Science Fiction Project
The Lost Treasures
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URANIA - SCRITTORI DI SF SI NASCE?

Stefano Di Marino - La struttura
Stefano Di Marino - Personaggi, ambientazione e ricerche
Vittorio Curtoni - Fantascienza via modem
Kim Howard Johnson - Demoni creativi
Patrick Daniel O'Neil - Claremont torna a scrivere
Stefano Di Marino - Vita dura per gli scrittori!

LA STRUTTURA - Stefano Di Marino

Il pubblico che acquista romanzi di fantascienza è diviso in due categorie. La prima è composta da tutti quei lettori che non chiedono altro che essere trascinati, per lo spazio di qualche ora, in un mondo fantastico che li sottragga alla routine quotidiana. La seconda categoria è la più paventata dagli editori e dalle redazioni. Si tratta di un gruppo sempre crescente di persone che non si accontentano di sognare fughe su Marte o combattimenti all'ultimo sangue con alieni xenomorfi e replicanti assassini. No, questi lettori tendono a superare la barriera tra lettore e scrittore, non paghi delle visioni fantastiche ricavate dalle pagine dei romanzi. Vogliono di più. Desiderano proporre le loro idee, dar corpo alle loro fantasie, in pratica ambiscono a diventare loro stessi scrittori. Inutile dire che, per redazioni e curatori, questa genia è perniciosissima. Si tratta infatti di assillanti personaggi, ora ossequiosi ora aggressivi (la timidezza del principiante gioca sempre qualche brutto scherzo...) che inondano le redazioni con manoscritti a volte illeggibili, a volte interessanti ma che, nella maggior parte dei casi, sono destinati alla risposta standard che tutti gli aspiranti autori hanno ricevuto almeno una volta: "Il suo lavoro è interessante ma per i criteri editoriali della nostra casa editrice...". Blablabla... È pur vero che dalla massa di aspiranti a volte emerge un vero talento (un Evangelisti o una Vallorani, tanto per citare due nomi ormai noti al pubblco di URANIA) ma quante parole sprecate, quanti fogli di carta inutilmente imbrattati con dialoghi logorroici e situazioni inconcludenti! Scrittori (di fantascienza) si nasce, dunque? Non è possibile che, oltre alla passione, sia necessario conoscere una tecnica che renda più facile il lavoro creativo e meno tediosa la lettura per l'editore di turno?
I manuali di scrittura sono rari in lingua italiana ma non impossibili da reperire; recentemente l'Editrice Nord ha pubblicato una collanina sull'argomento che raccomandiamo a tutti i lettori. Riteniamo di far cosa gradita a quanti si cimentano nella creazione di opere personali riassumere un piccolo vademecum per lo scrittore (non solo) di fantascienza. Ovviamente nessuno possiede la formula magica e la semplice lettura di un articolo e l'applicazione di principi generali non assicurano a nessuno una fulgida carriera, ma conoscere qualche trucco del mestiere può essere interessante sia per chi è convinto di poter diventare l'Asimov italiano sia per chi vuol leggere un romanzo rendendosi conto dei meccanismi che ne regolano la strutturazione.
Prima ancora di cominciare è necessario svolgere alcune considerazioni di carattere generale. La fantascienza (come il giallo, la spy-story) viene considerata dagli editori un "genere", un settore della para-letteratura con fini commerciali e un pubblico necessariamente più limitato, "di bocca buona" rispetto a quello dei romanzi letterari o cosiddetti mainstream. Che questo assunto possa essere discutibile sotto tutti i punti di vista (a mio parere esistono solo romanzi buoni o illeggibili, avvincenti o noiosi) non cambia la realtà. Generalmente gli editori guardano ogni opera dichiaratamente "di genere" con sospetto e, non neghiamolo, con un certo snobismo. Questo conduce a pensare che chi s'incammina per la strada difficile e piena di frustrazioni di questa professione deve essere dotato di sufficiente determinazione per "digerire" rifiuti e discriminazioni al di là del valore del suo lavoro. Lo possiamo affermare senza timore di smentita: la qualità più richiesta per lo scrittore è la perseveranza. Se siete i tipi che si arrestano ai primi dieci rifiuti rinunciando a presentarsi convinti che il mondo non li capisca, scegliete un altro mezzo espressivo per dar voce alla vostra creatività.
Secondo assunto. La fantascienza è un genere (okay, questo l'abbiamo già stabilito!) quindi ci si aspetta che uno scrittore di SF conosca la materia e il suo linguaggio. Una delle cose che colpiscono di più (negativamente) i giurati del Premio Urania è la mancanza totale di conoscenza dell'argomento da parte dei partecipanti. Non è sufficiente scrivere una storia con qualche elemento fantastico per poterla collocare nella collana di quel genere. Spesso con la scusa che nella fantascienza può succedere di tutto arrivano in redazione pastrocchi illeggibili frutto di autori che si sono affrettati a spedire manoscritti sepolti in un cassetto convinti di potersi improvvisare fantascientisti senza magari aver letto neppure un numero di URANIA. Spianato il campo dalle illusioni, veniamo a qualche consiglio concreto. Un romanzo di fantascienza è un romanzo di genere: viene scritto e pubblicato quindi per fornire una lettura d'evasione che, per quanto ben scritta, scivoli via senza intoppi e incomprensibilità. Una storia astrusa e criptica forse potrebbe essere accettabile in altro ambito ma non sulle pagine di un romanzo d'intrattenimento. E qui l'aspirante scrittore si scontra con il primo ostacolo: la Struttura. Senza una strutturazione precisa nessun romanzo, per quanto ben scritto, regge alla prova del lettore che, dopo un poco, non raccapezzandosi più, lascia il romanzo ripromettendosi di evitare l'autore in questione come la peste. Non credete a quegli scrittori che, alle presentazioni dei loro libri, asseriscono di scrivere senza sapere dove li conduca la trama della loro vicenda, guidati come sono da una musa ispiratrice. Questo forse potrà valere per la narrativa squisitamente letteraria ma non certo per un romanzo di genere. Anzi, più la storia vi sembrerà casuale più potete star tranquilli che quel furbacchione dell'autore ha previsto tutto e, prima della fine del libro, ogni particolare troverà il suo posto lasciandovi soddisfatti e ammirati per il suo estro creativo. La regola da seguire per strutturare bene un romanzo è semplice. Ogni storia dovrebbe infatti potersi dividere in tre momenti fondamentali. L'Inizio, lo Svolgimento e la Fine. Provate a leggere con attenzione un qualsiasi romanzo d'intrattenimento e riuscirete a dividere la vicenda in questi tre momenti basilari. Naturalmente sta all'autore rendere tutto il processo scorrevole e non meccanico.

Vediamo di analizzare ciascun momento separatamente. Per esemplificare il processo sceglieremo una storia ben nota a tutti gli appassionati di fantascienza, quella del film Alien di Ridley Scott e della sua novelization scritta da Alan Dean Foster che, da vero scrittore, non si è accontentato di riprodurre pedissequamente la sceneggiatura ma ha aggiunto particolari interessanti servendosi con abilità della differenza di linguaggio tra film e romanzo.
L'Inizio. È il momento in cui vengono presentati i personaggi principali, la situazione di partenza nella quale il lettore può già individuare alcuni problemi che costituiranno il blocco centrale del plot. Rifacendoci al nostro esempio possiamo individuare questa prima parte con l'entrata in scena dei vari protagonisti al loro risveglio sull'astronave Nostromo. Ripley, Nash, Kane, il capitano Dallas e gli altri membri dell'equipaggio sono presentati a uno a uno, ben caratterizzati e attraverso la loro interazione possiamo intuire quali saranno i loro rapporti/conflitti nel corso della storia. In questa fase veniamo a conoscenza di un'anomalia (il segnale che li ha risvegliati) e affrontiamo, con la contaminazione di Kane da parte dell'alieno in embrione, il problema principale della vicenda. Con la lotta dell'Alieno contro l'uomo e l'eliminazione di tutti i membri dell'equipaggio al di fuori di Ripley entriamo nella fase dello Svolgimento.
Questo può essere più o meno complesso e permette di inserire nel plot principale (la disperata lotta tra gli umani e lo xenomorfo in un luogo chiuso dal quale è impossibile fuggire) una serie di altri sottoplot che rinforzano la trama senza danneggiarla. Nella storia presa in esame, un tipico sottoplot di supporto è costituito dal contrasto/conflitto tra umani e creature artificiali che culmina nella lotta tra Ripley e l'ufficiale medico Nash che si rivela inaspettatamente essere un androide. Questa trovata ci permette di introdurre una nuova difficoltà per la protagonista e un conseguente colpo di scena che lo spettatore/lettore ha potuto solo intuire nelle fasi precedenti. Nel contempo questo nuovo pericolo non si contrappone a quello principale (l'alieno) ma serve, anzi, a trovare una giustificazione alla situazione di pericolo nella quale si trovano i protagonisti. Scopriamo infatti che il Nostromo è stato intenzionalmente diretto dalla Compagnia (dalla quale Nash dipende) verso il pianeta Acheron per permettere all'alieno di infettare un umano e superare in tal modo la quarantena per poter sbarcare sulla Terra. In questo modo un pericolo totalmente estraneo al nostro mondo trova un corrispondente di supporto nelle losche manovre di un ente economico indifferente alla vita umana e che vorrebbe utilizzare l'alieno come arma. È una trovata intelligente soprattutto per agganciare ancor di più l'attenzione del pubblico sempre molto sensibile quando si parla di strutture pseudogovernative che agiscono contro l'interesse del singolo. Quanti di noi non si sono mai sentiti perseguitati dal sistema?
L'identificazione tra il lettore e i protagonisti diventa in tal modo sempre più forte. Il sottoplot di solito si risolve in poche battute senza sottrarre spazio alla trama principale. Se la lotta umani/androidi avesse prevaricato il conflitto con l'alieno l'attenzione del lettore si sarebbe distratta rischiando di perdersi. È importante ricordare che il sottoplot non deve mai risultare più intrigante del motivo principale del romanzo, altrimenti, una volta risolto, la suspense tenderà a cadere e ciò costituisce l'anticamera dell'abbandono della lettura. Altra regola importante: tenete sempre il vostro lettore per la gola, se lasciate che si distragga ci sono ottime probabilità di perderlo definitivamente. Per questo, nel romanzo, la scansione dei capitoli è importantissima. Nella fase dello Svolgimento l'equilibrio dei pesi e delle misure è fondamentale.
La scansione dei capitoli poi dovrebbe sempre essere tale da stimolare il lettore a proseguire nella lettura. A questo punto non solo tutti i personaggi e i problemi sono in scena, ma gran parte dei sottoplot si sono esauriti lasciando il protagonista (nel nostro caso Ripley) a fronteggiare il problema principale nella Fine. In questa fase l'autore deve stare bene attento non solo a collegare tutti i fili lasciati in sospeso ma a creare un crescendo di tensione che deve portare a una conclusione soddisfacente per il lettore, ovverosia una risoluzione del problema e un ritorno alla situazione di normalità iniziale (l'espulsione del mostro dalla navicella e il ritorno di Ripley nell'impianto criogenico) evitando di ricorrere a spiegazioni macchinose o troppo scontate. In molti romanzi e film dell'orrore o fantastici è di moda il finale aperto, che dopo una finta conclusione ripropone una situazione di pericolo suggerendo che gli sforzi del protagonista sono stati tutti vani. Non si deve pensare a qualcosa di incompiuto, piuttosto di un nuovo inizio che lasci all'autore la possibilità di cominciare una nuova avventura stimolando l'interesse del lettore.
Ovviamente un espediente del genere non deve essere troppo abusato o fine a se stesso. A questo punto, chiariti i punti fondamentali della struttura, affrontiamo un problema che affligge soprattutto i dattilo-scritti degli aspiranti autori di fantascienza. Con l'idea che le vicende narrate si svolgono in un reame fantastico, spesso gli autori si sentono autorizzati a far accadere tutto e il contrario di tutto senza rispettare nessun nesso logico o nessuna regola narrativa. Il fatto che si tratti di fantascienza e che molte delle ambientazioni e delle situazioni richiedano una "sospensione dell'incredulità" non significa che al povero lettore debbano essere propinate incongruenze finalizzate solo a creare colpi di scena continuati.
Un esempio classico è determinato da quei romanzi che utilizzano l'espediente della realtà virtuale per ribaltare più volte la situazione spiegando ogni incongruenza e colpo di scena con il fatto che comunque si tratta di una realtà virtuale e parallela. In questi casi i protagonisti muoiono e resuscitano, si vanno a cacciare in situazioni che l'autore non riesce a risolvere logicamente per cui l'intervento di un'altra dimensione che rimette tutto a posto diventa obbligatorio, con un conseguente rigetto da parte del lettore che, pur cercando emozioni fantastiche, non ama essere considerato uno stupido. Un esempio (positivo questa volta, chiarirà il concetto appena esposto). Isaac Asimov ipotizza una realtà futura che, secondo parametri strettamente logici, ci sembra piuttosto improbabile soprattutto per la presenza dei Robot. Lo fa però stabilendo delle regole precise (le Tre Leggi della Robotica, per esempio) che non vengono mai disattese. Possiamo sospendere la nostra incredulità (dopotutto stiamo leggendo un romanzo di fantascienza) ma saremo inflessibili di fronte a ogni incongruenza a quelle regole che lo stesso autore si è autoimposto. In effetti la grande abilità di Asimov sta soprattutto nel far sorgere il dubbio che il meccanismo delle tre leggi sia sempre funzionante a dispetto degli indizi che, inizialmente, ci indurrebbero a credere il contrario. Il rispetto della regola imposta dall'autore fissa un punto fermo che compensa il fatto che il lettore accetti una realtà deformata. Un consiglio fondamentale che ci sentiamo di sottoporre all'attenzione degli aspiranti scrittori è quello di tracciare uno schema ideale del racconto prima di iniziare a scriverlo. Un'idea è quella di compilare una serie di schede dedicate ai singoli personaggi, all'ambientazione e ai problemi che si presenteranno nello svolgimento della vicenda. Una volta a nostro agio con questo materiale potremo metterci al lavoro su uno schema dettagliato dell'avventura. Dividendo la storia nelle sue unità di tempo fondamentali (Inizio, Svolgimento, Fine), organizzeremo il materiale catalogato in maniera ordinata e funzionale alle nostre necessità narrative. Non è necessario che la sinossi sia sotto forma di racconto, in questa fase deve servirci come scaletta di lavorazione. Sergio Altieri (per citare un autore italiano di "genere" di un certo successo) prima di iniziare un nuovo romanzo scompone la vicenda in 100 schede divise tra personaggi, fatti e ambientazioni che gli servono in seguito per ordinare la storia. Una volta ottenuta una scaletta di questo tipo, scrive un riassunto molto dettagliato, non solo dividendo la storia nelle sue fasi principali, ma aggiungendo anche i dialoghi che poi utilizzerà in fase di stesura definitiva. Non si deve pensare che tutto questo sia un procedimento meccanico che sottrae creatività al lavoro. In realtà tutta la fase di preparazione di un romanzo è estremamente creativa e, nella stesura, l'autore avrà sempre la possibilità di apportare cambiamenti arricchendo la narrazione di particolari e osservazioni che solo una conoscenza approfondita della meccanica della vicenda può consentire. Concludiamo questa prima parte della nostra trattazione con un'osservazione riguardante sempre la fase di strutturazione e preparazione del romanzo. Quanto più tempo si passerà nella fase di preparazione, approfondendo i caratteri dei personaggi (per esempio immaginandoli in altri periodi della loro vita o scegliendo le "location" delle varie scene) tanto più facile sarà il lavoro in seguito. Affezionarsi ai personaggi, all'ambientazione e al plot è fondamentale non solo per la chiarezza e la concisione del racconto ma anche per fronteggiare un avversario sempre in agguato durante la stesura di un romanzo: la noia.
Quanti tra gli aspiranti scrittori hanno iniziato scrivendo la loro storia "di getto", carichi di entusiasmo per poi arrestarsi a metà, quando lo slancio iniziale è venuto meno oppure la vicenda ha preso una direzione impensata e difficilmente risolvibile? Il lavoro di preparazione vi familiarizzerà con l'universo che voi stessi avrete creato. In questo modo non solo avrete sotto controllo lo svolgimento della trama in ogni sua componente, ma avrete stabilito un legame duraturo coi personaggi che, in qualche modo, ormai saranno proiezioni di voi stessi e quindi più. difficili da abbandonare.

