò sui tacchi senza aspettare oltre.
Lui le si affiancò e camminarono senza parlare lungo la riva del fiume per due chilometri circa. Poi lei deviò su una strada in ripida salita fino alla sommità di un dirupo roccioso che sovrastava lo Stige, e Jenko si trovò davanti a un grande edificio di cemento. Era calata la notte e l'interno dell'edificio era tutto illuminato.
La donna entrò, gli fece cenno di seguirla e lo precedette lungo un corridoio dalle pareti scarsamente arredate con mobili austeri, e infine si fermarono davanti a una massiccia porta di legno. La donna sostò un momento, poi chinò la testa e aprì la porta e Jenko varcò la soglia. Seduta su un seggiolone di legno con le braccia posate sui braccioli come se fossero troppo deboli per muoversi, c'era una donna molto vecchia. Ai suo piedi sedeva una ragazza di non ancora vent'anni. Erano vestite tutte e due di bianco.
- Entrate, sedetevi - disse la vecchia con una voce più forte e sonora di quanto lui si fosse aspettato. Jenko si guardò intorno, vide una sedia nella penombra, vicino alla finestra e vi ci si diresse, mentre la donna che gli aveva fatto da guida lasciava la stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Jenko si mise a sedere e guardò la vecchia. Aveva i capelli lunghi e grigi raccolti in una crocchia sulla sommità del capo, e la faccia era talmente grinzosa che lui non riuscì a determinarne l'età. La donna si voltò verso di lui, ed egli vide che aveva gli occhi coperti da una sottile membrana bianca.
- Siete Lucia Bianca? - chiese.
- Sì - rispose lei. - Puoi lasciarci, Dorcas. - La giovane ai suoi piedi si alzò e uscì. - Dorcas è una cara ragazza ma non ho più bisogno di lei adesso che siete qui voi.
- Non capisco - disse Jenko.
- I vostri occhi. Ho bisogno degli occhi di un'altra persona per vedere.
- Voi vedete quello che vedo io?
- Certo - rispose lei, - anche se non vorrei... Un tempo ero molto bella.
- Non ne dubito.
- Circa un secolo fa - continuò lei. - Ho centoventotto anni. Ci credete?
- Non ho motivo di dubitarne.
- Naturalmente. E se anche fosse non lo potreste nascondere. Avete una mente stranamente piatta, Jenko. Non credo di averne mai trovata una così.
- Davvero?
- Certo. La maggior parte delle persone sarebbero diffidenti e apprensive davanti a una donna capace di leggere i loro più riposti pensieri. Invece sembra che a voi non importi. Una mente davvero curiosa, niente picchi o valli, niente passioni né odi, né paure, né desideri. Piatta e pratica. Credo che il motivo per cui non avete dubitato che abbia detto il vero rivelandovi la mia età, sia perché non ve ne importa niente. Che io menta o meno per voi fa lo stesso. Mi piacerebbe sondare a fondo la vostra mente per il semplice gusto di osservarne le reazioni. Sarei in grado di farlo, sapete.
- Non ne dubito - disse Jenko, - ma dal momento che sapete quello che penso, perché continuare a parlare?
Lucia Bianca sorrise. - Perché voi non avete doti telepatiche. Io posso leggere i vostri pensieri, ma non voi i miei. È per questo che vi ho mandato a chiamare, per potervi parlare a tu per tu. Ora, se voleste guardare dalla finestra mi fareste un favore: mi piace vedere le stelle.
- Come volete - disse Jenko e si voltò verso il cielo stellato. - Mi avete mandato a chiamare. Sono venuto. Ditemi cosa potete fare per me.
- Per cominciare vi consiglio di non andare a Malkuth.
- Perché?
- Perché Conrad Bland ha censito tutti gli uomini, donne e bambini che vi abitano, allo scopo di sterminarli. Fra una settimana saranno morti tutti, e neppure voi, con tutta la vostra abilità, potreste sfuggire.
- Interessante - cominciò Jenko. - Ma che cosa ha Bland contro Malkuth?
- Niente.
- Ma...
- Ah! - esclamò la vecchia, - è così che appare la vostra mente quando è perplessa. Che schemi curiosi Vorrei che la poteste vedere.
- Perché Bland vuole distruggere Malkuth? - ripeté Jenko.
- Perché è un malvagio.
- Questa non è una risposta - disse lui, e chiuse volutamente gli occhi.
- Cosa succede? - chiese sgomenta Lucia Bianca. - Ah, capisco! Non è piuttosto puerile impedire di vedere a una povera debole vecchia, Jenko?
- Voi non siete né povera né debole - ribatté lui freddamente. - Ho chiuso gli occhi per indurvi a tornare sull'argo mento. Perché Bland vorrebbe distruggere Malkuth?
- Perché è insito nella sua natura distruggere tutto.
- Sarebbe come dire che è pazzo?
- No! - esclamò con calore la donna. - Conrad Bland ha il cervello perfettamente a posto, è nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Non so se esista nell'Universo qualcuno che incarna il Bene, so; soltanto che il Male esiste ed diffuso ovunque, e che è incarnato da Conrad Bland.
- Mi pare che stiate slittando un po' sul mistico - osservò Jenko.
- E adesso la vostra mente sta dicendo che avete perso tempo, che siete venuto qui per niente, che io sono una vecchia pazza fanatica - disse Lucia Bianca. - Ma la vostra mente non è stata dov'è stata la mia. Vi dico in tutta sincerità che, se lo lasciamo fare, Conrad Bland distruggerà tutti gli esseri viventi di questo pianeta.
- Come? Walpurgis è l'unico pianeta della Repubblica disposto ad accoglierlo e a offrirgli protezione.
- Questo non c'entra e non gli importa. Lui agisce così perché tale è la sua natura, e non gli è mai passato per la mente di agire in modo diverso... Ma perché adesso la vostra mente è confusa? - chiese la vecchia dopo una breve pausa.
- Sono convinto che siete sincera - rispose lui con un sorrisetto ironico. - Ma dal momento che potete leggermi nella mente, sapevate cosa dire per convincermi. Comunque non fa differenza. A me non importa perché volete che Bland muoia. Mi interessa solo sapere come pensate di potermi aiutare, e perché pensate che senza aiuto io non riesca a ucciderlo.
- Avete bisogno del nostro aiuto perché avete commesso un grosso sbaglio - rispose Lucia Bianca.
- Il giornale? - chiese lui.
- No, questa è una cosa di secondaria importanza. L'errore è consistito nell'uccidere Parnell Burnam.
- Chi era?
- La prima delle vostre vittime.
- Dovevo scoprire cosa...
- So perché l'avete fatto - lo interruppe lei. - Ma questo ha comportato l'intervento di John Sable, che si è rivelato molto più intelligente del previsto. Allora non ho interferito, ma adesso lui ha raccontato a Bland tutto quello che sa, ragion per cui non potevo più posporre il nostro incontro.
- Perché? - chiese Jenko. - Bland non sa chi deve cercare più di quanto non lo sapesse Sable. Non mi servirò più di nessuna delle identità che ho assunto ad Amaymon.
- Bland sa perfettamente cosa cercare - ribatté Lucia Bianca. - Oh, certo non è in grado di individuarvi come ho fatto io, ma sa che un sicario della Repubblica sta andando a Tifereth. Solo oggi ha ucciso più di settecento persone che viaggiavano entro un raggio di quattrocento chilometri da Tifereth. Domani ne ucciderà altre. Si circonderà di morte e desolazione uccidendo chiunque gli si avvicini.
- Allora non vedo come voi potreste aiutarmi a raggiungere Tifereth.
- Stupefacente! - esclamò la vecchia.
- Cosa?
- Che il fatto che lui uccida tanti innocenti non vi faccia né caldo né freddo.
- Un professionista del mio stampo non può permettersi di essere sentimentale.
- Anche dopo tutto quello che vi ho detto, Bland non vi interessa più che se fosse un insetto. Non vi importa se vive o se muore, salvo per il fatto che questo può interferire con i vostri guadagni.
- Che importanza hanno le mie motivazioni se io ho intenzione di ucciderlo? - obiettò Jenko. - Ogni minuto che passa è un minuto di più che lui ha a disposizione per rafforzare le sue difese. Sono d'accordo con voi nel volerlo morto. Apprezzo il fatto che potete leggergli nel pensiero ma non vedo come mi potreste aiutare se ammazza tutti quelli che si avvicinano alla città. Inoltre non potrete trasmettermi i vostri pensieri quando me ne sarò andato di qui, anche se captaste qualche informazione utile.
- Oh sì che posso - disse lei. - Ricevo comunicazioni inviatemi da ogni parte di Walpurgis.
- Dalle vostre Streghe Bianche?
- Dalla mia gente... non siamo Streghe Bianche. Non pratichiamo la magia e non adoriamo il Male. Siamo soltanto donne dotate di una particolare facoltà.
- Perché vestite di bianco?
- È un colore protettivo. Voi, più di chiunque altro, lo dovreste capire.
- Ci sono persone come voi sparse su tutto il pianeta?
- Non proprio come me - precisò Lucia Bianca. - I più sono solo in grado di ricevere. Alcuni di trasmettere. Soltanto io posso ricevere e trasmettere.
- Nel vostro genere siete una persona pericolosa - osservò Jenko, alzandosi e stiracchiandosi.
- Non cominciate a dire sciocchezze. Perché dovrei tener nascosta alla polizia la vostra identità e il luogo dove vi trovate e rivelarvi i miei poteri se non fossi dalla vostra?
- Non lo so - ammise Jenko passeggiando su e giù.
- Siete un tipo molto diffidente, perché il vostro cervello è stato condizionato in questo senso. Io vi sto dicendo la verità ma, per dirla come voi, che differenza fa? Tutti e due vogliamo che Bland muoia e io mi sono offerta di aiutarvi.
Lui la fissò a lungo intensamente cercando di sondare quella vecchia faccia grinzosa, rendendosi conto che con ogni probabilità lei stava scavando nella sua mente alla ricerca dei punti deboli, dei punti di minor resistenza che le avrebbero consentito di convincerlo ad accettare il suo aiuto. D'un tratto, mentre cercava di sgombrare la mente, fu travolto da un'ondata di pensieri erotici. Imbarazzato, cercò di scacciarli ma scoprì che più si sforzava meno ci riusciva.
- Molto bene, Jenko - disse Lucia Bianca con un sorriso. - Questa di solito è la prima reazione che ottengo quando qualcuno scopre che gli sto leggendo nella mente. La definirei una reazione ritardata... Oh, eccone un altro!
Jenko era più che mai imbarazzato, ma finalmente gli riuscì di concentrarsi sul ricordo di Benson Rallings negli ultimi istanti dell'agonia. Questo pensiero non era piacevole né spiacevole, e vi ci si concentrò.
- Ah, imparate presto. Se siete troppo imbarazzato, smetto di sondarvi.
Lui non sentiva alcuna differenza e non era certo di potersi fidare di lei. Cercò di immaginarsi che la stava uccidendo, e aspettò la sua reazione. Ma lei non reagì.
- Bene - disse poi, sebbene non fosse ancora sicuro che lei avesse mantenuto la parola. D'altra parte, almeno per il momento, gli conveniva crederle. - In che modo mi potete aiutare?
- Ho predisposto che saliate a bordo di un mercantile che risalirà lo Stige partendo domattina all'alba. Dorcas vi accompagnerà.
- No - ribatté lui con fermezza. - Io lavoro da solo.
- Lo so - rispose lei. - Ma vi prego di lasciarmi finire. Dorcas vi accompagnerà finché non... sentirò che restare sul fiume non sarà più così sicuro. Allora l'avvertirò di tornare e voi sbarcherete e vi dirigerete verso Tifereth. In molte città di Walpurgis la mia gente lavora facendo l'indovina o la chiromante. Dal momento che possono leggere nella mente dei clienti e dire loro quello che vogliono sapere, sono più fortunate dei concorrenti, e di conseguenza guadagnano di più. Parecchie mie seguaci lavorano nelle città fra qui e Tifereth. Potranno rivelarvi tutti gli sviluppi della situazione, la disposizione delle forze di Bland, quali tentativi vengono attuati per identificarvi. Infine, sapranno quali città sono ancora sicure e quali no.
- Ci sono un mucchio d'indovini. - Come farò a distinguere le vostre colleghe?
- Sono vestite di bianco.
- Anche le Streghe Bianche.
- Ma quelle non predicono l'avvenire - precisò Lucia Bianca.
- Ce n'è qualcuna anche a Tifereth?
- C'erano. Ma sono morte.
- Perché? Bland le ha scoperte?
- No.
- E allora perché le ha uccise? - insisté Jenko.
- Perché è nella sua natura uccidere tutti.
- Ne gode?
- Né più né meno di quanto voi godete nel respirare.
- Non capisco.
- È nella natura del Male fare il male. Voi uccidete per scelta e per calcolo. Lui uccide per istinto. Voi trovate una certa bellezza, un senso di simmetria, in una caccia ben studiata e in un'esecuzione compiuta con abilità. Lui non trova né bellezza, né simmetria né soddisfazione nel togliere 1a vita, perché non ha mai preso in considerazione, né mai 1o farà, la possibilità di non farlo Voi uccidete perché potete, lui perché deve. Trovo una certa quale ironia nel fatto che voi sarete lo strumento della sua distruzione, o lui della vostra.
- Lui della mia? - obiettò Jenko. - Cosa volete dire?
- Io posso mandarvi da lui, poi aiutarvi a superare le sue difese, ma non posso sferrare il colpo mortale. Questo lo potete fare soltanto voi.
- Sarebbe a dire che non ci riuscirò?
- Oh, voi siete in grado di ucciderlo, su questo non ci sono dubbi, vero? E naturalmente ci auguriamo che ci riusciate, perché in caso contrario Walpurgis si trasformerà in un'enorme pira funebre. Ma Conrad Bland è diverso da tutti coloro con cui avete avuto a che fare finora. È un uomo per il quale la distruzione è una funzione naturale. Voi siete stato addestrato a uccidere, lui è nato per farlo.
Tacque rivolgendo verso di lui gli occhi privi della vista. - Bland è la quintessenza del Male, mentre nella vostra mente non ne trovo neppure la minima traccia. Posso soltanto sperare che questo non gli sia di incommensurabile vantaggio.
- Queste sono elucubrazioni troppo metafisiche per me - disse Jenko. - Bland è un uomo in carne e ossa come tutti, e come tutti può essere ucciso. Partirò domattina per Tifereth.
- Avete ragione. La metafisica non ha niente a che fare con questa faccenda. Non vi porrò la mia ultima domanda.
Lui non dimostrò alcuna curiosità in proposito, ma mille voci silenziose provenienti da tutto il pianeta la incitavano a porre quella domanda, e così lei cedette:
«Se quest'uomo ha la facoltà di uccidere la personificazione del Male, non costituisce allora una minaccia più grave?»
Capitolo XIII
C'è una differenza fra il respingere una mano che vuole aiutarti e lo smembrarla. Io non ne respingerei mai una. (Conrad Bland)
Appoggiati al parapetto del battello, Jenco e Dorcas guardavano l'acqua scorrere veloce sotto di loro, mentre stava sorgendo il sole.
A un tratto lui si voltò a chiedere: - Quanto?
- Quanto cosa?
- Mi stavo e vi stavo chiedendo quanto manca a Tifereth, se mi è possibile continuare il viaggio sul fiume - spiegò lui. - Credevo che anche voi sapeste leggere il pensiero.
- No - rispose Dorcas.
- Non capisco. Che cosa farete se non siete in grado di captare i messaggi di Lucia Bianca?
- Questo è un altro paio di maniche.
- Come? In che senso?
- Andiamo a fare colazione. Ve lo spiegherò mentre mangiamo - disse lei avviandosi verso la cambusa.
Erano soli perché l'equipaggio aveva già mangiato. Dorcas prese uova, cereali e pan tostato, mentre Jenko si attenne a derivati dalla soia.
- Non è che non mi piaccia quello che mangiate voi - spiegò a una domanda di Dorcas, - solo che non tutti i mondi hanno avuto la previdenza di importare colonie di animali commestibili dalla Terra, mentre invece tutti hanno importato soia. Voi abitate a Walpurgis, io sono stato su almeno duecento mondi, ciascuno dei quali produce alimenti diversi. Il mio sistema digerente incontra delle difficoltà nell'adattarsi ai continui cambiamenti, perciò mi attengo alla soia e ai suoi derivati appena mi è possibile. Hanno ovunque più o meno lo stesso sapore, e soprattutto non mi fanno male.
- Non riesco a immaginare un assassino così abile col mal di pancia! - rise Dorcas.
- Non l'ho mai avuto - precisò lui. - Una delle cose che hanno sempre contribuito al mio successo è la cura dei particolari, anche di quelli inerenti la mia salute ed efficienza fisica. Ma adesso tocca a voi spiegarmi una cosa.
- So già di che si tratta - rispose lei ingoiando un boccone di cereali e aiutandosi con un bicchiere di latte. - Una cosa di cui dovete tener conto è che noi non siamo esseri soprannaturali. Siamo solo persone dotate di un particolare dono. Io ricevo, non trasmetto. Posso ricevere pensieri inviati da Lucia Bianca o da altre capaci di trasmettere, che sono circa duemila in tutto. Ma non posso leggere i vostri pensieri né quelli di chiunque altro non abbia la facoltà di trasmetterli. Solo Lucia Bianca è in grado di farlo.
- Quante siete in tutto? - chiese Jenko.
- In tutta la Galassia? Non ne ho idea.
- No. Intendevo dire su Walpurgis.
- Seimila in tutto - disse Dorcas mangiando le uova. - Lucia Bianca ci ha raccolte durante i suoi viaggi in tutti i mondi della Repubblica. Naturalmente non viaggia più da parecchio. L'ultima l'ha portata qui, su Walpurgis, più di cinque anni fa.
- Mi sorprende che possa girare da una stanza all'altra - osservò Jenko. - Figuriamoci poi viaggiare fra i pianeti.
- Lucia Bianca è una donna forte, più forte di quanto possiate immaginare. Si è obbligata a vivere così a lungo in attesa di trovarsi un successore. Noi siamo tutti telepati parziali, all'infuori di lei. Vivrà finché non avrà trovato un'altra persona dotata del potere di trasmettere e ricevere.
- Ha passato da un pezzo il secolo - osservò Jenko. - Cosa le fa supporre che vivrà finché non avrà trovato un altro simile a lei?
- Ne ha già trovato uno - rispose Dorcas. - Una donna su Gamma Epsilon IV, ma era pazza.
- Solo quella?
- Sì. Ma se ne esiste una significa che ne possono esistere anche altre. La maggior parte di noi, cioè di quelli capaci di trasmettere il pensiero, si trovano su altri pianeti alla ricerca di un telepate completo. E intanto ne reclutano di parziali da mandare qui.
- Reclutano? Sembra un'operazione militare.
Dorcas rise.
- Ho detto qualcosa di buffo?
- Confrontarci a un esercito! È questo che ho trovato buffo. Non vi siete ancora chiesto perché ci siamo uniti?
- No, ditemelo voi.
- Perché siamo soli.
- Come? - replicò sorridendo Jenko. - Nel regno dei ciechi un orbo è re.
- No, se vivono al buio - disse lei. - Crescere in una società normale è come... oh, non so... come accendere la radio e scoprire che nessuno trasmette un segnale.
- Ma perché proprio Walpurgis?
- Perché ci siamo riuniti tutti qui? Perché c'è Lucia Bianca.
- E perché lei è qui? Non crede a tutte queste sciocche superstizioni.
- Ma loro credono in noi. Questa è una società isolazionista, il che significa che all'infuori di voi non c'è qui nessun ficcanaso della Repubblica. E in questa società vigono strane credenze e abitudini che la rendono tollerante nei riguardi di chi possiede delle doti insolite. Ci lasciano in pace, ci permettono di guadagnarci da vivere mentre noi cerchiamo il modo di riprodurre il nostro dono.
- Riprodurlo? Come?
- Non lo so. Questo potrà dirvelo Lucia Bianca. - Chiuse gli occhi per un momento, poi li riaprì e lo guardò. - Tanto per cominciare è limitato alle sole donne, e probabilmente è recessivo, anche se ignoriamo se sia una recessione semplice o complessa in quanto non abbiamo alcun modo di esaminare i portatori maschi. Sto ripetendo quello che mi ha detto lei. Ci capite qualcosa?
- Un po' - rispose Jenko. - Mi pare che le vostre maggiori probabilità consistano nel far sì che Lucia Bianca abbia molti discendenti.
Dorcas tornò a chiudere gli occhi per qualche secondo. - È sterile - spiegò poi. - E lo è anche quella donna su Gamma Epsilon IV. Lucia Bianca pensa che tutte quelle come lei sono sterili, ma non sa perché.
- Non chiedetelo a me. Forse adesso sarà meglio chiedere a Lucia Bianca se Bland ha rafforzato le sue difese nel corso della notte.
- Dice di no, dice che non esistono difese nel senso normale del termine, per cui non ha bisogno di rafforzarle.
- Ma allora... cosa vuol dire?
- Che ammazza tutti quelli che entrano nel suo raggio d'azione, senza guardare se ha motivo di sospettarli o meno.
- Compresi i suoi uomini?
- Quando gliene salta il ticchio.
- Interessante - commentò Jenko pensoso.
Terminò di mangiare in silenzio e trascorse il resto della giornata sul ponte a guardare il panorama desolato mentre il battello continuava a risalire il fiume.
Walpurgis era un mondo strano... non c'era niente che non si fosse aspettato dopo avere consultato le mappe di Ubusuku, comunque era strano lo stesso. A intervalli di qualche ora approdavano a una città più o meno grande,, ma fra l'una e l'altra c'era il deserto: niente sobborghi, niente villaggi, poche le fattorie o le case isolate.
- Le fattorie - spiegò Dorcas, - sono cooperative i cui soci abitano in città.
- Chi ci lavora? - chiese Jenko chiedendosi se le fattorie fossero relativamente al sicuro da Bland.
- Robot - rispose lei.
- Ma come? Nessuno si serve più di robot, oggi.
- Su Walpurgis sì.
Questa era un'altra anomalia. Gli uomini avevano rinunciato ai robot dopo avere scoperto che l'ozio forzato non era poi piacevole come avevano creduto. Non erano illegali, semplicemente erano caduti in disuso. Tuttavia Walpurgis, grazie al suo isolamento, era divisa dalla comunità dei mondi della Repubblica, era una società essenzialmente agricola e i robot costituivano la base dell'economia planetaria.
- Non ci sono sorveglianti? - chiese.
- Pochi. I robot sono macchine molto sofisticate.
- Hanno una struttura umanoide?
