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Urania - Racconti d'appendice
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POVERO TAM SENZA PAROLE E SENZA GLORIA - Frederik Pohl, Cyril Kornbluth
Titolo originale: Mute inglorious tam
Un sabato sera estivo, poco prima dell'Angelus, Tam di Wealdway si raddrizzò dai solchi arati nella sua striscia di terra di Oldfield e si stirò per sciogliere le giunture intorpidite.
Era piccolo e bruno, di sangue quasi completamente sassone. In realtà il suo nome era solo Tam. Del resto non gli serviva un'ulteriore identificazione, tanto non si sarebbe mai trovato più lontano di un chilometro da qualche vicino di casa che lo conosceva dalla nascita. Ma, a volte, si dava un cognome - era una delle molte piccole vanità che complicavano la sua vita, per il resto semplice e schietta - e se i suoi padroni normanni l'avessero saputo, Tam sarebbe stato frustato sonoramente.
Aveva dissodato zolle per quindici ore interrotte soltanto dai conici rintocchi che arrivavano dalla piccola chiesa tozza, e da un boccone di pane e formaggio a mezzogiorno.
Non gli riusciva facile mantenersi dritto, ma meglio così: era più prudente. Uno poteva anche perdere la sua striscia di povero terreno, e Tam ci era già andato vicino abbastanza spesso. C'erano momenti in cui i pensieri che gli si accavallavano nella testa gli facevano dimenticare i colpi regolari della zappa di legno, e allora restava lì come in trance, a fissare il castello di Lymeford o il fiume o il vuoto, mentre si inventava incontri fantastici e prosperità impossibili. Questo era un altro suo peccato di vanità, e anche più pericoloso degli altri. Se qualcuno ne fosse venuto a conoscenza, il meno che potesse succedergli era prendersi una battuta da un uomo d'arme, il peggio era una morte particolarmente spiacevole.
Dato che Salisbury, nel Sussex, era in pianura, le sue case non erano pittorescamente appollaiate su balze scoscese, come le magioni dei baroni-briganti lungo il Reno o le sinistre fortezze dei proprietari terrieri scozzesi. Le case di Salisbury rappresentavano il minimo indispensabile per la mansione che dovevano svolgere in un'epoca che non aveva ancora concepito palazzi e cattedrali.
Nell'anno 1303 il castello di Lymeford era un triste ammasso di pietre. Ci stavano sistemati Sir Robert Bowen e Lady Bowen (a volte la grafia cambiava in Bohum, o Beauhn o Beauhaunt) con i loro domestici e gli uomini d'arme, tutti in maniera estremamente scomoda. Loro, però, non se ne rendevano del tutto conto. Davanti ai loro occhi si ammassavano le abitazioni dei sudditi sassoni a mostrare che cos'è la povertà. Il castello era destinato a sorvegliare un ponte che attraversava il fiume Lyme: un punto chiave sulla strada maestra da Portsmouth a Londra. A questo scopo serviva ottimamente. Guglielmo di Normandia, che aveva preso d'assalto l'Inghilterra due secoli prima, non aveva voluto che ci fosse, per sé e i suoi discendenti, il pericolo di venire colti altrettanto di sorpresa da qualcun altro. Così il castello di Lymeford era stato assegnato al trisnonno di Sir Robert alla condizione che lo difendesse, e quindi difendesse anche Londra, contro qualsiasi invasore che, venendo dal mare, si servisse poi di quella strada in particolare.
Il primo Bowen aveva posseduto molto più di quel mucchio di pietre. Un castello ha bisogno di vettovaglie, ma non ci si poteva aspettare che il castellano e la sua consorte, i domestici e gli uomini d'arme, coltivassero i campi e mungessero le mucche. Il fondatore della stirpe aveva risolto il problema prendendo un centinaio di soldati sassoni sconfitti, attaccando loro anelli di ferro intorno al collo e mettendoli al lavoro con il pesante compito di dissodare i boschi incolti che circondavano il castello.
Dopo aver disboscato e arato dall'alba al tramonto, gli schiavi, liberi di raccogliere ramoscelli e fango, si erano costruiti tane per dormirci. Quel primo anno, per celebrare il raccolto e assicurarsi una scorta continua di schiavi, il castellano aveva guidato i suoi uomini d'arme in una scorreria nella città di Salisbury da dove avevano riportato a Lymeford a suon di frustate un centinaio di donne e ragazze sassoni. Dopo aver scelto il meglio per sé, avevano assegnato il resto agli schiavi, e il cappellano aveva celebrato un'unica sbrigativa cerimonia con cui aveva unito in matrimonio i sudici schiavi con l'anello al collo e le donne piangenti di Salisbury.