PERSONAGGI, AMBIENTAZIONE E RICERCHE - Stefano Di Marino

Una volta organizzata la nostra storia nelle tre unità di tempo narrative (Inizio, Svolgimento e Finale) ci troviamo di fronte un altro ostacolo. Come rendere avvincente la storia, come, in pratica, far sì che il lettore sia "inchiodato al romanzo dalla prima all'ultima pagina", come spesso recitano le quarte di copertina? Ovviamente se la storia è mal strutturata già si parte con il piede sbagliato ma può capitare che ottime vicende risultino noiose e poco coinvolgenti mentre trame mediocri si rivelino poi appassionanti oltre qualsiasi previsione. Tali circostanze sono tutt'altro che infrequenti e, se si analizza il romanzo in questione, si arriva presto a comprendere che gran parte del successo o del fallimento dell'autore di coinvolgere il lettore risiede nella cura con cui vengono ideati e descritti i personaggi. Questi, protagonisti o comprimari, sono la struttura portante del romanzo. Attraverso le loro pulsioni, avventure e sentimenti entriamo nell'atmosfera del racconto e ci appassioniamo al suo svolgimento. Difficilmente riusciremo a leggere sino alla fine un romanzo del quale non ci interessa nulla della sorte dei protagonisti. Al contrario saremo portati a perdonare qualche ingenuità di trama allo scrittore capace di creare personaggi in grado di favorire l'identificazione e quindi la tensione emotiva che trasferisce, seppure idealmente, i loro guai su di noi. Il lettore, così coinvolto, saprà sempre di trovarsi "dall'altro lato della barricata" e di non correre nessun rischio, ma al contempo troverà stimolo a proseguire nel racconto, provando autentiche emozioni a seconda delle vicissitudini positive o negative del protagonista. Si realizza così quella "catarsi" che permette al lettore di scordare i propri guai immedesimandosi in quelli del protagonista. Tale processo è sempre evidente e facilmente intuibile nei romanzi "di genere" come il giallo, lo spionaggio e, naturalmente, la fantascienza.