- Perché mai? A cosa servirebbero dei robot umanoidi per i lavori agricoli? Sono trattori, aratri, erpici, mietitrici, seminatrici e così via, tutti dotati di cervelli funzionali.
Passarono altri tre giorni senza incidenti e Jenko, non avendo altro da fare, cercò di completare la sua istruzione sugli usi e i costumi di Walpurgis. Risultò più facile del previsto perché Lucia Bianca era stata una dei primi abitanti del pianeta - oltre a lei solo altri due vivevano ancora - e quindi poteva illuminarlo su molte cose che gli erano sembrate incomprensibili.
Venne a sapere fra l'altro che non tutto quello che aveva scoperto ad Amaymon valeva anche per le altre città. Amaymon era un centro fluviale fiorente, un crogiolo della civiltà walpurgana, il punto di sbarco dei visitatori. I suoi riti erano più simbolici che concreti, e se la cittadinanza esteriormente seguiva le pratiche religiose, molti in cuor proprio erano agnostici.
Altre città erano diverse: non si limitavano a praticare le religioni diaboliche, ma erano sinceri credenti, a volte fanatici fino all'anarchia. Lucia Bianca gli fece sapere che avvicinandosi a Tifereth avrebbe visto cose che avrebbero turbato perfino la sua mente arida e spassionata. C'erano riti che comportavano torture derivate da un fervente credo religioso; cerimonie che si erano evolute da altre, grottesche, che si tenevano anticamente sulla Terra; perversioni non solo sessuali che non avevano uguali nel resto della Galassia. Lucia Bianca lo avrebbe aiutato a individuare le diverse usanze, ma poiché non sempre i riceventi sarebbero stati pronti a captare i suoi messaggi, preferiva insegnargli fin d'ora le tecniche per passare inosservato.
Gli riferì un gran numero di particolari, di cui Ubusuku avrebbe potuto avere solo una pallida idea e che lo avrebbero aiutato a proteggersi e a nascondersi. Il concetto di «vivi e lascia vivere» poteva andare bene per Lucia Bianca e il resto del mondo esterno, ma nelle singole città ognuno obbediva a determinate regole sia legali che religiose, altrimenti ne avrebbe subito le conseguenze che non erano mai piacevoli.
La mattina del quinto giorno, quando erano a poco più di metà strada da Tifereth, Dorcas disse a un tratto mentre facevano colazione:
- È ora.
- Lucia Bianca?
- Sì. Dice che fra tre ore arriveremo a un posto di blocco.
- Dobbiamo rischiare? - chiese lui, sebbene avesse già deciso di scendere a terra.
- No. L'equipaggio verrà torturato e prima o poi uno di loro confesserà di averci preso a bordo poco più a nord di Amaymon. Se questo dovesse succedere non riuscireste a cavarvela.
- E la nave?
- Il capitano è uno dei pochi estranei che è al corrente delle doti di Lucia Bianca. Quando gli dirò di fare dietrofront e dirigersi verso Amaymon, ubbidirà senza fare domande.
- Capisco - disse Jenko.
- Be', non è il caso che attiri l'attenzione prendendo una barca. Sarà meglio nuotare. Aspettate dieci minuti dopo che ho raggiunto la riva, poi parlate al capitano.
- Va bene - disse lei.
- Qual è la città più vicina? - domandò.
- Kether. Si trova a trentacinque chilometri circa più a nord, lungo il fiume.
- Fate che la nave non arrivi fin là perché non voglio che ci siano rapporti fra me, la nave e Kether.
- Capisco.
Jenko scese in cabina, raccolse le poche cose che gli servivano, le infilò in una sacca impermeabile e tornò sul ponte.
- Spero che a Kether ci sia qualcuno che è in contatto con Lucia Bianca - disse.
- C'è - lo rassicurò Dorcas. - Una indovina che si chiama Cybele. Troverete la sua bottega nella Plaza di Forras, un centro commerciale nel cuore della città.
- Bene - disse lui scavalcando il parapetto. - Ricordate: dieci minuti.
E senza aggiungere altro si tuffò nelle fredde acque torbide dello Stige scomparendo al di sotto della superficie.
Capitolo XIV
Una volta che vi siete prefissi uno scopo, perché permettere che una cosa da niente come un eccidio ve ne distolga? (Conrad Bland)
Appena fu sulla riva e fuori di vista dalla nave, Jenko si sfilò gli abiti bagnati e indossò un insieme da operaio che aveva infilato nella sacca impermeabile. Poi si mise al lavoro segnandosi in faccia due cicatrici finte, una che andava dallo zigomo destro al mento, l'altra sul sopracciglio sinistro. In pochi minuti rese più folte le sopracciglia, più pallida la carnagione, più radi i capelli, col risultato che dimostrava un'età variabile dai quaranta ai cinquantanni.
Si avviò verso Kether tenendosi alla larga dalle strade, per fermarsi un momento, quando fu a una quindicina di chilometri dalla città, per darsi una spolverata. Poi si portò sul bordo di una delle strade di maggior traffico, stando nascosto dietro un cespuglio, e quando arrivò un camion proveniente da una delle vicine fattorie saltò sul cassone. Poco dopo entrava in città accovacciato sul fondo. Approfittò dell'occasione per mettersi in tasca un paio di mele. Non gli piacevano, ma per lo meno non avrebbe perso tempo in un ristorante fin dopo il tramonto.
Poi, aspettò che il camion svoltasse in una via poco battuta e saltò a terra. Assicuratosi che nessuno lo avesse visto, si avviò nelle direzione opposta.
Dopo avere camminato per tre isolati arrivò a un incrocio. Attraversò la strada, si soffermò come se stesse cercando di ricordare qualcosa, voltò a sinistra e ripeté il procedimento finché non si ritrovò nel punto da dove si era mosso. Per quanto ne poteva sapere, nessuno lo stava seguendo, ma, per maggiore sicurezza, proseguì per altri due isolati, poi s'infilò in un vicolo fra due case e attese immobile nell'ombra per una decina di minuti. Nessuno lo raggiunse e allora tornò sulla strada convinto che se qualcuno lo avesse pedinato, ora si sarebbe aspettato di vederlo spuntare un isolato più avanti.
Jenko non aveva mai consultato una pianta di Kether, ma non ci voleva molta fantasia per farsi un'idea della topografia della città da quel po' che ne aveva visto finora. Era strutturata per circoli concentrici - pensò che dovessero essercene nove, per motivi religiosi - con un certo numero di ampi viali che s'incontravano al centro. Poiché non sapeva quanto fosse distante il centro, non poteva neanche sapere quanti erano i viali che costituivano i raggi della «ruota», ma calcolò che dovevano andare dagli otto ai dodici, giacché Dorcas gli aveva detto che Kether non era molto grande, contando meno di 100.000 abitanti.
L'architettura era diversa da quella di Amaymon. Non c'erano tracce di stile gotico né vittoriano. Kether era tutta acciaio e vetro e spigoli, e mentre Jenko si avviava verso il centro capì il perché: tutti gli edifici erano dotati di pannelli solari, il che era comprensibile in quanto Kether, come quasi tutte le altre città di Walpurgis, era isolata dai centri vicini e probabilmente al momento della fondazione non aveva i mezzi per permettersi una centrale atomica. Poi, via via che la città era andata crescendo, gli amministratori avevano deciso di rinunciare all'energia nucleare dal momento che case e uffici erano già alimentate dal calore del sole.
Jenko avrebbe voluto comprare un giornale, perché questo sarebbe stato il sistema più rapido per apprendere qualcosa sulla città, ma preferì non farlo ignorando quale tipo di valuta fosse in circolazione a Kether.
Continuando a camminare vide una numerosa folla a circa due isolati da dove si trovava lui. Suo primo istinto fu di svoltare in una laterale per evitarla, ma poi ci ripensò perché forse poteva venire a sapere qualcosa di utile ascoltando qualche brano di conversazione e rubando qualche portafoglio. Avvicinandosi sentì provenire dal centro del crocchio urla e strilli infantili. Poi si udì un colpo di gong, e, alzando gli occhi, Jenko vide dei dipinti satanici sui muri dell'edificio davanti a cui sostava la folla, e capì che doveva trattarsi di una chiesa. Raggiunse i margini del crocchio, rubò un paio di portafogli in pochi attimi, e poi si accorse di trovarsi all'estremità di una fila. Non sapeva dove portasse quella fila né cosa lui dovesse fare, ma gli parve che, imitando quello che avrebbe fatto l'uomo prima di lui, avrebbe attirato meno attenzione che non svignandosela. Dopo pochi minuti poté vedere distintamente quello che stava succedendo.
Un sacerdote e una sacerdotessa vestiti di nero e incappucciati, stavano davanti al portale della chiesa su una ampia predella pentagonale alta una trentina di centimetri da terra. Davanti ad essi, c'era un altare di ossidiana su cui era legato un ragazzino di dieci o dodici anni nudo. Tutti i componenti della fila, arrivati all'altare, prendevano un coltello dalle mani della sacerdotessa e lo immergevano nel ventre del ragazzo, mentre il sacerdote intonava un canto di cui Jenko non capì le parole, forse in latino o in enochiano.
Sulle prime lui pensò di trovarsi davanti a un sacrificio rituale, ma via via che avanzava si rese conto che se lo fosse stato il ragazzino avrebbe già dovuto esser morto da un pezzo. Non ne sapeva niente di satanismo, ma uccidere era il suo mestiere, e sapeva che nemmeno un uomo su cinquanta era capace di infliggere una ferita addominale destinata a squarciare ma non a uccidere.
Quando fu ancora più vicino, capì finalmente cosa stava succedendo. Sul petto e sul ventre del bambino erano tracciati con la vernice nera dei segni cabalistici, e la congregazione - poiché di questo si trattava - stava penosamente tatuando il disegno con un pugnale. Probabilmente il procedimento era doloroso, ma certo si trattava di un rito che contrassegnava il passaggio dall'infanzia alla virilità, poiché nessuno pareva sorpreso o turbato dalle urla del ragazzino. Quando restarono davanti a lui solo due persone, Jenko osservò attentamente quello che facevano. Prima si portavano la lama alle labbra mormorando qualche parola che lui non riuscì a capire, poi tracciavano per pochi centimetri il contorno di uno dei simboli. Quando il pugnale veniva restituito alla sacerdotessa, il sacerdote versava qualche goccia di una sostanza che doveva essere disinfettante sulla lacerazione.
Finalmente arrivò il suo turno. Jenko salì sulla predella, prese il pugnale dalle mani della sacerdotessa, mormorò qualcosa così piano che nessuno poté sentire, e praticò un'incisione di un paio di centimetri sull'addome del ragazzo. Poi restituì il pugnale, scese dalla predella e s'incamminò verso il centro.
Aveva percorso due isolati, quando una mano gli si posò sulla spalla afferrandola strettamente. Lui si voltò e si ritrovò a fissare i gelidi occhi azzurri di un uomo alto, ben vestito, un po' calvo.
- Avete recitato bene - disse lo sconosciuto.
- Come sarebbe a dire? - rispose Jenko.
- La cerimonia di Belfagor - spiegò l'uomo. - Avete perfino ingannato i sacerdoti.
- Non so di cosa stiate parlando.
- Sarà meglio che veniate con me - disse l'uomo, prendendolo per un braccio. Jenko non oppose resistenza finché non si fu assicurato che non ci fosse nessuno in vista. Poi allungò la destra, che era libera, e infilò il pollice e l'indice negli occhi dell'uomo. Quello arretrò sbigottito, lasciò la presa e gettò all'indietro la testa esponendo la gola. Jenko lo colpì di taglio con la mano sul pomo d'Adamo mentre era ancora in piedi, e poi mentre cadeva. L'uomo morì ancora prima di toccare terra.
Jenko si guardò intorno, vide in lontananza della gente che guardava, indicandolo, e si precipitò dentro a una casa. Trovò un'uscita secondaria, uscì a razzo, corse lungo un vicolo ed entrò nell'ingresso sul retro di un'altra casa. Trovò un montacarichi, salì al quinto piano e forzò la serratura della prima porta in cui s'imbatté. Era la porta di un piccolo appartamento e non impiegò molto a trovare un armadio a muro pieno di abiti maschili. Si spogliò, indossò un completo da poco prezzo e una camicia, e stava per andarsene quando sentì lo scroscio dello sciacquone. Aspettò fuori dalla porta del bagno, e appena l'uomo uscì lo uccise in modo rapido e indolore; impiegò qualche minuto a combinarsi una nuova faccia e una testa di capelli neri corti e ricci.
Infine uscì sul pianerottolo, scese al pianterreno con l'ascensore e uscì in strada dal portone principale. In lontananza si sentivano le sirene della polizia, ma nessuno lo fermò né gli badò mentre proseguiva verso il centro.
Finalmente ci arrivò. Era una enorme piazza circolare del diametro di almeno un chilometro, sulla quale si affacciavano i più alti edifici della città, in maggioranza adibiti ad uffici. Jenko seguì il perimetro del cerchio finché non ebbe raggiunto un imponente insieme di negozi davanti a cui torreggiava la statua di un cavaliere barbuto che impugnava una lancia. Una targa spiegava che era l'effigie di Forras, noto anche come Forcas o Furcas, un Cavaliere di Satana, e Gran Presidente dell'Inferno che comandava venticinque legioni di demoni a difesa dell'Impero Infernale.
Jenko si soffermò ad ammirare la maestria dello scultore, poi visitò diversi negozi finché, accanto all'androne di un edificio, non vide la targa di Madame Cybele. Entrò, scese una rampa di scale che portavano a un piccolo scantinato, ed entrò, accolto dal soffio di un gatto e da una donna alta e bruna vestita di bianco.
- Accomodatevi - disse lei indicandogli una sedia accanto a un tavolino d'avorio.
Lui si mise a sedere e lei fece altrettanto, dall'altro lato del tavolino, su cui depose una sfera di cristallo.
- Cosa volete sapere da Madame Cybele? - chiese.
- Dato che l'indovina siete voi, ditemelo. E cominciate dal mio nome.
Lei guardò nella sfera di cristallo.
- Non so il vostro vero nome, ma Lucia Bianca dice che vi fate chiamare Jenko. Dice anche che siete nei guai. La vostra situazione è molto più grave di quanto pensiate.
- Ho preso le mie precauzioni.
- Vi sbagliate. Il primo uomo che avete ucciso qui era un agente di Bland.
- Come aveva fatto a scoprirmi?
- Avete restituito il pugnale prima che ve lo chiedessero.
- Accidenti! - mormorò lui. - Per una simile inezia?
Lei annuì. - La sacerdotessa era troppo occupata a sorvegliare il bambino, sul momento, ma Lucia Bianca dice che quando ci ha ripensato se n'è ricordata, così adesso Conrad Bland non solo sa che c'è un assassino a piede libero a Kether, ma che costui ignora le nostre usanze. Da questo dedurrà che si tratta dello stesso assassino contro cui lo ha messo in guardia Sable.
- Allora sarà meglio che me ne vada. Secondo Lucia Bianca di quanto tempo posso ancora disporre?
- Poche ore. Non di più.
- Così poco?
- Vi hanno visto commettere il delitto. Può darsi che non lo colleghino col secondo, ma non importa. Qualcuno ricorderà che voi e l'agente di Bland eravate alla cerimonia di Belfagor. Interrogheranno i sacerdoti, e così verranno a sapere perché quell'uomo vi si è avvicinato e perché voi avete dovuto ucciderlo. Non ci vorrà molto.
- Quanto dista la prossima città in direzione di Tifereth?
- Circa quattrocento chilometri - rispose Cybele.
- E chi è il mio contatto, là?
- Non c'è.
- Credevo che Lucia Bianca avesse agenti in tutte le città.
- Infatti. Ma quello è morto.
- Capisco.
- Ne dubito, ma se arriverete a Yesod capirete davvero.
- Yesod è il nome della città?
- Sì.
- Chiedete a Lucia Bianca quante probabilità ho di arrivarci con un veicolo rubato.
La donna chiuse per un momento gli occhi. - Dice che nessun veicolo, nemmeno i camion, hanno il permesso di percorrere le strade a nord di Kether, a meno che non si tratti di veicoli autorizzati.
Jenko alzò le spalle. - Allora dovrò prendere un'auto della polizia, no?
Si alzò e se ne andò.
Capitolo XV
Satana ha perduto la guerra. Solo un pazzo gli renderebbe omaggio. (Conrad Bland)
- Signor Bromberg. Sono John Sable.
- Maledizione, Sable! - sbottò Bromberg lanciandogli un'occhiataccia dallo schermo del visifono. - È la quarta volta in cinque giorni!
- Normale routine - rispose Sable facendo un notevole sforzo per dominarsi. - Si è fatto vivo?
- Ve lo ripeto: se si farà vivo saremo in grado di provvedere senza la vostra assistenza.
- E io vi ripeto che è ricercato per sei omicidi ad Amaymon. Se lo catturate dovrete consegnarcelo.
- Lo so - rispose Bromberg. - E adesso lasciatemi in pace. Non appena l'avremo preso ve lo comunicherò.
- Arrivederci, signor Bromberg. Richiamerò domani.
- Non occorre - tagliò corto Bromberg.
- È il mio mestiere - disse Sable e chiuse la comunicazione.
Guardò l'ora e si meravigliò che fosse ancora pomeriggio. Accese un sigaro - il secondo della giornata, ma ormai aveva smesso di contarli, dopo il secondo e terzo delitto - e si appoggiò allo schienale della sedia.
In teoria non era più un suo problema. L'assassino aveva lasciato Amaymon, non era più nella sua giurisdizione, e a quanto pareva nessuno voleva il suo aiuto. Inoltre i suoi superiori continuavano a tirarla per le lunghe. Aveva parlato con loro insistendo perché si mettessero urgentemente in contatto col Quartiere Generale di Bland, ad alto livello, offrendo la sua assistenza, ma finora, a quanto ne sapeva, nessuno si era mosso. Bland non voleva aiuto e le autorità civili parevano ben liete di non doverglielo offrire.
Sable non riusciva a raccapezzarsi.
Bland non lo interessava in modo particolare, anzi, dall'unico breve colloquio gli era riuscito antipatico, però almeno metà della popolazione di Amaymon lo venerava.
Anche sua moglie Siboyan aveva acceso candele e offerto sacrifici simbolici per la sua salvezza. Perché nessuna personalità importante né ad Amaymon né a Tifereth prendeva a cuore la cosa?
Dopo essersi arrovellato a lungo inutilmente, si rizzò a sedere e premette un pulsante sull'interfono.
- Sì? - rispose la segretaria.
- Vado a casa.
- Devo passarvi le chiamate?
- No.
- In nessun caso?
- In nessun caso. A meno che a chiamare non sia Conrad Bland in persona - disse lui con un sorriso amaro.
Chiuse a chiave la scrivania, indossò la giacca e uscì. Invece di prendere come sempre l'autobus preferì fare a piedi i cinque chilometri che lo separavano da casa sua, per avere il tempo di esaminare i fatti di cui era a conoscenza e tentare di indovinare quello che ancora ignorava.
Via via che procedeva passò dal quartiere degli affari a quello residenziale, dai palazzi alle case di abitazione; quelle nere dei Messaggeri, quelle rosse della Confraternita della Notte, quelle viola delle Figlie della Delizia, e qualcuna bianca di proprietà delle Streghe Bianche. Infine svoltò nella strada dove abitava, dove le case erano più piccole e meno lussuose, ma ben tenute. La sua era di mattoni, e lui si era rifiutato di cedere alle insistenze di Siboyan che avrebbe voluto dipingerla nei colori oro e nero del Culto di Kali. Forse perché sposandosi aveva cambiato religione, forse per altri motivi di cui non si rendeva conto, ma non voleva rendere pubblica la sua religione. E poi, con tre bambini, aveva modi migliori per spendere il suo denaro.
- Ciao! - lo salutò Siboyan quando entrò in casa. - Sei rientrato prima del solito, eh?
- Bel modo di accogliermi! Se ti do fastidio torno in ufficio.
- Lei scostò dalla fronte una ciocca bionda: - Non fare lo stupido - gli disse baciandolo sulla guancia. - Sono sorpresa di vederti così presto. Tutto qui.
- Scusa.
- Hai fatto progressi con quei delitti?
- No. Neanche un po'.
- Ti fanno pressione?
- Per niente.
- Strano - commentò lei. - Vuoi che ceniamo prima?
- No, fra un paio d'ore. Vado un po' fuori a lavorare.
Si cambiò indossando una tuta e uscì nel cortile sul retro dove da sei anni aveva impiantato un orticello che coi suoi prodotti gli risparmiava notevoli spese. Dapprincipio l'aveva fatto solo per uno scopo utilitario, ma poi ci si era appassionato, e ormai quasi tutto il cortile era trasformato in orto. Ne amava la regolarità, lì tutto era previsto e prevedibile, non c'erano motivazioni nascoste, enigmi da risolvere, ostilità da superare, minacce alla sua vita o intralci al suo lavoro. Era piacevole trascorrervi qualche ora alla fine della giornata, aspettando di vedere spuntare qualcosa, qualcosa che era sempre bello, piacevole e utile... invece che dare la caccia ai delinquenti e ricostruire fatti orribili. Oltre alle verdure aveva piantato anche fiori, e poi alcune piante esotiche di difficile acclimatazione. Lavorare lì lo rilassava, gli schiariva la mente, gli rinnovava lo spirito... sempre, meno però che quel giorno.
Dopo avere lavorato due ore cercando invano di rilassarsi, lo raggiunsero i due maschietti per dirgli che la cena era quasi pronta. Sable giocò con loro per qualche minuto, ascoltò le loro lamentele sulla scuola e la chiesa, promise di riparare un giocattolo rotto dopo cena, poi andò in bagno, fece una doccia e indossò pigiama e vestaglia. Si rase con un rasoio a mano - come esigeva il culto di Kali, per motivi a lui incomprensibili - e raggiunse Siboyan, i figli e la figlia in sala da pranzo, notando che c'era una nuova macchia sulla tappezzeria a fiori rossi che aveva messo lui la primavera precedente per evitare la spesa del tappezziere, e che i bambini parevano decisi a rovinare. S'inchinò davanti alla statuetta di Kali sul buffet, una regina dei demoni in onice, con una collana di minuscoli teschi d'oro, sedette a capotavola e mormorò una breve preghiera in onore di Azazel. Dopo cena i due maschietti andarono a studiare, mentre la bambina, che aveva già finito i compiti, si sistemò davanti al video.
Sable e Siboyan rimasero a tavola per bere un bicchiere di vino e parlare degli avvenimenti della giornata. Siboyan condivideva la delusione del marito per non essere riuscito a convincere Bland della gravità della situazione, sebbene Sable fosse propenso a pensare che i sentimenti di Siboyan fossero dovuti più alla sua venerazione per Bland che non a solidarietà con lui. Non che importasse, perché Sable non cercava solidarietà e comprensione, ma solo risposte che a quanto pareva nessuno poteva o voleva dargli.
