Science Fiction Project
Urania - Racconti d'appendice
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COLPA DEL TRASMETTITORE - Harry Harrison
Titolo originale: Waiting place

Appena uscito dallo schermo del trasmettitore di materia, Jomfri si rese conto che c'era stato un errore tremendo. Anzitutto aveva un fortissimo mal di testa, sintomo classico di cattivo funzionamento del TM. Poi, quella non era la sua destinazione: non era la sua camera grigia e polverosa. Lui doveva andare a casa. Si portò una mano davanti agli occhi e avanzò vacillando verso la panca di legno addossata a una parete. Si lasciò cadere sulla panca, e si strinse la testa tra le mani, aspettando che il dolore diminuisse.
Il peggio era passato, questo era certo, e poteva ringraziare di essere ancora vivo. Jomfri sapeva tutto sugli incidenti TM dalle commedie 3V, perché, anche se gli incidenti erano rari, le loro drammatiche circostanze offrivano ottimi spunti agli scrittori. Il cattivo funzionamento di un semplice circuito microscopico era sufficiente a mandare lo sfortunato viaggiatore a un ricevitore diverso da quello prescelto, e nello stesso tempo procurava una scossa al sistema nervoso, sufficiente a far venire l'insopportabile mal di testa. I tecnici definivano questo tipo di incidente malfunzione minima.
Una volta cessato il male di testa, la vittima poteva recarsi alla stazione d'emergenza locale, riferire l'incidente, e andarsene. Quando la mal funzione non era minima, però, capitavano cose orribili: c'era gente che arrivava rovesciata, oppure allungata in una dimensione di chilometri di carne tubolare. E anche peggio. Lui stava bene, si disse Jomfri, continuando a stringersi la testa tra le mani. Se l'era cavata.
Quando si decise ad aprire un occhio, scoprì che la luce era sopportabile. Poteva alzarsi e andare in cerca di aiuto. Alla stazione d'emergenza dovevano avere qualche calmante per il male di testa. Poi doveva riferire il malfunzionamento prima che capitasse ad altri la sua stessa disavventura. Fece scorrere la mano sulla parete alla ricerca del pannello dei pulsanti.
- È impossibile! - gridò, spalancando di colpo gli occhi, nonostante il male. - C'è sempre un pannello.
Non c'era. Quello schermo era soltanto ricevente. Teoricamente era possibile che un TM funzionasse in un senso solo, e non potesse quindi trasmettere. Lui, comunque, non ne aveva mai visti.
- Devo andarmene - si disse, voltando le spalle allo schermo.

Appoggiandosi alle pareti spoglie, Jomfri uscì dalla stanza e si avviò lungo un corridoio. Dopo una curva ad angolo retto, il corridoio finiva bruscamente in una strada polverosa. Il terreno era cosparso di rifiuti, e nell'aria si sentiva puzzo di decomposizione.
- Prima me ne vado da questo posto, meglio è. Riuscirò a trovare un altro trasmettitore. - Poi imprecò contro il sole e i suoi raggi pungenti che gli penetravano negli occhi e arrivavano al cervello. Avanzò lungo la strada, barcollando, e guardandosi attorno attraverso una piccolissima fessura tra le dita premute sugli occhi. Lacrimava abbondantemente. Ma per quanto intontito cominciò a osservare le pareti grigie delle case, alla ricerca della familiare doppia freccia rossa delle stazioni TM. Non riusciva a vederne. Poi notò un uomo seduto all'ombra, nel vano di una porta.
- Aiutatemi - disse Jomfri. - Sto male. Devo trovare una stazione TM. Dov'è? - L'uomo spostò la posizione dei piedi, ma non parlò. - Non capite? - disse allora Jomfri seccato. - Sto male! È vostro dovere di cittadino...
Sempre senza parlare, l'uomo mise la punta di un piede dietro una caviglia di Jomfri, e con l'altro piede gli sferrò un calcio al ginocchio. Jomfri cadde, e nello stesso istante l'uomo si alzò. - Sporco dannato - disse, e colpì Jomfri con un calcio all'inguine. Poi se ne andò.