I personaggi di un romanzo d'intrattenimento devono rispondere, oltre alla necessità di identificazione ideale del lettore, anche a un'altra esigenza. La loro psicologia deve essere facilmente intuibile attraverso il loro comportamento più che da lunghe elucubrazioni. Sin dalle prime pagine il lettore, proprio perché legge per svagarsi, deve capire quali sono le carte in tavola. Naturalmente certi critici letterari si sono accaniti contro questa necessità irrinunciabile dei personaggi del romanzo d'evasione per affermare la superficialità con cui vengono descritti i caratteri, la mancanza di un vero approfondimento psicologico e tutte quelle belle storie che il narratore di genere ha imparato da tempo a evitare come la peste. Spianiamo subito il campo da tali luoghi comuni (questi sì che lo sono!). Lo scrittore di genere adotta alcuni stereotipi (il buono e il cattivo, la dark lady e la fanciulla in pericolo) ma non necessariamente deve aderirvi pedissequamente. Nulla vieta di introdurre personaggi credibili e psicologicamente lontani dai cliché, anzi. Il problema è come inserire questi approfondimenti in una trama che, per sua natura, richiede uno svolgimento serrato. Inutile dire che i lunghi brani introspettivi mal si collocano in una vicenda dal ritmo dinamico. È richiesta allora allo scrittore "di genere" la capacità di sintetizzare le caratteristiche salienti del personaggio in poche osservazioni e tradurne tutta la complessità psicologica nel dialogo e nel comportamento. È logico che l'approfondimento del personaggio non deve "uscire dal tema" portando lo svolgimento della vicenda su binari lontani dallo schema iniziale. Vediamo dunque quali sono le caratteristiche di un buon personaggio.
Protagonista o comprimario, il nostro personaggio vive sempre di una vita propria. Consigliamo di redigere sempre una scheda personale di ciascun "character" della storia a prescindere dalla trama che si sta affrontando. Ci troveremo così di fronte a personaggi vivi dei quali conosciamo già le caratteristiche dominanti che la vicenda dovrà evidenziare attraverso il suo svolgimento. Per rendere più abbordabile al pubblico l'approccio del personaggio ci sono due accorgimenti molto semplici ed efficaci. Uno riguarda l'aspetto fisico. Una buona descrizione al momento dell'entrata in scena del personaggio ci aiuterà a comunicare subito al lettore tutta una serie di informazioni supplementari che sarebbe lungo o troppo semplicistico esporre in maniera didascalica. Senza ricorrere alle teorie di Lombroso che identificavano la fisionomia con il carattere, è chiaro che un personaggio di un romanzo d'intrattenimento ha sempre uno stretto legame tra l'aspetto e il comportamento. Non necessariamente questi devono identificarsi in maniera prevedibile anche se questa è spesso la soluzione più adottata. Il "cattivo" della situazione generalmente avrà un aspetto minaccioso, truce, che ispiri timore e una sensazione di forza al solo apparire. Per citare un esempio fantascientifico noto a tutti provate a rammentare Darth Vader, il nemico di Luke Skywalker in Guerre Stellari. Il mantello nero, l'elmetto che vagamente ricorda i caschi nazisti della Seconda guerra mondiale, la voce cavernosa, suggerivano immediatamente l'immagine di un cattivo a tutto tondo. Il suo avversario (il buono della vicenda) invece era un giovane di bell'aspetto, con un sorriso accattivante. Naturalmente è sempre necessario pensare a quale pubblico ci stiamo rivolgendo. Guerre Stellari era una vicenda avventurosa destinata a un pubblico giovane (non necessariamente sotto il profilo anagrafico) desideroso di trovare certi stereotipi della narrativa d'evasione in un contesto spettacolare. In Guerre Stellari tutto è esagerato, perfino semplicistico, ma il quadro generale è così ben orchestrato da essere coinvolgente anche per lo spettatore più smaliziato. È chiaro quindi che i personaggi debbano essere un poco sopra le righe e facilmente identificabili come buoni e cattivi. Più la nostra storia avrà toni realistici e drammatici meno avremmo necessità di sottolineare subito le caratteristiche dei protagonisti. Può accadere che un personaggio ricopra un ruolo eroico senza averne le caratteristiche fisiche. D. R., una replicante protagonista del bel romanzo Il cuore finto di D. R. di Nicoletta Vallorani (vincitrice del premio Urania nel 1993) era per esempio sovrappeso e dotata di quattro orecchie. Si allontanava dallo stereotipo della replicante visto in numerosi film e romanzi del genere; riusciva però a catturare la simpatia del lettore proprio per il contrasto tra le qualità morali (coraggio, determinazione) e l'aspetto fisico.
Di fondo però un romanzo di avventura richiede una certa identificazione tra i modelli ideali del lettore e i personaggi. Difficilmente il lettore medio possiede qualità eroiche (nell'aspetto o nel carattere) quindi ricercherà nei protagonisti quelle caratteristiche che gli piacerebbe possedere. Se l'autore sceglie di creare un antieroe, impacciato, non bello e non certo attraente allora provvedere a dotarlo almeno di doti morali in grado di compensarne le carenze fisiche. Queste verranno accettate se il contesto favorirà una rivalsa rispetto alle delusioni della realtà. Un lettore riuscirà a identificarsi e ad accettare un investigatore (categoria estendibile a marine spaziale, pilota o quantal'altri personaggi desideriate) grassottello e impacciato se, nel corso della storia, lo troverà circondato da bellissime maliarde e nemici perfidi che riuscirà a sconfiggere grazie alla testardaggine e a un coraggio da leone. Nessuno ama identificarsi con la visione peggiore di se stesso, oppure di rivivere frustrazioni e delusioni già troppo presenti nella vita quotidiana.
Un altro elemento utile per aiutare l'identificazione o quantomeno la possibilità di inquadramento di un personaggio sin dalle prime battute è il nome. Nella scelta dei nomi andrebbero sempre tenuti presenti alcuni concetti fondamentali. Senza arrivare a certe schematizzazioni diffuse soprattutto nella narrativa che identificano le caratteristiche psicologiche dei personaggi con il loro nome (pensate ai protagonisti di Spillane che si chiamavano Hammer, martello, o Tigerman, uomo tigre!) è chiaro che il nostro personaggio dovrebbe sempre avere un nome facilmente affiancabile al suo comportamento. La passione per i romanzi anglosassoni non deve trarre in inganno. Battezzare tutti i nostri personaggi John, Mary, Jack e via dicendo potrebbe non essere un buon espediente. In realtà il lettore cerca sempre qualcosa di familiare in un romanzo, anche nel più fantastico. Non si abbia timore di usare nomi italiani nelle storie, questo aiuterà il lettore a memorizzare più in fretta i vari "tipi". Siamo d'accordo che in una saga galattica nomi come "Carmelo" o "Giovannina" non siano i più adatti ma piuttosto che infarcire le storie di nomi americani o pseudo arabi incomprensibili si faccia ricorso alla nostra lingua che offre una serie di nomi sufficientemente varia. Prendete nomi italiani ben identificabili e mescolateli con altri stranieri, magari cambiando qualche lettera. Il risultato finale risulterà familiare pur contenendo una nota di originalità.
Una volta stabiliti l'aspetto, il nome e le caratteristiche fondamentali di un personaggio, dobbiamo tenere presente il suo ruolo nella vicenda. Una buona idea è sempre quella di prevedere un cambiamento del carattere del personaggio nel corso della vicenda. Un classico è l'evoluzione da vigliacco a eroe del protagonista che inizialmente vedremo debole e pauroso e pian piano, attraverso la vicenda che in questi casi costituisce un vero e proprio rito di passaggio, il protagonista diventerà "uomo" guadagnandosi la stima del lettore che ne seguirà l'evoluzione. Al contrario, eroi troppo perfetti sin dal primo momento risultano spesso antipatici; un discorso differente è rappresentato dal serial, ovverosia una saga basata su un numero variabile di episodi con lo stesso protagonista. Questi tenderà a mantenere le caratteristiche generali del primo episodio, specificando ma non mutando completamente il suo comportamento. Nel protagonista (e nei comprimari fissi) il lettore/spettatore deve ritrovare degli amici il cui comportamento non crei eccessive sorprese o delusioni. Un tipico esempio di questo genere di schematizzazione lo ritroviamo nel serial Star Trek dove i personaggi principali rimangono sempre gli stessi (salvo avvicendamenti generazionali).
Differente è il caso del "sequel", la seconda puntata di una storia già virtualmente conclusa che può apportare sostanziali modifiche del personaggio tenuto conto del trascorrere del tempo e degli avvenimenti dei quali è stato protagonista. Un esempio particolarmente riuscito di questo tipo di scrittura (cinematografica in questo caso ma applicabile anche alla narrativa) è il personaggio di Sarah Connor in Terminator. Nei due film di James Cameron il personaggio interpretato da Linda Hamilton subisce una serie di radicali cambiamenti. Nel primo film passa da una fase di incredula insicurezza a una più consapevole certezza del proprio ruolo che le consente di adempiere alla sua missione. Nel secondo la troviamo in manicomio, ossessionata dal suo ruolo di Madre Coraggio che la costringe a diventare essa stessa una combattente spietata. Nell'evoluzione della vicenda Linda recupererà l'umanità dell'insicura giovane del primo film adattandola al suo nuovo ruolo. Sin troppo evidente è il cambiamento del Terminator stesso che, da avversario irriducibile, diventerà alleato nel secondo film ma, in questo caso, pur essendo il cyborg interpretato sempre dallo stesso attore si tratta di due esseri differenti. Naturalmente gli antagonisti sono importanti quanto gli eroi; in molti casi, la capacità di delinearne la psicologia da parte di un autore può addirittura erigerli a ruoli di maggiore rilevanza rispetto a quello del buono di turno. Un esempio lo si può ravvisare nella più classica serie di spionaggio conosciuta al grande pubblico. 007 è, almeno letterariamente, un personaggio molto ben delineato, con una psicologia tutt'altro che superficiale ma il lettore ricorda soprattutto i suoi avversari. Mister Big, Goldfinger, Scaramanga, Drax. I cattivi sono quei personaggi che ci piace odiare, devono essere eccessivi nell'aspetto e nel comportamento e non aver mai paura di esagerare. È vero che a volte questo genere di personaggi negativi ha prodotto una saturazione, ma è pur vero che la caratterizzazione contraria (con nemici sempre pieni di complessi, in fin dei conti "umani") ha sempre stancato il pubblico in tempi brevi.
Siamo arrivati a un altro tassello importante della nostra storia. L'ambientazione. Abbiamo una struttura, personaggi solidi pronti a sostenerla ma... dove si svolge la nostra avventura? Su questo mondo o in un altro universo? E il territorio che circonda i nostri eroi sarà primitivo o supertecnologicizzato? Visto che stiamo parlando di fantascienza ci sembra ovvio che l'aspirante scrittore conosca almeno i rudimenti delle nozioni tecniche trattate dalla sua storia. Se si vuole scrivere un'avventura ambientata su Marte, il minimo che si dovrà fare sarà leggere tutto quello che si trova sulle reali condizioni del pianeta e su quanto è stato scritto su possibili insediamenti umani su di esso. Rendersi conto delle condizioni e delle difficoltà ambientali di un determinato scenario aiuterà anche a trovare spunti nuovi per la vicenda. Almeno che non si immagini di scrivere una storia su un mondo fantastico esattamente uguale al nostro, si dovranno sempre svolgere ricerche che rendano plausibile l'ambientazione. In questi casi ancora prima di iniziare la ricerca sarà opportuno stilare una lista di domande alle quali si dovrà dare una risposta. Nel mondo dove si svolge la storia quale atmosfera esiste? Innanzitutto: c'è un'atmosfera? Siamo vicini o lontani a una fonte di luce simile al sole? L'alternarsi del giorno o della notte è simile o differente a quello del nostro pianeta? Queste differenze in che modo possono essere utilizzate nello svolgimento della vicenda? È importante infatti ricordare che, per quanto le ricerche preliminari siano interessanti e necessarie, tutte le informazioni convogliate al lettore devono possedere una loro utilità nello svolgimento della storia. Inutile creare un pianeta desertico dove impazzano tempeste di sabbia violente come uragani se non se ne verificherà neppure una apportando un significativo cambiamento ai fatti narrati. Da questo si evince che l'ambientazione e le caratteristiche del "terreno di gioco" dovrebbero essere fissate a priori in relazione alla costruzione della trama. Se serve che i personaggi si trovino coinvolti nella suddetta tempesta si dovrà fare in modo che se ne creino precedentemente i presupposti. Anche in questo caso è necessario che una volta fissata un'ambientazione nel mondo fantastico che si è creato si mantenga una coerenza con essa. Se si decide che nel futuro sarà possibile viaggiare a una velocità molto superiore a quella della luce per coprire distanze che altrimenti non sarebbe possibile superare, ci si dovrà attenere a questa versione. Se durante i viaggi i piloti devono restare ibernati questa regola deve valere in ogni caso e in ogni situazione. Niente irrita di più il lettore quando l'autore cambia le carte in tavola con colpi di scena non giustificati.
Scrivere un romanzo (di qualsiasi genere) è un'attività complessa che richiede un'accurata preparazione di ogni sua parte. La storia molto raramente potrà nascere "di getto", ma ciò non toglie nulla al piacere di creare che di solito si associa alla scrittura. Si tratta piuttosto di sfruttare appieno le possibilità e i diversi strumenti creativi. Come conclusione suggeriamo un importante anche se non esclusivo sistema per verificare la bontà del lavoro svolto. Se nella programmazione e nella stesura del romanzo si prova noia o difficoltà a "trascinare" la storia, allora significa che c'è qualche nodo da sciogliere. Se invece voi stessi trovate divertente il vostro lavoro, se, in pratica, vi rendete conto che state scrivendo il romanzo che vi piacerebbe leggere, allora siete sulla buona strada. In fin dei conti narrare deve essere appagante per voi stessi prima che per gli altri. Al giudizio di questi penserete in un momento successivo selezionando alcuni lettori "di fiducia", esperti del genere e, soprattutto, impietosi nell'esprimere il loro giudizio.