Per cercare di distrarlo, lei gli propose di andare al cinema, ma Sable rifiutò, con la scusa che era troppo stanco. Disse invece che sarebbe sceso in cantina, dove teneva gli attrezzi necessari, per aggiustare il giocattolo rotto.
Aveva appena cominciato a ripararlo quando Siboyan si affacciò alla porta in cima alla scala: - John - chiamò, - il visifono!
- Avevo detto di non passarmi nessuna chiamata - protestò lui.
- Sarà meglio che tu venga - insisté sua moglie. Qualcosa, nel tono della sua voce, lo indusse a deporre il giocattolo e a salire di sopra.
Andò in cucina dove c'era una derivazione, e attivò sia l'audio che il video. - Qui Sable - disse poi.
- Signor Sable - rispose una voce in falsetto. - Qui Conrad Bland.
- Un momento, signor Bland. C'è qualcosa che non va nel mio schermo. Non vi vedo.
- Ho attivato solo l'audio - spiegò Bland.
- Cosa posso fare per voi?
- Il Capo del mio Servizio di Sicurezza mi ha detto che volete parlare solo con me.
- Non è esatto, ma non importa... Comunque, se mi avete chiamato immagino che si tratti di cosa importante. Di che si tratta?
- Vedo che non perdete tempo in preamboli - ridacchiò Bland. - Sì, devo dirvi una cosa importante: abbiamo catturato il vostro assassino.
- Ne siete certo?
- Io non sbaglio mai - replicò freddamente Bland.
- Bene, sono lieto di avervi avvertito in tempo. È vivo?
- Vivo e vegeto. Si trova nel carcere di Tifereth, ma preferiremmo saperlo molto più a sud di qui.
- Vi ringrazio per avermi informato. Immagino che adesso lo estraderete.
- È proprio quello che intendo fare - disse Bland.
- Preparo i documenti e parto domattina.
- Non occorre. Qui a Tifereth comando io, e posso consegnarvelo senza bisogno di tante scartoffie.
- Non è regolare - obiettò Sable. - Ma, per citare un antico proverbio, «a caval donato non si guarda in bocca». Come preferite che avvenga il trasferimento?
- Secondo me sarebbe meglio se veniste qui a Tifereth. Sono oberato di lavoro e non ho tempo da perdere.
- Non occorre che me lo consegniate personalmente - disse Sable.
- Lo so, però credo che sarebbe meglio per tutti se veniste a Tifereth.
- Se proprio insistete... Verrò in aereo domattina.
- No, vi manderò il mio aereo personale - disse Bland. - Pensate di poter essere pronto fra... diciamo sei ore?
- Non c'è bisogno che vi disturbiate. Ho il brevetto di pilota e posso servirmi di un apparecchio della polizia.
- Signor Sable, mi costringete ad essere più brutale di quanto vorrei - replicò Bland. - Se non venite col mio aereo personale potete correre serio pericolo.
- Come? - obiettò Sable perplesso.
- All'aeroporto locale fra sei ore. Non mancate! - tagliò corto Bland e troncò la comunicazione.
Sable raggiunse Siboyan che aveva ascoltato il colloquio da un altro apparecchio, con espressione rapita.
- Bene, cosa ne pensi? - le chiese.
- A proposito di cosa?
- Non stavi, per caso, ascoltando?
- Certo. Hanno preso l'assassino.
- Non parlavo di questo, ma del resto - insisté lui irritato. - Cosa sta succedendo laggiù che devo andare col suo aereo altrimenti correrei dei grossi rischi?
- Non lo so... ma cosa importa? Vai là come suo ospite e porti indietro l'assassino.
- No, c'è qualcosa che non va - disse lui scrollando la testa. - Qualcosa di molto grave.
- Non vedo cosa. Ti manda il suo aereo, si offre di collaborare con te, ti restituisce l'assassino che la Repubblica ha mandato qui per ucciderlo. Se fossi in lui non l'avrei fatto. Un uomo che ha attentato alla vita di Conrad Bland merita una morte lenta e dolorosa.
- La legge vale anche per il suo eroe - replicò Sable con un sorriso ironico. - Un omicidio è molto più grave di un tentato omicidio. Il nostro assassino sarà processato ad Amaymon.
- Quando parti?
- Me ne vado subito, anche se l'appuntamento è fra sei ore. Bland se ne infischia dei documenti di estradizione, ma io voglio fare le cose in regola. Vado in ufficio a provvedere per il necessario, e telefonerò a Enoch Tomey, del reparto legale, perché mi fornisca gli schiarimenti del caso. È la prima volta che devo fare estradare un assassino.
- Dunque addio alla tranquilla serata in casa! - sospirò lei.
- Non te la prendere. Ce ne saranno altre.
Andò in camera da letto per cambiarsi. Pensando che si sarebbe fermato a Tifereth solo il tempo necessario per prendere in custodia il prigioniero, si limitò a infilare un cambio d'abiti nella ventiquattr'ore nel caso che il maltempo potesse ritardare il viaggio di ritorno. Prima di uscire, abbracciò Siboyan. - A presto - le disse.
- Non sono mai stata a Tifereth. Portami qualcosa di speciale.
- Senz'altro - promise lui.
Capitolo XVI
Non ho mai negato che la verità abbia un valore. Lo sciocco l'ammira, il saggio la volge a proprio vantaggio. (Conrad Bland)
Sable dormì per quasi tutto il viaggio, e si svegliò al momento dell'atterraggio. Mentre toccavano terra guardò dal finestrino e si accorse che invece di scendere all'aeroporto di Tifereth, il pilota aveva portato l'aereo su una pista privata.
Jacob Bromberg lo aspettava e gli andò incontro mentre scendeva la scaletta che due meccanici avevano accostato al portello.
- Benvenuto a Tifereth, signor Sable - gli disse, senza però tendergli la mano. - Avete fatto buon viaggio?
- Non saprei dirvelo perché ho quasi sempre dormito - rispose sorridendo Sable. - Ma dove siamo atterrati?
- Nell'aeroporto privato del Mio Signore Bland, a quindici chilometri circa a nord della città. Se volete seguirmi vi ci accompagno.
- Bene. - Sable prese la ventiquattr'ore e gli si affiancò. L'aria era umida e pesante, carica di un odore sgradevole che lì per lì non riuscì a identificare.
Bromberg raggiunse un veicolo militare scoperto, di recente costruzione e molto ben tenuto, su cui era dipinto uno stemma che Sable non aveva mai visto.
- Mettete la valigetta sul sedile posteriore, signor Sable.
Sable eseguì, poi sedette accanto a Bromberg e si accese un sigaro, l'ultimo di quelli che gli aveva regalato qualche giorno prima Veshinsky.
- Come l'avete catturato? - chiese, dopo che Bromberg ebbe avviato il motore.
- Non saprei dirvelo, signor Sable - rispose l'altro imboccando la strada che portava a Tifereth. - Io non ci ho avuto a che fare.
- Chi è?
- Non ne ho idea.
- Ha parlato?
- Non lo so, ma non credo.
- Allora, e scusate la mia impertinenza, come fate a sapere di avere preso l'uomo giusto?
- Oh, quanto a questo potete stare tranquillo. Il Mio Signore Bland non sbaglia mai.
- Com'è il suo vero aspetto?
- Personalmente non l'ho mai visto - rispose Bromberg. - Quello che so, lo so per sentito dire.
Sable si dette per vinto e tacque. Evidentemente Bromberg non sapeva niente dell'assassino, pur essendo il Capo del Servizio di Sicurezza di Bland. Davvero strano. E più strano ancora era che fossero riusciti a catturare così presto e con tanta facilità l'assassino. Forse avevano davvero preso l'uomo giusto, ma più ci pensava più ne dubitava. Be', dopo averlo riportato ad Amaymon lo avrebbe sottoposto alla macchina della verità e non avrebbe avuto più dubbi. O forse anche Wallenbach disponeva di una macchina della verità e si era già accertato dell'identità del prigioniero. Sable prese mentalmente nota di parlarne con Wallenbach prima di ripartire col prigioniero.
Si cominciavano a vedere i sobborghi della città, e sebbene fosse appena mezzogiorno, Sable ebbe l'impressione che Tifereth fosse chissà perché buia e avvolta nell'ombra. Forse si trattava solo di un'illusione ottica o dell'angolazione dei raggi del sole, tuttavia faceva una strana impressione.
Poi, appena furono entrati in città, l'odore lo colpì in pieno. Era un lezzo di decomposizione e sulle prime Sable pensò che si trattasse di verdura marcia, ma poi vide quale ne era la causa: cadaveri, alcuni dei quali morti di recente, altri ormai in avanzato stadio di putrefazione, riempivano le strade, isolati o a gruppi, nudi e vestiti, alcuni immersi in pozze di sangue rappreso, altri con un solo foro di proiettile o una bruciatura di laser.
- Cosa diavolo sta succedendo qui? - chiese Sable sgomento di fronte all'ampiezza di quella carneficina.
- C'è stata una piccola insurrezione, qualche giorno fa - spiegò con la massima indifferenza Bromberg. - Il Mio Signore Bland ha voluto che si lasciassero sul posto i cadaveri come monito per chiunque altro voglia ribellarsi alla legge.
- Qualche giorno fa? Ma se molti cadaveri sembrano ancora caldi!
- Vi sbagliate, signor Sable.
Via via che s'inoltravano nella città i cadaveri si facevano sempre più numerosi, e a Sable sembrava d'averne visti due - un vecchio e una ragazza - che si muovevano ancora.
- Fermatevi! - disse.
- Perché?
- Ho visto due persone ancora vive.
- Impossibile - disse Bromberg. - L'insurrezione è stata domata ormai da una settimana.
- Lasciatemi scendere.
- Non posso - rispose Bromberg accelerando. - Siamo già in ritardo.
Le decine di corpi divennero centinaia e migliaia man mano che si avvicinavano al centro, e Sable vide che le case che non erano state incendiate avevano porte e finestre sbarrate. Non c'era anima viva nelle strade di Tifereth, nemmeno un cane o un gatto. Pareva che anche gli insetti si fossero trasferiti altrove, fatta eccezione per i fitti nugoli di mosche che svolazzavano sui cadaveri.
- Che razza d'insurrezione! - esclamò Sable tanto per rompere quel silenzio mortale.
- Potete ben dirlo - replicò Bromberg.
- Quanti ne sono morti, dei vostri?
- Nessuno.
- In un certo senso non mi sorprende.
- Siamo un corpo molto efficiente, signor Sable.
- Lo vedo. Quel che non vedo sono le armi. Nessuno degli insorti era armato.
- Le abbiamo confiscate - rispose sorridendo Bromberg. - Sarebbe stato sciocco lasciarle in giro alla portata di altri rivoluzionari.
- Già, è un ragionamento che non fa una grinza.
- Grazie.
- E adesso volete farla finita con tutte queste frottole e dirmi cos'è realmente accaduto qui?
- Ve l'ho detto, signor Sable.
- Ma fatemi il favore! Ne parlerò a Bland.
- Ottima idea.
Percorsero altri quattro chilometri sempre attorniati da mucchi di morti, finché non si fermarono in un garage nel seminterrato di un albergo.
- Bland abita qui? - chiese Sable mentre Bromberg frenava.
- No, ma in questo momento è in riunione. Vi ha fatto mettere a disposizione un appartamento. Appena libero vi manderà a chiamare.
- Non potremmo aspettare fuori dalla sala delle riunioni? - propose Sable, che si sentiva a disagio.
- Non discuto mai gli ordini del Mio Signore Bland - disse Bromberg scendendo e prendendo la ventiquattr'ore. Sable lo seguì. Salirono in| ascensore all'ultimo piano, il tredicesimo, e Bromberg si diresse verso una porta in fondo al pianerottolo. Punzonò la combinazione della serratura, la porta si aprì, e i due entrarono in un lussuoso attico composto da un enorme e ricco salotto completo di bar e caminetto, da cui si godeva un ampio panorama della città. A destra si apriva un altro salotto, più piccolo, e a sinistra la camera da letto con un materasso pneumatico su cui avrebbero potuto sdraiarsi dieci persone, e infine il bagno di marmo dotato di sauna.
- È di vostro gradimento?
- Oh, è magnifico! Ma dovrò fermarmi molto qui?
- No, il Mio Signore Bland vi manderà a chiamare fra poco. Intanto mettetevi a vostro agio. Nessuno vi disturberà, ve lo garantisco. Siete l'unico ospite dell'albergo.
- Cosa ne è stato degli altri?
- Oh, è una storia lunga, signor Sable. Ne parleremo a cena.
- Speravo di potere partire prima.
- Allora in un'altra occasione.
- A proposito. Non vedo un visifono. Come mai?
- Chi vorreste chiamare?
- Mia moglie, per dirle che sono arrivato e sto bene.
- Ci penseremo noi.
- E inoltre vorrei anche parlare con Caspar Wallenbach.
- Purtroppo è impossibile - disse Bromberg. - È morto ieri sera.
- Come?
- D'infarto, credo. E adesso se non avete altre domande...
- Ne avrei moltissime.
- In questo caso vi suggerisco di rivolgerle al Mio Signore Bland - disse Bromberg col suo solito sorriso. Si avviò alla porta, punzonò la combinazione e uscì.
Sable andò alla porta, provò ad aprirla, e non fu sorpreso nel constatare che senza combinazione non si apriva. Provò con le ampie finestre panoramiche del salotto, ma anche quelle erano bloccate e non c'era niente con cui spaccare i vetri, e inoltre l'idea di scendere per tredici piani lungo un muro liscio era tutt'altro che allettante.
Allora cominciò a ispezionare minuziosamente le stanze sentendosi come un animale in gabbia. Non c'erano oggetti religiosi di alcun genere, niente da leggere, niente radio né TV. Cassetti e armadi erano vuoti e anche nell'armadietto del bagno non c'era niente.
Andò al bar, trovò un cavatappi e per venti minuti tentò invano di forzare la serratura della porta. Si gingillò un poco con l'idea di rompere una bottiglia tanto per avere a portata di mano un'arma in caso di bisogno, ma ci rinunciò perché era più probabile che si ferisse lui stesso maneggiandola.
Così, invece di romperla, ne aprì una e si versò da bere. Ingollò il liquore d'un fiato, poi tentò di nuovo di aprire la porta senza esito e infine andò a fare una doccia. Si stava asciugando quando arrivò Bromberg per dirgli che Bland lo aspettava.
- Così lo vedrò davvero?
- Certamente.
- Cominciavo a sentirmi prigioniero.
- Oh, si tratta solo di precauzioni, per la vostra sicurezza. Nient'altro. Purtroppo sono ancora a piede libero alcuni elementi che rendono Tifereth poco sicura.
- Sono gli stessi elementi che hanno fatto venire l'infarto a Wallenbach? - chiese ironicamente Sable.
- Non saprei dirlo.
- Lo immaginavo. In quel momento eravate altrove e non ne sapete niente.
- Esatto. - Bromberg sfoderò il solito sorriso. - Siete pronto?
- Devo lasciare qui la mia borsa o posso portarla?
- Potete portarla con voi. Se la nebbia dovesse impedirvi di partire potreste sempre tornare qui, no?
Sable prese la borsa e seguì Bromberg all'ascensore. Arrivati nell'interrato sentì ancora il lezzo di putrefazione, ma non fece commenti e prese posto nel veicolo.
Il tragitto fu breve: due chilometri circa percorsi fra file e file di guardie armate. Infine si fermarono davanti al cancello di un ampio edificio che doveva essere una chiesa di Baal da cui erano stati tolti tutti i simboli religiosi. Bromberg diede la parola d'ordine, una guardia aprì il cancello e il veicolo percorse un lungo viale d'accesso fermandosi davanti a un portico.
- Siamo arrivati - disse Bromberg scendendo. - Datemi la borsa, ve la porto io.
- Come volete. - Sable seguì Bromberg all'ingresso. Varcarono un enorme portale di legno i cui battenti erano scolpiti con scene di depravazione e torture da un abile artista che evidentemente provava un'attrazione morbosa per i soggetti che aveva scelto. Varcata la soglia si trovarono in un atrio enorme con il pavimento e le pareti levigate dipinti di rosso, e guardie armate ogni due metri. Bromberg fece un cenno a una guardia che immediatamente lasciò il posto, si diresse verso un lungo corridoio, e pochi minuti dopo tornò. Fece un gesto, e Bromberg prese Sable per un braccio.
- Adesso vi riceve - sussurrò pilotandolo lungo il corridoio. In fondo c'era una pesante porta di ferro che fu aperta da una squadra di guardie. Infine i due entrarono insieme nella stanza.
Sable dovette trattenere un urto di vomito. L'odore di putrefazione era superato da quello pungente del sangue: il nauseabondo sentore salino di litri e litri di sangue.
Uomini e donne completamente nudi pendevano dalle travi che s'incrociavano sull'altissimo soffitto a cupola, alcuni erano appesi a ganci da macellaio, altri legati per i pollici, gli alluci, i genitali. Altri ancora erano crocifissi alle pareti o ammucchiati sul pavimento. Alcuni erano morti, ma la maggior parte davano ancora segni di vita anche se non erano più in condizioni di muoversi e nemmeno di gemere.
Sable fissava attonito la scena. A fatica si rese conto che Bromberg lo tirava per il braccio e infine si lasciò trascinare verso il centro della sala. Gli sembrava di essere un sonnambulo, di vivere un incubo. Poi una donna che era stata scuoiata viva allungò il braccio e lo afferrò a una caviglia, e lui si rese conto di essere sveglio, che quella era la realtà, che le orrende scene scolpite sul portale avevano qui la loro controparte nel reale.
In fondo alla sala, seduto su una comune sedia di legno c'era un uomo piuttosto piccolo, magro, coi capelli biondi come l'oro, avvolto in una veste candida. Quando Sable si costrinse ad avvicinarsi, vide che aveva un viso angelico, perfetto, dita lunghe e delicate, i capelli acconciati con cura, i lineamenti quasi femminei.
- Signor Sable - disse l'uomo con voce acuta quando Sable fu a un paio di metri da lui, - come siete stato gentile a venire!
- Siete Conrad Bland? - chiese Sable vincendo la tentazione di scappare senza voltarsi indietro.
- In carne e ossa! - disse Bland con un sorriso.
- Cosa sta succedendo qui? - trovò il coraggio di chiedere Sable.
- Niente che v'interessi. Ma io sono felice di vedervi.
Sable si guardò intorno. - Che razza di mattatoio è questo?
- Il genere che mi piace - rispose con la massima naturalezza Bland. - Col tempo piacerà anche a voi. Immagino abbiate indovinato che non abbiamo preso l'assassino.
- Naturalmente. Perché mi avete fatto venire?
- Per curiosità - rispose Bland ridendo. - Volevo vedere che tipo di uomo è quello che vorrebbe estradare un assassino da un mattatoio.
- Non sapevo... - mormorò Sable. - Nessuno sapeva...
- Sapranno, non temete. Sapranno tutti, senza eccezioni.
- E ora che ne sarà di me?
- Rimarrete a Tifereth come mio ospite - rispose Bland. - Mi affascinate. Davvero.
- Perché?
- Perché siete il primo individuo, a parte i miei mercenari, che si è sentito obbligato a proteggermi o prolungare la mia esistenza.
- Era mio dovere.
- Tanto meglio. Voi siete un uomo d'onore, integerrimo, ligio al dovere. In poche parole, siete il Nemico. Siete l'incarnazione di quello che io devo distruggere. Bisogna che vi studi bene, signor Sable. Sul serio.
- E se io non volessi restare qui? - chiese Sable costringendosi a non guardare l'orribile carnaio che lo circondava e a fissare in faccia Bland.
- Supposizione infondata - rise Bland. - Rimarrete qui come mio ospite volente o nolente.
- Per quanto?
- Finché non smetterete di divertirmi.
- E poi?
- Credo proprio che la risposta sia ovvia, signor Sable - rispose Bland.
Capitolo XVII
Se il sangue fosse verde, allora il verde sarebbe il mio colore preferito. (Conrad Bland)
Jenko si tenne alla larga dalle vie di Kether fino a sera. Poi, poco prima di mezzanotte, si mise di guardia nei pressi di un modesto ristorante aperto tutta la notte, nei sobborghi della città. Poco dopo arrivò un veicolo della polizia, da cui scesero due agenti che entrarono nel locale. Quando ne uscirono, dopo mezz'ora, lui li aspettava. Vi fu una breve e silenziosa colluttazione che non attirò l'attenzione degli altri avventori. Pochi attimi e tutto era finito. Dopo avere caricato i cadaveri nel cassone ed essersi appropriato delle loro armi, Jenko guidò il veicolo lungo la strada pressoché deserta da Kether a Yesod.
Era arrivato a trenta chilometri da Yesod, di cui vedeva baluginare in distanza le luci, quando una vettura priva di contrassegni varcò lo spartitraffico e cominciò a seguirlo. Poco dopo cominciò a suonare una sirena, una luce lampeggiò sul cruscotto e Jenko decise che fosse meglio fermarsi sulla banchina. Tutte e due le vetture si fermarono insieme e tre uomini scesero da quella che era priva di contrassegni.
- Fuori - ordinò uno dei tre.
Jenko scese.
- Cosa c'è? - chiese.
- Se non vi spiace le domande le facciamo noi - rispose l'uomo. - Perché andate a Yesod?
- Sono un agente della polizia di Kether, Parnell Burnam. Ho ricevuto l'incarico di andare a Yesod.
- A fare che?
- Se mi mostrate le credenziali sarò ben felice di dirvelo.
L'uomo estrasse il portafoglio e gli mostrò una tessera di plastica.
- Non vale - disse Jenko. - Appartenere a un Servizio di Sicurezza privato di Tifereth non vi dà il diritto di fermarmi e interrogarmi.
- Jason - disse l'uomo a uno dei suoi colleghi, - chiama Kether e vedi se hanno un agente che si chiama Parnell Burnam.
- Non occorre disturbarsi tanto - si affrettò a dire Jenko. - Per essere sincero avrei dovuto esserci già da qualche ora, ma mi sono fermato a bere poco fuori Kether e ho perso la nozione del tempo.
- Questo è un vostro problema.
- Sentite - insisté lui. - Mi farete passare un sacco di guai se scopriranno che sto arrivando solo adesso a Yesod. Contentatevi che vi mostri i miei documenti, e lasciatemi andare.
- Bene, fate vedere.
Jenko si mise a frugare nervosamente nella tasca interna della giacca come se cercasse la tessera, poi estrasse una delle armi che aveva tolto ai poliziotti uccisi e sparò a bruciapelo. L'uomo morì senza un grido e un attimo dopo anche i suoi compagni cadevano a terra esanimi.
