Science Fiction Project
Urania - Racconti d'appendice
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PENSIONE MORTON - Reginald Bretnor
Titolo originale: The pearcey boy

Come dissero in seguito l'ossuta signora Morton e l'ancor più magra sorella, fu davvero una bella fortuna per Aimée Pearcey che il dottor Wassall fosse ancora vivo nel novembre del 1928, quando lei si era trasferita alla Pensione Morton con quel suo tremendo bambino. Se non fosse stato così, chissà cosa sarebbe successo, dato che quel piccolo "deficiente" stava risucchiandole le poche forze che le restavano. La dedizione al figlio, ripeteva la signora Morton, le avrebbe come minimo causato un esaurimento nervoso, e forse la morte prematura, se il capitano Henriks non fosse intervenuto con decisione. Alla fine tutti gli ospiti furono d'accordo con lei, tutti tranne Edna Owen. Eppure, come Edna confessò poi a se stessa piangendo, non avrebbe potuto fare niente, proprio niente, per aiutarla.
Vedova da pochi mesi, Aimée Pearcey si era trasferita a San Diego da Los Angeles (anzi, come diceva lei, da Hollywood dove era quasi arrivata ad essere una bambina prodigio del cinema). Per lei la signora Morton aveva infranto la propria regola ferrea di non prendere mai a pensione gente con bambini: Aimée era un donnino che faceva tenerezza, con quel suo seno piccolo e piatto, le gambe ben fatte e minute, la frangetta, una traccia di ombretto sugli occhi e una voce esile esile da ragazzina. Inoltre, era evidente che Pearcey le aveva lasciato tutto il denaro di cui poteva avere bisogno; lo si vedeva dai vestiti e dai due anelli di diamanti che portava, e poi era arrivata su una berlina Stearns-Knight seminuova, tipo lusso.
La prima sera era scesa da sola a cena. Il suo Milton, spiegò, aveva un forte mal di testa. Sospirò... ne soffriva molto spesso; così gli aveva dato un bicchiere di latte caldo e 1' aveva messo a letto. La signora Morton le aveva presentato uno a uno gli altri ospiti: l'anziana signora Tolley e la signorina Lobenstein che dividevano due stanze e un bagno al terzo piano sul davanti, il signor Keyhoe, il rappresentante, i giovani Robinson che erano sposati da poco e stavano cercando casa, gli Hoagie, Jim e Evie Ann, e il medico che aveva un appartamento nella stessa strada, ma che consumava i pasti alla pensione. Il Capitano Henriks, invece, il Capitano Myron Henriks, detto anche Hank Henriks, non le fu presentato. Non ne aveva bisogno.
Quando la signora Pearcey era entrata, Edna Owen aveva visto negli occhi di lui quello sguardo che una volta le era così familiare; si era alzato, con lo stesso sorriso d'un tempo, ma molto, molto più intenso; e le: era rimasta seduta là, gli occhi fissi sulle proprie curatissime mani di segretaria, mentre lui si appoggiava alla sedia di Aimée Pearcey, durante i pochi istanti necessari per fare conoscenza.
La conversazione, limitata e generica, fu dominata per tutta la cena dalla voce del capitano e dalle sue risate, e dalle risate e dall'approvazione di tutti gli altri per ciò che lui diceva. Edna Owen lasciò che la conversazione la sfiorasse appena e non alzò gli occhi, rivedendo dentro di sé Hank Henriks come l'aveva visto la prima volta: la mascella quadrata e decisa, l'abbronzatura accentuata che copriva ciò che le era sembrato un pallore malarico, gli insolenti occhi scuri un po' sporgenti. Edna aveva trentadue anni, due fidanzamenti alle spalle, e nessun matrimonio, ma non era ancora rassegnata alla condizione di zitella. Aveva pazientemente ascoltato i suoi racconti di guerra, degli anni di servizio prestato nel Nicaragua, nelle Filippine e in Cina; era andata fuori con lui, nei clubs di ex combattenti che, come ufficiale a riposo, Henriks frequentava; l'aveva accompagnato all'Hotel del Coronado, a Tijuana; l'aveva osservato, prima con il cuore che batteva forte, poi con tenerezza e preoccupazione, infine con timore. E ciò per il suo bere smodato, le forti perdite al gioco, il carattere insopportabile quando perdeva e - quando era al massimo della gentilezza e amabilità - le domande inquisitrici sulla sua situazione finanziaria, soprattutto quando i soldi della pensione si erano volatilizzati (cosa che succedeva regolarmente), o quando aveva perso uno dei tanti lavori. Alla fine, in conflitto con se stessa, aveva confidato i suoi dispiaceri a una vecchia amica che vedeva raramente, sposata a un sergente maggiore dei Marines di nome Marrich, che abitava a Pacific Beach. L'avevano invitata a cena e più tardi Bill Marrich, un soldato dal petto coperto di nastrini e un uomo tutto d'un pezzo, le aveva parlato con tutta la delicatezza di cui era capace.
