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Urania - Asimov d'appendice
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L'APPARECCHIO HOLMES-GINSBOOK - Isaac Asimov
Titolo originale: The holmes-ginsbook device
Non ho mai visto Myron Ginsbook in atteggiamento modesto.
Comunque, perché avrei dovuto? Mike, noi tutti lo chiamiamo Mike, anche se per il resto del mondo, pieno di riverenza per lui, è il dottor Ginsbook, Premio Nobel, è un tipico prodotto del ventunesimo secolo. Sicuro di sé, come molti di noi, e in pieno diritto di esserlo.
Conosce il valore del genere umano, della società, e soprattutto di se stesso.
È nato l'1 gennaio 2001, e ha quindi gli anni esatti del secolo. Io sono più giovane di dieci anni, e di dieci anni più lontano dall'innominabile ventesimo secolo.
Però, a volte, io lo nomino. Tutti i giovani hanno le loro caratteristiche, e la mia è quella di nutrire una specie di curiosità quasi morbosa per la storia antica, del genere umano, pochissimo conosciuta e, devo ammetterlo, poco meritevole di esserlo. Ma io sono sempre stato curioso.
In quei giorni, fu Mike a salvarmi. «Non lo fare» mi diceva, adocchiando le ragazze che passavano vestite in bikini, e allungando di tanto in tanto la mano per sentire di che stoffa erano fatti, i bikini. «Non giocare col passato. Ammetto che la storia antica non è tutta male, almeno non quella del medio evo, ma non appena si arriva all'inizio della tecnologia, conviene dimenticarsi tutto. Da quel punto in avanti la definirei scoriologia. Tutto sudiciume e perversioni. Tu sei un essere del ventunesimo secolo. Sii libero! Respira profondamente l'aria pura del nostro secolo! Produce meraviglie. Guarda un po' cos'è riuscita a fare per quella stupenda ragazza alla tua sinistra.»
Era vero. La profonda respirazione della ragazza era meravigliosa da vedere. Sì, quelli sì erano giorni, quando la scienza pulsava, e noi due eravamo giovani, senza preoccupazioni, e ansiosi di stringere il mondo in pugno.
Mike era sicuro di poter dare un impulso enorme alla scienza, e io provavo la stessa sensazione. Era il grande sogno di tutti noi che vivevamo in un secolo ancora giovane. Ci sentivamo tutti come se una voce potente ci urlasse: «Avanti! Avanti! Non fermatevi per guardarvi alle spalle!».
Io raccolsi questo appello da Paul Derrick, il mago della California. Adesso è morto, ma ai suoi tempi è stato un grand'uomo, meritevole, quasi, di essere considerato al pari di me.
Fui suo allievo, e nei primi tempi mi riuscì in un certo senso acclimatarmi a lui. Alle scuole superiori avevo seguito con il massimo scrupolo le lezioni in cui c'era poca matematica, e molte ragazze, ragione per cui avevo imparato a ricamare con invidiabile abilità restando, devo ammetterlo, alquanto indietro nelle materie scientifiche.
Dopo averci pensato a lungo e con coscienza, mi resi conto che il ricamo non mi avrebbe fatto compiere passi da gigante nella grande tecnologia del secolo ventunesimo. La necessità di apportare migliorie all'arte del ricamo era assai scarsa, e io compresi chiaramente che la mia competenza in materia, per quanto grande potesse essere, non mi avrebbe portato all'ambito Premio Nobel. Così diedi un pizzicotto d'addio alle ragazze, ed entrai a far parte degli allievi di Derrick.
All'inizio capivo ben poco, ma feci sempre del mio meglio per fare domande destinate a mettere in evidenza la scienza di Derrick, ragione per cui venni rapidamente a occupare il posto di primo della classe. Fui inoltre l'ispiratore della più grande scoperta di Derrick.
A quel tempo, lui fumava. Era un fumatore incallito, fiero di esserlo, e tra una boccata e l'altra staccava la sigaretta dalla bocca per guardarla con amore. Le sigarette erano decorate con deliziosi nudi femminili artisticamente dipinti sulla cartina bianca. Un tipo di sigarette preferito dagli scienziati.