Dal momento che gli schiavi venivano dalla Scandinavia e le donne erano state allevate nel Sussex, i loro dialetti risultavano reciprocamente incomprensibili. La cosa, però, non aveva avuto grande importanza. Le capanne erano state ingrandite e a metà dell'estate seguente si era avuto un altro raccolto: di bambini.
A due secoli di distanza le cose non erano molto cambiate. Un Bowen (o Beauhaunt) era ancora preposto alla sorveglianza della strada maestra Portsmouth-Londra e continuava a vantarsi del suo sangue normanno. I Sassoni continuavano a coltivare le sue terre e anche se non portavano più i collari di ferro o il nome di schiavi, venivano ancora impiccati nella corte del castello per una qualsiasi delle numerosissime offese facili da portare all'autorità del signore. A Runnymede, molti anni prima, re Giovanni aveva firmato la Magna Charta, varando una specie di legge che proteggesse i suoi baroni da atti arbitrari, ma nessuno aveva pensato a estendere quei diritti ai servi della gleba. Potevano morire per tutto o per niente: per avere tentato di abbandonare le terre del loro signore alla ricerca di campi più verdi, per non aver consegnato al castello i loro stai di grano, o gli agnelli, o i vitelli, o le figlie migliori, per aver osato farsi beffe in qualsiasi modo della legge divina per cui un uomo domina e un altro è dominato. Era proprio a questa offesa che Tam era incline, e un giorno, come gli aveva detto suo padre prima di morire, gli sarebbe costata il prezzo che nessun uomo è disposto a pagare, anche se poi tutti lo fanno.
Benché non avesse mai sentito parlare della Magna Charta, a volte Tam pensava che un giorno forse sarebbe esistito un mondo in cui un uomo come lui avrebbe posseduto per diritto le cose che lui possedeva soltanto perché un altro uomo armato di spada aveva deciso di non togliergliele. Prendiamo, per esempio, Alys, sua moglie. Non gli dava fastidio sapere che gli uomini d'arme avevano giaciuto con Alys prima di lui. Lei non era, per questo, peggiore in nessun senso, però Tam aveva dormito male quella prima notte, e aveva continuato a chiedersi perché nessuno aveva sentito il bisogno di consultare lui a proposito della donna che il prete aveva legata quel giorno al suo destino, e se non sarebbe stato più... più - annaspò alla ricerca di una parola ("legittimo" non gli venne in mente) e a fatica arrivò a "giusto" - più giusto che fosse lui a decidere di quali piaceri doveva godere la donna di sua proprietà.
Ma per lo più Tam pensava a cose più dolci e fantasiose. Quando c'erano nei paraggi i falconieri, a volte lanciava di sfuggita un'occhiata al falco che si abbatteva su un piccione, e pensava che un uomo avrebbe potuto volare se solo avesse avuto le ali e la capacità di muoverle. Trovandosi in difficoltà nel portare i raccolti del castellano nel granaio, malediceva i buoi ottusi e immaginava un carro che riuscisse a far girare le ruote da solo. Se il Lyme in piena poteva trasportare un albero più alto di una casa più velocemente di quanto potesse correre un uomo, perché quella stessa energia non poteva tirare un aratro? Perché un uomo doveva piantare cinque chicchi di grano per vederne crescere uno solo? Perché non potevano crescere tutti e cinque e rendere l'uomo cinque volte più grasso?
Guardava il villaggio che era il suo e si chiedeva perché doveva essere così povero, così sporco e piccolo. Allo stesso Sir Robert un pensiero del genere non era mai venuto.
Nel 1303 Lymeford aveva il seguente aspetto.
Il fiume Lyme, attraversato alla nuova struttura di pietra che costituiva il quarto Ponte di Lymeford, correva a sud, verso la Manica. La riva occidentale era ricoperta dalla vecchia foresta inglese di querce. La riva destra costituiva il margine del grande spiazzo dissodato. Il castello di Lymeford, vicino al ponte, montava la guardia alla strada che curvava a nordest verso Londra. Per tutta la lunghezza dello spiazzo, la strada non solo era la strada maestra del re ma era anche la strada del villaggio di Lymeford. A una discreta distanza del castello, la via cominciava a essere costeggiata da capanne, più grandi o più piccole a secondo che i loro proprietari fossero ricchi o avessero tanti figli. La strada si allargava un po' verso la fine dello spiazzo, e lì, sul lato destro, c'era la chiesa del villaggio.