Rimase parecchio tempo a gemere, rannicchiato a terra. Aveva quasi paura di muoversi. Gli sembrava di essere un uovo incrinato che si sarebbe rotto spandendosi attorno al primo movimento. Quando riuscì, finalmente, a mettersi seduto e a farsi passare il sapore amaro che aveva in bocca, si accorse che molta gente doveva essergli passata accanto, ma che nessuno si era fermato. Non gli piaceva quella città, quel pianeta, qualunque fosse. Voleva andarsene. Faceva fatica a stare in piedi, e più fatica ancora a camminare, ma ci riuscì. Doveva trovare una stazione TM, andarsene, trovare un medico. Andarsene.
In altre circostanze, Jomfri avrebbe notato lo squallore del posto, la mancanza di traffico veicolare, la scarsità di pedoni, e la completa assenza di qualsiasi insegna e cartello stradale, come se lì l'analfabetismo fosse stabilito per legge. Ma in quel momento a lui interessava soltanto andarsene. Passando davanti a un portone si fermò, e con molta cautela, perché il trattamento di poco prima gli aveva insegnato a essere prudente, guardò all'interno. Vide un cortile con sparsi attorno diversi tavoli rozzi, con assi inchiodate alle gambe al posto delle panche. Alcune erano occupate. Sul tavolo centrale c'era un piccolo barile da cui sei uomini e una donna estraevano qualcosa che versavano in una tazza. Tutto era squallido come le pareti attorno, anche le persone. Portavano tutti un'uniforme grigia, in alcuni casi completata da capi sbiaditi di vecchi vestiti civili.

Come vide la donna venire verso di lui, Jomfri si ritirò di scatto. Poi si accorse che era esile e vecchia. Stringeva la tazza di plastica tra le due mani, e camminava tenendo lo sguardo fisso a terra e strascicando i piedi. Si mise a sedere al tavolo più vicino e affondò la faccia nella tazza.
- Mi potete aiutare? - domandò Jomfri mettendosi a sedere all'estremità del tavolo, dove lei non avrebbe potuto dargli calci, né colpirlo in alcun modo, e da dove avrebbe potuto scappare rapidamente.
La donna alzò gli occhi, stupita, e strinse la tazza a sé. Quando vide che l'uomo non si muoveva, lo guardò socchiudendo gli occhi cerchiati di rosso, e si passò la punta della lingua sulle labbra.
- Mi potete aiutare? - ripeté lui, sentendosi al sicuro, per il momento.
- Voi siete nuovo - disse la donna facendo sibilare le parole tra le gengive senza denti. - Non vi piace, vero?
- No, non mi piace affatto, e voglio andarmene. Se mi potete indicare la più vicina stazione TM...
La vecchia fece una risata rauca, poi bevve rumorosamente dalla tazza.
- C'è solo l'andata, dannato. Lo sapevate anche prima che vi mandassero. La strada per Dannaz è a senso unico.
A quelle parole Jomfri si sentì mancare il fiato, ed ebbe improvvisamente un brivido di freddo. Gli venne in mente un prete che teneva sollevato un dito ammonitore. C'era un posto chiamato Dannaz?
- Non è possibile - disse, nell'inutile tentativo di convincere se stesso che non era vero. Girò gli occhi dalle case alla strada e alla gente, e poi da capo, come un animale in trappola.
- E invece sì - disse la donna. Jomfri ebbe l'impressione che la donna stesse per appoggiare la testa al tavolo e mettersi a piangere, invece si limitò a bere.
- C'è stato uno sbaglio spaventoso. Non dovrei essere qui.
- Dicono tutti così - disse la donna con disprezzo, facendo un gesto con la mano rattrappita. - Presto non lo direte più. Qui ci sono tutti i criminali, i reietti dai mondi, i condannati a vita, i dimenticati. Una volta ci uccidevano. Per noi sarebbe stato meglio.