Jenko risalì a bordo della vettura della polizia, sparò un colpo nella radio, poi frugò i tre cadaveri finché non ebbe trovato le chiavi della loro macchina. Trascinò i corpi fuori dalla strada mentre cominciava a piovigginare, salì a bordo e ripartì per Yesod.
Yesod era una cittadina molto raccolta, caratterizzata da un'architettura gotico-vittoriana, con pinnacoli, guglie e strade acciottolate; il tutto, nuovo di zecca, ma con l'aspirazione segreta di sembrare vecchio di secoli. Aveva percorsi due chilometri circa all'interno della città quando la radio di bordo cominciò a segnalare. Siccome non sapeva il codice d'identificazione o la parola d'ordine, la ignorò ma dopo altri quattro chilometri sentì alle sue spalle le sirene delle macchine della polizia.
Accelerò destreggiandosi nel traffico scarso facendo stridere i pneumatici a ogni curva... inutilmente perché ben cinque macchine lo inseguivano svegliando tutta la zona col suono acuto delle sirene e i lampeggianti. Jenko sapeva che dovevano essere in contatto fra loro e che fra un paio di minuti lo avrebbero bloccato.
S'infilò in un vicolo, rallentò un poco, aprì la portiera, afferrò la borsa del trucco e saltò a terra rotolando su se stesso. Si rialzò subito, immobilizzandosi, mentre tre macchine della polizia gli sfrecciavano davanti. Sentì la sua fracassarsi qualche decina di metri più avanti, poi partì di corsa fra due case vittoriane e sboccò in una strada prima che qualche abitante del vicolo avesse avuto il tempo di scendere per vedere cosa fosse successo.
Percorse rapidamente tutta la strada voltando a destra a fine isolato e poi tornò nel vicolo. Adesso si era radunata una piccola folla sul luogo dell'incidente. Molti avevano l'ombrello, altri erano in pigiama o vestaglia. Due vetture della polizia se n'erano già andate quando lui si unì al crocchio, e lui intuì che stavano cercando il fuggiasco. Un poliziotto della macchina rimasta stava chiedendo agli astanti se avevano visto scappare qualcuno prima che il veicolo inseguito si sfasciasse contro un muro. Poco dopo il crocchio fu disperso perché nessuno aveva qualcosa di utile da rivelare.
Jenko rifece la strada percorsa poco prima, e poiché c'erano parecchie macchine della polizia che continuavano a pattugliare la zona, decise di mettersi al riparo prima di attirare l'attenzione. Un isolato più avanti scorse una chiesa e vi si diresse con l'intenzione di restarci finché la polizia non avesse rinunciato a cercarlo. Quando vi arrivò vide che i simboli sulla porta e sui muri erano identici a quelli della Chiesa di Satana dove si era recato con Ubusuku ad Amaymon, e appena entrato cercò qualche indicazione che lo guidasse alla Galleria dei Laici. Non avendone trovate aprì la porta della chiesa vera e propria. Un uomo in fondo alla navata gli diede un mantello e un cappuccio con simboli satanici e cabalistici, dal che Jenko dedusse che nella Chiesa di Satana di Yesod non c'erano Laici.
La chiesa era semivuota e lui prese posto in un banco sul fondo, chinando la testa come se fosse immerso nella preghiera. Mancava circa un'ora all'alba, e lui decise di restare in chiesa fino a dopo mezzogiorno.
Di tanto in tanto entravano un uomo o una donna che dopo essersi accostati all'altare di onice ed essersi genuflessi andavano a sedersi in un banco. Non c'erano sacerdoti e l'unico dipendente della chiesa era l'uomo che consegnava e poi ritirava i mantelli e i cappucci.
Jenko rimase dove si trovava per più di un'ora, poi, siccome la chiesa cominciava ad affollarsi, si alzò, andò a restituire mantello e cappuccio e si diresse alla toilette. Qui cambiò rapidamente identità, e aspettò un'altra ora. Tornato in chiesa, vide che l'uomo addetto alla distribuzione dei paramenti era cambiato, e dopo essersi fatto dare mantello e cappuccio andò a sedersi in una delle prime file. Il numero dei fedeli era in continuo aumento, e verso mezzogiorno la chiesa era già piena. A mezzogiorno in punto risuonò un colpo di gong e un sacerdote incappucciato di nero si avviò all'altare.
- Reciteremo la Diciottesima Chiave di Enoch - annunciò, e prese a cantilenare in una lingua sconosciuta a Jenko, ma che gli altri presenti ripeterono con naturalezza.
Quando il canto fu terminato risuonò di nuovo il gong, e il sacerdote alzò la mano per intimare silenzio.
- O tu potente luce e ardente fiamma di consolazione che sveli le glorie di Satana al centro della Terra - intonò, - sii tu una finestra di consolazione per me. Muoviti dunque e appari! Apri i misteri del tuo Creato! Sii amichevole con me, perché io sono il vero, il puro, il sincero adoratore del supremo e ineffabile Re degli Inferi!
La congregazione rispose col grido di «Hail Satana» e «Regie Satanis» e poi tornò il silenzio.
- Fratelli miei - continuò il sacerdote togliendosi il cappuccio, - avevo preparato un sermone, per oggi, ma non lo pronuncerò. Abbiamo cose più importanti da fare. - Fece una pausa a effetto, per poi tuonare: - Un assassino assoldato dalla Repubblica per uccidere il Messia Nero si trova a Yesod in questo momento!
Seguì uno sbalordito silenzio.
- Bisogna fermarlo! - gridò il sacerdote. - Non dobbiamo permettergli di avvicinarsi a Conrad Bland. Dicono che sia un abilissimo trasformista, perciò dovete dubitare di tutti, dei vostri vicini, dei vostri amici, perfino dei vostri familiari. Sparate prima, e chiedete poi. È meglio che muoiano mille innocenti piuttosto che consentire a quell'uomo di lasciare Yesod. Se esitate, se non agite, non siete veri Satanisti, non appartenete a questa Chiesa!
Dalla folla dei fedeli si levarono mormorii mentre ognuno scrutava sospettoso il suo vicino.
- Dobbiamo chiedere aiuto, forza, guida! - continuò a tuonare il sacerdote. - Dobbiamo offrire un Sacrificio di Supplica! - Fissò il pubblico che si era fatto attento. - Chi si offre?
Cinque giovani, un vecchio e una donna di mezza età, si alzarono immediatamente. Altre tre donne e un altro uomo ne seguirono poco dopo l'esempio.
- Molto bene - disse il prete. - Non sia mai detto che i membri della nostra Chiesa mancano di zelo. - Indicò uno dei giovani, che si avvicinò all'altare, mentre gli altri tornavano a sedersi.
- Oggi tu siederai alla sinistra di Nostro Signore Lucifero - disse il sacerdote, e il giovane con lo sguardo allucinato e l'espressione esaltata annuì con forza.
- E chi vibrerà il colpo? - gridò il sacerdote. Questa volta s'alzarono tutti; Jenko li imitò dopo un istante.
Il sacerdote indicò una donna anziana nel terzo banco, che si affrettò a raggiungerlo.
- Con questa lama consacrata tu ti presenterai a Nostro Signore Lucifero con la nostra supplica - disse, porgendo alla donna un pugnale.
Il giovane si spogliò e rimase ritto davanti alla congregazione, con le mani intrecciate dietro la schiena.
- Canterete tutti insieme a me il Canto della Supplica - disse il prete, e cominciò a intonare un'altra melodia accompagnato dal coro degli astanti. La vecchia raccolse il mantello intorno a sé in modo da coprire interamente il vestito, poi toccò cinque punti immaginari nell'aria con il pugnale, lo puntò contro il ventre del giovane e lo spinse, dal basso in alto. Il giovane urlò di dolore, gorgogliò, sputò una boccata di sangue, ma rimase in piedi.
- Satana ci sorride - gridò il sacerdote. - Quanto più Nostro Signore Lucifero godrà delle sofferenze tanto più coronerà i nostri sforzi. Regie Satanis!
Il giovane cadde in ginocchio, fissando il prete, che lo ignorò, con occhi vitrei.
- Ascoltami, Lucifero! - gridò il prete. - Accogli la nostra supplica, accetta il nostro sacrificio! Rendi acuti i nostri occhi, potenti le nostre braccia, distruggi i nostri nemici!
Il giovane cadde bocconi, sussultò per qualche istante, poi rimase immobile.
La cerimonia continuò ancora per un'ora trasformandosi in una versione più sordida e oscena della Messa Nera a cui Jenko aveva assistito ad Amaymon.
Questa volta l'altare vivente era una ragazza di quindici anni che fu portata davanti alla congregazione dove venne denudata, legata all'altare di onice, e sodomizzata dal prete e da tre fedeli. Quando tutto fu finito, lei giacque immobile, a parte il rapido sollevarsi e abbassarsi dei seni, mentre le venivano saldate sulle mani con gocce di cera due candele nere.
Poi comparve una suora col seno nudo, che orinò in una coppa. Il sacerdote depose la coppa sul ventre della ragazza e dopo altri canti, il prete e altri tre uomini bevvero il contenuto della coppa.
Quindi il prete prese una frusta dalle mani della monaca e cominciò a frustare la ragazza e i tre uomini, accompagnando i colpi col canto. Subito dopo un uomo nudo con la maschera di caprone balzò nel pentagramma che era stato tracciato con una rapa nera intinta nell'urina, prese la frusta dal sacerdote, flagellò con forza la ragazza e diede inizio a una serie di grottesche contorsioni spingendo avanti e indietro il basso ventre. La ragazza fu di nuovo sodomizzata e a ogni spinta la congregazione intonava: Ave Satanis. Poi l'uomo prese una candela spenta, la inserì prima nella vagina e poi nell'ano della ragazza, la tolse e fuggì nell'ombra che circondava il pentagramma.
La partenza dell'uomo che aveva incarnato Satana fu il segnale dell'orgia a cui si abbandonò tutta la congregazione e a cui anche Jenko dovette unirsi. Si denudò, prese una frusta che qualcuno gli porgeva, seguì gli altri all'altare, e cercò di ignorare il dolore delle frustate che lo colpivano sferzando a sua volta con gran vigore quelli che gli capitavano a tiro. Poi trovò una ragazza piuttosto attraente che era stata abbandonata dall'uomo che si era unito a lei, e la trascinò sul pavimento. Stava per possederla in modo normale - posto che la normalità fosse possibile in quelle circostanze - quando, guardandosi intorno, vide che i normali rapporti sessuali erano banditi dalla cerimonia. Si affrettò allora a rigirare la ragazza e la sodomizzò mentre lei urlava a pieni polmoni strofe Enochiane.
Altre frustate lo colpirono mentre stava per lasciare la ragazza, e scoprì che le sue prestazioni non erano ancora terminate. Nella successiva mezz'ora, con svariati partners d'ambo i sessi, si ritrovò a dovere partecipare ad atti tanto degradanti che finora aveva creduto esistessero solo nella fantasia contorta dei più volgari pornografi della Repubblica. Ma poiché l'alternativa era la rivelazione della sua identità, vi si adattò con la freddezza e l'efficienza con cui compiva di solito un delitto.
Quando cominciava a chiedersi per quanto ancora sarebbe riuscito a resistere, suonò il gong, e tutti, uomini e donne, senza degnare di uno sguardo i partners occasionali, tornarono ai loro posti fisicamente ed emotivamente esausti. Dopo avere ripreso fiato, essersi rivestiti e ricomposti, cantarono e pregarono per un'altra ventina di minuti insieme al sacerdote. Finalmente questi li esortò ancora una volta a catturare l'assassino e si allontanò. Una donna incappucciata di nero, che portava una cassetta di pronto soccorso, si avvicinò alla ragazza legata all'altare e la medicò, mentre due inservienti raccolsero il cadavere del giovane che era stato sacrificato e lo portarono via. La gente cominciò a sfilare verso l'uscita. Jenko si unì alla folla, restituì mantello e cappuccio e uscì. La maggior parte dei congregazionisti si diresse verso il vicino parcheggio e Jenko li seguì senza fretta. Quando l'ultimo si fu allontanato, esaminò le poche auto rimaste, ne scelse una che invece del normale sistema di accensione aveva il motore che funzionava mediante un congegno collegato a un computer, lo forzò e uscì dal parcheggio. Attraversando il centro si diresse a nord, sempre tenendosi sulla corsia di traffico più lento, poi sterzò a ovest una volta superate la zona commerciale e quella industriale.
Poco dopo scorse un furgone con la vistosa insegna «Trasporto Aereo Merci» e lo seguì cercando di non farsi notare. Il furgone si fermò più volte a raccogliere pacchi e casse, ma Jenko era certo che presto o tardi si sarebbe diretto all'aeroporto, dove infatti arrivò poco dopo il tramonto. Jenko parcheggiò a una certa distanza dal terminal di carico delle merci, si avvicinò di soppiatto al furgone, aspettò che il conducente scendesse per aprire lo sportellone posteriore e scaricare le merci e lo eliminò in modo rapido e incruento. Si appropriò dei suoi indumenti e della carta d'identità, poi si truccò in modo da somigliargli. Prese un paio di pacchetti, chiuse il cadavere del conducente nel retro del furgone, e si recò all'ufficio spedizioni dopo essersi appuntato sul petto il documento d'identità. Mentre aspettava in fila con altri spedizionieri, guardò l'orario dei voli affisso alla parete, e vide che un aereo partiva fra meno di mezz'ora per Hod.
Era meglio di quanto avesse sperato, perché Hod si trovava a soli cinquecento chilometri da Tifereth. Se riusciva a salire su quell'aereo avrebbe evitato di dovere passare attraverso molte altre città. Uscì un momento, cambiò l'indirizzo sui pacchi in modo che risultasse che fossero diretti a Hod, poi aspettò un quarto d'ora e rientrò. Non c'era più nessuno e lui andò direttamente dall'impiegato.
- Cos'hai di bello, oggi? - gli chiese questi.
- Due pacchi urgenti per Hod - rispose lui.
- Mah! - sospirò l'altro. - L'aereo è già carico e partirà fra pochi minuti.
- Senti, non so cosa diavolo ci sia in questi pacchi, ma so che se non arrivano entro stasera a Hod perderò il posto. Non puoi aiutarmi?
- Sono proprio tanto importanti? - chiese l'impiegato fregandosi il mento.
Jenko annuì.
- E va bene! Dirò via radio al pilota di aprire un portello e aspettarti. Vai alla pista sette.
Jenko lo ringraziò calorosamente, risalì sul furgone e si portò sulla pista 7 dove l'aereo aveva già acceso i motori. Scese a terra, salutò con un gesto il pilota e gettò pacchi e borsa del trucco nella stiva.
- Finito? - chiese il pilota.
- Finito! - gridò Jenko per farsi sentire sopra il rombo dei motori.
Aspettò finché il pilota non premette il pulsante che faceva chiudere lentamente il portello poi, con un balzo, si tuffò nella stiva.
Avrebbe preferito uccidere il pilota piuttosto che rischiare di essere scoperto all'arrivo, ma, pur sapendo pilotare un'astronave, non era capace di pilotare un aereo.
Poco dopo l'apparecchio si levò in volo diretto alla lontana città di Hod, e Jenko si chiese se il contatto di Lucia Bianca in quella città fosse ancora vivo.
Capitolo XVIII
La tortura, come il violino, non è che uno strumento. Solo nelle mani di un maestro diventa forma d'arte. (Conrad Bland)
Sable aveva trascorso una notte pressoché insonne in una stanzetta nella torre di una chiesa. Sebbene non lussuosa come l'albergo dove era stato incarcerato per qualche ora, la stanza non mancava di niente... a parte la libertà. La porta era d'acciaio, la serratura era dotata di una combinazione che poteva essere punzonata solo dall'esterno, e due uomini muscolosi stavano di guardia ai suoi lati. I pochi momenti di sonno di cui John Sable aveva potuto godere erano stati interrotti dalle urla e dai gemiti dei moribondi, e l'onnipresente lezzo di morte non aveva cessato un attimo di ricordargli dove si trovava.
Un'ora dopo che i raggi del sole avevano cominciato a filtrare attraverso le sbarre della finestra, la porta si aprì e Sable fu scortato lungo una scala tortuosa, fra decine di corpi torturati, morti e moribondi, fino a una porta che dava su un sentiero lastricato. Molti uccelli svolazzavano attratti dall'odore dei cadaveri in decomposizione nel cielo terso e luminoso. Dopo avere percorso circa cinquanta metri, arrivarono a una piccola canonica sorvegliata da un folto gruppo di guardie e Sable fu sospinto rudemente all'interno. Bland lo aspettava, seduto in un'ampia biblioteca piena di libri e di nastri registrati provenienti da tutte le parti della Repubblica.
Un complesso ottofonico suonava le melodie agrodolci di una sinfonia che Sable non riuscì a identificare sebbene gli sembrasse di averla già sentita.
- Buongiorno, signor Sable - disse Bland cordialmente. - Mi auguro che abbiate dormito bene.
- Bene come ci si poteva aspettare - rispose Sable guardandosi in giro. Fra i libri e i nastri c'erano numerosi quadri e statuine, nessuno di carattere demoniaco né che alludesse alla carriera sanguinaria di Bland.
- Accomodatevi - disse questi indicando un seggiolone di fronte a lui. - Mi scuso per la modestia del mio domicilio, ma a volte bisogna adattarsi alle circostanze.
- Non è detto però che debbano piacere.
- Andiamo, signor Sable, non siete cordiale né divertente, e non dovete dimenticare che l'unico scopo della vostra presenza qui è di divertirmi.
- O assecondarvi.
- Mi credete pazzo? - rise Bland. - Be', perché no? È bene che il nemico mi sottovaluti. Ma voglio dirvi una cosa, signor Sable: quando avevo dodici anni mi portarono da uno psichiatra perché mia madre mi aveva scoperto mentre vivisezionavo il nostro cane. Sono forse l'unica persona di vostra conoscenza in possesso di un certificato di perfetta sanità mentale. - E rise fragorosamente a queste parole.
- Il vostro psichiatra aveva un'idea strana degli innocenti scherzi infantili - replicò Sable osservando Bland, convinto che avrebbe reagito. Invece tutto quello che ottenne fu un sorriso.
- Be', sono sicuro che se fosse vivo apprezzerebbe la vostra opinione. Ma lo uccisi quando avevo tredici anni. - Sable giudicò più opportuno non fare altri commenti, ma Bland, che si divertiva vedendo che Sable era ansioso di saperne di più, lo stuzzicò chiedendo: - Non vi incuriosisce sapere perché lo uccisi?
- Se proprio ci tenete a dirmelo...
- Sapevo che mi aspettava un destino magnifico, eccezionale. Non sapevo quale, ma fin da allora sapevo che non volevo fra i piedi gente capace di identificarmi o di fornire informazioni sul mio conto ai miei nemici. Per lo stesso motivo uccisi i miei genitori, ma a parte questo e qualche altro piccolo incidente, la mia fu un'adolescenza normale. Comunque, basta parlare di me, signor Sable. Ditemi qualcosa di voi.
- Cosa, per esempio? - chiese Sable scrutando porte e finestre.
- Per esempio perché chiunque, o per essere più preciso, una persona morale come voi, mi vorrebbe proteggere? Fra parentesi, vi esorto a non cercare di fuggire; trovereste la vita molto meno piacevole e più breve se usciste da questa casa senza il mio consenso.
Sable sospirò per scaricare la tensione. Forse Bland era pazzo, ma non certo stupido e non sarebbe vissuto fino a quel giorno se non fosse stato prudente. Lo prese quindi in parola e rinunciò a qualsiasi sia pur vago tentativo di fuga.
- Sono un funzionario di polizia, e ho giurato di servire la legge. Quando ho scoperto che la Repubblica voleva assassinare un uomo a cui il mio governo aveva dato asilo, sentii che era mio dovere impedirlo.
- E lo fareste ancora, dopo essere stato a Tifereth?
Sable lo fissò, trasse un profondo respiro, e rispose: - Adesso non alzerei neanche un dito per proteggervi.
- Davvero? - replicò con aria divertita Bland. - Sapete quanti innocenti ha ucciso il vostro assassino da che si trova su Walpurgis?
- Sei.
- Siete in arretrato, signor Sable. Adesso il totale assomma a quattordici e forse anche più.
- Non l'avete ancora preso?
- Lo prenderemo presto.
- Dov'è?
- Da qualche parte fra Kether e Tifereth. Forse a Yesod.
- È arrivato così lontano?
- È molto abile ed esperto. Ma naturalmente non è ancora abbastanza vicino da darmi fastidio. Quando verrà il momento, e arriverà molto presto, lo fermeremo. Ma ditemi, signor Sable, perché non volete più ostacolare un assassino professionista, un sicario pagato per uccidere che lascia dietro di sé una scia di vittime innocenti?
- La vostra morale disapprova che si uccidano degli innocenti?
- Mi sta rubando il mestiere! - strillò Bland con gli occhi fiammeggianti e la faccia contratta dall'ira. Ma subito si ricompose, e disse: - Scusatemi. Sono molto geloso delle mie prerogative e a volte reagisco in modo esagerato.
Si sentì ronzare l'interfono e Bland andò a rispondere. - Sì?
- Signore - disse la voce di Bromberg, - non ci sono dubbi: è fuggito da Yesod.
- Me l'immaginavo - rispose calmo Bland. - La città più vicina è Netsah, vero? Quanto impiegherà per raggiungerla?
- Tre o quattro ore.
- Aspettate cinque ore e poi distruggetela.
- Tutta la città?
Bland non si degnò di rispondere e chiuse la comunicazione.
- E questo è quanto, per il vostro assassino, signor Sable - disse poi. - Posso offrirvi da bere?
Sable fece un cenno di diniego.
- Come volete... Ma mi sembrate turbato. Pensate alla distruzione di Netsah?
- Voi state uccidendo migliaia di innocenti - ribatté Sable dominandosi a stento.
- Sono solo gente qualunque. Prima o poi morirebbero comunque. Qualcuno, come voi per esempio, mi diverte, altri, come il vostro tanto decantato assassino, mi sfidano. Ma devo confessare che non mi importa niente di voi. - Indicò libri e nastri. - Il meglio dell'Uomo, tutto quello che vale, è lì. Il resto non è che carne.
- Come i vostri genitori?
- Signor Sable, mi avete colpito nel vivo. Per dire la verità mi vergogno di averli uccisi.
- E allora perché l'avete fatto?
- Lasciate che vi spieghi. Non rimpiango la loro morte, ma come sono morti. Mi sono comportato come un animale da preda, o come... - aggiunse con un sorriso, - come un assassino della Repubblica. I miei genitori erano le due persone di cui avrei più goduto le sofferenze, e invece li ho fatti fuori in fretta, di nascosto, senza lasciare tracce. Non seppero mai cosa accadde loro, e di conseguenza io non ho mai assaporato l'emozione della loro agonia. In questi ultimi anni sono diventato più abile, ma, ahimè, non si possono uccidere i propri genitori più di una volta.