«Riflettete» disse Derrick nel corso di una famosa lezione sui Concetti Tecnologici del Secolo Ventesimo Primo, «a quanto siamo avanzati nel campo delle sole sigarette dai secoli dell'Oscurantismo. Si dice che nello spaventoso ventesimo secolo, le sigarette fossero fonte di malattie e di contaminazione dell'aria. Naturalmente i particolari non sono conosciuti, e nessuno, immagino, vorrà indagare. Tuttavia si tratta di voci convincenti. Oggi, le sigarette liberano nell'atmosfera ingredienti che purificano l'aria, e giovano alla salute del fumatore. Mantengono però ancora un inconveniente.» Naturalmente sapevamo tutti quale inconveniente fosse. Era facile infatti vedere Derrick con le labbra bruciacchiate, e proprio quel famoso giorno della lezione aveva una scottatura nuova di zecca che lo ostacolava leggermente nel parlare.
Come tutti gli scienziati afflitti da mille pensieri, anche Derrick si lasciava facilmente distrarre dalle ragazze di passaggio, e in quelle occasioni gli capitava spesso di mettere in bocca la sigaretta dalla parte sbagliata. Quindi aspirava con forza, e la sigaretta si autoaccendeva bruciandogli la bocca.
Non ricordo nemmeno più quanti professori ho visto in quei giorni interrompere le loro conversazioni intime con le segretarie e mettersi a gridare per la nuova vescica che si era formata o sulle labbra o sulla lingua.
Sempre durante quella famosa lezione, io dissi, scherzando: «Professor Derrick, dovreste staccare la parte comburente prima di mettere la sigaretta in bocca». Fu una battuta fiacca, e, se ricordo bene l'unico a ridere fui io. Eppure, in quel momento l'idea mi era sembrata abbastanza buona. Immaginato un po' una sigaretta senza l'estremità comburente! Come si fa a fumarla?
Ma Derrick socchiuse gli occhi.
«Come?» disse. «Guarda.»
Di fronte a tutta la classe, Derrick prese una sigaretta, la guardò attentamente, era della solita marca con sopra la ragazza tutta a colori, e ne staccò l'estremità autocombustibile.
Sollevò il pezzettino di sigaretta con due dita della mano sinistra, e disse ancora: «Guarda!». Si mise in bocca la sigaretta diventata inaccendibile, e noi tutti restammo elettrizzati. Dalla figuretta della ragazza si capiva che Derrick aveva volutamente messo in bocca la parte sbagliata. Lui aspirò con forza e logicamente non successe niente.
«La sigaretta non si accende» disse.
«E non è possibile accenderla» dissi.
«Davvero?». Appoggiò alla sigaretta l'estremità autocombustibile, e tutta la classe rimase senza fiato. Era un autentico colpo di genio, perché in quel modo la parte autocombustibile avrebbe acceso l'estremità esterna della sigaretta qualsiasi fosse stata.
Derrick aspirò e il pezzettino autocombustibile accese l'estremità della sigaretta, più il pollice e l'indice di Derrick. Lui lanciò un urlo, e, com'era da aspettarsi, tutta la classe scoppiò in una grande risata.
Per me fu una vera sfortuna. Dal momento che ero stato io a spingerlo a fare quella disgraziata dimostrazione, il professor Derrick mi espulse dalla sua classe, e per sempre.
Certo, fu una ingiustizia, dal momento che gli avevo dato la possibilità di vincere il Premio Nobel. Anche se allora nessuno dei due se ne era ancora reso conto.
Le risate degli studenti avevano mandato Derrick su tutte le furie. Reazione abbastanza normale. Ma a questa seguì subito una seconda reazione: Derrick decise seduta stante di risolvere a ogni costo il problema della sigaretta antivesciche. Da quel momento impegnò la sua mente brillantissima a questo studio. In tutte o quasi le ore libere, e ridusse le serate con le ragazze a cinque la settimana, cosa incredibile per uno scienziato, ma Derrick era notoriamente un tipo ascetico.
Risolse il problema in meno di un anno. Certo, oggi, sembra a tutti una soluzione ovvia, in quei giorni però sconvolse il mondo della scienza. Potete credermi sulla parola.