- Ho sentito parlare di Dannaz - disse Jomfri in fretta. - Un mondo che nessuno sa dove sia. Un mondo dove è sempre mezzogiorno. - Lanciò un'occhiata all'immutabile luce che illuminava la strada. - Tutti gli indesiderabili, i condannati, i colpevoli, gli incorreggibili, vengono mandati là. D'accordo: qui - soggiunse, quando vide lo strano sorriso comparso sulle labbra della donna. - Non mi voglio mettere a discutere con voi. Forse avete ragione. A ogni modo è stato commesso un colossale sbaglio che va corretto. Io non sono un criminale. Io stavo tornando a casa al termine del mio lavoro. Mia moglie mi starà aspettando. Ho composto il numero di casa mia... e sono arrivato qui.
La donna non lo guardava più: teneva gli occhi fissi dentro la tazza. Improvvisamente Jomfri si rese conto di avere la gola secca.
- Cosa state bevendo? Posso averne un sorso?
La vecchia sollevò la tazza e se la strinse al seno.
- Questo è mio. Ho lavorato per averlo. Voi potete bere acqua come fanno tutti gli altri dannati. Ho tagliato la legna e sono stata alla palude per badare al fuoco quando lo distillavano. È mio.
La tazza era quasi vuota, e Jomfri si accorse che l'alito della donna puzzava di alcool.
- Là fuori. In fondo alla strada. Andate a chiedere cibo e acqua al giardino. Andate.
La donna smise di prestargli attenzione, e lui si alzò faticosamente per allontanarsi prima che gli succedesse qualche altro guaio.
«Certo, il giardino» si disse, improvvisamente scaldato dalla speranza. «Gli spiegherò la situazione, e penserà lui a togliermi di qui.»

Jomfri riuscì a camminare più in fretta. La strada terminava ai piedi di una specie di collina dalla cima tondeggiante, circondata da una fila di bassi edifici squallidi. Sulla cima, sorgeva una cupola di durcrete. Dura come il diamante, ed eterna. Un uomo esile, vestito con un abito grigio e nero, stava risalendo la collina, e Jomfri lo seguì furtivamente, pronto a girarsi e a scappare al primo segno di ostilità. Uno zampillo d'acqua usciva di continuo da un tubo che sporgeva dalla cupola, e andava a cadere in una vasca. L'uomo esile mise un recipiente di plastica sotto lo zampillo, lo ritirò pieno, e infilò una mano in una profonda feritoia che si apriva nella cupola, ritirandone una specie di pacco. Jomfri aspettò che l'uomo sparisse dietro la curva della cupola. Poi si fece avanti. Il gorgoglio dell'acqua era l'unico rumore nell'assoluto silenzio, e Jomfri si sentì improvvisamente la gola secca. Mise la testa sotto il getto dell'acqua e lasciò che gli andasse in bocca, e sulla faccia, e sulle mani. Quando tolse la testa per respirare si sentì molto meglio. Si passò una mano sugli occhi per asciugarsi, e guardò nell'apertura. Era perfettamente liscia. Sulla destra c'era un pulsante di metallo, e nella parte superiore si apriva un foro, non più grande del suo braccio, che andava a perdersi nelle oscure profondità della cupola. Accanto al pulsante si intravvedeva la parola «Premere», ormai quasi completamente cancellata. Era la prima parola che vedeva dal momento del suo arrivo. Dopo un attimo di esitazione, appoggiò il dito sul pulsante. Sentì un ronzio lontano. Jomfri tolse di scatto la mano, e quasi nello stesso istante dal foro cadde un involucro di plastica. Lo aprì, e vide che conteneva del cibo.
- Mangiate pure, non ve lo impedirò.
Jomfri si girò di scatto, quasi lasciando cadere il pacchetto, e vide l'uomo magro che, tornato silenziosamente, gli si era messo alle spalle.
- Mi sembra che siate uno nuovo - riprese l'uomo, raggrinzendo la faccia butterata in un mezzo sorriso. - Salutate il Vecchio Rurry. Potrei diventarvi amico.
- Prendete - disse Jomfri porgendo il pacchetto, in un tentativo di rompere ogni possibile legame con Dannaz. - Questa dev'essere la razione di qualcun altro. La macchina me l'ha data per sbaglio. Io non sono di questo posto.