FANTASCIENZA VIA MODEM - Vittorio Curtoni

A leggere quotidiani e riviste, chiunque potrebbe avere l'impressione che l'universo della comunicazione telematica, del modem, nasca e muoia con Internet, l'immane rete partita dall'America e ormai dilatata a dimensioni mondiali; ma non è vero. Internet ha sì un'importanza fondamentale nel mondo telematico, ma è stupido dimenticare l'esistenza di tantissime realtà italiane a livello locale, i cosiddetti BBS (Bullettin Board Systems), piccoli, spesso ricchissimi nuclei telematici che offrono la possibilità di comunicare, con una spesa assai modesta, nell'intera Italia per via elettronica. Perché, oltre a Internet, esistono reti italiane come VirNet, PeaceLink, FidoNet che offrono servizi di posta elettronica, giochi, informazione, discussione, aggiornamenti di programmi shareware (cioè programmi non commerciali, di pubblico dominio), e molto altro.
Per esempio, all'interno di FidoNet, che sostanzialmente è una rete di posta elettronica, c'è un'enorme scelta di argomenti: dalla cucina all'astronomia, dalla musica alla programmazione su computer, dal cinema alla fantascienza... E, ovviamente, era qui che volevo arrivare.
L'area riservata alla fantascienza si chiama SfIta. È una grande piazza di discussione telematica nella quale si danno convegno gli appassionati di tutta Italia dotati di computer e modem. Grande per estensione geografica (abbiamo in linea anche qualcuno che scrive dalla Svizzera), se non proprio per consistenza di popolazione: gli utenti regolari di SfIta. sono solo una manciata, diciamo una cinquantina nei momenti di massimo affollamento, ben poca cosa rispetto alle migliaia di consumatori della SF scritta; però, come si dice, pochi ma buoni...
Il lettore che non abbia la minima pratica di modem si chiederà: come succede in SfIta? È divertente? È noiosa? Vale la pena? Entusiasticamente, rispondo: vale la pena eccome! Se avete voglia di dialogare con altri appassionati di SF, se avete letto un libro che vi ha particolarmente colpito, oppure visto un film che vi ha fatto molto schifo; se volete informazioni su questo o quell'autore; se vi sentite isolati nella vostra passione, SfIta e il modem in generale sono ciò che fa per voi.
Il sottoscritto, per esempio, è entrato in questo affascinante universo da cinque o sei mesi, e non potrebbe più farne a meno... In questo lasso di tempo, si sono svolte accanite discussioni sui massimi sistemi (qual è la reale rilevanza della scienza all'interno della science fiction? Quali sono i più brutti film di SF mai realizzati? E i più belli? Esiste una via italiana alla SF?) e sulle più futili (chi ricorda il racconto in cui un tizio esce di casa e va a sbattere contro un dinosauro? Qual è la migliore traduzione per "Wormhole"? Chi ha letto più romanzi di Ron Goulart?). Cose del genere, solo per dare un'idea molto approssimativa.
La bellezza del modem è che si parla in pubblico, per cui le domande vengono rilanciate da utente a utente, ogni giorno. E chiunque può intervenire per esprimere le proprie opinioni. Volendo, esiste un'area per le comunicazioni private, Matrix, che permette un dialogo riservato e si può usare senza problemi; ma la cosa più divertente è scrivere messaggi pubblici, letti da tutti, che spesso suscitano ondate di risposte. Fra l'altro, questo è anche un comodissimo metodo per ottenere informazioni di ogni genere sulla fantascienza: ci sarà sempre qualcuno disposto a darvi una mano. La disponibilità, la gentilezza, sono tratti fondamentali degli utenti del modem, in ogni area, a ogni livello; e non potrebbe essere diversamente, visto che decidere di usare il modem significa soprattutto decidere di voler comunicare. Magari anche prendendosi in giro, scherzando bonariamente, litigando su un film o su uno scrittore, ma sempre per gioco, per piacere, senza cattiveria.
Per scrivere questo articolo, ho chiesto ai frequentatori di SfIta qualche dato personale. Mi sono arrivate più di una trentina di risposte, che costituiscono un'ottima campionatura. Un primo dato balza agli occhi: l'assoluta preponderanza maschile, direi dell'ordine del 90%. Questo è un fatto che ho rilevato un po' in tutte le aree telematiche che frequento, ed evidentemente sta a indicare una scarsa propensione femminile per il modem. Non chiedetemi perché. Non lo so!
L'età media degli utenti di SfIta si aggira attorno ai 25/26 anni, con punte minime di 15 anni (Francesco Crescioli, un ragazzo di Firenze) e massime di 46 (io!). La soglia dei 30 anni è un limite valicato solo da pochi audaci... La conclusione che traggo da questo dato è che nonostante la discreta diffusione del computer in Italia, le persone di una certa età, anche notevolmente al di sotto della mia generazione, nutrono ben poco amore per la comunicazione a ruota libera, per le chiacchiere fini a se stesse. Vergogna!
La stragrande maggioranza dei modernisti ha scelto studi a indirizzo scientifico: informatica, matematica, fisica o ingegneria sono quasi la norma. Pochi i laureati in materie umanistiche. La cosa si riflette anche nella hit parade degli autori: Asimov resta saldissimo al primo posto, seguito a ruota da Clarke e Heinlein. Ben quotati anche Robert Silverberg, Larry Niven e David Brin. Dick occupa buone posizioni, ma soprattutto perché è unanimemente considerato uno dei padri del cyberpunk, e il cyberpunk è tenuto in grande considerazione (con spiccatissime preferenze per Gibson rispetto a Sterling). Gli autori più umanisti della SF non godono del favore popolare; la hard science fiction domina incontrastata. Un'eccezione singolare è Ivan Steffenino, un trentenne di Milano, che dichiara di prediligere i racconti di R. A. Lafferty... Wow! Riscuote un discreto successo la fantasy, soprattutto quella di piglio umoristico di Terry Pratchett; e l'umorismo, come è evidente anche dal tono medio dei messaggi, non manca certo ai fantascientisti muniti di modem: Douglas Adams e la sua Guida dell'autostoppista galattico hanno un indice di gradimento altissimo.
Fra gli hobbies, ai primissimi posti si situano il computer, il che è ovvio, i fumetti, e le donne! (Ve l'ho detto che la preponderanza maschile è gigantesca, no?). Altre passioni condivise da tutti sono i film e i telefilm. Questi ultimi, in particolare, sono diventati veri e propri oggetti di culto, con disquisizioni ai limiti del maniacale (in senso buono, s'intende) su singoli episodi dell'una o dell'altra serie, interpreti, possibilità di acquisizione in videocassetta. E qui devo rivelare un'altra lampante verità: ogni giorno, una notevole fetta dei messaggi fantascientifici via modem è prodotta dai Trekkers, gli appassionati di Star Trek nelle sue varie incarnazioni (vecchie serie, Next Generation, Deep Space Nine). Sono loro a occupare per lo meno l'ottanta per cento dell'area. Tanto che sta per verificarsi una scissione: da SfIta nascerà una nuova area esclusivamente dedicata a Star Trek, StartrekIta, che probabilmente sarà già operativa quando questo articolo verrà pubblicato. Va da sé che, grazie al meccanismo di FidoNet, chiunque potrà restare collegato a entrambe le aree, come a tutte le altre che sceglierà, per non perdersi il piacere di dialogare con nessuno.
SfIta è nata qualche anno fa per iniziativa di Luigi Rosa, ancora oggi attivissimo utilizzatore del modem. Il moderatore (cioè l'addetto ufficiale alla supervisione dei messaggi, giusto per controllare che non contengano insulti, minacce, proposte oscene e cose del genere) è Paolo Bertoni, un modenese che studia scienze dell'informazione. Paolo ha molto senso dell'umorismo, e di certo non intende fare il censore: provare per credere! Nessuno si lasci spaventare da quel suo titolo un po' inquisitorio. Certo che se qualcuno spera di poter utilizzare il modem, in questa o in altre aree, per diffondere messaggi di violenza o veleno razzista o affini, si sbaglia; e com'è giusto, verrà immediatamente cacciato. La via del comunicare, anche attraverso il modem, passa per quella che genericamente si può definire "civiltà", ma non, enfaticamente non, attraverso la seriosità a tutti i costi.
Se, come spero, questa mia entusiastica (e assolutamente sincera) ricognizione tra le meraviglie di SfIta avrà invogliato qualcuno dei lettori di "Urania" a entrare a fare parte della famiglia telematica, chiuderò con un cenno ai requisiti tecnici e ai costi. Per accedere alla posta telematica occorrono un computer, un telefono (meglio se uno di quelli dell'ultima generazione), e un modem. Il prezzo dei modem esterni è ancora relativamente elevato, attorno al mezzo milione di lire; ma se scegliete una scheda da inserire all'interno del computer, ve la potete cavare con duecento/duccentocinquantamila lire per una scheda dall'ottima velocità di 14400 bps, e oltretutto vi troverete muniti anche di fax. Il servizio offerto da FidoNet è assolutamente gratuito, non prevede abbonamenti di sorta; a voi resterà solo da pagare gli scatti telefonici. Ma niente paura: utilizzando i programmi per la lettura dei pacchetti di posta elettronica che troverete senz'altro all'interno dei BBS della vostra città, basteranno un paio di scatti urbani al giorno per gestire tutta la vostra corrispondenza via modem. Insomma, una cifra modestissima per un risultato di ampie proporzioni qual è la possibilità di parlare di fantascienza, o di tutto quello che vorrete, con l'intera Italia.
E per i problemi tecnici, i dilemmi, le angosce del novizio della telematica? Basta rivolgersi al SysOp (il boss, in parole povere) del BBS locale, e vedrete che sarà disponibile a guidarvi passo dopo passo in questo mondo completamente nuovo. Io sono stato enormemente aiutato da Marco La Feria, illuminato sovrano di Hot Spot, il BBS piacentino che uso come tramite per l'accesso a FidoNet; e posso garantirvi a priori che l'Italia è piena zeppa sia di BBS sia di SysOp gentili quanto Marco.
Allora, vi aspettiamo? C'è posto per tutti! E più saremo, più caciara fantascientifica riusciremo a combinare... Che sballo!

DEMONI CREATIVI - Kim Howard Johnson

In occasione dell'uscita, su Urania Argento, del romanzo di Claremont Prima missione, vi offriamo un'intervista esclusiva con il celebre autore e sceneggiatore di fumetti.

Cosa fareste se da anni foste lo sceneggiatore di alcune delle più famose serie di fumetti? Se vi chiamaste Chris Claremont cavalchereste lo scuro destriero del successo della casa editrice Dark Horse, sceneggiando Aliens/Predator: Gioco Mortale.
Claremont ha trascorso diciassette anni della sua carriera scrivendo sceneggiature per gli X-Men e trasformando la serie da prodotto mediocre a uno dei più grandi successi editoriali del mondo dei Supereroi; poi, improvvisamente, due anni fa si è allontanato dai fumetti dedicati ai mutanti. Dopo un poco di tempo dedicato esclusivamente a scrivere il suo primo romanzo è tornato ai fumetti, ma non si può certo dire che si sia trattato di una semplice rimpatriata.
"Non so se tornare a sceneggiare dopo aver lavorato a una serie che aveva venduto più di otto milioni di copie possa considerarsi una rimpatriata", scherza. "In realtà si potrebbe appropriatamente dire che si è trattato di un trionfale rientro. La differenza tra il mio lavoro precedente e quello attuale è che ora le sceneggiature hanno molto più di mio. È vero che Aliens/Predator è un lavoro che mi è stato commissionato, ma il personaggio di Ash Parnall/Renegade è interamente mio. Quando terminerà Aliens/Predator la serie continuerà e c'è la possibilità che Ash dia inizio a una sua serie o che si realizzi un sequel della prima avventura".
Aliens/Predator: Gioco Mortale (che sara pubblicato in Italia da Play Press sulla rivista Aliens, N. d. T.) è una miniserie della Dark Horse divisa in dodici episodi in cui al centro della vicenda è una "moglie-trofeo" sposata a un dirigente industriale. "La ragazza fa dei sogni orribili dove si vede inseguita e uccisa da una misteriosa creatura", spiega Claremont. "Quando viene realmente rapita dalla creatura scopre che non si trattava tanto di incubi ma di presagi. Da questo momento in avanti la storia prosegue seguendo i binari di Thelma e Louise con situazioni molto drammatiche, armi veramente micidiali e un compagno di viaggio alieno per la protagonista. La trovata che rende veramente originale questa avventura rispetto agli stereotipi del genere è che sia Alien che il Predator sono gli eroi della vicenda. Sono sempre gli stessi Alien e Predator ma, nondimeno, spero che il pubblico tenga per loro. Spero che il fumetto abbia molta più suspense di quanto il cliché dei due personaggi non abbia consentito fino a ora, giacché il pubblico ha sempre saputo che alla fine erano gli umani vincere e toccava ai cattivi mordere la polvere". Sebbene la serie Aliens/Predator possa sembrare una scelta discutibile per l'ex sceneggiatore degli X-Men come rientro nel mondo dei fumetti, Claremont ne è entusiasta. "È un progetto divertente soprattutto perché non si è condizionati da una continuity che va avanti da venti o trenta anni. Non si subiscono le imposizioni della politica editoriale della casa editrice, la necessità di fare pubblicità o di sfruttare i personaggi al massimo. Posso fare pressoché tutto quello che voglio. E lavorando con un personaggio posso definirlo in tutte le sue sfumature, proprio come sto facendo con Ash Parnall; è veramente divertente. Idealmente, è il modo in cui d'ora in poi vorrei lavorare sempre".
Lo sceneggiatore è entusiasta di poter lavorare su progetti interamente suoi ma si dichiara interessato a lavorare anche su prodotti della casa editrice. "Non ho problemi a realizzare storie su commissione. C'è un certo numero di storie di Superman sulle quali sto meditando", dice. 'Tuttavia, tengo a che il prodotto finale sia espressione della mia creatività e non di quella di un editor, o che sia sottoposto alle regole di una continuity iniziata prima della mia nascita. Voglio che le sceneggiature siano mie quanto loro, se si tratta di soggetti realizzati su commissione; se invece propongo dei lavori autonomi, voglio che siano totalmente miei. Punto".
Claremont spiega come un progetto inventato dallo sceneggiatore sia molto più difficile da realizzare di un serial già conosciuto, e questa è la ragione per cui non ha lavorato molto, ultimamente. "Una serie commissionata è molto più semplice da realizzare. Un nuovo progetto studiato dallo sceneggiatore che esca dai canoni di una linea editoriale precostituita richiede un lavoro molto più lungo. Ho parlato con Jim Lee (un famoso disegnatore di Supereroi e fondatore della casa editrice indipendente Image, N. d. T.) della possibilità di lavorare per Image nell'autunno del 1991; ne è scaturita l'idea di realizzare una serie intitolata Huntsman. Proponemmo come disegnatore Whilce Potacio, ma questi in seguito decise di realizzare la sua Wetworks. Il problema con la Image è che bisogna proporgli un pacchetto già completo con sceneggiatori e disegnatori già fissati. In questo contesto è necessario che lo sceneggiatore abbia già un disegnatore disposto a collaborare con lui".
Del suo lavoro come scrittore Claremont non è soddisfatto al 100%. "Ho un contratto per tre romanzi con Bantam, il primo dei quali è un racconto lungo che sto scrivendo con mia moglie (che è una famosa editor specializzata in fantascienza, Beth Fleisher). Il libro si intitola Faerwell, la copertina e le illustrazioni che lo accompagneranno saranno realizzate da John Bolton. Anche se disegni e storia saranno pronti tra poco, non sarà messo in vendita prima di diciotto mesi perché questo è il tempo previsto dalla casa editrice. Con la Bantam ho un progetto per una graphic novel di due volumi - ciascuno dei quali avrà 128 pagine - previsto per il '95 o il '96, ma il disegnatore scelto originalmente si è ritirato, così sono stato costretto a trovarne un altro. "Il primo volume, dal titolo Hide and Seek, avrà per protagonisti due nipoti immaginari della regina Vittoria, Richard e Alexandra".