La chiesa era di pietra, e questo era tutto ciò che si poteva dire. Tutto quello che essa possedeva doveva attingerlo al villaggio, e al villaggio non c'era molto da attingere. Eppure bisognava mandare con regolarità monete d'argento al vescovo che a sua volta le mandava a Roma. Il parroco di Lymeford era un italiano che non aveva mai visto il vescovo, che non aveva mai pensato di imparare la lingua locale, e al quale era stata affidata la parrocchia di Lymeford grazie a un cardinale anche lui italiano e anche lui incapace di chiedere la strada, se si fosse perso. Ma non c'era niente di strano in tutto questo, e così l'italiano raccoglieva le monete d'argento, mentre il suo vicario, normanno ma di lingua sassone, racimolava donazioni di birra, pesce essiccato e occasionali avanzi di vitello. Era un uomo ostinato e severo che sarebbe stato terribile se avesse avuto un campo d'azione più vasto di Lymeford.
Di fronte alla chiesa, dall'altra parte della strada, c'era il Prato, un campo perennemente calpestato, dove venivano effettuati il tiro all'arco obbligatorio e le esercitazioni con l'asta da parte di ogni uomo fisicamente valido di Lymeford. Questo, ogni quattro settimane, tranne che nel periodo più freddo dell'inverno e quando la mente di Sir Robert era occupata più dall'aratura o dal raccolto che dalla difesa del suo castello. I suoi servi della gleba combattevano quando lui glielo ordinava e Sir Robert sperperava le loro vite con la stessa gioia che un uomo prova nel compiere l'unica stranezza che si concede una volta ogni tanto. Ma questo succedeva solo in caso di bisogno: i campi e il raccolto erano il suo primo interesse.
Sir Robert si occupava dei raccolti con una certa abilità. A Lymeford c'erano tre campi. Oldfield, a est della strada, era stata la prima terra coltivata dagli schiavi duecento anni prima. Poi c'era Newfield, a cavallo della strada e separato da Oldfield da un sentiero che attraversava i boschi, correva a sudest del Prato e penetrava nella foresta di querce arrivando fino al margine dello spiazzo. Poi c'era Fallowfield, l'ultimo dissodato e seminato, che in gran parte si estendeva a sud della strada e del castello. Dal lato sinistro della strada fino al fiume, si stendevano acri e acri di pascolo, tenuti in comune da tutti gli abitanti del villaggio. Chiunque poteva portare le sue mucche o le pecore a pascolare lì. I campi coltivati, invece, erano divisi in lunghe strisce strette, ciascuna tenuta da un abitante che l'avrebbe difesa con i pugni e con la falce contro l'usurpazione di un solo centimetro. Nel 1303 erano coltivati Oldfield e Newfield, mentre Fallowfield veniva lasciato riposare. L'anno seguente sarebbero stati coltivati Newfield e Failowfield, mentre avrebbe riposato Oldfield.
Mentre l'Angelus risuonava dalla campana rotta della chiesa, Tam rimase fermo con il capo abbassato. Pareva che stesse pregando. E in un certo senso stava pregando, con l'incomprensibile latino imparato a memoria che gli scivolava dal cervello come una cantilena; però si stava anche abbandonando piacevolmente a fantasticare su come sarebbe diventata florida sua figlia se fosse stato possibile coltivare tutti e tre i campi ogni anno, e nello stesso tempo pensava al boccale di birra aromatizzata con il finocchio che lo aspettava nella sua capanna.
Quando suonò l'ultimo rintocco dell'Angelus, il saluto del vicino dissipò i suoi sogni.
Irritato, Tam si mise in spalla la zappa di legno e si incamminò faticosamente per il sentiero scavato da duecento anni di passaggio di piedi nudi.
Il suo vicino, Hud, lo raggiunse. Nella lingua ibrida e imbastardita del Midland-Sussex che costituiva il dialetto di Lymeford, Hud disse:
- È stata una lunga giornata.
- Tutte le giornate sono lunghe in estate.
- Stavi sognando di nuovo, amico. Ti ho visto.