- Senti, Eddie - aveva iniziato, - forse non te lo dovrei dire, ma è per il tuo bene. Ricordati che è una cosa che dicono in giro, un pettegolezzo. Te lo tieni per te e non lo dici a nessuno. D'accordo?
Gli aveva dato la sua parola.
- Va bene. Siamo stati insieme in un sacco di posti, Hank e io, a Chateau-Thierry, nella Isole e Dio sa dove. Era un tipo in gamba, Eddie, duro e intelligente. S'era guadagnato tutto quello che aveva, la carriera, quella moglie così cara e i due bambini. Poi gli accadde qualcosa; capita spesso. Era a Shanghai, la moglie era lontana... capisci? Dicono che incontrò questa donna rossa, dopo la rivoluzione la Cina ne era piena, e avevano un solo modo per sbarcare il lunario. Comunque, lui la installò in un appartamento (Gesù, con le lenzuola di seta nera! Durò pochi mesi) il suo periodo oltremare era quasi finito, ma lei gli lasciò qualcosa che si portò dietro e che quando ritornò lui trasmise alla moglie.
Edna lo aveva guardato.
- Che cos'era? - gli aveva chiesto.
- Scolo.
- Io... non capisco.
- Sifilide - aveva ripetuto Bill Marrich e la moglie gli aveva fatto coro.
- Lei lo lasciò e si portò via i bambini. Forse i medici cercarono di curarlo o forse no. Comunque, non servì a niente. A volte intacca anche il cervello; forse è per questo che si è ridotto così, risse e sbornie e altro, persino mentre era ancora nell'esercito. Dunque, Eddie, se hai un po' di buon senso, lo devi lasciare. Parola mia, uno di questi giorni perderà completamente la bussola.
Lei li aveva ringraziati ed era tornata a casa dove aveva pianto, in parte per sincero dolore e in parte con sollievo, come un viaggiatore che senza saperlo ha camminato sull'orlo di una scogliera in procinto di franare; poi aveva allontanato da sé il Capitano Henriks con tutta l'abilità accumulata in lunghi anni di lavoro in qualità di segretaria privata di uomini ricchi e potenti, finché lui, dapprima stupito e poi seccato, si era rassegnato a trattarla con disprezzo malcelato e fredda cortesia.
Quella sera, a cena, gli prestò quel minimo di attenzione richiesto dalla buona educazione e gli rivolse la parola il meno possibile, cercando di pensare solamente ai pomposi ritratti di famiglia che ornavano le pareti, di coloro che avevano fatto costruire la casa, molti anni prima, e ai mobili massicci lasciati in eredità da padre in figlio.
La cena si protrasse all'infinito; Edna era a metà dessert, felice di potersene andare di lì a poco, quando improvvisamente il bambino piombò nella stanza. Era molto grosso per la sua età. Aveva nove o dieci anni, ma ne dimostrava tredici. Era flaccido, grasso e pallido, con capelli chiari e opachi occhi azzurri. Aveva indosso un pigiama di flanella tutto spiegazzato e i piedi nudi. Le guance gonfie erano bagnate di lacrime. Era evidentemente terrorizzato.
- Milton! - gridò la signora Pearcey, cominciando ad alzarsi.
Lui corse freneticamente intorno al tavolo e le si aggrappò come un bambino piccolo sconvolto dalla paura, gridando "Mamma! Mamma!" e balbettando parole incoerenti.
Imbarazzata, lei si guardò nervosamente intorno con occhi supplichevoli mentre lo accarezzava cercando di acquietarlo e gli parlava come a un neonato.
Lui si calmò, rimanendo sempre aggrappato alla madre.
- Sono... davvero spiacente, signora Morton - disse, quasi sussurrando - Milton... Milton ha avuto un altro di... di quei sogni. Non gli succede molto spesso...
Poi mormorò, rivolgendosi un po' a lui, un po' agli altri:
- Vero, caro? Adesso ti portiamo di sopra, ti diamo ancora un po' di latte e poi di nuovo a nanna; e tutto andrà bene.