- Certo che no, giovane dannato - disse Vecchio Rurry. - Qui finiscono molti innocenti. Alla macchina non importa sapere chi c'è qui, o chi siamo voi e io. Ha una memoria di cinque ore, e non vi darà altro cibo finché non sarà trascorso questo tempo. Dà sempre cibo a tutti, ogni cinque ore. È di un'efficienza spaventosa, da far sbalordire, non vi sembra?
Le dita di Jomfri si strinsero rabbiosamente, affondando nell'involucro di plastica.
- Vi ho detto la verità. Sono arrivato in questo posto per un errore del TM. Se mi volete veramente aiutare ditemi come posso mettermi in contatto con le autorità.
Il vecchio Rurry si strinse nelle spalle, con espressione annoiata.
- È impossibile. Sono chiuse dentro questa cupola, e vanno e vengono con un loro TM personale. Non si mettono mai in contatto con noi. Si mangia da questa parte... e si va via dall'altra.
- Andar via? Allora è possibile. Portatemi là.
Vecchio Rurry si grattò la punta del naso, si asciugò le narici col dorso della mano, e si passò la mano sulla giacca, prima di rispondere.
- Se foste un fantasma sarebbe facile. Guardate. - Puntò un dito verso i piedi della collina, dove erano comparsi quattro uomini che trasportavano una donna a faccia in giù, tenendola per gli arti. Avanzarono lentamente finché non videro i due uomini in cima alla collina. Subito quelli che tenevano il corpo per le gambe, lo lasciarono cadere, e se ne andarono.
- È un dovere civico - disse Vecchio Rurry con disgusto. - L'unico che dobbiamo fare. Se li lasciamo dove si trovano, o se li buttiamo nella palude, finiscono col puzzare. Sarebbe sgradevole.
Scesero verso gli uomini che si erano fermati sul pendio, poi il Vecchio Rurry indicò silenziosamente la gamba sinistra della donna, e si chinò per afferrare la destra. Jomfri esitò un attimo, e i tre dannati si girarono verso di lui a guardarlo gelidamente. Memore del calcio ricevuto, si chinò di scatto e afferrò la caviglia nuda. Il contatto della pelle fredda e rigida gli fece quasi abbandonare la presa. Ripresero a salire, e Jomfri distolse lo sguardo per non vedere la gamba sporca, venata di blu. Forse quella era la donna con la quale aveva parlato. Il pensiero gli fece venire un brivido. No, il vestito era diverso, e la donna che stavano trasportando doveva essere morta da parecchio tempo.
Un sentiero molto battuto girava attorno alla cupola, e loro lo percorsero fino a un punto che doveva essere diametralmente opposto all'apertura di vettovagliamento. Lungo la parete, circa all'altezza del ginocchio, correva una striscia metallica larga una trentina di centimetri e lungo almeno due metri e mezzo. Uno degli uomini che gli camminavano davanti, quello che si trovava vicino alla parete, mise la mano libera in una scanalatura del metallo e tirò. La piastra metallica si piegò in avanti, e si rivelò la parete esterna di una nicchia a forma di V. Aveva lo spessore di circa sette centimetri, ed era fatta di una lega metallica molto dura, tuttavia il bordo era scheggiato e consunto. A quale disperazione si poteva giungere dopo una vita in un luogo del genere? Scaraventarono senza tante cerimonie il corpo nella nicchia, e il portello si richiuse.
- Efficienza ammirevole - disse Rurry, guardando circospetto i due uomini che si stavano allontanando senza avere detto una parola. - Nessuna comunicazione, nessun contatto. La fine. Corpi e vecchi vestiti. I corpi vengono portati via, e consegnando i vecchi vestiti ve ne danno di nuovi. Ricordatevelo, per quando i vostri abiti saranno completamente a brandelli.
- Non può essere! - gridò Jomfri tirando il portello che si era richiuso. - Devo mettermi in contatto con quelli che ci sono dentro. Io non appartengo a questo posto.
Sentì una leggera vibrazione sotto le dita, e il portello si socchiuse. Si aprì. La nicchia era vuota. Preso da una frenesia improvvisa Jomfri salì sulla lastra metallica e si distese.
- Vi prego, chiudete - disse a Rurry che lo stava guardando.
- È inutile - disse l'altro. Poi, quando Jomfri tornò a supplicarlo, spinse il portello.