Tam non rispose. Stava attento a Hud. Il suo vicino era piccolo e scuro come lui, ma sottile e nervoso, e non era stupido. Tam sapeva che aveva ereditato questa qualità dal padre, Robin, che l'aveva ereditata da sua madre Joan che a sua volta l'aveva presa da un qualche uomo d'arme, durante la notte di nozze passata al castello. Hud faceva sempre domande, parlava sempre, cercava sempre nuove cose. Ma quando Tam, più giovane di alcuni anni, aveva osato aprirgli i suoi pensieri, Hud era corso dal prete.
- Pensi che gli attori vengano in questo periodo dell'anno? - incalzò.
- Può darsi.
- Pensa, non sarebbe bello se arrivassero domani? Dopo la messa, fermerebbero la carovana nel Prato, e poi salterebbe fuori il Re di Inghilterra e il Capitano Slasher e il Turco nei loro costumi colorati come il tramonto, e San Giorgio nella sua armatura d'argento!
Tam brontolò: - Non è d' argento. Impossibile. Se fosse d' argento i briganti di Weald non li lascerebbero mai arrivare fin qui.
L'ometto nervoso ribatté: - Non intendevo dire che fosse d'argento, ma che sembra argento.
Tam sentì la rabbia crescergli dentro, sostituendo il buon sapore del dopo-sogno e l'anticipazione della birra al finocchio. Disse con rabbia:
- Parli come uno sciocco.
- Come uno sciocco, eh? E chi è che sogna sempre che il sole se ne va via, amico?
- Dio Cristo, smettila! - urlò Tam e strinse i denti su queste parole, ma troppo tardi.
Bestemmiava raramente. Si sarebbe morsicato la lingua per quello che aveva detto. Adesso avrebbe dovuto confessare il peccato di bestemmia e Padre Bloughram, che ultimamente aveva un'aria malaticcia e affamata, gli avrebbe dato una penitenza in grano invece di una semplice ripetizione di preghiere. Hud indietreggiò guardandolo fisso. Tam gli ringhiò contro qualcosa, non sapeva neppure lui cosa, e lasciò il sentiero per dirigersi alla sua capanna.
La casupola era piccola e annerita dal fumo che usciva dal camino. Un buco nel soffitto lasciava uscire un po' di fumo. Tam appoggiò la zappa al muro di argilla, si lasciò cadere sul mucchio di stracci nell'angolo, il letto dei tre membri della famiglia, e brontolò verso la moglie Alys: - Birra.
Aveva ancora la mente rivolta a Hud e piena di rabbia, ma lentamente la rabbia passò e tornarono i buoni pensieri. Perché non un letto più soffice e una capanna più larga? Perché non un fuoco che non mandasse fumo, come suo nonno, tornato dalla Terra Santa con una cicatrice che si era portato fino alla tomba, gli aveva detto che avevano i Saraceni? E con il pensiero di una vita differente tornò anche il pensiero della birra. Ne sentiva già il gusto: la bevanda scendeva nella gola e ne portava via il sapore di polvere lasciando l'amaro dell'orzo tostato e il dolce del finocchio.
- Birra - chiese di nuovo, e si rese conto che sua moglie si era allontanata in punta di piedi.
- Tam - disse lei con aria preoccupata - a Joanie Birraia è venuto il ciclo.
Le sopracciglia di Tam si unirono come nubi minacciose.
- Niente birra?
- Le è venuto il ciclo, e non potrebbe fare la birra neppure per tutto l'orzo di Oldfield. Ho cercato di prenderne in prestito dalla moglie di Hud, ma ne aveva appena per lui, mi ha fatto vedere...
Tam si alzò, e con il rovescio della mano la fece roteare e la sbatté in un angolo.
- Non c'era birra ieri? - urlò. - Dio ti perdoni per essere l'inutile sgualdrina che sei! Che il Demonio con tutta la sua prole portino via la miserabile disgraziata che non ha fatto trovare la birra al marito che sputa l'anima dall'alba al tramonto!
Lei si rialzò, facendosi piccola, ma Tam la spinse ancora nell'angolo.
Un attimo dopo sentì un colpo violento alla schiena e crollò sul pavimento sporco. Un'altra botta lo colpì alle gambe mentre rotolava su se stesso, guardava in su, e vedeva la faccia infuriata di sua figlia Kate con la zappa tra le mani.