Si alzò, col bambino sempre abbracciato a lei. Continuando a fargli delle moine, lo accompagnò fuori dalla stanza e i suoi occhi stanchi lanciarono un'ultima supplica mentre oltrepassava la soglia della porta.
Per qualche attimo tutti rimasero in silenzio. Solo gli sguardi esprimevano ciò che ognuno pensava: simpatia per la piccola Aimée Pearcey e antipatia istintiva per il figlio. Edna Owen avvertì l'ondata di ostilità, e proprio per questo il suo cuore passò istintivamente dalla parte del ragazzo. Eppure, doveva ammetterlo, era del tutto repellente, era quel tipo di ragazzo grande e grosso e grasso che i bambini vivaci, anche se più piccoli, stuzzicano, scherniscono e perseguitano, che gli insegnanti cercano di sopportare mentre lottano per vincere la loro avversione, che sono amati solo dalle madri, e spesso neppure da loro.
Il silenzio si prolungò e divenne insopportabile.
- Ma pensate! - esclamò l'anziana signora Tolley. - Così giovane e legata per tutta la vita a...
Poi, rivolta alla signora Morton:
- Secondo voi, è normale? - chiese con voce stridula. - Pensate che sia sicuro tenerlo in casa?
- Sono sicura che lei non l'avrebbe con sé se non fosse... beh, almeno innocuo. - La signora Morton contrasse le labbra. - Dopo tutto, non l'ho accolta senza chiederle referenze. È solo il fardello che deve portare, tutto qui.
Si guardò intorno, cercando conferma e appoggio. Sua sorella annuì, piegando il collo come un uccellino.
Il dottor Wassall, seduto di fronte a Edna, si schiarì la gola. Tutti gli sguardi si puntarono su di lui, imponente e dominante figura di uomo, in cui il vestito, il colletto a punte troppo largo e la pelle mostravano i segni di un'accentuata obesità ormai scomparsa.
- Da un punto di vista professionale...
Fece una pausa.
- Pur essendo in pensione penso di poter parlare da un punto di vista professionale...
Il suono della sua voce è come l'odore del patchouli, pensò Edna Owen. Contiene qualcosa di disgustosamente dolciastro che sa di morte.
- ... ed è mia opinione, benché abbia visto il ragazzo una volta sola, è mia opinione che sia decisamente deficiente. - Inclinò con affettazione la testa verso la signora Morton. - Sono però d'accordo con voi, cara signora: è probabile che sia del tutto innocuo, tranne forse per quelli che devono avere cura di lui, naturalmente. Queste sono le piccole tragedie che la pratica medica spesso ci rivela. Questi bambini non dovrebbero essere imposti alla gente. Sono molto più felici negli appositi istituti, - scandì una ad una le sillabe, facendosele rotolare sulla lingua, - con i loro simili. La giovane signora Pearcey si sente senza dubbio colpevole per averlo messo al mondo e stupidamente ha pietà di lui.
- Stupidamente? - esclamò Edna Owen. - Dottor Wassall, ma è sua madre. E poi non è colpa sua, è solo un bambino!
Il medico le sorrise benevolmente. Si tolse gli occhiali cerchiati d'oro e li pulì.
- Vi posso assicurare - proseguì - che i sacrifici dei genitori sono quasi sempre sprecati e che la pietà che li ispira è del tutto ingiustificata. L'innocenza dell'infanzia è uno splendido sofisma, ma pur sempre inesatto. Molti di questi bambini, forse la maggior parte, sono i diretti responsabili della loro condizione. Posso dire tranquillamente che il ragazzo che abbiamo appena visto è quasi certamente un caso di questo tipo.
- Beh, non ci credo affatto! - sbottò Evie Ann Hoagie. - Jim e io abbiamo allevato quattro figli e non vedo proprio come un bambino di quell'età possa fare una cosa del genere a se stesso.
La sorella della signora Morton mosse la testa in silenziosa approvazione. Il dottor Wassall ripiegò il proprio tovagliolo, lo arrotolò e lo ripose nel suo anello. Poi si alzò a fatica.
- Questo, temo, non è il momento migliore per spiegarvele - dichiarò. - Sarebbe contrario alla mia etica professionale perché esiste ovviamente la possibilità, anche se minima, che io mi sbagli. Ma permettete che vi lasci con questa considerazione: il seme della corruzione non ha necessariamente bisogno di un terreno vecchio per germogliare.