La luce si ridusse a una fessura e scomparve. Si trovò avvolto nell'oscurità completa.
- Non sono morto - gridò Jomfri improvvisamente terrorizzato. - E non sono un mucchio di vestiti vecchi. Mi sentite? Voglio riferire uno sbaglio. Stavo andando a casa, e...
Sottili sbarre, dozzine di sbarre, gli si strinsero con forza attorno al corpo. Lanciò un grido soffocato, poi gridò con forza, nell'attimo in cui sentì qualcosa sfregargli la faccia. Nell'oscurità si sentiva soltanto un leggero ronzio.
- Forse ho sbagliato il numero. O c'è stato un cattivo funzionamento del TM. Sono qui per sbaglio. Dovete credermi.
Silenziosamente, com'erano venute, le braccia metalliche gli si staccarono dal corpo. Lui tastò attorno, ma si trovò circondato completamente da pareti metalliche, come se fosse chiuso in una bara. Poi sentì uno scatto, e comparve una fessura di luce. Jomfri chiuse gli occhi per proteggerli dal bagliore improvviso. Quando li riaprì vide il vecchio Rurry che finiva di mangiare il contenuto di un recipiente di plastica.
- È il vostro - disse. - Ho pensato che forse non avreste mangiato. E ora uscite. Il portello si chiuderà soltanto quando sarete sceso.
- Cos'è successo? Sono stato stretto da qualcosa.
- Macchine. Per vedere se eravate un morto, o un malato, o un pacco di vestiti. Se siete malato vi fanno una puntura e vi rimandano indietro. Non si può ingannarli. Solo i morti passano.
- Non mi hanno neanche voluto ascoltare - disse Jomfri mettendo i piedi a terra.
- Proprio così. È la legge. La società non uccide né punisce più quelli che infrangono le leggi. Il criminale viene redento. Alcuni però sono irrecuperabili. Sono quelli che una volta sarebbero stati impiccati, bruciati, scorticati, squartati, mandati alla sedia elettrica, decapitati, messi alla ruota, o comunque uccisi secondo gli usi dei diversi periodi. Ora vengono semplicemente allontanati dalla società civile e mandati a vivere in compagnia dei loro pari. Può esserci una cosa più giusta? I condannati vengono mandati qui in un viaggio senza ritorno. Sono lontani dalla società che hanno offesa, e non costituiscono un grave peso per il loro mantenimento. Un piccolo contributo di tutti i mondi che usufruiscono di questo servizio è sufficiente a fornirci vitto e vestiario. Allontanati e dimenticati, perché da qui non si può fuggire. Siamo su un mondo primitivo, avvolto da nebbie, sempre illuminati da un sole che non riusciamo a vedere, e circondati da paludi. Ecco la verità. Alcuni sopravvivono, altri muoiono subito. C'è posto per altre migliaia e migliaia di individui. Mangiamo, dormiamo, e ci uccidiamo fra noi. Il nostro unico sforzo comune è il lavoro di distillazione che facciamo vicino alla palude. Il frutto locale è immangiabile. Però fermenta. E l'alcool è sempre alcool. Dato che siete un nuovo arrivato voglio offrirvi un bicchiere in segno di ospitalità, e come benvenuto nella nostra banda di bevitori. Ultimamente abbiamo avuto molti decessi, e ci servono nuove braccia.
- No. Io non voglio unirmi alla vostra banda di alcolizzati. Per me è diverso. Io sono qui per errore. Non sono come voi.
Rurry sorrise, e con una velocità sorprendente per un uomo della sua età, estrasse un coltello e lo appoggiò alla gola di Jomfri.
- Imparate subito questo. Non domandate mai a un uomo perché si trova qui, né ricordateglielo. Sarebbe un suicidio. Io ve lo dirò perché non me ne vergogno. Ero chimico, e conoscevo tutte le formule possibili. Ho fatto un veleno insapore e ho ucciso mia moglie, più ottantatré dei suoi parenti. Il che fa ottantaquattro. Nessuno, qui, può pareggiare questo numero. - Fece scivolare il coltello nella manica, e Jomfri si passò una mano sul collo.
- Voi siete armato! - disse stupito.