Sable si sforzò di non lasciare trapelare il suo disgusto e il suo orrore, e pensò bene di non fare commenti.
- Mi sembrate turbato, signor Sable. Non ce n'è bisogno. È insito nella mia natura fare certe cose, ed è la mia forza farle bene. Distruggo perché l'unica alternativa consiste nel non distruggere e questo lo trovo sgradevole. Ditemi la verità, non avete mai desiderato di uccidere i vostri genitori oppure vostra moglie o i vostri figli?
- Ma certo - rispose Sable. - Tutti hanno di queste idee a volte, ma si tratta solo di un impulso animale che si vince facilmente.
- Ah, ma nel caso che qualcuno preferisca non vincerlo? Se invece lo segue? Cosa non potrebbe fare quell'uomo posto che sia dotato di intelligenza, impulso e ne abbia l'occasione?
- Per dirne una potrebbe convincersi che non sarebbe bene seguire quell'impulso.
- Meraviglioso! - esclamò Bland battendo le mani. - Sapevo che avreste finito col divertirmi. Come posso ricompensarvi? Ah, ci sono! Potete chiedermi tutto ciò che desiderate senza timore di ritorsioni, nei prossimi cinque minuti. Sono sicuro che avete una nutrita riserva di domande.
- Cominciamo da una delle più semplici - disse Sable che dal canto suo non era del tutto sicuro che una domanda sgradita non avrebbe provocato ritorsioni. - Qual è il vostro scopo, impadronirvi di Walpurgis?
Bland rise scrollando la testa.
- Allora... di tutta la Repubblica?
- Mio caro signor Sable, come mi avete frainteso, nella vostra ignoranza! Io non voglio impadronirmi di niente, non voglio conquistare niente. Non ho il desiderio né la capacità di governare nessun impero.
- E allora perché tutti questi massacri?
- Non dovete confondere le guerre di conquista con le guerre di distruzione.
Andò a una finestra e l'aprì e Sable sentì provenire dalla chiesa le urla e i gemiti delle vittime di Bland.
- Sentite? - gli chiese Bland con gli occhi lustri. - Questa è la sinfonia che preferisco, signor Sable.
E insieme ai rumori la brezza calda portava l'odore di carne marcia in putrefazione, di sangue, di morte. Sable ne era nauseato. Dovette ammettere però, con stupore, che ormai ci si stava quasi abituando.; Cominciò a capire come le guardie di Bland potessero finire col perdere la propria obiettività e arrivare ad amare il proprio lugubre lavoro. Solo quando si usciva dal mattatoio e poi ci si rientrava si cominciava a rendersi conto della portata di quanto stava succedendo.
- Ma perché siete venuto proprio su Walpurgis? - chiese, coprendosi naso e bocca col fazzoletto finché Bland, anche se con riluttanza, non chiuse la finestra e tornò a sedersi con un sospiro di rammarico.
- Questo è un mondo che adora Satana - spiegò. - Io sono nato per venire qui e questo pianeta è nato per avermi. Siamo fatti l'uno per l'altro. È stato un connubio perfetto e continuerà ad esserlo finché io non ucciderò la sposa - Sable che tratteneva a stento il vomito, non disse niente e dopo un momento Bland continuò: - Per essere sincero fino in fondo, vi dirò che per me il satanismo e l'adorazione del diavolo sono, se possibile, ancora più idioti dell'adorazione di Dio, ma se il pianeta ci crede e posso servirmi di questo a mio vantaggio, non ho obiezioni in proposito. Non dimenticate che a offrirmi per primi rifugio sono stati i vostri sacerdoti, i vostri capi morali. E ora sono convinti di rendersi grati ai miei occhi proclamandomi il loro Messia Nero - rise. - Che bisogno ha Satana di servi?
- Voi ne avete - gli fece notare Sable. - Bromberg e gli altri.
- Ma prima di avere finito li sopprimerò. Non mi aspetterei di meno, da Satana, né se lo aspetterebbe il vostro clero. - Guardò l'ora. - Ah, ma vedo che la nostra piccola discussione è giunta al termine. Stanno per avere inizio alcune cerimonie a cui devo partecipare. Volete venire anche voi?
- Preferirei di no.
- Come volete - disse Bland alzandosi. - Dopo che sarò uscito le guardie vi riaccompagneranno al vostro alloggio. Potete ordinare quello che volete nel nostro limitato menu, e naturalmente la mia biblioteca è a vostra disposizione. Nel frattempo vi suggerirei di preparare un elenco dei membri del vostro governo civile che mi sono ostili e che potrebbero essere convinti a venirvi a trovare mentre siete mio ospite qui a Tifereth.
Sable stava per rispondere, ma Bland lo fece tacere con un gesto. - Avete mai sentito parlare di Cambria III, signor Sable?
- No.
- Ho avuto l'occasione di soggiornarci per quasi un anno, dopo che sono stato costretto a fuggire da New Rhodesia. Non furono mesi completamente sprecati, perché avevo alcune teorie che volevo mettere alla prova. Uccisi tremila uomini, su Cambria, tremila diciassette, per la precisione. Ognuno di loro dichiarò fermamente che non avrebbe mai fatto certe cose, che non avrebbe mai rivelato un segreto, che non avrebbe mai ceduto e invece tutti, senza una sola eccezione, fecero quelle cose, rivelarono i segreti e cedettero. Erano uomini forti, signor Sable, molto più forti di voi e non erano indeboliti dalla religione o dal senso del dovere. Pensateci, signor Sable, prima del nostro prossimo incontro.
Capitolo XIX
Il male non ammette alternative. (Conrad Bland)
La parte meridionale di Hod non era solo una macelleria, ma anche una rosticceria.
Jenko non ebbe difficoltà a sbarcare di nascosto dall'aereo e uscire dall'aeroporto. Il suo problema, adesso, consisteva nel cercare di darsi una spiegazione del perché Hod era stata semidistrutta. Fiorente città di circa 200.000 abitanti, ricca di imponenti edifici, piena di attività, si era vista dimezzare la popolazione, le case erano state bombardate e bruciate, le strade sconvolte. Jenko era sicuro che Bland non poteva essersi aspettato che lui vi arrivasse così presto, quindi quella spietata distruzione era attribuibile al capriccio morboso e sanguinario di Bland.
Le strade erano cosparse di rifiuti, vetri frantumati e carcasse incendiate di veicoli di tutte le forme e dimensioni. E in mezzo alle rovine c'erano i cadaveri di persone colpite da proiettili, sgozzate, carbonizzate al punto da essere irriconoscibili.
Jenko era a meno di un chilometro dall'aeroporto quando si rese conto che la vista di un uomo in perfette condizioni fisiche avrebbe attirato l'attenzione più di qualsiasi altra cosa. Entrò allora nello scheletro annerito di una palazzina e si mise all'opera... per uscire dopo qualche minuto con segni di ustioni su tutto il corpo e il braccio sinistro avvolto in una benda sporca di sangue, i vestiti stracciati e sporchi, zoppicando penosamente. Poi, con espressione attonita e vacua, si rimise in cammino.
Con sua sorpresa incontrò persone in condizioni peggiori di quelle che sembravano le sue. I malati, i feriti, i mutilati non gli badavano e non c'era nessun altro in giro che potesse o volesse informarsi sulla sua identità.
Di tanto in tanto si sentiva in lontananza il fragore di un'esplosione, ma dal momento che la città non era stata occupata ma solo distrutta, Jenko non capiva contro chi fossero diretti quei colpi.
Zoppicò per sette chilometri circa in mezzo alle macerie e ai cadaveri. C'era stato un massiccio bombardamento, ma i piloti che avevano sganciato le bombe non erano stati molto accurati. Certi rioni erano stati colpiti tre o quattro volte, mentre altri - pochi in verità - erano rimasti intatti. Ma anche in quelle zone la gente che vagava per le strade non era in condizioni migliori.
Jenko non sapeva dove cominciare a cercare il suo contatto, ma gli pareva logico che se quella donna era viva doveva trovarsi in una zona intatta della città. Perlustrò la più vasta di quelle zone senza successo e trascorse la notte nell'atrio di un albergo semidistrutto. La mattina dopo cominciò a perlustrare un'altra zona. Il cannoneggiamento era sempre più intenso e un paio di volte le bombe caddero così vicino che lui si gettò istintivamente a terra per ripararsi. Finalmente, verso mezzogiorno, trovò quel che cercava: lo studio di una chiromante, con la porta sbarrata e la foto di una donna vestita di bianco in una vetrinetta. Jenko aspettò che i rari passanti si fossero allontanati, forzò la serratura ed entrò in una piccola anticamera. Di qui, stando all'erta e con le orecchie tese, passò nella stanza adiacente scostando una tenda di perline.
Una donna di mezza età sedeva accanto alla finestra guardando con occhi spenti in un vicolo.
- È chiuso - disse senza voltarsi.
- Non per me - rispose Jenko mettendosi a sedere.
La donna si voltò a guardarlo. - Voi avete bisogno di un medico, se ce ne sono ancora, non di una veggente.
- Lasciate giudicare a me - disse Jenko giocherellando con un mazzo di tarocchi posato su un tavolino pentagonale. - Secondo Lucia Bianca ho bisogno di una veggente.
- Sei Jenko? - chiese lei esitante, fissandolo.
Lui annuì.
- Che cosa ti è successo?
- Niente.
- Ma sei tutto... - s'interruppe bruscamente. - Ma è naturale, chi potrebbe dare meno nell'occhio di un bue, in un mattatoio?
- Perché Lucia Bianca non ti ha detto come mi sarei travestito? Credevo che mi seguisse passo passo.
- È molto malata - spiegò la donna.
- Cosa le è successo?
- Un infarto, la vecchiaia, chi lo sa? Ogni tanto si mette in contatto, ma i suoi pensieri sono incoerenti e sconnessi. Temo che sia moribonda.
- È riuscita almeno a dire qualcosa di utile nei momenti di lucidità?
- Sì. L'unica città fra qui e Tifereth dove hai una sia pur minima possibilità di sopravvivere è Binah.
- Binah - ripeté lui. - Si trova a soli centocinquanta chilometri da Tifereth, no?
Lei annuì.
- A proposito perché continuano a bombardare?
- Per causa tua.
- Mia?
- Ieri pomeriggio Bland ha immaginato che tu avessi oltrepassato Netsah e che stessi dirigendoti a Hod. Ha fatto annunciare ai suoi uomini che se non fossi stato ucciso a Hod avrebbe fatto distruggere quanto restava della città. Finora hanno ucciso metà della popolazione sperando che fra le vittime ci fossi anche tu. Ma aveva già bombardato Hod un paio di settimane fa, quando ancora ignorava la tua esistenza, per il puro gusto di distruggere e tornerà a farlo.
- Ci sono molti suoi uomini, qui?
- Poco meno di duemila.
- E come viaggiano da qui a Binah?
- Aspetta che lo chiedo a Lucia Bianca - rispose lei chiudendo gli occhi e corrugando la fronte. - Inutile - rispose dopo un momento riaprendo gli occhi. - Sragiona. I pensieri che trasmette non hanno senso.
- Pazienza. Forse potrai dirmi tu un paio di cose senza l'intervento di Lucia Bianca.
- Proverò.
- In primo luogo, come mai la gente, qui, non si è ribellata, non ha sferrato un attacco contro Tifereth o almeno non ha cercato di fuggire?
- Devi renderti conto che adorano Conrad Bland. È il loro Messia Nero e ai loro occhi tutto quello che fa è lecito. Se pensa che Hod debba essere distrutta e la sua popolazione annientata, deve avere ragione. Qui non esistono i blandi adoratori del diavolo che puoi avere conosciuto ad Amaymon o perfino a Kether. Questi sono veri Satanisti, con tutto quello che questo implica. Credono nel potere e nella forza del Male, venerano il tradimento, l'inganno, la depravazione, vivono nel peccato e nella corruzione e non potrebbero mai comportarsi diversamente. Si uccidono a vicenda con la massima naturalezza, non hanno paura della morte, e sono pronti a servire Lucifero negli abissi dell'Inferno.
- Ma è assurdo! Nessuno desidera di morire. Anche gli antichi martiri, sulla Terra, se avessero potuto scegliere, avrebbero preferito cambiare vita senza morire.
- È vero - rispose lei, - ma la loro fede non glorificava la morte e la sofferenza.
- Glorificavano Gesù, che fu torturato sulla croce - precisò Jenko.
- Perché Gesù patì per loro. Nessuno soffre per i Satanisti.
- È pazzesco - insisté lui.
- Credi che Conrad Bland potrebbe fare quello che ha fatto e che fa in un mondo normale?
Jenko alzò le spalle. - Ascolta bene la mia domanda, adesso. Con tutto quello che è successo, credi che troverò un contatto a Binah?
- Sì, se riesci ad arrivarci. La mia compagna è ancora viva. Si chiama Celia.
Lui ci pensò sopra un momento, poi scrollò la testa. - Non vale la pena di rischiare se Lucia Bianca non connette più.
- Come ti ho detto, ha ancora dei momenti di lucidità. Forse sarebbe più rischioso non mettersi in contatto con Celia.
- Lo terrò presente - rispose senza darci peso Jenko. - Un'ultima domanda: fra qui e Binah circolano ancora mezzi privati?
- No, che io sappia. Può darsi di sì, ma ne dubito.
- Bene, credo che non ci sia altro - disse lui alzandosi. - E tu sei al sicuro, qui?
- Molto più di quanto non lo sarai tu, ovunque andrai - rispose la donna.
Lui abbozzò un mezzo sorriso, e uscì zoppicando in strada.
Continuò a vagabondare per la città, occhi, orecchie e naso all'erta, ignorando volutamente la morte, la distruzione e la sofferenza che lo circondavano, tutto preso com'era dall'idea di trovare il modo di uscire da Hod. Infine, verso metà pomeriggio, oltrepassò un paio di camion militari sorvegliati da un folto gruppo di guardie. Lui proseguì fingendo di non averli notati finché non fu fuori di vista, poi tornò indietro. Entrò nei resti arsi di un vicino edificio e vi rimase finché non scese la sera. Poi tornò a uscire. Il rombo dei cannoni era meno frequente e non si sentivano esplosioni nelle vicinanze.
Quando si fu avvicinato ai camion, Jenko si acquattò nell'ombra di una casa ancora intatta e aspettò finché una guardia - sei erano già in vista e altre forse si trovavano dalla parte opposta dei camion - non si avvicinò, diretta a una latrina o a un ristorante. Jenko arretrò, attese che l'uomo gli passasse davanti e l'abbatté con due violenti colpi, uno alla gola e uno alla nuca. Portò poi il cadavere nell'androne del palazzo, si rivestì coi suoi abiti, e pochi minuti dopo si era già truccato in modo da somigliare alla sua vittima.
Dopo aver frugato nelle tasche scoprì che il morto si chiamava Iacinto Vargas, e che abitava a Netsah, ma non c'erano documenti che indicassero dove erano diretti i veicoli militari.
Pensò di tornare ai camion perché la prolungata assenza di Vargas non avrebbe mancato di essere notata, ma vi rinunciò nel timore che i mezzi fossero diretti a sud. Attese quindi, tenendosi appartato, finché gli uomini di Bland non ricomparvero a gruppi di tre o quattro. Quando finalmente ne arrivò uno, isolato, Jenko lo trascinò nell'ombra e, puntandogli il coltello alla gola, gli sussurrò:
- Dove sono diretti, quei camion?
- A Binah - rispose l'altro, tremando.
- E poi?
- Solo a Binah, lo giuro.
Jenko lo uccise senza ricorrere al coltello. Gli sembrò troppo pericoloso continuare a fingersi Vargas e dopo avere rapidamente indossato gli abiti della sua nuova vittima, si truccò in modo da somigliargli e ne prese i documenti. L'uomo si chiamava Daniel Manning, e Jenko sulle prime pensò di infilargli in tasca i documenti di Vargas per confondere chi avesse trovato il cadavere, ma poi preferì conservarli nell'eventualità che potessero servirgli a Binah.
Finora era sempre riuscito a portare con sé la borsa del trucco, ma ora, sia che l'avesse tenuta in mano o infilata nella camicia, avrebbe potuto attirare l'attenzione, perciò prese un tubetto di cerone, uno di tintura nera per i capelli e un astuccio di rosso per le guance, casomai dovesse cambiare carnagione, e - sebbene a malincuore - gettò via il resto.
Infine si portò vicino ai camion e poco dopo fu fatto salire sul cassone del secondo vicino allo sportello.
Mentre il camion partiva a velocità sostenuta verso Binah, Jenko si rincantucciò chinando la testa sul petto come se dormisse.
Capitolo XX
Non ci sono dubbi, solo gli uomini hanno un'anima. Altrimenti io avrei anche potuto passare il tempo uccidendo animali. (Conrad Bland)
Era ancora buio quando i camion, a distanza di cinque minuti circa l'uno dall'altro, arrivarono a Binah.
Jenko sapeva che il suo travestimento non avrebbe retto alla luce del giorno davanti ai compagni di Manning, e perciò, mentre il mezzo stava rallentando per superare una stretta curva, saltò a terra. Molto probabilmente nessuno si era accorto della sua fuga, perché dormivano tutti, ma per non correre rischi si allontanò in fretta lungo una strada laterale. Dopo avere percorso qualche centinaio di metri di corsa continuando a deviare, entrò in un androne per riprendere fiato. Tutto era silenzio, intorno. Nessuno lo inseguiva. Rimase lì un'ora, per uscire solo quando fu giorno fatto, e solo allora poté farsi un'idea della città.
Binah era diversa da come se l'era aspettata. Intanto solo poche case erano distrutte e anche se qua e là si vedevano cadaveri ammucchiati lungo le strade o impiccati ai lampioni, quasi tutte le case - uniformemente basse - erano intatte, non c'erano crateri di bombe e l'elettricità funzionava.
In secondo luogo, nonostante i morti, non c'erano feriti per le strade. Jenko ne dedusse che erano state uccise solo determinate persone, perché i passanti che incontrò erano sani e avevano un'aria perfettamente normale. Indossavano quasi tutti mantelli neri o rossi con i simboli delle loro sette, e quasi tutti erano armati sia con pugnali che con armi da fuoco.
La maggior parte delle donne, invece, era vestita come quelle che partecipavano al funerale del gatto, quelle che aveva visto la sera del suo arrivo ad Amaymon. Seni e natiche nude erano all'ordine del giorno, senza distinzione per l'età o le condizioni fisiche delle donne, tanto che Jenko pensò che in massima parte avrebbero dovuto indossare abiti meno succinti, se non altro per motivi estetici.
Ogni tanto passavano dei soldati di Bland e nessuno sembrava impaurito o si ritraeva al loro passaggio. Certo, non venivano acclamati come eroi conquistatori, ma venivano indubbiamente accettati senza ombra di risentimento o paura.
Ignorando se quei soldati appartenevano alla compagnia di Manning, e non volendo attirare su di sé l'attenzione andando a cercare Celia vestito da militare, Jenko si nascose in un vicolo e aspettò pazientemente che passasse un uomo, solo. Dopo venti minuti trovò la sua vittima e un attimo dopo indossava un mantello rosso sulla divisa. Sentendosi più sicuro vestito così, uscì dal vicolo.
Binah era piccola e Jenko sperava di trovare Celia prima di mezzogiorno; invece ci riuscì solo nel tardo pomeriggio e per poco non la mancò, perché la veggente seduta nella vetrina - per mimetizzarsi con le altre donne - non indossava la solita tunica bianca ma soltanto un paio di calzoncini e gli stivali.
Jenko entrò nell'androne e bussò alla porta su cui una targa dorata informava che quello era lo studio di «Madame Celia, Medium e Frenologa».
- Buongiorno - disse lei aprendogli la porta e facendolo accomodare su una poltrona di pelle e metallo cromato.
- Grazie.
- In cosa posso servirvi? Chiese la donna sedendosi di fronte a lui in una poltrona uguale, indifferente all'effetto che i suoi seni e le sue cosce nude potevano avere su di lui.
- Voglio mettermi in contatto con qualcuno - rispose Jenko.
- Come si chiama il defunto?
- Lucia Bianca.
- Tu sei Jenko?
- Sì. È viva?
- Ancora per poco - disse con un'ombra di mestizia la veggente. - Anche quando è sveglia sragiona quasi sempre. Dubito che riusciremo a restare unite, dopo la sua morte: lei era il nostro legame.
- Allora non ha inviato nessun messaggio per me?
- Uno solo. L'ho ricevuto qualche ora fa.
- Cosa dice?
- Lucia Bianca non sa se riuscirai a compiere la tua missione - rispose Celia - ma in caso affermativo non devi uccidere John Sable.
- Sable è a Tifereth? - chiese sorpreso Jenko.
- Sì. Tu non riuscirai a cavartela senza il suo aiuto.
- E come mi aiuterà?
- Lucia Bianca dice che lui saprà cosa fare.
- Tutto qui?
Celia annuì.
- Non ha detto come posso fare per arrivare a Tifereth?
- No. È debolissima e raramente in sé. Credo che abbia esaurito quasi tutte le energie che le restano per trasmettermi quel messaggio.
- Capisco - disse Jenko. Si alzò per andare a guardarsi in un grande specchio appeso al muro fra disegni di teste e mani. Dopo essersi studiato per un momento, si voltò per chiedere: - Sai dirmi a che setta appartiene questo mantello?
- È il mantello rosso degli stregoni della Chiesa d'Inferno.
- E tu come sei vestita?
- Da Figlia della Delizia - rispose lei. - È la setta più diffusa fra le donne di Binah.
- Infatti, ho visto che quasi tutte le donne sono vestite così. Ma come devo comportarmi? Devo guardarle o fare finta di niente?
Lei rise. - Ma certo che devi ammirarle. Si vestono così per attirare gli uomini, non perché sia un abbigliamento molto pratico.
- Bene. E adesso dimmi: un membro della Chiesa d'Inferno può andare a Tifereth senza che nessuno lo fermi?
- Purtroppo no. Solo gli uomini di Bland possono entrare e uscire da Tifereth.
- Troverò un contatto laggiù?
- No. Io sono l'ultima. Dopo avere lasciato Binah dovrai arrangiarti da solo.
- Hai qualcos'altro da dirmi? Non mi piace restare a lungo nello stesso posto.
- No. Questo è tutto.
- Bene, allora grazie per il tuo aiuto, e lascia che ti dica che stai molto bene vestita così.
- Grazie. E buona fortuna. Jenko stava per avviarsi quando dalla finestra notò qualcosa che attrasse la sua attenzione.