Il trucco consistette nel separare l'estremità autocombustibile dal resto della sigaretta, e trovare poi il sistema di maneggiare con sicurezza la parte pericolosa. Per mesi e mesi Derrick condusse esperimenti con piccole impugnature di forme e dimensioni diverse.
Alla fine decise che la forma ideale era quella di una sottile asta di legno. Dal momento che risultava difficoltoso mettere, e mantenere, l'estremità autocombustibile in equilibrio sul pezzetto di legno, Derrick decise di eliminare sia il tabacco sia la carta, e di usare soltanto il composto chimico che impregnava l'estremità della sigaretta. Questa sostanza chimica venne quindi applicata in cima alla piccola asta.
All'inizio Derrick perse parecchio tempo nel tentativo di realizzare asticciole bucate per poterci soffiare dentro e accendere così il composto chimico. La fiammella che risultava dall'operazione di soffiatura veniva poi accostata all'estremità della nuova sigaretta. Questo sistema riportava però il problema al punto di partenza. E se qualcuno avesse preso in mano l'asticciola dalla parte sbagliata?
E qui Derrick ebbe il suo colpo di genio. Bastava aumentare la temperatura dei composti chimici per mezzo della frizione, strofinando l'estremità del pezzetto di legno contro una superficie adeguatamente ruvida. Questo sistema offriva la massima garanzia. Ad esempio, se durante l'elargizione di un bacio paterno alla ragazza impegnata a conquistare il posto di prima della classe, evento tipico nella vita di ogni scienziato, al professore fosse capitato di sfregare l'asticciola dalla parte sbagliata, per distrazione, non sarebbe successo assolutamente niente. Quello era un meccanismo assolutamente sicuro.
Quella scoperta ha conquistato il mondo. Chi, oggi, se ne va in giro senza il suo pacchetto di asticciole combustibili che possono venire accese con tutta tranquillità in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, e che, soprattutto, hanno fatto sparire per sempre le vesciche dalle labbra?
Derrick conseguì il suo Premio Nobel subito dopo l'invenzione, e il mondo, liberato dal pericolo, applaudì.
Io tentai di farmi riprendere alle sue lezioni, facendogli presente che senza di me con tutta probabilità non sarebbe mai stato insignito del Nobel. Lui mi cacciò con male parole, e minacciò di accendermi un'asta combustibile sul naso.
Da quel giorno la mia unica ambizione fu quella di vincere un Premio Nobel tutto mio personale, soprattutto un premio che avrebbe sminuito la conquista di Derrick. Io, John Holmes gli avrei fatto vedere.
Ma come? Come?
Riuscii ad ottenere una borsa di studio per trasferirmi in Inghilterra a studiare il ricamo del Lancashire, ma non appena arrivato lì feci di tutto per entrare a Cambridge, famoso nido di studentesse, e quasi altrettanto famoso Istituto Tecnologico.
Le studentesse erano ricche di calore, di bellezza esotica, e io trascorsi più di una serata a sferruzzare con loro. La maggior parte degli scienziati di Cambridge, i quali non avevano intuito prima i particolari vantaggi del ricamo, rimasero alquanto colpiti dall'utilità di questa pratica. Alcuni cercarono di convincermi a insegnare loro il ricamo. Io però mi attenni alla Prima Legge della Motivazione Scientifica: «che cosa ne ricavi?», e non insegnai un bel niente.
Mike Ginsbook, tuttavia, dopo avermi guardato per qualche tempo da lontano, riuscì a imparare i complicati movimenti di dita del lavoro a maglia, e si unì a me.
«È merito della mia intelligenza» mi disse con incantevole immodestia. «Ho sempre avuto un'attitudine naturale per i lavori di cucito.»
Era il mio uomo! Compresi all'istante che mi avrebbe aiutato a conquistare il Premio Nobel. Restava soltanto da scegliere il campo di attività che ce lo avrebbe fatto conseguire.
Per qualche anno la nostra società produsse solo un paio di noiose brunette, poi, un giorno, io dissi pigramente: «Mike, ho notato che i tuoi occhi sono straordinariamente limpidi. Sei l'unico in tutta l'università a non averli venati di sangue.»
«La risposta è semplice» mi disse. «Io non guardo mai microfilm. Sono una maledizione.»
«Davvero?»