Da quando ha abbandonato le sceneggiature degli X-Men, l'unico lavoro a fumetti di Claremont finora uscito è la graphic novel Star Trek: Role of Honor. Evidentemente questo progetto prevedeva personaggi già esistenti e impegnati in una lunga avventura, ma Claremont non lo considera un ostacolo per il suo lavoro, come non lo è il fatto che la serie gli sia stata commissionata.
"La continuity non deve essere necessariamente una restrizione", spiega. "È uno dei parametri attraverso i quali l'universo della storia viene definite. Il problema non è che Star Trek o gli X-Men abbiano una continuity. Il problema è che, al momento in cui ho lasciato la serie, gli X-Men avevano nove continuity differenti nelle varie serie: tutti gli schemi avrebbero dovuto essere amalgamati in quello che gli editor della Marvel si auguravano risultasse un mosaico senza fratture. Io non avevo problemi a portare avanti la mia continuity dopo tutto quello che avevo scritto in diciassette anni. Il problema era che avrei dovuto vedermela con il materiale creato da altri intorno alla mia serie, contraddicendone i termini, perché su quel materiale non avevo controllo".
"Con Star Trek ho dato all'editor Bob Greenberg il mio soggetto; lui ha fatto le sue annotazioni, poi lo ha passato alla Paramount e me lo ha rimandato. L'ho rimesso a posto, è stato approvato e abbiamo cominciato a lavorare da quel punto. Una situazione semplice. Il tono che ho usato nella storia è lo stesso che avrei usato se avessi dovuto scrivere un episodio di Superman o di Thor, vale a dire che ho cercato di lasciare i personaggi come sono. Si rimettono a posto i giocattoli nella scatola esattamente come li abbiamo trovati. Oltre a ciò, scrivere una graphic novel è diverso da scrivere due anni della serie Star Trek... Mi sarei sentito diversamente se avessi dovuto scrivere regolarmente una serie. Una graphic novel è una vicenda autoconclusiva che deve riproporre l'atmosfera della saga; il trucco è accertarsi che ogni cosa citata abbia un riferimento nella serie regolare. Se è possibile, non devi fare altro che usare personaggi e situazioni già viste e renderli divertenti". Claremont ammette di essere stato un grande appassionato di Star Trek. "Mi sono sempre piaciuti quei telefilm e mi piacciono anche oggi" dice, spiegando che questa passione e stata la, ragione per cui ha deciso di realizzare la graphic novel. "Penso che tutti gli sceneggiatori abbiano un episodio di Star Trek da raccontare, come tutti gli sceneggiatori ne hanno uno di Superman o di Batman".
Jim Shooter ha annunciato la partecipazione di Chris Claremont alla nuova linea a fumetti della Defiant Comics, sebbene lo stesso sceneggiatore abbia ammesso che non è stato ancora firmato nessun accordo.
"Mi ha parlato dell'idea della serie e ha espresso il desiderio che io ne sceneggiassi le storie" dice Claremont. "Ho trovato il 'concept' della serie abbastanza intrigante da essere preso in considerazione, ma non prenderò impegni sinché non avrò terminato il lavoro per la Ace-Berkley e la Bantam, ossia Sundowner, il terzo di una trilogia di romanzi fantastici". Per il futuro Claremont pensa di continuare a scrivere sia romanzi che fumetti. "Sono due aspetti diversi della professione del narratore" dice. "Il bello di un romanzo rispetto a un fumetto è che non si deve avere a che fare con un disegnatore. Il bello di un fumetto è l'opposto di quello di un romanzo, cioè che si lavora con un disegnatore che realizza le tue idee. Ciò ti da la possibilità di lavorare da diverse prospettive, per vedere il tuo lavoro sviluppato da un altro punto di vista".

Attualmente Claremont sta prendendo in considerazione vari progetti con le principali case editrici di fumetti. L'adattamento a fumetti del suo primo romanzo, First Flight, dovrebbe uscire nel 1994. "Ho ridotto la storia in due parti e il disegnatore francese Christian Alamy è pronto a iniziare" dice. "Sto lavorando anche per realizzare una storia dei Fantastici 4 in formato prestige con Dusty Abell. Dusty è particolarmente lento nella realizzazione delle matite ma il suo è un lavoro superlativo, magnifico. A un certo livello vale la pena di aspettare, ma d'altra parte c'è da chiedersi: Riusciremo mai a finire?"
Lo sceneggiatore scherza, dicendo che prima o poi si verificherà una situazione in cui quasi tutti i suoi lavori usciranno contemporaneamente. "Non mi meraviglierei se nella prossima estate dovessi competere con me stesso nelle classifiche di vendita", dice ridendo. Diventa più serio e meditativo quando ripensa ai suoi diciassette anni di carriera come sceneggiatore degli X-Men: "È stato molto divertente" dice. " È stato al tempo stesso molto bello e molto duro. Se dovessi rifarlo... non so. Dipende dal mio umore, ma nel complesso penso che sia stato divertente. Ho lavorato con persone veramente eccezionali. In realtà penso di aver piazzato solide fondamenta per il lavoro che farò domani e in futuro".
Claremont ammette la sua soddisfazione per aver portato al successo una serie che usciva ogni due mesi e si trovava agli ultimi posti delle classifiche trasformandola in un fenomeno, ma le "divergenze artistiche" che hanno provocato l'interruzione del suo lavoro dopo diciassette anni gli lasciano qualche rimpianto.
"A un certo livello ho avuto molte soddisfazioni" spiega "ma la soddisfazione è stemperata dal fatto che il prezzo che ho dovuto pagare è stato molto alto. Avrei voluto che la chiusura del mio rapporto con la Marvel avvenisse in maniera meno brusca, invece... Questo mi ha spinto ad adottare un di verso atteggiamento verso il lavoro che farò in futuro. È una situazione che non deve verificarsi più".
Lo sceneggiatore aveva fatto piani molto precisi sul modo in cui avrebbe dovuto evolversi la saga dei mutanti, ma le sue idee andavano in una direzione diversa da quella stabilita dagli editor. "Avevo una storyline che arrivava sino al numero 300 degli X-Men" spiega. "Il mio obiettivo era di cambiare le cose. Avrei voluto superare l'era dominata dal professor Xavier, che ormai era arrivata a un punto morto, spingendo Magneto ad assumere un ruolo positivo suo malgrado. Avrei voluto introdurre radicali e definitivi cambiamenti nella caratterizzazione di tutti i membri del gruppo e offrire degli imprevisti: fondamentalmente, avrei trattato i miei Supereroi come persone autentiche e avrei continuato a mostrare al pubblico le loro vite. Una delle cose su cui ho insistito con particolare enfasi è il pregiudizio di cui gli X-Men sono vittime da parte della gente. Invece di considerarli semplicemente come fonti di odio o paura, sarebbero diventati oggetti di desiderio. I mutanti sono utili, sono degni di considerazione, persone di grande valore. Ciò poteva essere positivo o negativo. Volevo approfondire questo aspetto in maniera più completa".
Claremont afferma di essersi reso conto che era la Marvel, ultimamente, a stabilire il tipo di storie di cui i suoi personaggi dovevano essere protagonisti, impedendogli di ottenere delle soddisfazioni personali.
"La Marvel" è proprietaria del materiale pubblicato e l'arbitro finale della direzione in cui vanno le storie" spiega. "Se volevo scrivere le mie storie con i miei personaggi senza interferenze, avrei dovuto realizzarle da solo. Finché avessi continuato a scrivere storie per la Marvel - e questo vale anche per la Dark Horse - non sarei mai stato completamente libero, perché loro sono gli editori. Se l'editor della Dark house vorrà fare qualcosa con il personaggio di Renegade dovrà rendermene conto perché l'ho creato io".
Claremont ha lasciato gli X-Men un anno prima che la Fox ne realizzasse i cartoni animati, che ne offrono un'interpretazione diversa. "L'unica volta che ho avuto a che fare con i cartoni animati è stato quando uno degli sceneggiatori è venuto da me a San Diego, l'anno scorso, e con totale mancanza di tatto mi ha detto quanto fossero orgogliosi di aver fatto un lavoro aderente alle mie storie e quanto fossero lieti di aver usato il mio modo di vedere personaggi e situazioni, anche se naturalmente avevano dovuto adattarle per migliorarle. Tuttavia si augurava che il risultato si mantenesse fedele agli standard che avevo fissato" dice Claremont. "Io, naturalmente non ho detto niente. Mai era saltato in mente né a lui né ai suoi editor che se volevano usare il mio lavoro sarebbe stato gentile avvisarmi e dirmi: «Ti andrebbe che le tue storie costituissero la base per una serie di cartoni animati?». Oppure: «Ti piacerebbe scrivere qualche episodio?». Non credo fosse una considerazione di carattere venale: semplicemente, mi resi conto che non ci avevano pensato affatto. Non ho mai collaborato alla serie e, da quanto ne so, nessuno ha pensato di retribuirmi per aver usato il mio lavoro".

Claremont si è ormai messo l'anima in pace per quel che riguarda gli X-Men ed è pronto a procedere su nuove rotte, ma non senza rimpianti. "I soldi che si guadagnavano non erano male. Gli X-Men erano una grande serie che portava un bel po' di soldi ma, mi piaccia o no, ormai è un periodo concluso" dice filosoficamente. "Ho avuto dei problemi a rimettermi in carreggiata sia creativamente che economicamente. D'altro canto il lavoro che sto svolgendo adesso è molto più soddisfacente di quello che ho realizzato per gli X-Men. Le mie condizioni di lavoro sono molto migliori di quanto non lo fossero alla fine del periodo X-Men. La Marvel e gli X-Men non sono il centro del mondo. Mi manca la serie, mi manca Excalibur, mi manca Wolverine. Ho creato molte delle caratterizzazioni, se non i personaggi stessi, ed è difficile allontanarsi da personaggi che sono stati legati a me in maniera così intima per un periodo così lungo della mia vita, ma e andata così".
Lo sceneggiatore sta per affrontare nuove sfide, preparato ad applicare le lezioni apprese da X-Men all'industria odierna dei fumetti, che è stata rivoluzionata da editori più compiacenti con gli autori indipendenti.
"Fondamentalmente sto applicando lo stesso entusiasmo, passione, impegno, talento e abilità - se non di più - utilizzandoli per creare personaggi, invenzioni e storie che serviranno allo stesso proposito, ma questa volta lo farò per me. Ultimamente, noto che c'è una maggiore considerazione nel modo in cui la Image, la Dark Horse e pure la DC stanno valutando il mio lavoro. Se questo cambiamento continuerà, penso che alla fine anche alla Marvel si renderanno conto che pur mantenendo una situazione dove loro rimangono padroni dei personaggi ci debba essere una maggior equità nella distribuzione dei vantaggi che da essi derivano. Naturalmente possono rifiutarsi di farlo, è un loro privilegio in quanto editori.
"Uno dei canoni principali della carriera di Jim Shooter è «nessuno ti obbliga a lavorare qui se non ne hai voglia» e molti di noi si sono veramente irritati per questo atteggiamento. «Cosa stai dicendo? Tu ci stai forzando» e lui rispondeva: «No, voi lavorate qui perché a qualche livello avete fatto la scelta di lavorare qui. Voi avete deciso. Se non volete lavorare qui potete andare da qualche altra parte». Poi la gente ha cominciato a pensare: «Ehi, posso farlo davvero. Possiamo ottenere soddisfazione finanziaria e creativa». Questo non significa che tutti quelli che hanno lasciato la Marvel non vorrebbero tornare indietro, non significa che la Marvel o qualsiasi altro editore siano buoni o cattivi. Vuol dire che oggi gli autori stanno rendendosi conto di avere una libertà che non pensavano di avere. Ciò ha risvolti sia positivi che negativi... dobbiamo assumerci la responsabilità dei nostri errori invece di riversarli sugli editor. Se noi cambiamo speriamo che anche il mercato cambierà. Se la situazione fosse tale che ci fossero solo due editori, la Marvel e la DC, sarebbe tutto differente. Allo stesso tempo se tutti si comportassero come la Marvel e la DC, se la Image facesse sottoscrivere dei contratti di tre o dieci anni per esempio, chissà cosa potrebbe succedere".
Non importa cosa accadrà in futuro, Chris Claremont è entusiasta di essere un autore nella situazione attuale.
"Il fatto è che un editore in realtà non possiede nulla; hanno dei disegni su carta, idee, ma hanno bisogno degli sceneggiatori e dei disegnatori per trasformarle in tangible realtà" spiega. "Gli autori stanno cominciando a dire «vogliamo i nostri diritti», la bilancia del potere sta cambiando e le case editrici devono affrontare il fatto esattamente come noi".