- Questo è un mondo, non una prigione. Facciamo del nostro meglio. Durante gli anni si sono accumulati pezzi di metallo e sono state fatte delle armi. Questo coltello deve essere vecchio di generazioni. Si dice che sia stato forgiato con il ferro di una meteorite. È possibile. Io ho ucciso il vecchio proprietario infilandogli un filo di ferro appuntito nel cervello facendolo passare da un orecchio.
- Credo che adesso berrei volentieri quel famoso bicchiere - disse Jomfri. - E vi ringrazio dell'offerta che mi avete fatto. Siete molto gentile.
Il vecchio si avviò lungo il sentiero che scendeva dalla collina, e Jomfri lo seguì. L'edificio in cui entrarono era identico a tutti gli altri.
- È molto buono - disse Jomfri, tossendo sopra un bicchiere di bevanda acida e fortissima.
- Fa schifo - disse il vecchio Rurry. - Potrei migliorarla aggiungendo aromi naturali. Ma gli altri non vogliono. Sanno cos'ho fatto.
Jomfri bevve un altro sorso. Anche lui sapeva cosa aveva fatto. Quando ebbe finito di bere aveva la testa annebbiata e lo stomaco in rivolta. E non si sentiva certo meglio. Ormai aveva capito che se fosse rimasto su Dannaz sarebbe stato uno degli uomini che morivano alla svelta. Quella vita era peggio della morte.
- Ammalato! Voi avete detto che se fossi malato mi visiterebbero - disse Jomfri balzando in piedi. Rurry lo ignorò e lui era tanto ubriaco che si permise di prendere l'altro per i risvolti della giubba. Nessuno dei presenti fece caso alla scena fin quando non comparve il coltello. Jomfri abbandonò la stretta e fece qualche passo indietro tenendo gli occhi fissi alla lama.
- Voglio che mi facciate un taglio con quel coltello - disse.
Il vecchio Rurry si fermò. Non era mai stato sollecitato da una sua vittima.
- Farvi un taglio? E dove? - domandò, guardando l'altro alla ricerca del punto da ferire.
- Dove? - Già, dove. Quale parte del corpo si può sacrificare? Di quale parte del corpo si può fare a meno? - Forse un dito... - suggerì, con una certa esitazione.
- Due dita... o niente - disse Rurry con la massima naturalezza.
- D'accordo. - Jomfri si mise a sedere e allargò le mani sul tavolo. - Due. Le più piccole. - Strinse i pugni e mise i due mignoli sull'orlo del tavolo. Erano troppo lontani. Incrociò i polsi in modo da mettere le dita una accanto all'altra. - Tutte e due in un colpo. Ce la farete?
- Certamente. All'altezza della seconda falange.
Il vecchio Rurry canticchiò soddisfatto. Aveva notato che tutti lo stavano guardando. Finse di esaminare il filo della lama, ignorando la vittima che lo guardava con occhi da coniglio spaventato. Il coltello calò rapido, senza preavviso, e sprofondò nel legno. Le dita saltarono in aria, il sangue schizzò, e l'uomo lanciò un urlo di dolore. Nel vederlo correre urlando verso la porta, tutti scoppiarono a ridere fragorosamente.
- Bravo Rurry - gridò qualcuno. Lui si permise di sorridere, e raccolse da terra una delle dita.
- Sono ferito... Adesso mi dovete aiutare! - gridò Jomfri mentre si arrampicava su per la collina continuamente battuta dal sole a picco. - Non pensavo di provare tanto dolore. Morirò dissanguato! Ho bisogno del vostro aiuto.
Quando diede lo strattone al portello metallico sentì un dolore acutissimo. La nicchia si aprì, e lui si lasciò cadere all'interno. - Sono ferito - balbettò mentre il portello si chiudeva, e la luce spariva. Le sbarre scesero. Sentì il calore del sangue che gli bagnava i polsi.
- Perdo sangue. Dovete fermare l'emorragia, o morirò...
Il meccanismo gli prestò fede. Sentì un dolore acuto alla nuca, e di colpo perse tutte le forze. Il dolore scomparve... e gli sembrò di vivere di sensazioni. Poteva muovere la testa, sentire e parlare, ma tutto il corpo, dal collo in giù, era completamente paralizzato. Non c'era possibilità di evadere da Dannaz.