Non lo colpì una terza volta, ma rimase lì con aria minacciosa.
- Vuoi lasciarla in pace? - disse.
- Sì, che il diavolo ti prenda! - gridò Tam dal pavimento e proseguì: - Ti piacerebbe che dicessi no, vero? Così poi daresti un colpo in testa al vecchio stupido che ti ha dato un nome e una casa.
Piangendo, Alys protestò: - Non dire una cosa simile, marito. Lei è figlia tua, io sono una brava donna, non ho nessuna colpa sull'anima.
Tam si rialzò e ripulì i calzoni e la camicia di pelle.
- Non ne parliamo più. Ma è duro non poter avere un po' di birra.
- Tu, cinghiale inferocito lo apostrofò Kate, senza abbassare la zappa - se non fossi tornata dal pascolo con la mucca, l'avresti uccisa.
- No, bambina - ribatté Tam a disagio. Conosceva il suo carattere. - Parliamo d' altro.
Con aria insolente lei posò la zappa, mentre Alys si rialzava, tirando su con il naso, e ricominciava a girare la zuppa di piselli che cuoceva sul fuoco. Di colpo, il fumo e il caldo della capanna diventarono insopportabili per Tam che, brontolando, uscì a respirare l'aria fresca della sera.
Ormai era tutto buio e, strano a dirsi, c'erano le stelle. Il nonno Crociato gli aveva parlato delle notti luminosissime sulle montagne oltre Acri, notti così stellate che uno poteva distinguere la faccia di un amico da quella di un nemico a un tiro di freccia.
L'Inghilterra non aveva notti così, ma Tam riuscì a distinguere l'Orsa Maggiore che scoloriva verso il tramonto, e Cassiopea che la seguiva da oriente. Suo nonno aveva tentato di insegnargli i nomi arabi di alcune delle stelle più lucenti, ma era morto quando Tam aveva dieci anni, e i ricordi sfumano. Come si chiamavano quelle due così lucenti e così vicine? Qualcosa come pavoni gemelli... Sì, gemelli, pensò Tam, guardando Castore e Polluce, ma il pensiero dei pavoni rimase. Rimpianse di non aver prestato maggiore attenzione al vecchio, che era stato schiavo dei saraceni per nove anni finché una scorreria fortunata aveva catturato la sua carovana e l'aveva rimesso in libertà.
Un suono lontano, un guaito, gli colpì l'udito; Tam riconobbe il suono abbastanza facilmente: una volpe femmina con il suo piccolo che emetteva il suono stridulo. Di notte gli uccelli andavano nei campi arati a rubare i semi, e le volpi andavano a caccia d'uccelli, ma quella notte avevano trovato qualcosa di abbastanza grosso che tentava di cacciare loro, un lupo forse, pensò Tam, anche se era strano che si avvicinassero così all'abitato nella buona stagione.
Ce n'erano parecchi nella foresta di Sir Robert, popolata di grassi daini e uccelli e tanti pesci nei ruscelli. Valeva la pena di spendere tutta la vita a prendere quei daini e il resto, Rimase lì a meditare sulla curiosa, sorte che aveva messo carne di cervo sulla tavola di Sir Robert e zuppa di piselli sulla sua, e sulle luci del cielo, finché si rese conto che Alys, passata dall'umiliazione alla rabbia, stava probabilmente mangiando senza di lui.
Dopo il pasto serale Alys sgambettò dalla moglie di Hud per chiacchierare di mariti che si comportavano come bestie, e Kate si sedette su un ceppo di legno a togliersi i nodi dai capelli.
Tam si lasciò andare sui cenci e si mise a osservarla. A quindici anni, o quanti ne aveva, era ancora selvaggia. Come era successo che la. bambinetta che balbettava, e cercava di afferrare lo zufolo di erba fatto da suo padre si fosse trasformata in quella sconosciuta? Non obbediva. La striscia di Edwy era attigua a quella di Tam, a Fallowfield, ed Edwy aveva un figlio in età da moglie. C'era qualcosa di più ragionevole che Kate lo sposasse? Ma lei aveva parlato del suo aspetto fisico. Effettivamente, il ragazzo non era bello. Ma cosa importava? Quando, come farebbe qualunque padre, lui aveva ignorato quella critica, la ragazza aveva tranquillamente minacciato di scappare, portando rovina e nodo scorsoio su tutti loro. E per ridurla al buon senso non bastava picchiarla, ma bisognava prenderla a calci - con dolorosa precisione morsicarla e graffiarla come un diavolo dell'inferno.