Augurò la buonanotte e scuotendo solennemente la testa lasciò la stanza.
- Continuo a pensare che abbia torto - riprese Evie Ann. - Ma credetemi, sono proprio felice che quel bambino non sia toccato a me e a Jim.
- Sarebbe... sarebbe tremendo! - mormorò Doris Robinson, guardando il marito e pensando ai bambini che avrebbero messo al mondo.
Edna non disse niente. Guardò il Capitano Henriks e lo vide intento a osservarsi le mani. Teneva gli occhi bassi e le labbra atteggiate a un sorriso, un sorriso personale, freddo, calcolatore e senza gioia. Di nuovo sentì un brivido di paura. Di nuovo percepì la fredda intensità del rancore reciproco.
Ci fu un rumore di passi sulla scala, ed Henriks alzò in fretta lo sguardo e li zittì, mentre la signora Morton si portava discretamente un dito alle labbra.
Aimée Pearcey entrò con aria preoccupata e incerta. Dopo essersi scusata, riprese il suo posto; ed Edna vide Hank Henriks posare, solo per un attimo, una mano su quella di lei, dolcemente, ma con una fermezza che non lasciava dubbi sulla sua forza di volontà e sulla promessa di protezione.
Quando, com'erano soliti fare, tutti seguirono la signora Morton nel salotto per ascoltare il notiziario alla radio, Edna non si unì a loro, anche se era in programma un discorso del presidente eletto, Hoover. Andò di sopra in camera sua e, continuando a pensare a Milton nel suo letto, si costrinse a scrivere qualche lettera anche se non ne aveva voglia.
Durante le settimane che seguirono gli altri pensionanti vennero a sapere parecchie cose su Aimée Pearcey e suo figlio. Come la signora Tolley disse alla signorina Lobenstein, quella povera creatura non era capace di nascondere i propri sentimenti, e non c'era da meravigliarsene, sola al mondo com'era. Chiunque si sarebbe accorto che aveva un disperato bisogno di qualcuno che si interessasse a lei, che le dicesse una parola gentile. E con quel povero, orribile ragazzino, poi!
Tutti vennero a sapere che Léonard Pearcey era stato molto più vecchio della moglie; che vendeva ferramenta all'ingrosso; che aveva cominciato a diventare strano poco prima di morire; che, benché la compagnia d'assicurazione non fosse fortunatamente riuscita a provare niente, il poliziotto chiamato sul posto aveva pensato che si trattasse di suicidio e non di un incidente. Vennero anche a sapere che i parenti di Léonard non la potevano soffrire e che per questo si era trasferita a San Diego; che Milton era rimasto molto indietro a scuola, ma che lei era sicura che avrebbe fatto meglio se avesse scelto con cura l'istituto; che sperava di comprarsi un giorno una casetta tutta per sé, ma che al momento il solo pensiero di mettere su casa le riusciva insopportabile. Seppero ancora che l'eredità di Léonard era costituita da un numero quasi incredibile di azioni tra le più solide, come le Transamerica, e che, poiché il suo fiuto d'uomo d'affari era davvero ottimo, lei aveva usato i soldi dell'assicurazione sulla vita per comprarne altre dello stesso tipo, il che, come aveva detto il signor Keyhoe, era stata una decisione davvero intelligente.
Raccontò la sua storia a tutti, ma era verso Hank Henriks che si sentiva maggiormente attratta, anche se all'inizio non gli permise di portarla fuori, dicendo che non poteva lasciare Milton da solo perché aveva bisogno di lei.
Milton era, a voler essere brutali, disgustoso. Quando gli si rivolgeva la parola, metteva il broncio o piagnucolava. Non era capace di lavarsi da solo. Bagnava il letto. A tavola, pasticciava con il cibo sporcando la tovaglia e lasciandolo cadere a terra. Rompeva tutto: dischi per il prezioso fonografo della signora Morton, tazze da tè, persino il bell'orologio francese di bronzo su cui la figurina di un fabbro batteva le ore con un piccolo maglio. Benché la madre pagasse tutto, ogni nuovo guaio rendeva più cupa l'atmosfera di animosità in cui il bambino viveva. Gli capitò due o tre volte di intasare il gabinetto con oggetti impensabili e nelle ore meno adatte. Passava il tempo in modo misterioso, qualche volta in giardino, dove stava ore e ore a fissare il pesce rosso della signora Morton; qualche volta in strani posti come la soffitta, dove la cameriera l'aveva trovato che osservava i ragni. Gli incontri inevitabili con i bambini del vicinato si risolvevano sempre in disastri, da cui lui usciva malconcio sia nel fisico sia nello spirito, e la signora Pearcey in lacrime.