«Non te l'ho mai detto?». La sua faccia si fece seria, e una ruga di dolore gli solcò la fronte. Gli avevo chiaramente riportato alla memoria un ricordo troppo pesante da sopportare. Disse: «Una volta stavo guardando un microfilm, e com'è logico avevo la testa completamente immersa nel visore. In quel momento è passata una ragazza meravigliosa, una ragazza che ha vinto per due anni di seguito il titolo di Miss Prediletta dei Professori, e io non l'ho vista. Me lo disse poco dopo Tancredi Hull, il ginecologo. Lui, il furbo, aveva trascorso tre notti con lei, spiegandole che la voleva sottoporre a un completo esame fisico. A prova di questa sua impresa aveva girato un film.»
Le labbra di Mike ebbero un fremito.
«Ho giurato che da quel momento non avrei più guardato un microfilm», concluse con voce triste.
L'ispirazione improvvisa mi fece quasi svenire.
«Mike» dissi, «deve esistere un modo più semplice per vedere i microfilm. Vedi, le pellicole sono ricoperte da fotogrammi microscopici. Perché noi le si possa vedere, il fotogramma deve essere ingrandito. E questo implica doversi piegare su uno schermo immobile e immergere la testa nel visore...
«Ma...» riuscivo a parlare solo a stento, per la grande emozione, «... se si ingrandisse il materiale del film fino a poterlo vedere a occhio nudo, e poi si facessero le foto di questo materiale ingrandito? Potresti portare la foto con te, guardarla a piacimento, ogni volta che vuoi. Mike, se tu stai guardando una foto del genere e passa una ragazza, girare la testa è questione di un attimo. La foto non richiede tutta la tua attenzione come il visore.»
«Hmm» fece Mike, pensoso. Potevo quasi vedere la sua mente ciclopica considerare tutti i possibili sviluppi dell'argomento. «Potrebbe veramente non compromettere la possibilità di guardare le ragazze, e, cosa meno importante, potrebbe anche evitare l'arrossamento degli occhi. Oh, un momento! Otterresti al massimo cinque o seicento parole, e poi? E il resto?» Sorprendente come aveva trovato a colpo sicuro il punto debole del progetto.
Rimasi un attimo perplesso. Non ci avevo pensato, a questo.
«Forse» dissi alla fine, «si potrebbero stampare delle serie di piccole fotografie e incollarle nell'ordine una dopo l'altra. Naturalmente sarà più difficile portarle in giro.»
«Vediamo...» Mike riprese a pensare. Si appoggiò allo schienale della poltrona, chiuse gli occhi, si risollevò di scatto per vedere se c'erano in giro delle ragazze, e alla fine tornò a distendersi.
«Niente da eccepire» disse, «l'ingrandimento è possibile, e la fotografia è possibile. Se un intero microfilm standard viene allargato e stampato per una lettura a occhio nudo, la. serie di fotografie risultanti verrebbe a coprire un'area di...». Qui si tolse di tasca il famoso regolo con incisa una prosperosa ragazza bionda, e cominciò a maneggiarlo con disinvoltura. «... un'area di circa quindici metri quadrati. Bisognerebbe usare fogli di carta di tre metri per cinque da stendere per terra e su cui girare in ginocchio.»
«Si potrebbe anche fare», borbottai.
«Troppo indecoroso per uno scienziato. A meno, naturalmente, che non stia insegnando qualcosa a una studentessa. Inoltre la ragazza potrebbe interessarsi alla lettura dell'argomento che il professore le indica, e questo rovinerebbe tutto.»
Eravamo di nuovo al punto di partenza. Però intuivamo di avere per le mani materiale da Premio Nobel. I microfilm avevano il vantaggio di essere compatti, occupare poco posto, ma era il loro unico vantaggio.
Se solo si fosse potuto ripiegare un foglio di tre metri per cinque in modo da tenerlo in mano. Per leggerlo non sarebbero più stati necessari apparecchi elettronici o fotonici. Si sarebbe potuto leggere un qualsiasi punto a scelta. Non sarebbe stato necessario andare avanti e indietro manovrando pulsanti. Sarebbe bastato spostare gli occhi.