Sentì un colpo al cuore a quel pensiero. Oh, Alys era una donna onesta. Ma c'erano altri modi con cui il figlio di un altro poteva essere appioppato a te. Bastava un momento di distrazione, mentre non guardavi la culla... Era un pensiero terribile ma a volte bisognava pensarci. Lo sapevano tutti che ai diavoli niente piaceva di più di rubare il bambino di qualcuno e mettere uno dei loro al suo posto nella culla. Lui e Alys avevano sempre lasciato brocche di latte fuori della capanna durante l'infanzia di Kate, e durante le feste, boccali di birra. Avevano sempre tenuto un pezzo di ferro vicino alla culla, perché i diavoli odiavano il ferro. Eppure...
Tam accese un giunco imbevuto di grassi di montone alle braci rimaste nel camino. Alys avrebbe avuto qualcosa da ridire a questa sua stranezza, ma sentiva voglia di parlare e voleva vedere la faccia di Kate.
- Bambina, una domenica o l'altra arriveranno gli attori e reciteranno sul Prato. Andremo a vederli dopo la messa. San Giorgio indossa un'armatura tutta d'argento!
Lei continuò a districare i capelli e né parlò né lo guardò.
Tam si mosse, a disagio, sul letto dì stracci.
- Ti racconto una storia, bambina - tentò.
E lei, con insolenza: - Raccontala ai tuoi amici ubriaconi. Vi ho sentiti, tu e Hud, mentre vi. raccontavate bugie, sotto l'effetto della birra.
- Non quel genere di storie, Kate. Una storia che non ho mai raccontato a nessuno.
Nessuna risposta, ma almeno lo guardava. Ringalluzzito, cominciò: - È la storia di un uomo che possedeva un carro grande e forte che si muoveva senza buoi e dove l'uomo...
- Cosa lo tirava, allora? Le capre?
- Niente, bambina. Si muoveva da solo. Il carro... - annaspò e trovò l'ispirazione - era un dono degli spiriti, e l'uomo vi mise dentro carne e pesce essiccato e barili d'acqua e si diresse verso una di quelle stelle lucenti che vedi proprio sopra la chiesa. Viaggiò per molti giorni. Quando arrivò lassù...
- Quale strada conduce alle stelle?
- Nessuna strada, Kate. Il carro viaggiava nell'aria, come una nuvola. E poi...
- Le nuvole non possono portare barili di acqua - sentenziò lei. - Parli come quel matto del figlio di Edwy che pensa di aver visto il diavolo in una rapa.
- Stammi a sentire, Kate! - scattò. - È solo una storia. Quando l'uomo arrivò...
- Ma che storia! È una grossa, stupida bugia.
- Né bugia, né verità - ringhiò lui. - È solo una storia che ti sto raccontando.
- Le storie dovrebbero avere un senso - disse lei con sicurezza. - Smettila di sognare, padre. Tutta Lymeford ne parla. Anche al castello parlano di Tam, il matto, il sognatore.
- Sarei matto, eh? - urlò lui, cercando di afferrare la zappa.
Ma la ragazza era troppo veloce per lui; l'aveva già in mano. Tam tentò di strappargliela e lottarono, roccia contro fiamma, finché non sentì le grida di sua moglie all'entrata della capanna dove era arrivata di corsa, richiamata dal rumore. Quando lui alzò lo sguardo, Kate teneva la zappa ben salda, aveva, spazio per poterla usare e questa volta lo colpì con decisione in cima al cranio, e per Tam fu notte.
Il mattino successivo stava abbastanza bene, e Kate aveva avuto abbastanza buon senso da non farsi vedere lì in giro. Quando la lunga giornata fu finita, tutta la rabbia era sbollita.
Alys si assicurò che ci fosse birra quella sera e le sere che seguirono. I sogni che venivano dalla birra non erano gli stessi che lui aveva tentato così disperatamente di convertire in parole. Per il resto della sua vita, gli capitò ancora di fare questi sogni, sogni grandiosi, sogni che se lui avesse avuto la capacità di tradurre in parole e se, soprattutto, avesse avuto un pubblico a cui raccontarli, sarebbero stati ricordati per generazioni e generazioni. Ma Tam non aveva né pubblico né capacità di parola. Lui aveva solo la sua birra.
FINE