Gradualmente, con il passare delle settimane, il ruolo del bambino nella vita quotidiana della pensione cambiò. Lentamente, in modo quasi impercettibile, il cordone ombelicale che legava psichicamente la madre al figlio cominciò ad atrofizzarsi; la donna passava sempre meno tempo con lui, e sempre di più con il Capitano Henriks. All'inizio si trattava di una o due ore per il pranzo o per un giretto fino allo zoo di Balboa Park. Poi l'intervallo di mezzogiorno diventò più lungo; dopo lo zoo, ci furono le corse in macchina con la Stearns-Knight, di cui il capitano ormai teneva sempre il volante, circoli a cui andare, compagni d'armi e vecchi amici da visitare. La signora Morton e sua sorella si trovarono sull'orlo di un collasso isterico nel tentativo di tenere d'occhio Milton, del resto senza molto successo, e alle loro rimostranze Aimée Pearcey assunse una sfilza eterogenea di donne assolutamente incapaci che avrebbero dovuto sorvegliare il bambino quando lei era fuori, soprattutto la sera. Arrivavano e si riempivano di disgusto nel vederlo mangiare, facevano del loro meglio per spedirlo a letto e tenercelo e chiedevano aiuto ogni volta che si bagnava o aveva gli incubi. Ogni donna non durava più di qualche giorno (quanti, dipendeva dal bisogno di soldi di ciascuna), poi rinunciava. E dopo ogni partenza, per un breve periodo la signora Pearcey riprendeva i suoi doveri di madre, assistita da tutta l'autorità paterna che Hank Henriks riusciva a esercitare. Edna, osservandoli, pur tormentata da ciò che lei stessa conosceva del suo carattere e da ciò che Bill Marish le aveva detto del suo passato, non poteva fare a meno di ammirare la pazienza con cui il capitano cercava, o sembrava cercasse di assumere il ruolo di padre. Ma i suoi tentativi andavano a vuoto: Milton, che evidentemente lo temeva e lo detestava, diventava sempre più ostinato, finché arrivava un'altra donna stanca e il ciclo riprendeva. Con il passare del tempo, tutti i pensionanti cominciarono a essere d'accordo con il parere, ripetuto sempre più spesso, del dottor Wassall : che il ragazzo era irrimediabilmente deficiente e che sarebbe stato meglio in qualche istituto. Persino gli Hoagie e la sorella della signora Morton che in principio l'avevano compatito e difeso, se ne disinteressarono; e anche Edna Owen si ritrovò a sperare che il ragazzo venisse portato via, senza chiasso e con dolcezza.
Quando provava questo desiderio, la vergogna la costringeva a soffocarlo, aggravando così le sue preoccupazioni.
In realtà, la causa prima della loro irritazione, il simbolo della continua seccatura costituita da Milton, era una cosa ben poco importante. La signora Morton era sicura che i Robinson avrebbero trovato presto una casa in affitto e aveva promesso ad Aimée Pearcey la loro stanza, che aveva la veranda e il bagno privato. Ma il tempo passava e le case che i Robinson riuscivano a trovare costavano troppo o avevano bisogno di parecchi lavori o erano troppo lontane dal posto di lavoro di lui; e d'altra parte, come dicevano loro, non avevano nessuna intenzione di affittare la prima casa che capitava per poi dover imballare di nuovo tutto e ritraslocare appena sistemati.
Così, Milton e sua madre continuarono a dividere il bagno e il gabinetto del secondo piano con Edna, gli Hoagie e il signor Keyhoe. Per il bagno, che era separato dal gabinetto, non c'erano problemi, ma - diceva Jim Hoagie lamentandosi con sua moglie - per Dio, tutte le volte che devi usare il water, quell'accidenti di ragazzo c'è chiuso dentro; e se lo mandi al diavolo è capace di pisciare dappertutto e di lasciartela lì. Non andava spesso al gabinetto la mattina, quando Edna e il signor Keyhoe dovevano andare a lavorare, ma sembrava che regolasse le sue visite con calcolata cattiveria, soprattutto per quanto riguardava gli Hoagie, come se volesse che gli si rivoltassero contro.