Il solo pensiero era terribilmente eccitante. Il progetto tecnologico dell'uso degli occhi al posto dei costosi apparecchi era enorme. Mike fece immediatamente osservare che spostare lo sguardo da un punto all'altro del grande foglio di carta poteva irrobustire i muscoli dell'occhio e mettere lo scienziato nelle condizioni ideali per il grande compito di guardare le parate femminili.
Rimaneva da risolvere soltanto il modo di rendere portabile e maneggevole il grande foglio di carta.
Io frequentai un corso di topografia per imparare le tecniche del piegamento, e passai infinite serate con la mia ragazza di quel periodo a studiare nuovi sistemi di piegatura. Si cominciava alle due estremità del foglio, e ci si avvicinava piegandolo secondo complicate formule, fin quando ci si trovava faccia a faccia, sudati e senza fiato per lo sforzo fisico e mentale. I risultati erano molto eccitanti, ma i sistemi di piegatura non fecero un solo passo avanti.
Come avrei voluto essere più forte in matematica. Avvicinai anche Prunella Plug, la nostra rauca lavandaia che stirava le lenzuola con una perfezione straordinaria. Ma non fu in grado di svelarmi il suo segreto.
Avrei dovuto spiegarle cosa dovevo piegare, e non volevo metterla a parte del segreto. Desideravo dividere il Premio Nobel con meno gente possibile. La famosa frase del grande scienziato Lord Clinchmore, «Non sono scienziato per mio piacere» si ripercuoteva di continuo nella mia mente.
Un mattino pensai di avere trovato la soluzione. Immaginate com'ero eccitato! Dovevo trovare Mike, perché soltanto la sua acuta mente analitica poteva dirmi se c'era qualche luce nella mia idea. Lo rintracciai finalmente in una camera d'albergo, ma era molto impegnato con una giovane donna, una popsie, per usare il termine scientifico.
Bussai alla porta finché non venne ad aprire. Per qualche sua ragione era di cattivo umore.
«Accidenti a te, Jack! Non puoi interrompere una ricerca come questa!». Mike era uno scienziato molto scrupoloso.
Dissi: «Senti, noi abbiamo sempre pensato in termini di due dimensioni. Che ne diresti di una dimensione?»
«Cosa intendi per una dimensione?»
«Si prendono le foto, e le facciamo seguire una dopo l'altra su una sola linea!»
«Verrebbe una striscia lunga metri e metri». Fece alcuni calcoli sul ventre della sua collega, e io osservai attentamente che non commettesse errori. «Potrebbe facilmente raggiungere i sessanta metri» disse alla fine. «È inconcepibile.»
«Ma non avremmo più la necessità della piegatura. Basterebbe arrotolare la striscia. Si introduce un'estremità della striscia in una bobina di plastica, e l'altra estremità in una seconda bobina. Le si può svolgere assieme!»
«Grande Iddio» esclamò
Mike, scosso. «Forse hai trovato la soluzione.»
Fu quello stesso giorno, che scoppiò la bomba. Dalla California giunse un professore con un paio di notizie. Si diceva che Paul Derrick cercasse la soluzione al problema di un film non-elettronico. Lui non sapeva esattamente come si potessero fare ricerche di questo genere, ma noi sì, e i nostri cuori cominciarono a battere con apprensione.
«Deve essere venuto a conoscenza dei nostri studi» dissi. «Dobbiamo batterlo.»
E ci mettemmo al lavoro! Scattammo le fotografie di persone, le incollammo una accanto all'altra, e le arrotolammo sulle bobine. Fu un lavoro di una difficoltà impensabile, da artigiani specializzati, ma noi non volevamo che degli estranei scoprissero quello che stavamo facendo.
Funzionò, però Mike rimase incerto.
«Non credo che sia veramente pratico» disse. «Se vuoi trovare un punto particolare del film devi girarlo avanti e indietro, da una parte e dall'altra. Per i polsi è una faticaccia.»
Ma era l'unico risultato concreto. Io avrei voluto dare la notizia, Mike invece no.
«Aspettiamo di vedere cosa ha fatto Derrick» disse.
«Se ha fatto anche lui qualcosa del genere, finisce che ci precederà.»
Mike scosse la testa.