- Stanno arrivando due soldati - disse. - Come mai?
- Non lo so.
- Quanti altri studi o uffici ci sono in questa casa? - chiese lui.
- Cinque.
- Allora forse non c'è di che preoccuparsi. Però sarà meglio che mi nasconda finché non se ne sono andati. C'è un'altra stanza?
- Solo il bagno - rispose lei indicandogli la porta.
- Bene - Jenko entrò nel bagno lasciando la porta socchiusa.
Pochi attimi dopo due soldati, alti, snelli e robusti, entrarono nello studio di Celia.
- Siete Madame Celia? - chiese uno.
- Sì.
- Nata sul pianeta Beta Tau VIII, chiamato anche Greenveldt?
- Perché? - chiese lei impaurita.
- Rispondete.
- Sì, sono nata su Greenveldt.
- Volete seguirci, per favore?
- Perché?
- Il Mio Signore Bland ha ordinato che tutti gli stranieri vengano condotti a Tifereth per essere interrogati.
Lei impallidì irrigidendosi in preda a una forte tensione. - Ma io non so niente che possa interessare Conrad Bland.
- Noi eseguiamo un ordine. Andiamo.
- No! Vi supplico!
Il soldato alzò le spalle e fece un cenno al compagno, poi tutti e due si avvicinarono a Celia e l'afferrarono rudemente per le braccia.
- Jenko! Aiuto! - gridò lei.
Jenko uscì dal bagno e con la massima calma sparò prima all'uno e poi all'altro dei due soldati. Appena si furono afflosciati sul pavimento, si chinò per frugare nelle tasche del più vicino. - Perquisisci l'altro - disse a Celia. - Se avevano l'ordine di portarti da Bland dovevano avere un lasciapassare per potere andare da Binah a Tifereth.
Celia obbedì e tutti e due trovarono i lasciapassare, firmati da Bromberg.
- Questo mi permetterà di raggiungere Tifereth - disse Jenko. - Ma sono lasciapassare validi solo per i militari. Non avevano mandati di cattura o di estradizione.
- Allora io potrò restare qui - disse con evidente sollievo Celia.
- No, non posso permetterlo. Qualcuno può averli visti entrare, e prima o poi altri soldati verranno a cercarli.
- Allora me ne andrò via.
- Non servirebbe - replicò Jenko scrollando la testa. - Non puoi lasciare Binah senza permesso. Non ci metteranno molto a trovarti e sono sicuro che hanno degli ottimi sistemi per fare parlare la gente.
- Giuro che non ti tradirò mai.
- Sì, invece. Mi hai chiamato per nome poco fa quando pensavi solo che forse ti avrebbero fatto del male. Non posso permettere che ti prendano. - La guardò a lungo. - Mi dispiace - disse. Le puntò contro l'arma e sparò.
In pochi minuti dispose i cadaveri in modo da far sembrare che Celia fosse stata uccisa mentre si difendeva. Poi ripiegò con cura il mantello, uscì, e lo gettò nel primo disintegratore atomico.
Trovò una macchina il cui motore si avviava mediante la punzonatura di un codice, scassinò il computer di bordo e si avviò verso la periferia. Poco dopo iniziava l'attraversamento della vasta e arida pianura che divideva Binah da Tifereth.
Capitolo XXI
Perché mai qualcuno vorrebbe andare all'Inferno, se non per impadronirsene? (Conrad Bland)
Sable misurò forse per la millesima volta larghezza e lunghezza della stanza in cui era rinchiuso: dodici passi per dieci, con un lavandino e un gabinetto in un angolo. In effetti non era più prigioniero come il primo giorno: la porta non era chiusa a chiave e non c'erano più guardie a sorvegliarla. Dopo il colloquio di due giorni prima, Bland gli aveva concesso la libertà di potere girare per tutta la chiesa.
Il problema stava nel fatto che lui non voleva. L'unico posto in cui non ci fossero visioni di torture, agonia e morte era quella stanza, perciò non usciva mai, rifiutandosi di varcarne la soglia finché Bland non l'avesse mandato di nuovo a chiamare.
Tutti gli oggetti e i quadri religiosi erano stati tolti sia dalla stanza che dal resto della chiesa. Sopra al letto era appesa una fotografia di Bland, scattata di notte su un pianeta sconosciuto e Sable non aveva ancora avuto il coraggio di toglierla. C'era anche una piccola libreria piena di riviste che contenevano brevi articoli scritti lungo il corso degli anni da Bland per diversi gruppuscoli e fazioni politiche estremiste. Non avendo altro di meglio da fare, Sable li aveva letti, traendone l'impressione che discutendo i suoi principi filosofici Bland assecondava ironicamente la setta o il gruppo di cui parlava.
Infine, stanco di passeggiare su e giù e non avendo più voglia di leggere altri scritti di Bland, si mise a sedere su una seggiolina di legno, posò i piedi sul bordo del letto intrecciando le mani dietro la testa e, cercando così di rilassarsi, pensò alla sua famiglia. Si augurava che Siboyan non permettesse ai bambini di scorrazzare in giardino e ricordasse di annaffiarlo, e prese mentalmente nota di piantare dei narcisi se mai fosse riuscito a uscire vivo da Tifereth. Ricordò che si avvicinava il compleanno della sua bambina e gli parve di rivederla, seria e studiosa, china sui libri prima di cena, pensando a quali programmi potesse offrire la TV dopo mangiato a una brava scolaretta di nove anni. Siboyan avrebbe letto qualcosa ai ragazzini, prima che si addormentassero e poi avrebbe svolto le ultime faccende di casa... Non aveva mai pensato finora che un giorno avrebbe potuto o dovuto separarsi forse per sempre dai suoi cari. Se fosse riuscito a tornare a casa, non si sarebbe mai più avventurato in imprese potenzialmente rischiose. Più pensava alla famiglia, più la sua nostalgia si acuiva.
Se fosse riuscito a tornare a casa...
Se...
La porta si aprì improvvisamente e una donna alta con i capelli rossi, che indossava il costume delle Figlie della Delizia, entrò nella stanza.
Sable la studiò con occhi esperti. Doveva essere stata molto bella un tempo, ed era ancora attraente, ma non gli sfuggirono le sottili cicatrici dove rinforzi di silicone le erano stati inseriti nei seni, e la pelle troppo liscia intorno agli occhi parlava di un recente lifting. I capelli erano un po' troppo rossi per essere naturali, le labbra troppo lucide e anche i capezzoli erano stati chiaramente ravvivati col rossetto. Sable giudicò che doveva essere sulla cinquantina anche se, a distanza, poteva dimostrare la metà dei suoi anni.
Lei rimase immobile, sostenendo il suo sguardo e fissandolo a sua volta.
- Così voi siete John Sable - disse dopo un po'. Aveva una voce bassa, e si capiva che faceva uno sforzo per conferirle un tono sensuale.
- E voi chi siete?
- Sono Maddalena Jezebel.
- L'Alta Sacerdotessa?
- L'Alta Sacerdotessa Emerita - precisò lei con un sorriso che stranamente le indurì la faccia. - Oggi l'Alta Sacerdotessa delle Figlie della Delizia è Maddalena Ecate.
Andò a sedersi sul letto, saggiandone le molle. - È molto scomodo - disse poi.
Sable alzò le spalle.
- Credetemi, signor Sable... i letti sono la mia specialità e questo è tutto a bozzi.
- Forse potreste procurarmene uno migliore.
- Ne parlerò al Mio Signore Bland.
- Presumo che voi non siate prigioniera, qui.
- Infatti.
- Perché siete venuta nella mia stanza?
- Per pura curiosità - rispose la donna. - Sembra che il Mio Signore Bland vi trovi molto interessante e volevo accertarmene coi miei occhi.
- E adesso la vostra curiosità è soddisfatta?
- Neanche un po'. Intanto noto che portate l'amuleto del culto di Kali, mentre mi aspettavo che foste un seguace del rito Vudù.
- Perché tutti pensano che i negri debbano per forza professare il Vudù? - replicò lui irritato. - Provate un po' voi a tagliare la testa ai polli e a intonare cori gregoriani e vedrete com'è divertente!
- Perdonatemi se vi ho offeso - disse lei sorridendo. - Del resto le diverse religioni non hanno più importanza ora che è arrivato Bland.
- A proposito di Bland, sapete che progetti ha nei miei riguardi?
- Non so perché, ma vi si è affezionato. Non ha nessuna intenzione di uccidervi.
- Insomma, mi avrebbe sequestrato per avere un compagno - ribatté Sable con un amaro sorriso.
- Non un compagno - corresse Maddalena Jezebel mettendosi istintivamente in posa per valorizzare nel modo migliore le sue curve. - Piuttosto una mascotte. Lo divertite. Lo fate ridere. E finché ci riuscirete vi tratterà più o meno come un cagnolino... - notando che lui stava per ribattere Maddalena Jezebel lo tacitò con un gesto. - Non vi dovete offendere, signor Sable. In fin dei conti ci sono altre alternative.
- Me ne sono accorto.
- Ammetto che è un uomo eccentrico, ma bisogna guardare oltre.
- Guardare cosa? Tutti quei morti? - ribatté lui con una rauca risata.
- Non capite.
- Capisco perfettamente. Ha intenzione di sopprimere tutti i Walpurgani, uomini, donne e bambini, e quando avrà finito toccherà agli animali.
- Non è così! Bland è il Messia Nero.
- È il Macellaio di Boriga II! - esclamò Sable accalorandosi. - Tutto quello che fa è uccidere e torturare.
- Sbagliate! - gli gridò la donna con gli occhi fiammeggianti. - Deve sradicare l'ordine antico per poterlo sostituire col suo.
- Non ci sarà più nessuno, a quel punto!
- Sì, invece. Ha raccolto intorno a sé quelli di noi abbastanza preveggenti da rendersi conto di quello che fa, per formare il nucleo della nuova era che si aprirà nel suo nome. Io ero l'Alta Sacerdotessa delle Figlie della Delizia, signor Sable. Ero potente, ricca, rispettata. Perché credete che abbia rinunciato a tutto questo e sia venuta a Tifereth?
- Non mi azzardo a fare nessuna supposizione - rispose lui con sarcasmo.
- Perché ho visto com'era potente e mi sono resa conto che tutti noi eravamo solo dei superficiali. Perché adorare Satana quando fra noi c'è Conrad Bland, il Diavolo Incarnato?
- In altre parole, ci tenete a essere in prima fila.
- Perché negarlo? Bland è la forza più potente dell'Universo. Perché non militare sotto la sua bandiera? Perché credete che il Messia abbia scelto come sua residenza Tifereth? Perché gli abitanti di questa città avevano capito che era arrivato il Messia e non avevano più motivo di continuare a vivere. Lui creerà un nuovo mondo, una nuova Repubblica e chi ha avuto la preveggenza di servirlo fin dall'inizio condividerà il potere con lui.
- Non capite che vi ucciderà tutti, seguaci e avversari - disse Sable, che non riusciva a trattenere un briciolo di compassione per quell'illusa. - Non avete ancora capito cos'è?
- È l'incarnazione del Potere del Signore Lucifero.
- E voi adorate e servite questo potere?
- Sì.
- E se l'assassino della Repubblica riuscirà ad arrivare qui e a uccidere Bland, lo adorerete perché è un assassino ancora più forte?
- Non riuscirà mai nel suo intento.
- Ma se... - insisté Sable.
- Non ci riuscirà - ripeté lei con fermezza. - Non lo lasceranno uscire vivo da Binah.
- È già arrivato a Binah? - chiese sorpreso Sable. - È già così vicino?
- Il Mio Signore Bland ha emesso una dichiarazione in merito, stamattina - rispose lei, piuttosto contrariata.
- In questo caso sarà meglio che prendiate seriamente in considerazione la mia domanda - disse lui. - È probabile che la mia domanda non rimanga accademica ancora per molto.
- Lo fermeremo a Binah.
- Io ero convinto di riuscire a fermarlo ad Amaymon, quando ignorava ancora le nostre usanze, e Bland ha distrutto un paio di città nel tentativo di fermarlo - le fece notare Sable.
- Avrebbe comunque distrutto quelle città.
- Lo so, ed è per questo che spero che l'assassino riesca nel suo intento.
- Trovo l'argomento disgustoso.
- Anch'io - convenne Sable con un sorriso ironico. - Di che altro volevate parlare?
- Di niente. Ma forse vi porterò gli scritti del Mio Signore Bland.
- Li ho già letti - disse lui indicando le riviste.
- Quelli sono scritti politici d'occasione - asserì la donna lanciando un'occhiata sprezzante verso la libreria. - Attualmente sta lavorando a un grosso volume che codifica tutta la sua filosofia personale.
- Chi sopravviverà per leggerlo?
- È molto difficile parlare con voi, signor Sable. Non capisco come mai il Mio Signore Bland vi lasci vivere.
- Lo diverto.
- Be', però non divertite me!
- Comunque ho soddisfatto la vostra curiosità.
- Non del tutto - corresse lei scrutandolo attentamente. - Forse dovrei venire a letto con voi. Magari possedete delle qualità nascoste.
- Non vi sembra contraddittorio parlare di piacere in un posto come questo?
- Quale posto è migliore di questo? - ribatté lei cominciando a spogliarsi.
- Non so come farvelo capire, Maddalena Jezebel, ma io sono sposato e ho giurato fedeltà a mia moglie.
- Ma certo... il culto di Kali - disse lei con disprezzo. - Adesso ho soddisfatto la mia curiosità. - Si alzò. - Non c'è niente in voi che trovi ammirevole o divertente.
- Mi dispiace.
- Dopo che avrò parlato al Mio Signore Bland forse sarete ancora più spiacente.
E dopo avergli scoccato un'ultima occhiata sprezzante uscì dalla stanza.
Capitolo XXII
Il trionfo del male è inevitabile come il succedersi delle stagioni. (Conrad Bland)
Jcnko s'infilò in un viottolo a metà strada fra Binah e Tifereth per esercitarsi al tiro al bersaglio sia con la sua pistola che con quella a laser che aveva trovato sull'auto rubata. Dopo avere sparato alcuni colpi, regolato le armi e avere centrato i sassi che aveva disposto come bersagli senza mai sbagliare, risalì a bordo. Non si preoccupò di esercitarsi col coltello, perché era la sua arma preferita, ma anche l'arma dell'ultima risorsa e non si sarebbe mai sognato di lanciarlo alla vittima potenziale col rischio di perderlo.
Poi, dal momento che non aveva intenzione di arrivare a Tifereth prima di sera, montò l'auto sul cric fingendo di dovere cambiare una gomma casomai qualcuno di passaggio lo vedesse e si chiedesse che cosa stesse facendo fermo sulla strada.
Invece non passò nessun veicolo e, quando cominciò a calare il crepuscolo, tolse il cric, risalì in macchina e proseguì verso Tifereth. Sorpassò le rovine di tre casupole, ridotte a un cumulo di macerie annerite dal fuoco, e in meno di un'ora raggiunse la prima linea di difesa di Bland intorno al perimetro della città. Presentò il lasciapassare, aspettò con calma che lo controllassero con un computer portatile, e ottenne il permesso di proseguire.
Fu fermato altre due volte, formalmente interrogato e lasciato ripartire senza difficoltà.
L'ultimo blocco, situato alla periferia di Tifereth, fu più difficile da superare. Le guardie confrontarono attentamente la sua faccia - che aveva truccato alla meglio col cerone e il rossetto - con quella della foto sul lasciapassare, la macchina venne frugata accuratamente da cima a fondo alla ricerca di qualche passeggero clandestino, la pistola militare fu controllata e quella a laser confiscata poiché Jenko non fu in grado di dimostrare che gli apparteneva.
Fu trattenuto per quasi un'ora, ma finalmente lo lasciarono passare e Jenko, con appena qualche stilla di sudore sulla fronte, nell'aria fresca e umida della notte, entrò, lentamente e inesorabilmente, nella città di Tifereth.
Capitolo XXIII
Nel lessico del Male non esistono compassione né rimpianto. (Conrad Bland)
- Satana è stato padrone per secoli delle Chiese della Repubblica - disse Conrad Bland. - È ora di raddrizzare la bilancia.
Sable era stato convocato poco prima di mezzanotte. Bland aveva dormito fino a mezzogiorno, come gli accadeva spesso e stava accingendosi adesso a cenare. Aveva voglia di compagnia e per questo aveva insistito perché Sable cenasse con lui.
Sable fu condotto al pianterreno della chiesa, in un'ampia stanza che un tempo era adibita a sala delle iniziazioni dove i novizi imparavano i sacri Riti di Baal, e che Conrad Bland aveva trasformato in sala da pranzo.
Un gran tavolo lucido, lungo tre metri, dominava la stanza. Le pareti erano coperte da foto e olografie di Bland e da piccole targhe su cui erano incise quelle che secondo lui erano le sue massime più incisive. Bland sedeva a capotavola circondato da quattro guardie armate, e Sable fu accompagnato al capo opposto.
Gli era stato offerto del cibo ma la puzza era ancora più forte laggiù, e il poco appetito di cui già godeva durante la sua permanenza a Tifereth, era completamente svanito. Pareva invece che a Bland l'odore piacesse o, se non altro, che non gli desse fastidio. Comunque, come ebbe modo di osservare Sable, non gli impedì di divorare il pranzo con una voracità da lupo.
- Cosa succede, signor Sable? - chiese Bland fra un boccone e l'altro. - Non avete un'opinione in merito?
- Conoscete la mia opinione - ribatté freddamente Sable.
- Ben detto! - rise Bland. - Che diplomazia! Mi deliziate, davvero. Dico sul serio. Come tutti gli uomini benintenzionati neppure ora dimenticate le buone maniere, la cortesia e la convinzione che quando si viene offesi bisogna porgere l'altra guancia. - S'interruppe per ridere ancora. - Naturalmente vi renderete anche conto che queste sono le qualità delle pecore.
- Non potete assassinare una pecora.
- Non siate tanto duro nel giudicarmi, signor Sable. Se esiste un Dio, ha condannato a morte tutta l'umanità fino dal concepimento. Io non sono altro che un dilettante di talento.
In quella entrò un soldato che andò a sussurrare qualcosa all'orecchio di Bland. Questi si accigliò, poi impartì alcuni ordini a voce bassa, tanto che Sable non poté sentire. Il soldato salutò e uscì.
- Devo complimentarmi con la Repubblica - disse Bland. - Il loro assassino è a due chilometri da qui.
- Lo avete catturato?
- Lo prenderemo da un momento all'altro. L'abbiamo circondato. Ma è riuscito ad avvicinarsi molto più del previsto. Credo che domattina dovrò ispezionare le mie difese. Ma basta parlare di argomenti così sordidi - disse con un sorriso angelico. - Vi ho invitato perché dopo cena saremo intrattenuti da Maddalena Jezebel.
Si udì in lontananza un rumore di spari.
- Be', ecco fatto - commentò Bland. - Così mi risparmio il fastidio di decidere se ucciderlo o assoldarlo. Mi sembrate deluso, signor Sable. Non siatelo, per favore! Niente può uccidermi, e quanto è accaduto vi risparmia dall'essere colpito da un proiettile vagante o da un raggio laser. Volete una fetta di torta?
- No, grazie.
- Siate gentile, signor Sable. Non è mia abitudine offrire quello che è mio, sia pure del cibo, a molti.
Ma Sable tornò a rifiutare e Bland alzò le spalle. - Be', se proprio vi ostinate - commentò, - vorrà dire che ne resterà di più per me - e ingollò un enorme boccone di torta di mele. - Maledizione! - esclamò a bocca piena cercando di pulire col tovagliolo una macchia che si era fatta versando un pezzetto di torta sulla giacca candida. - So fare tante cose alla perfezione, ma non riesco a terminare un pasto senza sbrodolarmi. - Infilò la punta del tovagliolo in un bicchiere d'acqua e prese a strofinare vigorosamente la macchia.
Si sentirono altri spari, stavolta molto più vicini e un attimo dopo un soldato entrò di corsa.
- Cosa c'è? - domandò Bland.
- Se n'è andato, signore - disse il soldato bilanciandosi a disagio sui tacchi.
- Come?
- Non siamo riusciti a saperlo. Credo che abbia distrutto la radio della guardia personale.
- Fuori! - urlò Bland. - Fuori e non tornare finché non sarà morto.
Il soldato non se lo fece dire due volte. Bland rimase per qualche istante a fissare la porta muto e fremente, e poi tornò alla torta. Ne mangiucchiò un pezzetto, poi scaraventò via il piatto che andò a frantumarsi in mille pezzi contro il muro.
- Maledizione, maledizione. Maledizione! - urlò. - Chi crede di essere quel pazzo per venire qui a Tifereth per ammazzarmi come se io fossi un uomo qualunque? È Conrad Bland che vuole sopprimere! - La sua voce stava diventando sempre più acuta e stridula. - Cosa diavolo fa il vostro governo, signor Sable? Prima mi offre aiuto e adesso non alza nemmeno un dito per fermare questo assassino!
Sable sospirò. - Se non l'avete capito fino adesso, non vedo come potrei spiegarvelo io.
I lineamenti di Bland si contorsero in una smorfia di rabbia... ma si trattò di un momento, perché poi, come se niente fosse, si alzò col suo solito sorriso sulle labbra.
- Scusatemi se mi sono lasciato andare, signor Sable. Non mi capita spesso, ve l'assicuro. A ogni modo la cena è finita ed è venuta l'ora di divertirci un po'.
Fece cenno a Sable e a due guardie di seguirlo e si avviò verso una porta in fondo alla sala. Da lì passarono in un corridoio in penombra che sboccava in una stanzetta, un tempo adibita a cappella privata. C'erano ancora alcuni sedili imbottiti inchiodati al pavimento di piastrelle, ma l'altare era stato asportato e sostituito da un grosso cubo coperto da una tenda.
Bland prese posto in prima fila e fece segno a Sable di fare altrettanto. Sable notò che dal cubo si dipartivano numerosi cavi elettrici che terminavano in un piccolo pannello che una delle guardie porse a Bland.
- Facciamo un po' di musica - disse Bland, e subito dopo scaturì dagli altoparlanti sistemati sulle pareti una bizzarra sinfonia. Bland fece un cenno, e le guardie scostarono la tenda, rivelando un'ampia vasca piena d'acqua in cui galleggiava Maddalena Jezebel, vestita e coperta di gioielli del suo ordine, e legata mani e piedi a due sostegni sistemati lungo i fianchi della vasca. Passò un minuto buono prima che Sable si accorgesse che la donna era completamente immersa nell'acqua e non respirava. I capelli fluttuavano dolcemente dietro la sua testa, come mossi da una leggera corrente.
- Perché l'avete uccisa?