Ormai Aimée Pearcey stava quasi sempre con il Capitano Henriks, e Milton diventava sempre più intrattabile, specie di notte, quando lei non c'era. Gli incubi, ormai molto più frequenti, erano cose orribili che lo afferravano e lo stringevano e che spesso non lo abbandonavano nemmeno quando, saltato giù dal letto dopo essere sfuggito a chi lo doveva controllare, correva per il corridoio con gli occhi sbarrati. Edna, che dormiva allo stesso piano, era stata svegliata due volte da urla, pianti e suppliche incoerenti rivolte alle irreali figure della fantasia del bambino; perciò, quando venne a sapere che la madre, spinta dal Capitano Henriks, aveva consultato il dottor Wassall e che il medico gli aveva prescritto dei sedativi, ebbe solo un momentaneo presentimento.
In seguito, per un certo periodo, Milton aveva dormito più profondamente, non svegliandosi nemmeno quando aveva bagnato il letto. Qualche volta si lamentava nel sonno, ma gli incubi, se anche lo tormentavano, non riuscivano a perforare la pesante barriera imposta dai farmaci. Un giorno, il farmacista all'angolo tra la Quinta Avenue e Laurei Street ne parlò a Edna con molto tatto; disse che il vecchio dottore aveva prescritto alla signora Pearcey della roba davvero potente e aspettò la sua risposta con un'aria attenta e preoccupata; ma lei, un po' esitante, fece solo notare che dopo tutto il dottore, con tanti anni di esperienza alle spalle, sapeva certamente quello che faceva e non disse per chi erano in realtà le ricette. Tornando a casa le rimordeva la coscienza, e più tardi cercò di parlare con Hank Henriks, chiedendogli se non pensava che i sedativi somministrati ogni notte potessero far male a un bambino così piccolo.
Di colpo lui divenne una furia: gli occhi sporgenti mandarono lampi, la bocca ghignò, i tendini rilevati delle mani si tesero. Altrettanto di colpo, la rabbia svanì, repressa con un visibile sforzo di volontà, e venne sostituita dal solito sorrisetto freddo sotto gli occhi di nuovo socchiusi. Ma la sua voce, quando le parlò, le rivelò quello che gli bolliva dentro.
- Fatti gli affaracci tuoi. - Le monotone inflessioni della voce erano spaventose. - Milton non è il tuo marmocchio. È il figlio di Aimée. E tra non molto anche il mio. Non ha bisogno del tuo affetto - e chi lo vuole, per Dio? - Accidenti a te, sta' fuori dai piedi.
Girando sui tacchi se ne era andato, lasciandola scossa, piena di paura e convinta, pur vergognandosene, che non avrebbe preso iniziative, che qualunque destino fosse toccato a Aimée Pearcey e a suo figlio, lei non avrebbe avuto la forza d'intervenire.
La consapevolezza della propria incapacità ad agire, in parte volontaria, tormentò Edna nei giorni successivi. Cominciò a odiare Hank Henriks, soprattutto quando si rese conto di quanta cattiveria lui mettesse nei suoi rapporti con Milton: dita conficcate nelle braccia quando sarebbe bastato un rimprovero; tracce rosse di uno schiaffone cui il bambino dava sfogo con singhiozzi convulsi mentre veniva trascinato di sopra per uno sbaglio o una scappatella da niente. E il fatto che Aimée Pearcey sembrasse non accorgersi di niente rendeva la cosa ancora più difficile da capire e sopportare.
Andò ancora a trovare i Marrich e raccontò loro tutta la storia. Entrambi le ripetererono gentilmente lo stesso consiglio che Bill le aveva dato la prima volta, quando aveva chiesto notizie di Hank: lascia perdere. Erano d'accordo con lei: la signora Pearcey si stava cacciando da sola in un sacco di guai; sarebbe stato doloroso per il ragazzo, anche se non sembrava tanto normale; era un peccato, ma lei cosa voleva fare: andare dal Procuratore Distrettuale? Betty Marrich, che aveva sempre lavorato in studi legali, lo disse con una risatina. Anche Edna, che aveva fatto la segretaria per qualche avvocato, si rese improvvisamente conto dell'assurdità della cosa. Immaginò se stessa presentare una querela, e l'espressione del magistrato davanti al quale, interrogata, avrebbe dovuto ammettere che, sì, per un po' di tempo, anzi per un bel po' di tempo, era uscita con il Capitano Henriks. Lentamente ritornò a casa nella sua piccola Dodge coupé, sentendosi svuotata e, senza una ragione plausibile, stranamente abbandonata.