Sentì un ronzio, ed ebbe la sensazione che il meccanismo lo facesse scivolare di lato. Era troppo buio per vedere... se poi poteva ancora vedere... ma dal movimento dell'aria e dai rumori comprese che stava superando una porta dopo l'altra, come di una serie di camere stagne. Dovevano essere certamente porte metalliche molto resistenti. Quando si aprì l'ultima porta, Jomfri vide una stanza fortemente illuminata.
- Ancora torture - disse l'uomo in camice bianco che si chinò su Jomfri. - Sono tornati ai loro vecchi passatempi.
In fondo alla stanza c'erano tre guardie con pesanti mazze.
- Forse si tratta di un rito d'iniziazione, dottore. Questo deve essere appena arrivato. Non l'ho mai visto prima.
- Gli abiti sono nuovi - disse il medico lavorando con pinze e tamponi.
- Se hanno cominciato con questo, dottore, possiamo aspettarci una serie di amputazioni. Fanno sempre le cose in serie.
- Un cattivo funzionamento del trasmettitore di materia...
- Avete ragione. Nel libro che sto scrivendo ho tracciato un grafico che lo prova.
- Ascoltatemi! Dovete ascoltarmi! Stavo andando a casa, ho composto il mio numero, sono entrato nel TM... e sono arrivato qui. C'è stato uno sbaglio terribile. Mi sono fatto tagliare le dita per potervi parlare. Guardate i miei documenti. Essi vi dimostreranno che ho ragione.
- Noi abbiamo i nostri documenti - disse il medico, considerando solo in quel momento Jomfri come un essere umano. - Comunque non ci sono mai stati errori, anche se molti hanno protestato la loro innocenza.
- Dottore, ve ne prego, andate a guardare. Vi chiedo soltanto di consultare i documenti. Il calcolatore ve li può fornire in un attimo.
Il medico ebbe un attimo di esitazione.
- Posso guardare mentre si cicatrizzano le ferite. Ditemi il vostro nome e il vostro numero di cittadino.
Compose i dati di Jomfri e fissò uno sguardo impassibile allo schermo.
- Vedrete - gridò Jomfri, felice. - C'è stato uno sbaglio. Non ho commesso nessun reato. Mi potrete liberare subito. Non chiedo altro.
- Voi siete colpevole - disse il medico. - Non siete arrivato qui per errore. Vi ci hanno mandato.
- Impossibile! - gridò Jomfri con collera giustificata. - C'è uno sbaglio. Ditemi cosa avrei commesso.
Il medico guardò i suoi strumenti.
- Pressione del sangue e onde cerebrali normali. Questi strumenti valgono quanto un rivelatore del pensiero. Voi state dicendo la verità. Avete sofferto un'amnesia traumatica. È possibilissimo, in un caso come il vostro. Un buon argomento per il mio libro.
- Ditemi di cosa sono accusato! - gridò Jomfri, cercando di muoversi.
- È meglio che continuiate a ignorarlo. Ora devo farvi rientrare.
- Prima ditemi cos'ho fatto. Altrimenti non vi posso credere. Stavo tornando a casa da mia moglie...
- Voi l'avete uccisa, vostra moglie, - disse il medico, e mise in moto il meccanismo di rientro. I grossi portelli metallici si chiusero isolandolo da ogni rumore.

Un solo acuto ricordo di una faccia pallida, di occhi spalancati, di sangue, sangue, sangue... Ma era vero o falso quel ricordo...?

Il coperchio della bara metallica si aprì, e Jomfri si mise a sedere, intontito. Gli avevano fatto una puntura e gli avevano curato le ferite.
«Ma non hanno voluto aiutarmi. Non hanno neanche voluto guardare i documenti per accertarsi della mia innocenza. Era un errore! C'è stato un guasto nel trasmettitore di materia. E per questo, adesso devo subire una condanna! Non è giusto».
Guardò le bende insanguinate. - E ora non posso più tornare a casa da mia moglie - disse, singhiozzando.

FINE