CLAREMONT TORNA A SCRIVERE - Patrick Daniel O'Neil

Due anni dopo aver lasciato la serie che scriveva da 17 anni, gli X-Men, uno dei più celebri sceneggiatori discuti i suoi nuovi progetti.

Quando, due anni fa, divergenze artistiche con la casa editrice Marvel costrinsero lo sceneggiatore Chris Claremont ad abbandonare la serie degli X-Men, tutti pensavano che presto sarebbe uscito con qualche nuovo progetto. In realtà quando si parlò della nascita della Image Comic il nome di Claremont fu menzionato, unico sceneggiatore, nel gruppo di fondatori. Eppure non è mai uscito un prodotto che porti la sua firma.
È pur vero che, con un poco di ritardo, è stata pubblicata dalla DC una versione a fumetti di Star Trek dal titolo Role of Honor, ma negli ultimi ventiquattro mesi si è sentito poco parlare di Chris Claremont nel mondo dei fumetti. E ora la situazione sta per cambiare.
A giugno uscirà la nuova serie Aliens/Predator. È una miniserie di dodici episodi sceneggiati da Claremont e disegnati da Jacobson Guice con le copertine di John Bolton. La serie, pubblicata dalla Dark Horse, vedrà come protagonisti una regina degli Alien, una Predator femmina e un nuovo personaggio femminile umano, una donna di nome Ash Parnall conosciuta come Renegade.
"Faranno gioco di squadra contro un nemico comune... un gruppo di dirigenti industriali con un piano segreto e alcuni agenti veramente perfidi" spiega Claremont. "È un poco come vedere una sintesi di Thelma & Louise, un film di Cameron e uno di James Bond. Ci saranno grandi emozioni, molta caratterizzazione, tanta avventura, sorprese, fantascienza nel senso più puro... almeno lo spero. Il concept della serie è: Thelma & Louise in situazioni molto drammatiche e pistole veramente enormi. Il sottotitolo sarà: «Nello spazio nessuno può sentirti urlare. Sulla terra tutti ti sentono ma a nessuno importa»".
"Fino a questo momento le storie di Alien si sono concentrate sul punto di vista dei marine spaziali, la frontiera, la prospettiva dei militari del futuro", continua l'autore. "Questa volta vedremo il mondo dei colletti bianchi dello spazio, come si potrebbe vedere da una Trump Tower del futuro. Sono state progettate torri giganti antigravitazionali per trasportare materiali dalla superficie del pianeta in orbita. L'élite corporativa, finanziaria e sociale ha stabilito che alcune di queste torri siano usate come abitazioni. Diventeranno una nave spaziale estremamente lussuosa con la struttura di una piccola città all'interno; immaginate una specie di Rockefeller Center volante, una comunità con centinaia di migliaia di persone che volano a grande altitudine, con tutte le amenità e lussi di una comunità del genere".
Ma perché la gente dovrebbe voler vivere in simili comunità? "Perché nei cieli gli alieni non possono raggiungerti; non volano ancora" risponde Claremont. "In terra sei vulnerabile. Così, naturalmente, la prima cosa che accade al personaggio principale, Karen Delacroix (che in realtà è Ash Parnall, anche se non lo sa ancora) è di trovarsi in Guatemala, inseguita dagli alieni nella giungla. Ciò che differenzia i ricchi dai poveri nel mondo del futuro è che i ricchi vivono in cielo. Le masse devono affrontare il loro destino in terra. La miniserie è stata concepita per avere un finale aperto in modo da poter dare origine a una serie con protagonista Renegade. È sempre possibile, infatti, che l'editore sia interessato a proseguire le avventure della protagonista".
Claremont confessa di aver lavorato a questo progetto soprattutto perché gli offriva condizioni di lavoro diverse dalle precedenti. "È l'opportunità di lavorare su un prodotto in maniera autonoma senza doversi preoccupare di quello che stanno scrivendo gli altri" osserva. "Finché non infrango i parametri della serie Alien/Predator (abbiamo fissato un limite che ho esteso al massimo, creando un personaggio alieno femminile) posso fare quello che voglio. Posso creare i personaggi che voglio ed è una cosa che non potevo fare da molto tempo, specialmente agli X-Men. Tom Orenzchowski dice che è la miglior sceneggiatura che io abbia scritto da tempo, e detto da lui è veramente un grande riconoscimento, visto che abbiamo lavorato assieme per oltre venti anni, realizzando anche ottime storie".
Oltre ad Alien/Predator, Claremont ha in programma tre lavori per la DC. Il primo è una storia che e stata a lungo rimandata e che doveva uscire sull'Action Annual del 1989, con i disegni di Michael Golden. Dovrebbe essere stampata per la fine dell'anno. Un altro prestigioso progetto prevede una miniserie in cui vedremo Superman e Wonder Woman disegnati da Dusty Abell. In questa versione della storia Superman è arrivato sulla terra nel 1918, debuttando come supereroe nel 1938. La storia inizia nel 1993, quando Lois Lane ha ormai settantacinque anni e va in pensione dal New York Times. Metropolis dal canto suo è ridotta a un enorme buco (Claremont non spiega perché). Ci racconta invece che la seconda guerra mondiale è terminata in maniera diversa da quanto ci è stato insegnato. "Il 7 dicembre i giapponesi attaccarono Pearl Harbor. L'8 dicembre Superman affondò la flotta giapponese", puntualizza. "La Germania non dichiarò mai guerra agli Stati Uniti e non fu mai sconfitta in Europa. Non esistono altri supereroi. La storia racconta come Superman affronti la propria umanità e Lois Lane e Lana Long la propria immortalità. In questo mondo gli antichi dei dotati di poteri magici stanno per risorgere, ponendo Lois al loro comando", dice Claremont. "Quando ciò avviene, Lois si trasforma in Wonder Woman".
Claremont sta anche adattando a fumetti il suo romanzo First Flight (DC). La sceneggiatura dei primi due episodi è stata completata.
"Pensavo di avere altri progetti per i fumetti, ma a poco a poco la mia attenzione se ne sta allontanando", ammette. "Sto terminando l'ultimo romanzo delle avventure di Nicole Shea, Sundowner [che in Italia uscirà su Urania Argento, N. d. R.]. Mia moglie Beth Fleischer ed io stiamo scrivendo un romanzo di dark fantasy per la Bantam che uscirà nel dicembre '94 col titolo Farewell. John Bolton sta realizzando dieci immagini a colori e trentasei in bianco e nero per illustrarlo. I suoi disegni sono bellissimi, alcune delle cose migliori che ha mai realizzato e, visto che si tratta di John, potete immaginare il risultato. Ho anche un altro progetto, ma ora non voglio parlarne. Devo scrivere tre romanzi nello spazio di sei o sette mesi nel prossimo anno, e questo mi porta via quasi tutto il tempo".
Claremont ammette che sta dedicandosi più alla prosa che ai fumetti perché lo trova un lavoro più semplice. "Se vuoi lavorare per un editore con personaggi già creati e un'equipe già rodata puoi lavorare quanto vuoi", spiega Claremont. "Se vuoi metterti in proprio e realizzare da solo il tuo materiale, ciò che ti mette in difficoltà, come sceneggiatore, è la necessità di trovare un disegnatore. Nel modo in cui è strutturata l'industria oggi ci sono meno incentivi per i disegnatori a lavorare con gli sceneggiatori che il contrario".
Claremont spiega che, giacché le immagini sono più immediate delle parole, il disegnatore sembra ottenere una maggiore attenzione e quindi maggiori possibilità di vendere il suo lavoro all'editore. "È più facile che un disegnatore dica a uno sceneggiatore: «Ho avuto questa grande idea, vorresti lavorare per me?» che il contrario. Il disegnatore sarà sempre tentato di porre delle condizioni. Può andare, per esempio, dalla Image con gli schizzi preparatori di un personaggio e dire: «Io ho fatto questo, voglio lavorare con mio fratello o con il mio amico». Oppure dire: «Potreste procurarmi qualcuno che lavori con me su questa idea?». L'editore può subito vedere i disegni e dire: «È un bel lavoro» oppure: «Non mi piace».
"Uno scrittore può presentarsi con un progetto egualmente dettagliato ma senza immagini e trovarsi nella condizione di avere a disposizione un grande disegnatore che però non vuole lavorare su un'idea che non sia sua", continua Claremont. "A quel punto c'è un nuovo problema da discutere. Di chi sarà il merito del prodotto finito? Come vengono definiti i parametri di questa relazione? Metà per ciascuno come sembrano pensare alcuni? Altri invece pensano che si tratti di un rapporto due terzi un terzo. Chi ha dato il maggior contributo al lavoro? Si può parlare di contributi uguali? Chi ha il controllo sulla situazione? Sono domande che hanno diviso le persone che lavorano in questo settore sin dal suo esordio".
Claremont afferma di aver discusso la questione con un venditore francese durante il suo recente soggiorno in Europa. Ha chiesto come mai le coppie sceneggiatore/disegnatore, editore/creatore resistano così tanto in Europa. Racconta che il venditore lo ha guardato come se fosse caduto da un albero o atterrato su Marte. "Se una squadra funziona perché cambiarla?" ricorda che gli disse il venditore. "Se lavori con un disegnatore (o il contrario) e la collaborazione resiste e gli albi vendono, perché non continuarla? Se riesci a trovare un editore che ti paga per quanto tu ritieni essere giusto e ti fornisce il sostegno di cui hai bisogno e le vendite del tuo album sono soddisfacenti, perché dovresti cercare qualcos'altro?"
Claremont afferma che questo gli ha fatto pensare che nell'industria dei fumetti americana ci sia poco spazio per il dialogo tra la parte creativa e commerciale, come del resto avviene per molti altri settori del mondo degli affari. "Tutto il nostro lavoro e capacità creativa è destinato a dare i suoi frutti in prodotti molto brevi, pubblicati in brevi periodi. È il contrario di quello che avviene in Europa, dove per ogni serie si pubblica un album all'anno. E la differenza più importante è che, visto che i diritti del personaggio appartengono alle case editrici, il talento creativo non ha molto spazio. Non ci sono molte ragioni per cui un singolo autore sia stimolato a rimanere su un personaggio o una coppia sceneggiatore/disegnatore lavori insieme per un lungo periodo di tempo. Alla fine non hanno grandi riconoscimenti per il successo della serie, salvo che per i profitti delle vendite a breve termine".
Claremont approfitta di questo discorso per puntualizzare i motivi della sua interruzione del rapporto con la Marvel.
"Pensavo di essere in una posizione di forza per quanto riguardava il materiale X-Men, visto che ci avevo lavorato per un tempo più lungo di chiunque altro. Tuttavia un cambiamento di editor (con l'arrivo di Bob Harras) ha creato una situazione in cui tutta la credibilità, e le storie da me delineate non significavano più nulla. Lui era il capo; la sua decisione era la legge. Il mio dovere come impiegato era di seguire le sue direttive o andare all'inferno".