- Era venuta nel pomeriggio a dirmi che dovevo sopprimervi - rispose Bland. - Prima o poi lo farò. Forse anche stanotte stessa, ma nessuno dà ordini a Conrad Bland. Nessuno!
Premette un pulsante sul pannello e Sable sentì il ronzio dell'elettricità. Un attimo dopo il corpo di Maddalena Jezebel sussultò violentemente per effetto della scarica.
- Come vedete, signor Sable - disse Bland sorridendo - non occorre essere vivi per divertire.
Per venti minuti, mentre la musica aumentava in un discordante crescendo, e Conrad Bland premeva il pulsante in concordanza con le note, Sable osservò inorridito e affascinato la danza di morte della donna.
Finalmente Bland si stancò e ordinò alle guardie di coprire la vasca con la tenda.
- Credo che la prossima volta proverò con una donna viva - disse confidenzialmente. - Certo, i primi passi saranno diversi, ma potrebbe essere interessante, non credete?
Sable, ancora sbigottito, non rispose.
- Via via, signor Sable. Nella vostra professione avrete visto anche spettacoli meno piacevoli. E non sprecate la vostra compassione per la nostra Figlia della Delizia. Aveva uno scopo e l'ha conseguito in pieno.
- Il suo scopo era di divertirvi così?
- No - precisò Bland. - Era di morire.
- Senza motivo.
- Esatto - assentì sorridendo Bland. - Pensate, signor Sable, a come devono temermi i colpevoli se tratto così gli innocenti!
- Siete matto!
- Così piace credere ai miei nemici - rise Bland. - E questo li rende più deboli. - In quella si udirono alcuni spari molto vicino alla chiesa. - Tutti meno uno, però - aggiunse, rannuvolandosi.
- Non l'hanno ancora preso! - esclamò Sable, ammirato. - È qui vicino.
- Lo prenderemo, non temete. Ve lo prometto, signor Sable.
- Me l'avevate promesso anche tre giorni fa.
- Sembra che abbiate le idee un po' confuse. Casomai ve lo foste scordato, siete venuto a Tifereth per proteggermi.
Sable sbuffò.
- Vorreste forse dirmi che se il vostro assassino entrasse qui adesso non sacrifichereste la vita per salvarmi?
- Se entrasse stenderei un tappeto di fiori al suo passaggio! - sbottò Sable.
- Povero illuso! - sospirò Bland. - Non avete ancora capito che sono invincibile. Quello che fa con quegli idioti fuori in strada è una cosa, quello che potrà fare qui è un'altra. Vi assicuro che questo edificio è inespugnabile.
- Staremo a vedere - mormorò Sable, non del tutto convinto.
- Questa discussione è puramente accademica. Non sento più sparare. - Bland si rivolse a una guardia. - Esci a vedere se l'hanno ucciso.
La guardia uscì, e Bland giocherellò distrattamente coi pulsanti, anche se non poteva più vedere la macabra danza di Maddalena Jezebel.
- Non mi divertite più - disse poi. - E quindi non meritate più di vivere.
Sable non fece commenti.
- Andiamo, signor Sable! Io sono circondato da stupidi, vigliacchi e sicofanti. Dovrebbe dispiacermi che la nostra amicizia finisca.
- Cosa volete che faccia per divertirvi... un balletto subacqueo? - ribatté Sable furibondo.
- Così va meglio - ridacchiò Bland. - Questo è il genere di spirito che mi piace, il meraviglioso senso dell'umorismo che non arretra di fronte alla morte.
Poco dopo tornò la guardia e Bland si alzò per conferire con essa. Confabularono per qualche secondo... poi Bland estrasse la pistola e uccise il soldato con un colpo in fronte.
- Ti serva di lezione - disse all'altra guardia. - Mai portarmi cattive notizie due volte nello stesso giorno.
- Cos'è successo? - chiese Sable.
- Sono state interrotte tutte le nostre linee di comunicazione.
Sable rise.
- Cosa c'è da ridere?
- Vi ostinate a non capire cosa sta succedendo, vero?
- Ve l'ho detto. Il nostro sistema di comunicazione non funziona. Si tratta di un guasto, ecco tutto.
- No, non ci sono guasti. La verità è che sono morti gli addetti alle comunicazioni.
- Impossibile! Ho cinquemila uomini là fuori!
- Ma uno solo vi ha costretto alla resa - rise Sable.
- Non ridetemi in faccia! - strillò Bland. Chinò la testa pensoso, poi la rialzò e disse: - Andiamo, signor Sable. È ora che intervenga di persona.
- Non lo fermerete mai - asserì Sable, meno dubbioso.
- Sì, invece! - gridò Bland avviandosi alla porta. - Ma non crediate che io dimentichi che mi avete riso in faccia. Nelle prossime ore sarò impegnato a eliminare quel pazzo che crede di potere aggredire impunemente Conrad Bland. Ma non appena avrò finito mi occuperò di voi, signor Sable... e vi garantisco che non sarà un'esperienza piacevole.
Capitolo XXIV
Non è necessario odiare chi si uccide (Conrad Bland).
Non è necessario odiare chi si uccide (Jenko).
Bland, Sable e la guardia si diressero verso quella che era stata la sala di riunione della chiesa, raccogliendo altre cinque guardie lungo la strada. C'erano meno cadaveri della prima volta che Sable era stato lì, forse perché Bland, troppo occupato a tentare di eliminare il suo potenziale assassino, non si era curato di fare portare altre vittime in quel mattatoio.
- Quanti sistemi di comunicazione ci sono in chiesa? - domandò Bland.
- Circa una dozzina, signore - rispose una guardia.
- Bene, portate qui una radio e installate un posto di comando. Voglio tenermi sempre in contatto con loro, e guai all'ufficiale che non risponderà subito alla mia chiamata.
Sable si guardò in giro e rifletté ironicamente che la vicinanza di Bland aveva cambiato il suo punto di vista più di quanto potesse aspettarsi. Il carnaio, i corpi scuoiati, i cadaveri e i moribondi appesi a file di ganci da macellaio gridavano vendetta al cielo e il suo orrore non si era attutito, mentre invece era passato l'effetto dello shock, la nausea era ridotta al minimo, l'impulso di fuggire superato solo dall'istinto di conservazione. Le torture e le uccisioni di Bland avevano ucciso qualcosa nel profondo del suo animo, e questo lo faceva soffrire quasi quanto la vista dell'insensata brutalità e delle sofferenze che lo circondavano. Non riusciva a capire di cosa si trattasse, ma qualunque cosa fosse si augurava che non durasse per sempre... ammesso e non concesso che fosse riuscito a sopravvivere... prospettiva che sembrava sempre meno probabile col passare del tempo.
Bland si era fatto dare altre due pistole dalle guardie, e le stava controllando per assicurarsi che fossero cariche e in perfette condizioni. Soddisfatto, le infilò in tasca e cominciò ad andare su e giù tirando calci ai cadaveri che gli ostacolavano il passo.
Dopo un po' chiese a Sable: - Chi è?
- Non lo so.
- Deve avere un nome, una faccia, un'identità.
- Non so come si chiami e ha cambiato più facce e identità di quanti cadaveri ci siano in questa stanza.
- Come può essere ancora vivo? - La voce di Bland era di nuovo stridula e acuta. - Perché non l'abbiamo ancora catturato o ucciso?
Si avvicinò al posto di comando che era stato appena installato, e cominciò a chiamare per radio i suoi ufficiali. Nessuno aveva visto l'assassino, la chiesa era ancora sicura.
- Volete che mandi fuori uno dei miei uomini per vedere se l'hanno preso, signore? - chiese un ufficiale.
- Sì - disse Bland, ma cambiò subito idea: - No! Nessuno lasci la chiesa finché non sarà morto. - Riprese ad andare su e giù ringhiando nel microfono: - Se scopro che qualcuno ha lasciato il suo posto farò in modo che quello che è successo in questa stanza sembri un picnic al confronto! Non voglio e non posso tollerare disubbidienza e infedeltà. Satana aiuti chi passa al nemico, perché certo io non lo perdonerò!
- Il nemico? - replicò l'ufficiale - ma non si era detto che si tratta di un solo uomo?
- Taci! - strillò Bland. - Conta i tuoi uomini! Contali subito! Voglio accertarmi che ci siano tutti, e che siano al loro posto.
- Ma...
- Contali!
L'ufficiale riferì dopo un breve silenzio: - Ci sono tutti e ognuno è al suo posto.
- Bene! Qual è la parola d'ordine?
- La parola d'ordine? - ripeté la voce. - Il collegamento è stato stabilito soltanto da pochi minuti. Nessuno ci ha dato una parola d'ordine.
- Tu chi sei? - chiese Bland.
- Marcus Cooper, signore. Bland borbottò qualcosa e spense la radio.
- Vedete, signor Sable? - disse poi tornando a sorridere. - Qui sono al sicuro. Il vostro assassino non può avvicinarsi oltre. Io non sono particolarmente famoso per avere compassione, ma vi assicuro che quell'uomo mi fa pena. Ha compiuto un'impresa eccezionale, di cui può andare fiero... nei pochi istanti che gli restano da vivere.
Detto questo, si mise a passeggiare per la sala ammirando il suo operato. I moribondi che erano ancora abbastanza in sé da riconoscerlo, cercavano di ritrarsi al suo passaggio. Bland continuò la sua ispezione sorridendo ai vivi e ai morti, distribuendo affettuose pacche sulle spalle e sulle schiene come potrebbe fare un generale con un manipolo di soldati che si sono comportati eroicamente.
Sable lo osservava trovando quel suo modo di fare ancora più affascinante e terrificante del trattamento che era stato riservato ai disgraziati che ne erano oggetto.
Poi si sentì ancora sparare.
Bland corse alla radio e prese il microfono.
- Cosa succede?
- È qui da qualche parte, nel terreno della chiesa, signore - disse la voce di Marcus Cooper. - È travestito da soldato e abbiamo tanti uomini che è impossibile individuarlo.
- Uccideteli tutti! - strillò Bland.
- Ma signore...
- Mi hai sentito - disse Bland, più calmo. - Voglio che tutti i soldati vengano uccisi, fino all'ultimo uomo.
- Ma, signore, non posso...
Si udirono altri spari e la radio cessò di trasmettere.
Bland provò a mettersi in contatto con gli altri undici ufficiali, ma solo sette risposero, ed era evidente che dappertutto regnavano caos e confusione. Bland ordinò di aprire il fuoco contro chiunque fosse vivo e si muovesse.
- Signore - disse una delle sue guardie del corpo - sono sicuro che è solo questione di minuti, prima che lo uccidano, tuttavia, per maggior sicurezza proporrei di trasferirci nella cappella o in una stanza più piccola. Sarebbe più facile difenderci.
- No - disse con fermezza Bland.
- Ma...
- Mi piace questa stanza - continuò Bland dando una pacca sul sedere a un cadavere appeso al soffitto. - Qui mi sento a mio agio, e qui resterò.
- Lo capisco, signore, ma...
Bland estrasse di tasca una pistola e uccise la guardia con un solo colpo.
- C'è qualcun altro che ha voglia di discutere i miei ordini? - chiese poi.
Nessuno aprì bocca e lui si rivolse a Sable.
- Be', catturarlo potrebbe costarmi tutto il mio esercito, signor Sable - disse - ma ne ho già persi altri, e presto ne formerò un altro.
- Se vivrete abbastanza.
- Prima lui, poi voi\ - gridò Bland.
- Non riuscirete a fermarlo - dichiarò Sable con un sorriso di trionfo. - Ormai è a meno di cento metri da voi.
- E non riuscirà ad avvicinarsi di più.
- Forse ha continuato ad avvicinarsi mentre noi parlavamo - disse Sable. - Cosa provate, sapendo che la vostra morte si sta inesorabilmente avvicinando e non potete fare niente per impedirlo?
- Ottima domanda, signor Sable. - Soppesatela bene e poi datemi voi la risposta.
- Non è ironico - continuò Sable con un sorriso cattivo - che Conrad Bland, l'assassino più grande di tutti, venga ucciso non dagli anni o da una malattia, ma da un assassino ancora migliore di lui?
- Tacete - gli intimò minacciosamente Bland.
- Secondo me questa stanza dove avete ucciso tanta gente è il posto veramente adatto perché ci moriate anche voi.
- La mia pazienza ha un limite, signor Sable - disse Bland alzando la pistola e puntandogliela contro. - Se fossi in voi smetterei subito di parlare.
Sable chiuse la bocca, limitandosi a fulminarlo con lo sguardo. Bland contraccambiò con un sorriso, poi tornò alla radio. Questa volta risposero solo tre uomini e Bland impallidì improvvisamente.
- Le porte! - gridò. - Perché non sono bloccate?
Le cinque guardie corsero alla dozzina di porte che davano nella sala e le chiusero con i catenacci, mentre fuori nel corridoio passavano di corsa soldati con le armi in pugno. Appena fu chiusa l'ultima porta si sentì sparare a meno di venti metri di distanza.
- Vi avevo detto che non sarebbe arrivato fino a questa stanza, signor Sable - disse Bland.
- Mi avevate anche detto che non sarebbe mai arrivato a Kether, a Hod o a Binah - gli ricordò Sable con una risata sprezzante.
Bland non si degnò di rispondere e tornò alla radio - L'avete preso? - chiese.
- Non ne siamo sicuri, signore - rispose una voce rauca. - Ci sono talmente tanti morti qui intorno che ci vorranno ore per esaminarli tutti. Comunque, se anche è riuscito a cavarsela qua fuori e a entrare, è stato sicuramente ucciso dai soldati in uno dei corridoi.
- Bene, così è sistemato! - sghignazzò Bland. - Non volete congratularvi coi miei uomini e applaudire il loro capo, signor Sable?
- Se siete tanto sicuro che è morto, aprite le porte e licenziate le guardie.
- Ogni cosa a suo tempo. Prima devo fare ancora una cosa, se ricordate. - Tacque in attesa della reazione, ma Sable rimase impassibile. - Vi offro l'ultima occasione per divertirmi, signor Sable - continuò poi. - Sono certo che consideriate abbastanza preziosa la vostra vita per fare questo sforzo. Dite qualcosa che mi colpisca la fantasia, e forse vi lascerò vivere fino a domani.
- Non mi sento molto spiritoso nel corso di un massacro.
- Ecco! Un po' di cinismo, un briciolo di provocazione, una punta di umorismo - disse ridacchiando Bland - Vi darò un sei per questa frase. Siete stato promosso, ma solo per il rotto della cuffia.
- Grazie - rispose con sarcasmo Sable.
- Non c'è di che. Pensate piuttosto a un'altra spiritosaggine.
Sable sospirò, guardandosi intorno, pensando all'assurdità di cercare di divertire un pazzo in quella situazione, e d'improvviso ebbe l'impressione che ci fosse qualcosa che non quadrava. Non sapeva cosa, ma c'era... e improvvisamente capì.
Mentre avrebbero dovuto esserci cinque soldati in uniforme a guardia delle porte che davano sui corridoi, ce n'erano sei. Sable abbassò gli occhi e si girò da un'altra parte per evitare che Bland vedesse cosa guardava. Ma Bland si era rimesso a passeggiare fra morti e moribondi, distribuendo pacche e carezze, rivolgendo allegre osservazioni a uomini e donne che non erano più in grado di ascoltarlo, così Sable azzardò un'altra rapida occhiata.
Tre... quattro... cinque... sei!
Sì, non si era sbagliato: l'uomo era in quella stanza. Ma come mai gli altri non se n'erano accorti? Non sapevano contare?
Finalmente capì. I sei uomini erano disposti lungo il perimetro del locale a guardia delle porte, e nessuno poteva vedere gli altri cinque tutti insieme. Solo lui e Bland, stando al centro della sala, erano in grado di vedere contemporaneamente tutte le guardie, e Bland era troppo occupato con le sue vittime per accorgersene.
Ma allora cosa aspettava l'assassino? Perché non estraeva l'arma e abbatteva Bland da quel cane rabbioso che era?
Di colpo capì: quell'uomo non era un ardente rivoluzionario, né un mitico vendicatore che si era proposto di fare sparire un mostro dalla faccia di quel pianeta, ma un assassino prezzolato - ancora più abile di Bland - che non aveva la minima intenzione di mettere a repentaglio la propria vita per niente e nessuno. Oltre a Bland, nella stanza c'erano cinque uomini armati, e lui non si sarebbe mosso finché non li avesse eliminati o resi in qualche modo innocui.
Bland continuava a camminare e parlare, e la tensione a cui Sable era in preda crebbe al punto che lui stava per gridare... ma con uno sforzo enorme riuscì a vincersi e poco dopo Bland gli si avvicinò: - Non ho sentito più sparare, signor Sable - disse. - Quell'uomo è morto di sicuro.
- Se lo dite voi - replicò Sable cercando di parlare con voce ferma.
- Sì, lo dico io. E adesso cerchiamo di risolvere un problema meno importante ma che dobbiamo affrontare: cosa dobbiamo fare di voi, signor Sable?
Allora, per la prima volta quella sera, Sable ebbe paura. Quando l'assassino era solo una figura vaga che si apriva la strada attraverso la città, quando non c'era nessuna reale speranza di salvezza, si era rassegnato alla morte. Ma adesso che la speranza poteva diventare certezza, l'idea di morire dieci minuti prima di Bland più ancora che terrorizzarlo gli dava la sensazione di essere stato tradito. Tuttavia sapeva che l'assassino non avrebbe alzato un dito per correre in suo aiuto. In fin dei conti il suo lavoro consisteva nell'uccidere, non nel salvare qualcuno.
- Bene, signor Sable - riprese Bland - sto aspettando. Avrete certo qualche opinione in materia.
Sable lo fissò duramente. Gli mancavano le ginocchia e cominciavano a tremargli le mani, ma non disse niente.
- Guardia! - gridò Bland, e tutti e sei gli uomini si voltarono verso di lui. - Ho l'impressione che il signor Sable abbia un po' caldo. Due di voi vengano qui a spogliarlo mentre io penso al modo di distrarlo.
Due guardie si avvicinarono. Sable le fissò disperatamente. Poi vide le altre quattro. Adesso! Avrebbe voluto gridare. Adesso che ognuno di voi può vedere tutti gli altri! Adesso prima che comincino a contare! Le quattro guardie rimasero immobili per i venti secondi più lunghi della vita di Sable. Poi, una che stava appoggiata alla porta con la pistola in mano, si mosse impercettibilmente e un attimo dopo il lugubre silenzio della sala fu rotto da tre rapide esplosioni. Le tre guardie rimaste alle porte caddero a terra morte. Le altre due, che avevano quasi raggiunto Sable, morirono prima di avere il tempo di voltarsi per vedere chi avesse sparato.
- Fermo, signor Bland! - intimò Jenko vedendo che Bland stava per infilare la mano in tasca.
- Chi siete? - chiese Bland.
- Allontanatevi, signor Sable - disse Jenko.
Sable arretrò e per poco non cadde inciampando nel cadavere di una guardia.
Bland strinse gli occhi. - Bene - disse con voce fredda e calma. - Qualcuno vi ha assunto per uccidermi. Per quanto vi abbiano potuto pagare, io vi darò di più perché non lo facciate.
- Cosa pensate di avere che io possa volere? - ribatté Jenko.
- Metà del mio regno - rispose Bland facendo un ampio gesto col braccio.
- Cosa me ne faccio di ventotto pianeti morti?
- Denaro, allora, più di quanto avete mai sognato! Dollari, rubli, crediti, sterline... dite cosa preferite. Un milione, un miliardo, il doppio, il triplo. Pensate a quello che potreste comprare con un trilione di crediti, al potere che conferisce un trilione di yen! Dite voi la cifra!
Uccidilo! Urlava dentro di sé Sable. Non ascoltarlo! Fai quello che sei venuto a fare! Ma non disse una parola né fece un gesto che potesse distrarre l'attenzione dell'assassino da Bland, e rimase così, immobile e silenzioso, in attesa, con l'amara certezza che Bland avrebbe trovato il punto debole nella corazza del suo nemico.
- Ho già detto una cifra - disse Jenko impassibile. - E mi hanno pagato. Per questo sono qui.
- Io e voi siamo del tutto simili - incalzò Conrad Bland che faceva un enorme sforzo per mantenere la calma. - Noi uccidiamo. Godiamo nella morte, ci ubriachiamo nella distruzione. Unisciti a me - continuò in tono confidenziale - diventa il mio generale. Diventa mio socio... alla pari, e io ti offrirò tali occasioni di uccidere e massacrare che tu non hai mai nemmeno immaginato.
- Io non mi diverto a uccidere - disse Jenko.
- Donne, allora! - gridò Bland - di tutti i colori, di tutte le razze, belle, giovani, appassionate, tutte per te!
Jenko si concesse un breve sorriso. - Su questo mondo, signor Bland? Temo che qui non abbiate molto da offrirmi.
- Allora - dichiarò Bland con un sorriso trionfante - se non posso farti ricco, potente o amato, ti farò me!
Jenko inarcò un sopracciglio, ma non disse niente.
- Non ci sono foto od ologrammi miei in nessun archivio, né impronte digitali e retinagrammi. Fatta eccezione per i miei seguaci qui a Tifereth, non è sopravvissuto nessuno che mi abbia visto, in tutta la Galassia. Lasciami vivere e scambieremo la nostra identità. Pensaci! Lasciami fuggire, lascia che me ne vada per non tornare mai più, e tu rimarrai qui e sarai Conrad Bland!
Sable guardava fisso e teso l'assassino. Per la prima volta gli parve di scorgere un barlume d'interesse, un desiderio di valutare le possibilità, un lieve cedimento.
- Interessante offerta - disse Jenko dopo una lunga pausa. - Anzi, l'unica offerta interessante. Ma tutti i professionisti hanno un loro codice d'onore e il mio esige che esegua l'incarico, avendo accettato la commissione.
- Non puoi fare questo a me! - strillò istericamente in falsetto Bland. - Io sono Conrad Bland!
Jenko gli puntò contro la pistola e prese la mira.
- No! - ringhiò Bland. - Non puoi farlo! Il mio lavoro è appena agli inizi! Devo distruggere Walpurgis, e poi la Terra, e Deluros, e... - continuando a blaterare portò la mano alla pistola.
Jenko sparò, e frammenti della testa di Bland schizzarono da tutte le parti.
- Dio ti ringrazio! - mormorò Sable.
- Pensavo che non credeste in Dio, signor Sable - disse Jenko, rinfoderando la pistola e chinandosi per esaminare il cadavere di Bland.
- Grazie a Dio e anche a Satana - disse Sable, - ma soprattutto grazie a voi.
- Non occorre ringraziarmi. Sono stato pagato, e molto bene, per ucciderlo.
- Pensavo di essere ormai un uomo morto - confessò Sable, accorgendosi di dire una sciocchezza, ma incapace di tacere.