La notte era fredda e squallida, cadeva un'insistente pioggerella brumosa e l'umidità la seguì anche in casa, fino in camera sua. Tentando di pensare ad altro, si svestì, si lavò mani e viso nel lavabo nascosto dal paravento cinese, indossò la camicia da notte e una liseuse e s'infilò tra le lenzuola gelide. Per mezz'ora cercò di leggere un giallo, poi rinunciò e spense la luce concentrandosi nel tentativo di programmare il lavoro del giorno dopo che l'aspettava sulla scrivania. In breve scivolò nel sonno.
Le urla di Milton la destarono verso l'una; svegliatasi di colpo, si sentì afferrare da un freddo terrore, come se un spettro fosse penetrato a forza dentro di lei dal buio stillante della notte. Poi si rese conto che le grida erano quelle di Milton e che qualunque fosse la visione che terrorizzava il bambino, non era una minaccia reale. Le sue urla erano più che altro dei lamenti, degli ululati striduli, infantili, rotti da parole incoerenti, singhiozzi soffocati, appelli e suppliche isteriche.
Le ci volle solo un secondo per ricordare che la signora Pearcey e il capitano erano andati a una festa e che niente al mondo avrebbe potuto svegliare il signor Keyhoe una volta che si fosse addormentato. Si infilò accappatoio e pantofole e corse nel corridoio. L'unica luce proveniva da una lampadina velata, circondata da un fioco alone, e faceva molto freddo.
Milton era immobile nel bel mezzo del corridoio e la luce fioca rivelava gli occhi chiari sbarrati che fissavano un altro mondo in cui lui e le sue orridi visioni erano disperatamente soli. Le lacrime gli scorrevano lungo le guance verso la bocca spalancata. Non la vide arrivare e continuò a singhiozzare convulsamente mescolando singulti a spezzoni di parole che Edna capiva a malapena: n-n-n-no! E n-n-non far... e qualcosa di spaventoso di mani e occhi.
- Milton! - gridò. - Svegliati! Stai sognando, solo sognando! Non è vero!
Non la vedeva. Non capiva. Ma per un attimo i singhiozzi cessarono. Poi con un grido folle, "Mamma! Mamma!", corse verso di lei e, di nuovo lucido, l'abbracciò forte forte. Edna, vedendo che aveva i pantaloni del pigiama fradici, cercò di allontanarlo, ma gli strilli del ragazzo si alzarono di un'ottava mentre la stringeva ancor di più. Edna soffocò paura e disgusto e cercò di calmarlo. Poco per volta, i suoni diventarono più intelligibili, ma le parole erano sempre spezzate, farfugliate, balbettate. Più tardi, quando tentò di ricordare esattamente ciò che il ragazzo aveva detto, non riuscì a ricostruire né il senso né la sequenza delle parole, e nemmeno come avessero potuto trasferire nella sua stessa mente l'incubo di Milton. Ma la scena del sogno angoscioso, la sua immagine, in tutta la sua terribile evidenza, era lì, davanti a lei: Hank Henriks stava uccidendo Aimée Pearcey.
Le mani di lui erano attorno alla gola della donna che gli occhi sporgenti fissavano come se, con il loro odio, potessero affrettarne la morte. La stava uccidendo perché i soldi di lei erano sfumati.
Il quadro era completo. Nonostante le grida confuse, le emozioni strazianti, la puzza pungente di orina nell'aria fredda, si era delineato in modo convincente e preciso. Edna Owen fu sopraffatta dalla compassione per il ragazzo tremante e piangente. Anche se era tutto bagnato, lo tenne stretto a sé, gli accarezzò la testa e gli mormorò frasi senza senso, di non avere paura, che nessuno avrebbe fatto del male alla sua mamma; così lui si calmò e sembrò riprendersi, come se si svegliasse da un sogno. Quando gli Hoagie li raggiunsero, Milton stava piangendo quietamente e non parlava più.
Edna riferì cos'era successo: che il bambino aveva avuto un incubo in cui qualcuno stava tentando di fare qualcosa di male a sua madre. Pensò che fosse meglio non dire di chi si trattava. Affrontando la situazione, gli Hoagie riuscirono a vincere il loro disgusto.