Parte di questa situazione era determinata, secondo Claremont, dal fatto che Harras si sentiva sottopagato, sottovalutato e sovraccaricato di lavoro. "Nei fumetti l'editor non ha alcun vantaggio - e ancor meno incentivi - nel prendere in considerazione i desideri del creatore, soprattutto nelle collane che la casa editrice possiede da tempo" continua. "Ho detto a un editor della Marvel, Tom De Falco, che secondo me, oggi, alla Marvel c'è troppa pressione sugli autori e che è venuto il momento di affrontare il problema, per quanto circoscritto possa sembrare. Ma chi ha tempo di risolvere le divergenze tra l'editor e gli autori? Se l'editor deve passare una settimana ad appianare queste divergenze, è una settimana in cui non può fare altro" aggiunge Claremont. "Si instaura così un sistema dove quella che poteva sembrare un'emergenza temporanea diventa lo standard: tanto, a chi importa? La gente comprerà lo stesso X-Men, Wolverine, Ghost Rider senza far caso alla squadra creativa semplicemente perché c'è il marchio Marvel, oppure Superman, Batman, Lobo o chissà cosa perché sono DC".
Claremont è convinto che oggi i fumetti siano venduti solo per il marchio, come prodotti da supermercato. "Se compri un albo Image il marchio è quello della casa editrice, se poi si tratti di Brigade, Youngblood, Cyberforce o Spawn non ha importanza. L'importante è che abbiano il marchio Image; e questo che fa vendere. Con il tempo forse vedremo la gente fare differenze tra Wild Cats o Shadowhawk. Ma, allo stadio attuale, Image è il marchio di fabbrica. La Valiant ha un certa fama, allora la gente dice: «È un albo Valiant». Chiedete a qualcuno chi disegna Rai, o chi scrive Harbirnger? «Non lo so» vi diranno. Questo è il punto, non importa più chi veramente realizza un albo. È Superman, non un lavoro di Louise Simonson e di Jon Bogdanove o altri. Se si guarda con attenzione si vede chi sono gli autori di un singolo fascicolo, ma ciò che tutti cercano, in realtà, è la S di Superman". Tutto questo, secondo Claremont, porta a una confusione nel mondo dei fumetti in cui diventa impossibile differenziare i singoli titoli.
"Lo dicevo a Tom la scorsa settimana: quando si entra nei negozi di fumetti non c'è nulla che differenzi i singoli albi Marvel l'uno dall'altro. E tutto viene confuso in un'unità amorfa, e questo magari è un bene, se funziona. Ma non è per questa ragione che mi sono interessato ai fumetti, quella che mi ha spinto a lavorarvi. Ma come dice sempre l'editor della DC, Archie Goodwin: «Cosa ne sapete voi autori? Voi siete quelli che continuano a ripetere che è importante saper raccontare, caratterizzare i personaggi, disegnarli, ma può darsi che la gente dica che queste cose non contano più, o almeno non in questo momento»".
Claremont afferma che la continua produzione di numeri speciali o di cross-over ha schiavizzato il mondo del fumetto al marketing, sottraendolo alle decisioni di tipo editoriale; e questo pensa sia uno svantaggio per gli scrittori. "Ti trovi nella posizione in cui non hai la possibilità di sviluppare linee narrative a lungo termine perché non hai il tempo di costruirne i presupposti. Si tratta di creare veloci esplosioni di energia e poi passare a una nuova avventura, non si può perdere tempo a stabilire premesse se nessuno vuole aspettare. Abbiamo altre responsabilità. Nel momento in cui si comincia a dover integrare le molteplici pubblicazioni di ogni casa editrice, il ruolo dello scrittore diventa sempre meno importante rispetto a quello dell'editor. Questi, presumibilmente, è la persona che conosce tutte le direzioni, che sa cosa stanno facendo tutti e che dice «stop» quando la tua storia va a intralciare quella di un altro. Manca poco per arrivare a dire: «Okay, tu vai qui, tu vai qui e tu vai là. Questa serie deve prendere questa direzione e questa quell'altra, voglio che in questa storia succeda questo o quello». Improvvisamente, come naturale evoluzione di queste premesse, lo sceneggiatore non è più la persona che scrive l'albo, ma quella che fa ciò che l'editor dice di fare. Si torna alla situazione creata con Julius Schwartz e Mort Weisinger, i vecchi editor della DC nei primi anni '60" continua Claremont. "A quei tempi si andava dall'editor che diceva: «Ecco la storia che Superman vivrà questo mese». Gli sceneggiatori ricevevano il soggetto abbozzato in linee generali e tornavano a casa per mettersi a scrivere. Fondamentalmente si era costretti a fare quello che l'editor imponeva e senza aver voce in capitolo. Ogni tanto si poteva dire qualcosa tra le righe, creare questo o quel personaggio o una situazione particolare, ma erano note di una sinfonia scritta da altri. La vita è troppo breve perché io o altri che abbiano già un nome dovremmo sprecare il nostro talento dando vita alla visione di un altro? Tanto vale chiedersi perché le persone di cui stai realizzando le idee non se le scrivano da sole.
"Non si può dire neppure se tutto questo sia una buona o una cattiva cosa, perché a grandi linee la situazione sopra descritta rispecchia il modo di lavorare sia di Carlin (editor della DC) che di Harras (della Marvel). Solo che Carlin riesce a collaborare in maniera più positiva, con il suo staff di autori".
Ma Claremont è convinto che Carlin sia più l'eccezione che non la regola. "Oggi abbiamo editor che si considerano qualcosa di più che funzionari incaricati di facilitare la produzione" dice Claremont. "Dicono: «Io ti spiego come deve andare la storia. Sono io che decido che direzione deve prendere la serie. Tu ci aiuterai ad arrivare là». L'ideale, naturalmente, sarebbe il contrario, e cioè lo sceneggiatore che va dall'editor e gli dice: «Ecco dove voglio arrivare», e questi risponde si o no. Se fai un contratto a uno scrittore per un libro, devi lasciarglielo scrivere. Se vuoi scriverlo tu, devi farlo personalmente; non è possibile ricoprire i due ruoli. È sbagliato.
"Penso che così vengano fuori storie di seconda scelta. Inoltre, le persone che lavorano a una serie non hanno interesse a continuare a farlo a lungo, a parte forse la redazione in senso stretto. Non ha veramente importanza che cosa si sta realizzando, potrebbero essere macchine. Produci il materiale, non crei nulla. È l'illusione della creazione".
Questa situazione ha reso difficile a Claremont non solo scrivere divertendosi, ma anche divertirsi a leggere. Ritiene difficile sia trovare storie interessanti come lettore che riprendere a scrivere; pensa che sia tutta una perdita di tempo.
"Ti garantisco che non è facile fare il mio lavoro quando si gode di una così vasta popolarità. Si va alle convention a firmare gli albi e senti i ragazzini che dicono: «Fantastico quello che è capitato nell'ultimo Wolverine». Bene. Ma molti albi escono in maniera diversa rispetto al progetto originale".
Claremont ricorda che anche i migliori disegnatori e sceneggiatori a volte hanno punti di vista diversi, e che lui rispetta.
"Certe persone difendono il loro punto di vista solo per orgoglio professionale. Altre agiscono in maniera differente. Peter David, per esempio, è terribilmente geloso del suo lavoro mentre lo realizza, ma una volta consegnatolo non se ne interessa più. Ci sono momenti in cui vorrei distaccarmi completamente dai miei lavori, specialmente quando penso agli X-Men. Li guardo e dico: «Rappresentano la mia intera vita lavorativa, eppure alla casa editrice sono bastati diciotto mesi per dissezionarla come un pesce, buttar via le caratterizzazioni dei personaggi che avevo creato, eliminare una parte enorme del contesto e dei personaggi che avevo tratteggiato e trasformare tutto in una parodia del mio lavoro. Perché dovrei sottopormi un'altra volta a una cosa del genere? Perché chiunque dovrebbe farlo? Toccata e fuga, da questo momento, non porterò avanti una serie per più di un anno».
"Tutto questo ci riporta a ciò che dicevo con il venditore francese. Se si pensa che uno può disegnare una cosa finché funziona e il mercato paga per poi passare a qualcos'altro, perché preoccuparsi? Penso che sia lo stesso ragionamento al quale è arrivato Jim Lee quando me ne sono andato. Se io, pur avendo dedicato diciassette anni della mia vita a questo lavoro portandolo a tali livelli, ero considerato così poco, perché avrebbe dovuto lui fare la stessa cosa per altri quindici? Perché avrebbe dovuto sprecare gli anni migliori e più creativi della sua camera per una situazione in cui non aveva nessuna voce in capitolo? Non c'era nessuna ragione per cui dovesse rimanere e non fondare la sua Image.
"La cosa peggiore che poteva capitargli era che l'impresa fallisse e che lui fosse costretto a tornare alla Marvel. Lo avrebbero ripreso e pagato anche profumatamente", aggiunge Claremont. "Ma se l'Image avesse avuto successo, come sembra abbia avuto, lui e i suoi soci avrebbero cambiato le loro vite. Avrebbero ricevuto un nuovo incentivo che li avrebbe ricompensati per tanti anni passati a disegnare e scrivere. Anche solo per questa ragione penso che la loro iniziativa sia lodevole".
Parlando della Image, quale sarà la sorte del suo soggetto di Huntsman? "Originariamente l'idea di Huntsman prevedeva una mia collaborazione con il disegnatore Whilce Potacio" spiega Claremont. "Mandai la proposta a Potacio nel 1991. Se le cose fossero andate come avevamo pensato Jim Lee e io, avrei fatto parte del gruppo fondatore della Image; ma Potacio ha preferito sviluppare il suo progetto Wetworks".
"Il problema, con Huntsman, era che i disegnatori adatti stavano gia lavorando per la Marvel agli X-Men, oppure intendevano realizzare progetti propri" continua Claremont. "È la solita vecchia storia. Se si presenta un progetto già visualizzato si può, per esempio, sostenerlo con la vendita delle card. Se fosse stato così per Huntsman, se avessi presentato il progetto corredato da materiale iconografico, Jim si sarebbe seduto, avrebbe dato un'occhiata alle immagini e sei mesi dopo sarebbero uscite le prime card a sostegno della miniserie che avrebbe affiancato la serie principale. Se trovi qualcuno che si occupi della visualizzazione del progetto bisogna discuterne la paternità, e cosa succederà se la persona che visualizza la tua idea non sarà poi quella che disegnerà la serie? Allora sarà necessario ingaggiare qualcuno che lavori su commissione per un prodotto i cui diritti appartengono a qualcun altro".
"Todd McFarlane ha assunto Alan Moore, Neil Gailman, Dave Sim e Frank Mille per scrivere le avventure di Spawn. A me piacerebbe ingaggiare Todd, Larry Stroman e Dake Kaewon per disegnare le avventure di Huntsman. Non credo che ciò sia possibile in tempi brevi, perché dovrebbero accettare? La Image è una casa editrice che privilegia soprattutto autori completi".
In conclusione, Claremont lamenta che i fumetti, per un libero professionista, sembrano diventati un mondo dove impera la logica degli affari più che la creatività. "Dopo un poco ti stufi di lottare, di negoziare, delle difficoltà di mettere in piedi un progetto" dice. "Devi creare un accordo tra gli autori prima di presentarti all'editore. Le trattative non finiscono mai e se non si arriva a una conclusione si è sprecato un sacco di tempo senza che nessuno abbia prodotto nulla. Saltano subito agli occhi a quanti compromessi si è costretti a sottostare. Se tuttavia ci si sottomette al numero giusto di compromessi nella situazione favorevole, probabilmente ne esce un prodotto piacevole e remunerativo. Ma tutto si riduce a compromessi" conclude. "E così penso che sia meglio scrivere libri".