- Neanche per sogno. Non vi avrei mai lasciato morire.
- Non capisco.
- Voi dovete farmi uscire da questo letamaio.
- Come? - chiese Sable confuso.
- Non ne ho la minima idea - ammise Jenko - ma una persona che se ne intende mi ha detto che voi sareste stato il mio lasciapassare per andare via di qui.
- Chi vi ha detto questo?
- Temo di non potervelo dire. - Jenko rivoltò il corpo di Bland col piede. - Accidenti!
- Cosa c'è? - chiese John Sable, sentendosi sempre più sciocco con quelle insistenti domande. Ma era talmente euforico per essersela cavata, che non gli importava che opinione potesse farsi di lui Jenko.
- Ha il vestito macchiato di sangue.
- E allora?
- Allora non posso travestirmi da Bland per tentare di uscire da qui - sospirò Jenko. - Comunque non ci sarei riuscito. Non ho più la borsa del trucco, e non potrei tingermi i capelli del suo colore. Temo proprio che tocchi a voi.
- Ma io non so cosa fare - obiettò Sable.
- Allora sarà meglio che cominciate a pensarci, e in fretta. Non resteremo soli a lungo.
- Quanti uomini ci sono fuori?
- Qualche migliaio meno di prima - disse Jenko con un sogghigno. - Ma sempre molti.
- Ne avete uccisi tanti?
- Io ne ho uccisi pochi. In massima parte si sono ammazzati fra loro. Ma adesso, mentre voi ci pensate su, devo fare ancora una cosa.
Si avvicinò al cadavere di una guardia e sfilò la pistola dal cinturone, poi percorse metodicamente tutto il locale sparando una scarica di raggi contro tutti i moribondi. Quando tornò pochi minuti dopo, erano rimasti vivi solo lui e Sable.
- Capisco perché abbiate voluto porre fine alle loro sofferenze - disse con voce roca Sable. - Ma forse si poteva salvare qualcuno di quei disgraziati.
- Lo so.
- Come sarebbe a dire? - chiese John Sable rabbrividendo.
- Saremo molto più sicuri senza testimoni, signor Sable... specialmente quelli che sarebbero sopravvissuti.
A questo punto Sable si chiese se non sarebbe stato meglio che fosse sopravvissuto Bland.
Capitolo XXV
Le emozioni offuscano il panorama mentale. (Jenko)
- Perché non possiamo cercare di svignarcela allo stesso modo in cui siete entrato voi? - chiese Sable.
- Perché siamo circondati - rispose calmo e paziente Jenko. Stavano al centro della sala e, parlando, Jenko non smetteva di tenere d'occhio le porte. - Era facile passare per uno dei soldati di Bland finché mi trovavo in mezzo a loro, ma adesso la situazione è diversa. Non appena vedranno il cadavere di Bland capiranno chi sono io, nonostante l'uniforme.
La sua calma irritava Sable. Aveva appena ucciso un uomo che mezzo pianeta adorava, era circondato, in una città ostile su un mondo ostile, aveva i minuti contati, tutte le armi di cui disponeva erano qualche pistola a pallottole o a laser, eppure era imperturbabile. E soprattutto, sicuro di se stesso.
- Be', non c'è senso a facilitargli le cose - disse Jenko. - Datemi una mano.
Si accostò a una guardia morta e cominciò a spogliarla. Sable afferrò l'idea e lo imitò. Due minuti dopo, altri cinque cadaveri nudi si univano alle vittime di Bland, del tutto indistinguibili dagli altri.
Poi spogliarono Bland e Jenko insistette perché lo appendessero a un gancio.
- Perché? - volle sapere Sable.
- La gente in genere ha l'abitudine di guardare in basso, non in alto - rispose Jenko. Poi puntò la pistola a laser contro il cadavere di Bland distruggendo quel che restava della testa. - Così sarà più difficile identificarlo.
Sable lo guardò, scrollando il capo sbalordito. Quello era semplicemente lavoro per Jenko, e nient'altro, e adesso stava occupandosi dei particolari, come un commesso di negozio esporrebbe la merce in modo da produrre l'effetto migliore.
- Bene, signor Sable - disse poi Jenko. - Adesso cerchiamo di escogitare un sistema per uscire da qui. Ovviamente non posso travestirmi da Bland né fingere di essere una delle sue guardie.
- Non capisco perché no.
- Perché nessuna guardia vi avrebbe lasciato vivo - spiegò spassionatamente Jenko. - No, la soluzione sta nella vostra presenza qui. Voi siete la chiave. A proposito, come mai siete venuto a Tifereth?
E improvvisamente Sable seppe come potevano andarsene.
Frugò nelle tasche e ne trasse un foglio piegato.
- Cos'è? - chiese Jenko.
- Un ordine che mi dà la facoltà di estradarvi ad Amaymon.
- Per quale crimine?
- L'uccisione di Burnam.
- Bene, così non dovete presentarmi come il potenziale assassino di Bland.
- Come sarebbe a dire... potenziale?
- Non penserete che potremmo andarcene di qui se sapessero che Bland è morto, vi pare? - ribatté Jenko con un sorriso ironico.
- Non... - cominciò Sable. Poi gli cadde lo sguardo sulla radio. - Siete pazzo. Non potrà funzionare.
- Ho sentito abbastanza a lungo la sua voce per riuscire a imitarla. Voi dovete solo aiutarmi un po' scrivendomi nel suo stile quello che dovrò dire.
- Non la berranno!
- Vi stupireste nel constatare cosa non sono capaci di credere gli uomini quando sono sotto pressione - disse con calma Jenko. - Stanno morendo come mosche, qua fuori, e non sanno nemmeno chi sia il nemico. Convincerli sarà molto più facile di quanto non crediate. - E dopo una breve pausa chiese: - Oltre a voi qualcun altro sa che io ho ucciso Parnell Burnam?
- Il Capo del Servizio di Sicurezza di Bland... si chiama Bromberg.
- E di nome? Ha un grado militare?
Sable si strinse nelle spalle.
- Non importa. Dobbiamo prima occuparci di questo Bromberg. Nel mucchio degli indumenti ho visto parecchie penne e almeno un paio di notes. Scrivetemi, esattamente come si sarebbe espresso Bland, un messaggio nel quale si dica che ha catturato l'assassino e che ha intenzione di occuparsi personalmente di lui. Poi convocate Bromberg in questa stanza e ditegli che prepari in cinque minuti una squadra per scortare voi e il prigioniero al suo aereo personale, che ci porterà ad Amaymon. Siccome mi farà delle domande, preparatemi un foglio a parte con le frasi adatte per affermare la mia autorità e la proibizione di discutere i miei ordini.
- D'accordo - disse Sable. Andò a frugare nel mucchio degli indumenti e trovò penna e notes. - Ma anche se il trucco funziona, saremo nelle peste quando Bromberg arriverà qui e vedrà che gli unici superstiti siamo noi due.
- Ci sono centinaia di persone in questa stanza - osservò Jenko. - Impiegherà almeno qualche secondo ad accorgersi che nessun altro è vivo.
Sable scrisse il messaggio. Jenko accese la radio e cominciò a leggerlo con la voce stridula di Bland, che imitava tanto bene da riuscire quasi a ingannare perfino Sable che lo osservava con ammirazione mista a paura... e non tanto perché Jenko se la stava cavando così bene, quanto perché ci riusciva fin troppo facilmente.
Pochi istanti dopo Bromberg bussò a una delle porte e Sable si affrettò a farlo entrare, richiudendo subito la porta. Non aveva percorso neanche cinque metri che Jenko lo abbatté con la pistola a laser.
- Dobbiamo tagliare subito la corda - disse Jenko, gettando via pistola e coltello e accingendosi a spogliare Bromberg. Sable lo aiutò, e poco dopo il cadavere nudo del Capo del Servizio di Sicurezza andava a unirsi alla lugubre collezione di Bland. Poi nascosero tutti gli indumenti sotto un mucchio di cadaveri.
Jenko gettò a Sable un paio di manette che aveva trovato in tasca a Bromberg. - Mettetemele - disse - così l'inganno sarà perfetto. Poi aprite le porte, sfilatemi la pistola a proiettili dal cinturone e puntatemela contro.
Sable eseguì, e pochi secondi più tardi arrivarono i sei uomini della scorta.
- Dov'è il Mio Signore Bland? - chiese il comandante, e proprio a un metro dalla sua testa ciondolavano le gambe di Conrad Bland.
- Se n'è andato - rispose Sable. - È tutto finito.
L'uomo si guardò sospettosamente intorno, poi chiese a Sable. - Il Mio Signore ha parlato di un mandato di estradizione. Posso vederlo?
Sable glielo porse, l'altro lo lesse e glielo restituì. - Bene - disse - seguitemi.
Jenko si avviò, mogio mogio, e Sable, che si aspettava ancora di sentirsi crollare il mondo addosso, gli si affiancò. Percorsero il corridoio cosparso di cadaveri, e uscirono dirigendosi verso un veicolo scoperto parcheggiato in mezzo alle carcasse di altri veicoli e carri armati distrutti.
Attraversarono a sirene spiegate le strade morte di Tifereth e dopo un'ora raggiunsero l'aeroporto privato di Bland, situato a nord della città. Poi Sable, sempre con la pistola puntata contro Jenko, salì la scaletta, entrò nella lussuosa cabina e si sedette vincendo l'impulso di voltarsi a guardare nel timore che qualcuno avesse scoperto il cadavere di Bland e impedisse all'aereo di partire.
Ma non accadde proprio niente di tutto questo. Poco dopo il velivolo rullava sulla pista, acquistando velocità e prendeva quota, puntando verso nord-ovest. Poi virò a sinistra e si diresse a sud, verso Amaymon.
Sable guardò dal finestrino mentre sorvolavano Tifereth. Dall'alto sembrava una città normale, a parte la mancanza di traffico. Un osservatore casuale pensò Sable, non potrebbe mai sapere che il re dei macellai è stato appena eliminato dal principe dei carnefici.
Capitolo XXVI
Dimostrare compassione per un assassino equivale a insultare le sue vittime (Jenko).
Dimostrare compassione per un assassino equivale a insultare le sue vittime (John Sable).
Il pavimento della cabina era coperto da un tappeto bianco fatto con la pelliccia di rari animali polari. Il mobilio, in legno pregiato, pesante e scolpito, era tappezzato di broccato nero e consisteva in due poltrone e un enorme divano. Un tavolo, davanti al divano, si trasformava in un bar premendo un bottone.
- Adesso potete togliermi le manette - disse Jenko sprofondando in poltrona e porgendo i polsi a Sable.
- No - rispose Sable, che aveva preso posto sul divano e continuava a puntargli contro la pistola.
- Perché no? - chiese Jenko, impassibile come sempre.
- Perché per prima cosa mi uccidereste - spiegò Sable. - Adesso che siamo riusciti a scappare da Tifereth non avete più bisogno di me, e so già come la pensate a proposito del lasciare vivi dei testimoni.
- Be', se preferite lasciatele pure - disse Jenko alzando le spalle. - Vuol dire che me le toglierete appena arrivati ad Amaymon.
- Non so ancora se lo farò.
- Posso ricordarvi che vi ho salvato la vita, a Tifereth, signor Sable?
- Lo so.
- E allora?
- Io sono diverso da voi - rispose Sable con un profondo sospiro. - Voi decidete sui due piedi, agite di conseguenza, e pare che non abbiate mai dubbi. Io invece devo pensare a lungo, con cura, a quello che devo fare, devo esaminare tutti i particolari e farmi un quadro d'insieme soddisfacente, prima di concludere.
- E ora a cosa pensate?
- A voi.
- Che diritto avete di giudicarmi, signor Sable?
- Ho visto in azione sia voi che Bland. Nessuno meglio di me è in grado di giudicarvi.
- Mi sembrate turbato.
- Lo sono - ammise Sable. - Voi avete ucciso Bland, e bisognava farlo, mi avete salvato la vita, e ve ne sono grato... ma non so se vi si può permettere di continuare a vivere.
- Non vorrete paragonarmi a Bland - disse Jenko sorridendo.
- No. Voi siete molto più pericoloso di lui.
- Non dite sciocchezze, signor Sable.
- Cerco di essere il più imparziale possibile. Se Conrad Bland fosse stato al vostro posto pensate che avrebbe potuto uccidervi?
- No - rispose lentamente Jenko. - Mai, in nessuna circostanza, Conrad Bland avrebbe potuto uccidermi.
- Lo sapevo.
- Questo però non è un motivo valido per metterci sullo stesso piano.
- Sì che lo è. Sia voi che lui avete ucciso una quantità di gente.
- Ma per motivi diversi.
- Lui per impulso, voi per calcolo. Prima di arrivare ad Amaymon devo decidere quale motivazione è la peggiore.
- Se io non lo avessi eliminato, Bland avrebbe distrutto tutto il pianeta.
- Non aveva scelta - disse Sable. - Secondo la sua mentalità, non aveva alternative. Quante persone avete ucciso nel tragitto da Amaymon a Tifereth?
- Ventuno.
- Perché?
- Era necessario.
- Perché avete ucciso Ibo Ubusuku?
- Sapeva qual era il mio incarico... o, se lo ignorava, avrebbe finito con l'indovinarlo. - Non c'era traccia di rimpianto o rimorso nell'espressione di Jenko.
- E con questo? Lavorava per la Repubblica. Era dalla vostra.
- Nessuno lo è.
- Avete pensato di risparmiarlo?
- Certo. Come avete detto, io non uccido per impulso.
- Però lo avete ucciso.
- Era necessario.
- E Gaston Leroux?
- Era pericoloso anche lui.
- Ma vi aveva visto travestito. Non sapeva il vostro nome né dove trovarvi.
- La sua vita non contava in confronto al mio scopo.
- Cosa sarebbe successo se lo aveste lasciato vivere?
- Forse niente - ammise Jenko.
- E allora perché l'avete ammazzato?
- Non mi fido delle probabilità. Io mi baso solo sulle certezze, signor Sable.
- Era un essere umano.
- Bland stava sterminando migliaia di esseri umani - gli ricordò Jenko.
- Lo so. Ve ne importa?
- Di cosa? - chiese Jenko perplesso.
- Delle vittime di Bland.
- Che differenza fa? L'ho eliminato prima che potesse uccidere ancora.
- Fa differenza, altroché! Ditemi, perché avete ucciso Bland?
- Non capisco la domanda.
- Mi avete sentito. Perché avete ucciso Conrad Bland?
- Perché era il mio lavoro. Avevo accettato l'incarico.
Sable sospirò, e tacque a lungo, guardando dal finestrino, soppesando quanto aveva sentito e quanto aveva visto, confrontando e contrapponendo, erigendo la sua piccola piramide di fatti e giudizi, e valutando l'inevitabile conclusione che portava comunque all'assoluta improrogabilità dell'eliminazione di Bland.
Finalmente distolse lo sguardo dal panorama che scorreva veloce al di sotto dell'aereo, si raddrizzò, e fissò Jenko dritto negli occhi.
- Avete preso una decisione - disse Jenko imperturbabile.
- Infatti.
- E...?
- Da questo momento siete in arresto per l'uccisione di Parnell Burnam.
A quattromila chilometri di distanza, Lucia Bianca sorrise, chiuse gli occhi e morì.
Capitolo XXVII
Dio e Satana sono nelle loro gabbie: al mondo tutto va bene. (John Sable)
In piedi fra Pietre Veshinsky e Orestes Mellan, nel piccolo cimitero alla periferia di Amaymon, Sable fissava la semplice bara calata nella fossa.
Negli ultimi quattro giorni gli eventi si erano succeduti con grande rapidità. La giustizia, sempre celere su Walpurgis, aveva fatto le cose di corsa come se avesse Satana alle calcagna. Due ore dopo il ritorno ad Amaymon, Jenko era stato processato in un piccolo tribunale senza giurati, senza giornalisti e neppure lo stenografo del tribunale. Anche a Sable era stato vietato di assistere al processo.
Giudicato colpevole, fu condannato a morte e portato in una cella di massima sicurezza, dove uccise due guardie, e aveva già raggiunto una scala di servizio prima che riuscissero a catturarlo. Durante il tentativo d'evasione di Jenko, numerosi dignitari del governo e del clero stavano conferendo a porte chiuse. La riunione terminò sul fare della sera e la sentenza fu eseguita prima di mezzanotte.
Le esequie furono rinviate a tre giorni dopo, quando arrivò Mellan, quale rappresentante della Repubblica, che aveva chiesto e ottenuto fotografie e misure del cadavere.
E adesso Sable, incurante della pioggerella che aveva cominciato a cadere, guardava la fossa che veniva ricolmata di terra e sassi.
- Nessuna lapide? - chiese Veshinsky.
- Non abbiamo mai saputo il suo vero nome - disse Sable.
- Già - confermò Mellan stringendosi addosso la giacca per ripararsi meglio. - Diceva di chiamarsi Jenko, ma nessuno sa chi fosse realmente.
- Non importa - aggiunse Veshinsky. - L'importante è che abbia compiuto la sua missione.
- Sono d'accordo - asserì Mellan. - Era quello che voleva la Repubblica, e la cattura e l'esecuzione di Jenko sono stati un gradito extra in più.
- Mi chiedo come abbia potuto arrivare a tanto senza che nessuno riuscisse a fermarlo - disse Veshinsky.
- Chi? - chiese Sable.
- Bland, naturalmente.
- Chi lo sa? - rispose Mellan. - Comunque l'importante è che sia morto.
- È vero - convenne Veshinsky. - Abbiamo perfino proclamato un giorno di lutto nazionale per lui - aggiunse con una risatina ironica.
- Per quel mostro? - si stupì Mellan. - Cosa succederà quando la gente verrà a sapere quello che è successo a Tifereth?
- Non lo saprà mai.
- Ma prima o poi la verità verrà a galla - insisté Mellan.
- E chi la dirà? - obiettò seccamente Veshinsky. - Voi, che avete commissionato la sua morte? Il governo che vi ha incaricato di assoldare Jenko? Il Clero che ci ha chiesto di offrirgli rifugio e poi non è riuscito a controllarlo? No, l'unico che poteva parlare era Jenko, e anche lui è morto.
- E la stampa?
- Noi la controlliamo - rispose sorridendo Veshinsky. - È nell'interesse di tutti credere che Bland sia stato un martire e che l'assassino sia stato condannato per il suo odioso crimine. Non è vero, John?
- Sì, è vero - disse Sable, e aggiunse fra sé: anche se lo è per la ragione sbagliata.
Pioveva forte adesso, e i tre uomini si allontanarono dalla tomba anonima per tornare al parcheggio. Veshinsky propose che l'autista di Sable accompagnasse Mellan allo spazioporto, mentre lui avrebbe riaccompagnato Sable sulla sua limousine.
- Voglio che tu sappia che siamo tutti fieri di te - disse Veshinky mentre l'autista guidava la macchina lungo le strade viscide. - Hai davanti a te un brillante avvenire.
- Grazie.
- Ovviamente avrai una promozione e un aumento, e posso aggiungere, in confidenza, che il Consiglio Municipale sta preparando una piccola cerimonia in tuo onore.
- Lo apprezzo molto.
- Dal tono non si direbbe, John - ribatté Veshinsky un po' preoccupato. - Da quando sei tornato non sembri più lo stesso.
- Ci vuole tempo per digerire tutto quello che ho visto e che ho passato a Tifereth.
Veshinsky pulì il vapore che si era condensato sul finestrino, e guardò fuori.
- Com'era? - chiese poi.
- Hai visto i bassorilievi sulla Chiesa del Messaggero? - Veshinsky annuì. - Be', era molto peggio.
- Capisco - si limitò a dire Veshinky. - Mellan era stato su New Rhodesia subito dopo la fuga di Bland, e mi ha raccontato qualche particolare.
- Qualsiasi cosa abbia visto, non poteva essere orribile come a Tifereth.
Sable rabbrividì e rialzò il colletto.
- Come sta Siboyan? - chiese Veshinsky dopo una lunga pausa.
- Bene.
- Come ha reagito alla notizia della morte di Bland?
- Più o meno come gli altri. Si rammarica che io non sia riuscito a salvarlo.
- Non le hai ancora detto la verità?
- Non parlo mai del mio lavoro fuori dall'ufficio.
- Molto saggio da parte tua, John - sorrise Veshinsky. Si accese un sigaro e ne offrì uno a Sable, che rifiutò. - Ho un paio di biglietti per il combattimento della settimana prossima. Vuoi venire?
- Grazie per l'invito, Pietre, ma lo spargimento di sangue che ho visto a Tifereth mi basta e avanza per un pezzo.
L'auto svoltò nella strada dove abitava Sable.
- C'è ancora una cosa che non riesco a capire - disse Veshinsky. - Se Bland era quel mostro che dite tu e Mellan, perché non hai lasciato andare Jenko?
Sable fissò a lungo, intensamente, il suo vecchio amico chiedendosi se sarebbe riuscito a spiegarglielo... anzi, se sarebbe mai riuscito a spiegarlo a nessuno. Alla fine alzò le spalle e disse: - Aveva violato la legge.
Veshinsky fissò a lungo la punta del proprio sigaro. - Se vuoi metterla così, John - disse poi - non parliamone più. - La limousine si fermò davanti alla casa di Sable. - Arrivederci. E non fare quel muso... sei un eroe!
Sable lo salutò con la mano mentre l'auto si allontanava, ed entrò in casa. I bambini erano ancora a scuola e Siboyan era uscita per fare la spesa. Anche il gatto era sparito.
Sable passò lentamente da una stanza all'altra chiedendosi se sarebbe mai riuscito a togliersi di dosso l'odore di Tifereth. Passando davanti alla statua di Kali, pensò per un momento di prenderla e chiuderla nello sgabuzzino, come aveva fatto con gli oggetti di culto del suo ufficio, ma poi preferì lasciarla dov'era.
Siboyan credeva ancora, e i bambini avevano la fede ingenua e ardente della loro età. Se mai un giorno avessero dovuto affrontare una loro Tifereth personale - cosa che lui si augurava non avvenisse mai - ci avrebbero pensato loro a mettere da parte la statua. Intanto non era altro che gesso e vernice, un soprammobile privo di significato per lui.
Andò in camera da letto e indossò la tuta da lavoro. Aveva smesso di piovere, stava tornando il sole e lui aveva parecchio da fare. Il giardino, come la sua vita, era in uno stato di temporaneo disordine: tutti e due avevano bisogno di cure, ciascuno a suo modo.
Se non altro, pensò con un sospiro, le erbacce sono state sradicate dalla mia vita. Sono sopravvissuto al buio e al freddo della notte. Ci vorrà tempo, ma tornerò a fiorire.
Nel frattempo, cominciò a occuparsi del giardino.
FINE