«Se è arrivato a questo apparecchio, non ha importanza. Non può vincere il Premio Nobel. Non è ancora abbastanza perfezionato... lo sento qui dentro.»
Portò con grande sincerità la mano sulla ragazza dipinta sul taschino, e io non ebbi il coraggio di discutere. Mike era un grande scienziato, e i grandi scienziati sanno cosa può vincere un Premio Nobel, e cosa no. È questo che fa i veri scienziati.
Derrick diede la notizia della sua scoperta... e la scoperta aveva un difetto che qualsiasi studente di scuola media poteva indicare all'istante.
Il suo film non-elettronico era semplicemente il nostro foglio a due dimensioni, senza nemmeno gli sforzi della piegatura. Veniva semplicemente appeso a una grande parete, e c'era una scala mobile che scorreva in una rotaia attaccata vicino al soffitto. Uno degli allievi saliva la scala e leggeva parlando in un microfono.
Tutti fecero «oh», e «ah» di meraviglia nel vedere una persona che leggeva a occhio nudo, Mike invece, seduto davanti al televisore, scoppiò a ridere e si diede una manata sulle cosce.
«Che idiota», esclamò. «Non ha pensato a quelli che soffrono di vertigini?»
Era logico! Mi balzò agli occhi non appena Mike lo fece notare. Tutti quelli che soffrivano di vertigini non potevano usare il sistema di Derrick.
Afferrai Mike per un braccio.
«Aspetta a ridere» dissi.
«Finiranno col deridere Derrick, e questo è pericoloso. Non appena verrà fuori la faccenda delle vertigini, Derrick si sentirà umiliato, e impiegherà tutte le fibre del suo cervello a risolvere il problema. E lo si può risolvere in poche settimane. Noi dobbiamo arrivare prima.»
Mike smise immediatamente di ridere.
«Hai ragione, Jack» disse. «Andiamo in città, un paio di ragazze a testa ci aiuteranno a pensare.»
Fu così. Poi il mattino seguente ricominciammo a pensare ad altre cose, e si tornò al lavoro.
Ricordo che cominciai a camminare avanti e indietro borbottando: «Abbiamo tentato le due dimensioni, e abbiamo tentato la dimensione unica, cosa resta?» In quel momento l'occhio mi cadde sulla camicia di Mike. La ragazza sul taschino era ricamata con tale abilità da sembrare che avesse alcune parti del corpo sporgenti.
«Accidenti!», esclamai. «Non abbiamo pensato alle tre dimensioni.»
Chiamai Mike. Questa volta ero sicuro di aver trovato la soluzione. Mentre aspettavo il suo giudizio mi riusciva appena di respirare. Lui mi guardò con occhi accesi.
«Ci siamo» disse.
Adesso, ripensandoci, sembra una cosa semplice. Ci siamo limitati ad ammucchiare le foto una sull'altra.
I mucchi di foto si potevano tenere uniti in molti modi. Ricucendoli, per esempio. Poi a Mike venne l'idea di collocarli tra due cartoni rigidi per proteggerli dall'usura.
Entro il mese comunicammo la scoperta. Il mondo rimase sbalordito, e tutti capirono che il Premio Nobel sarebbe stato nostro.
Derrick, devo rendergliene atto, ci fece le sue congratulazioni, e disse: «Oggi il mondo può leggere senza l'aiuto dell'elettronica e per mezzo dei soli occhi, grazie all'apparecchio Holmes-Ginsbook. Mi congratulo con questi due sporchi crumiri per la loro scoperta».
Era il migliore riconoscimento che uno scienziato si potesse aspettare.
Oggi l'apparecchio Holmes-Ginsbook ha il suo posto in ogni casa. La popolarità dell'invenzione è tale che ne hanno persino abbreviato il nome alla sola sillaba finale, e un sempre maggior numero di persone ha finito col chiamarlo, in inglese, più semplicemente «book».
Questo elimina il mio nome, ma ho conseguito il mio Premio Nobel, e ho firmato un contratto per scrivere un libro sulle vicende che hanno portato alla scoperta, ricevendo un anticipo di un quarto di milione di dollari. È più che sufficiente. Gli scienziati sono anime semplici, e una volta che hanno notorietà, salute e donne, non chiedono altro.
FINE