VITA DURA PER GLI SCRITTORI! - Stefano Di Marino

Deluso dal "business" dei fumetti, Claremont ha intrapreso una nuova strada, quella del romanziere.

Spesso lettori di fumetti e di romanzi favoleggiano su quanto sia bello vivere guadagnandosi la pagnotta inventando storie per gli altri. Per il lettore medio lo scrittore/sceneggiatore vive un'esistenza dorata lontano dagli assilli che il quotidiano lavoro di ufficio impone ai poveri mortali, preoccupato solo di creare vicende sempre più avvincenti e personaggi coinvolgenti. Beata illusione!
L'uscita in Italia di un romanzo di Chris Claremont, acclamato sceneggiatore dei comics americani passato alla narrativa, ci offre qualche spunto di riflessione. Chi scrive ha appena iniziato la difficile via della professione di scrittore/sceneggiatore e non ha certo la pretesa di mettersi allo stesso livello del grande Chris: eppure, apprendendone i problemi da interviste e dichiarazioni rilasciate in questi ultimi due anni, non può fare a meno di ritrovare le stesse difficoltà anche se su scala differente. Come a dire che esiste una morale che accomuna piccoli e grandi autori e lancia un monito a quanti volessero intraprendere questa professione: la strada non è sempre lastricata d'oro e, di certo, è sempre in salita.
Ma andiamo con ordine. "Chris Claremont: chi è costui?" potrebbe domandarsi il lettore avvezzo solo agli scaffali delle librerie italiane. La stessa domanda sarebbe semplicemente improponibile per un fan del fumetto nel quale questo simpatico quarantenne dal viso pacioso e lo sguardo vivace si è costruito un vero e proprio monumento.
In effetti First Flight è il primo romanzo che giunge nelle nostre edicole a firma di Claremont, ma il suo nome è già noto nelle librerie di lingua anglosassone e famosissimo nei chioschi, dove i suoi albi vanno a ruba in tutto il mondo.
La camera di Chris Claremont inizia molti anni fa e comincia a prendere una sua fisionomia precisa quando la Marvel, casa editrice americana tra le maggiori specializzate nel genere supereroi, gli affida le sceneggiature di una serie che, fino a quel momento, sembrava essere solo una delle tante del genere: gli X-Men.
Nell'universo dei supereroi americani il fattore X, il gene che contraddistingue i mutanti (esseri con capacità e aspetto paranormali), non sembrava aver riscosso un particolare successo a confronto di altre tematiche, per esempio la nuova versione più umana dei classici supereroi quali l'Uomo Ragno, Devil e i Fantastici Quattro.
L'idea di base della serie presentava uno scienziato di nome Xavier che, paralizzato su una carrozzella, riuniva intorno a sé un gruppo di esseri che la natura aveva voluto diversi e speciali, i mutanti. Il gruppo originale - con costumi colorati e aspetto bizzarro, seppure non indimenticabile in un universo dove l'eroe più sobrio se ne andava in giro vestito con una calzamaglia e uno scudo che riproduce la bandiera americana - si trovava a lottare su due fronti: quello della battaglia contro criminali e mostri e quello, più doloroso, contro i pregiudizi. I mutanti sono diversi da noi, e quindi, anche quando sono animati dai migliori propositi, vengono considerati con sospetto dalla gente comune. Xavier raccoglieva attorno a sé questi "freak" per farne un esercito votato al bene, ma anche al raggiungimento del rispetto da parte dei "normali'". Una buona idea che il look non troppo accattivante dei personaggi e le psicologie solo rozzamente tratteggiate non riuscivano a far decollare. Arriva allora Chris Claremont, giovane sceneggiatore con ottime idee in testa e tanta voglia di lavorare. Nasceva da lui una serie di avventure che non solo avrebbero stabilito un nuovo filone nell'universo dei supereroi, ma che avrebbero evoluto la saga dei mutanti sino ad arricchirla di altre serie e miniserie con personaggi sempre nuovi e più drammaticamente ritratti.
Chris fu così abile nel creare un intreccio che, tenendo conto della premessa iniziale, sviluppasse drammaticamente i personaggi e le loro vicende, che, in capo a diciassette anni, i mutanti divennero l'asse portante della Marvel, realizzandone ben il 40% delle entrate. Non solo, ma alla testata originale se ne sono aggiunte molte altre tutte più o meno collegate, più una serie numerosissima di albi speciali, cross-over e numeri annuali, senza contare le graphic novel per la libreria. Nei fumetti americani, più che in quelli italiani, vige il principio della continuità, un meccanismo che tiene conto dell'evolversi delle vicende dei singoli personaggi. Le avventure in albi differenti devono sempre mantenere non solo una uniformità di comportamento, ma una consequenzialità che da una parte crei sempre nuovi spunti di interesse e dall'altra non introduca novità incongruenti con vicende che si svolgono su altre testate. Se, per esempio, un personaggio subisce una certa evoluzione del carattere, non solo questa dovrà essere motivata e graduale, ma oltre che sulla serie principale si ripercuoterà anche nelle vicende collaterali degli speciali o delle miniserie. Ben si capisce che tener dietro a tutto non sia cosa facile, e che richieda allo sceneggiatore un grosso sforzo creativo che "dovrebbe" - almeno sulla carta - avere un corrispettivo nel pieno controllo sulla situazione creativa. Diciamo "dovrebbe" perché le esigenze delle case editrici impongono che nei serial che durano per tanti anni si avvicendino non solo i disegnatori ma anche gli sceneggiatori. La figura dell'editor nel mercato americano dovrebbe proprio servire a questo: fare in modo che la serie proceda in maniera uniforme in tutte le sue ramificazioni. Ma uniforme rispetto a quali parametri?
E qui s'impone una nuova specificazione. Alla Marvel come nelle grandi major del fumetto americano i diritti del personaggio spettano sempre alla casa editrice, che nella figura dell'editor (il quale non è soggettista o sceneggiatore) deve decidere quale direzione e quale ritmo produttivo seguire.
Si potrebbe pensare che un talento come Chris, visti i risultati di pubblico e di critica, godesse di ampia libertà. Invece, questo è quanto emerge da numerose interviste, avvenne proprio il contrario. Non solo Claremont si trovò di fronte a una richiesta sempre crescente di storie nuove ma, per far fronte a tutte queste iniziative, parte del suo lavoro fu affidato ad altri sceneggiatori. Costoro, pur mantenendo la continuità, in molti casi non riuscirono a rispettare le sue linee creative e questo generò inevitabili contrasti. L'arrivo di un nuovo editor dai modi non troppo democratici portò Claremont a una decisione storica: avrebbe lasciato la serie che aveva seguito per diciassette anni per dedicarsi a un altro genere narrativo, la letteratura, dove a un impegno ridotto in termini di tempo avrebbe associato un maggior controllo sulla produzione. Ne è nata una prima trilogia di romanzi cui faranno sicuramente seguito altri lavori.
La scoperta di questo suo nuovo talento narrativo ha naturalmente fatto piacere al Nostro, ma l'abbandono temporaneo del mondo dei fumetti ha lasciato non pochi rimpianti. In effetti la visione dipinta da Claremont del metodo di lavoro in uso non solo alla Marvel, ma anche nelle maggiori case editrici di fumetti americane, non è certo consolante. L'autore di fumetti, lo sceneggiatore in particolar modo, si trova totalmente in balia di logiche di marketing che gli sottraggono libertà creativa in favore di una sempre maggiore produttività. Oltre a ciò, come lo stesso Claremont sottolinea, lo sfruttamento sino ai minimi termini di un prodotto di successo può portare ad un inaridimento del filone, con conseguenze non certo positive non solo per la serie ma anche per lo sceneggiatore stesso.
La passione per il fumetto, naturalmente, non ha abbandonato Claremont, che dopo due anni è tornato a scrivere per i comics (questa volta per case editrici più piccole e indipendenti, con progetti a termine più breve e sui quali gli è stato assicurato un maggiore controllo). Il primo dei suoi lavori a vedere la luce nelle edicole - in Italia per la Play Press - dovrebbe essere una miniserie intitolata Aliens/Predator: Gioco Mortale, realizzata dalla Dark Horse, una piccola ma prestigiosa casa editrice specializzata nelle riduzioni a fumetti delle avventure dei principali personaggi del cinema fantastico degli ultimi anni. Potrebbe sembrare una incongruenza che uno sceneggiatore lasci una serie come gli X-Men dichiarando di voler lavorare in completa autonomia e poi finisca per scrivere storie che addirittura si rifanno ai film. In realtà la produzione Dark Horse ispirata ad Alien e a Predator prende solo lo spunto dall'universo creato dalle rispettive serie cinematografiche. Come i lettori italiani sanno, Dark Horse ha ampliato l'universo alieno in serie a fumetti e romanzi che oramai hanno pochi punti in comune con il modello originario. Nel futuro delineato dalla Dark Horse, gli Alien sono arrivati sulla terra assieme ai Predator e tra le due razze si è scatenata una guerra che vede coinvolti anche gli uomini, nel tentativo disperato di sopravvivere.
Claremont non trova restrittivo adattarsi ai canoni della serie, a patto di avere la possibilità di sviluppare personaggi propri sui quali otterrà anche in futuro il diritto di evolverne le vicende in serie più lunghe. È il caso della protagonista di questa saga divisa in dodici capitoli, dove Claremont mette in campo uno straordinario terzetto che, pur soddisfacendo chi ha amato la serie cinematografica e a fumetti, rivoluzionerà il suo futuro, almeno nella direzione intrapresa da Claremont. Al centro della vicenda ci sono infatti tre personaggi femminili: un'aliena, una predator e una umana, Ash Parnail detta Renegade, la moglie di un magnate industriale. Qui, pur nel contesto generale della lotta tra umani e specie aliene, i "cattivi" sono i dirigenti corporativi e questo eterogeneo trio femminile ricopre un ruolo positivo. Lo stesso Claremont sintetizza la miniserie definendola un "Thelma & Louise con situazioni molto drammatiche e pistole molto, molto grosse". Di certo non mancheranno momenti d'azione abbinati a quello che è ormai diventato un marchio distintivo della produzione di Claremont: una continua evoluzione psicologica dei personaggi. In questo espediente egli individua il segreto del successo delle sue serie anche per periodi molto lunghi. Il lettore deve sempre domandarsi cosa succederà, cosa spingerà domani i protagonisti a comportarsi in maniera differente da quanto facciano oggi. Visto che nei serial è un assunto che il protagonista sopravviva, agire sulle sue dimensioni interiori senza dimenticare l'azione rimane l'unica via per tenere avvinto il lettore.
Questo implica che, a distanza di anni, i personaggi cambino psicologicamente: ed è proprio ciò che gli editor delle grandi case editrici non accettano, convinti che se un prodotto funziona in un modo, al pubblico si debba sempre e comunque riproporre la stessa formula. Lavorando in maniera indipendente c'è una maggior libertà, oltre al fatto che la miniserie composta di pochi numeri consente di tenere sotto controllo la situazione con più precisione e "testare" il pubblico in previsione di futuri progetti. Ma anche qui non sono tutte rose...
Uno dei maggiori problemi individuati da Claremont come sceneggiatore è la difficoltà per un autore di proporre progetti estranei ai grandi serial. Se il progetto arriva sul tavolo dell'editore già corredato da una serie di disegni preparatori e, possibilmente, di un illustratore ufficiale, avrà più possibilità di essere accettato. Non è un segreto che l'immagine sia più immediata e che un disegnatore possa proporre il suo lavoro e poi pensare a cercare uno sceneggiatore. Disgraziatamente per Claremont (non solo per lui) molti disegnatori perdono interesse quando lavorano su progetti non interamente loro. Così è capitato che la serie Huntsman, proposta alla casa editrice Image fondata da Jim Lee, altro transfuga dalla Marvel, giaccia da anni in attesa di una realizzazione perché il disegnatore originariamente scelto, Whilce Potacio, ha preferito lavorare da solo al suo progetto Wetworks. Claremont lamenta una sproporzione della "forza contrattuale" degli sceneggiatori rispetto ai disegnatori. Questi ultimi, a suo avviso, tendono a dimenticare che spesso un buon fumetto è fatto da una buona storia oltre che da un buon disegno. Purtroppo a volte è capitato che i disegnatori scelti da Claremont per i suoi nuovi progetti fossero occupati a lavorare per la Marvel o stessero realizzando lavori autonomi.
Da qui, la decisione di diradare la propria presenza sulle tavole dei fumetti per concentrarsi sulla scrittura di romanzi dove, almeno, l'autore ha un completo controllo sulla realizzazione della storia. Non che anche il mondo editoriale sia perfetto ma, al momento, Chris sembra trovare più gratificante questa forma di narrativa. Siamo convinti, comunque, che la passione di Chris per la sceneggiatura non ci priverà in futuro del piacere di leggere le sue storie a fumetti. Per il momento, non ci resta che scoprirne il talento narrativo in libreria e in edicola.
Sceneggiare e scrivere narrativa sono due lavori molto diversi e non necessariamente un romanziere si dimostra un buon narratore per immagini o viceversa, ma, nel caso di Claremont, qualunque sia il mezzo scelto, se gli si concede la giusta libertà creativa il divertimento è assicurato.

FINE