Jim suggerì che forse Aimée si era dimenticata di dargli le pastiglie; Evie Ann disse che, con tutti i figli cresciuti e sposati, non avrebbe proprio pensato di doversi un'altra volta alzare nel cuore della notte per cambiare un bambino bagnato. Si presero comunque cura di Milton, portandolo in bagno, dove quasi soffocato dai singhiozzi vomitò, e poi in camera sua, dove Evie Ann fece del suo meglio per ripulirlo. Tolse poi le lenzuola bagnate, asciugò la tela cerata che c'era sotto, rifece il letto con un lenzuolo pulito e le coperte e fece mettere al ragazzo un paio di mutande asciutte al posto dei pantaloni del pigiama. Trovò infine le pastiglie che la signora Pearcey aveva dimenticato e gliene diede una.
- Ecco fatto! - esclamò. - Questa dovrebbe tenerlo tranquillo fino a domattina.
- Speriamo in Dio! - brontolò suo marito chiudendosi la porta alle spalle.
Tornata in camera sua, Edna si lavò accuratamente e andò a letto, ma era ancora perseguitata dall'incubo di Milton. Il giorno seguente la signora Pearcey ringraziò calorosamente lei e gli Hoagie per essersi dimostrati così premurosi con Milton e promise che "mai più" si sarebbe dimenticata delle pastiglie.
Edna si chiese per quanto tempo avrebbero potuto andare avanti così.
Andarono avanti ancora per tre settimane, fino alla fine di marzo. Una sera dopo cena, mentre si trovavano nel salotto in attesa del notiziario, la sorella della signora Morton affrettò involontariamente la fatale conclusione della vicenda. C'erano tutti, tranne gli Hoagie che si erano recati al Superba a vedere un nuovo film con Pola Negri, il signor Keyhoe che era via e la signora Pearcey che, come al solito, era uscita con il Capitano. Si erano appena seduti a chiacchierare aspettando che il programma radio cominciasse, quando la sorella della signora Morton entrò.
Non entrò nel solito modo dimesso e discreto, con un piccolo timido colpo di tosse e un leggero fruscio del vecchio vestito sulla magre spalle. Arrivò quasi di corsa, si accorse che c'erano tutti e cercando di controllarsi si fermò, tormentandosi le mani rugose, mentre un tic nervoso le storceva l'angolo della bocca.
- Che cos'hai? - le chiese la signora Morton. - Cosa c'è?
La bocca di sua sorella si mosse, ma non ne uscì alcun suono. Poi, di colpo, una vampata di rossore ravvivò la faccia pallida, quasi grigia, ricoprendola di chiazze rosa. Tentò ancora di parlare e alla fine ritrovò un filo di voce.
- Il figlio della signora Pearcey! - mormorò; il rossore sparì e ritornò. - Lui... lui...
La signora Morton stava per chiederle cosa aveva rotto questa volta, ma il dottor Wassall la precedette. Si era alzato a fatica e ora stava offrendo la propria sedia a quella figuretta di spaventapasseri in piedi davanti a tutti.
- Calmatevi, cara signora - la sollecitò, con voce dolciastra come melassa.
- Sono sicuro che vostra sorella vi porterà subito qualcosa di corroborante, magari una tazza di tè. Ma prima dovete sedervi e dirci cosa ha fatto il ragazzo...
Lei sedette, continuando a tormentarsi le mani che teneva in grembo.
- ... e potete stare tranquilla che - e qui il medico si tolse gli occhiali e le sorrise, - di qualunque cosa si tratti, non ne saremo sorpresi. No davvero. Vi ricordate quello che vi dissi il primo giorno che sua madre lo portò qui?
La signora Tolley e la signorina Lobenstein annuirono con forza e la Tolley, con un colpetto sul ginocchio, la incoraggiò:
- Provi a dirlo, cara! Noi... capiremo.
- Io... sta... stavo andando al gabinetto... - sussurrò.
- Tutti ci andiamo. - Doris Robinson soffocò una risatina e suo marito le lanciò un'occhiataccia.
- ... il gabinetto del secondo piano. Ho spinto la porta, era aperta... e... e lui era là. - Nel suo tormento, il rossore aumentò e svanì. - Mi... mi ha vista. Mi ha vista, ma non ha smesso.
- Dio mio! - sussultò la signorina Lobenstein. - Ma cosa stava facendo?
La sorella della signora Morton si coprì il viso con le mani tremanti, e da dietro questa posizione si sentì la sua voce, un roco gracidio.
- Lui... oh, non so come dirlo!... si... stava... stava toccandosi.
- Oh, no; - gridò la signora Tolley scandalizzata.
Ci fu un momento di silenzio assoluto, rotto soltanto dal respiro asmatico del medico. Questi si chinò in avanti, dominandoli dall'alto.
- È quello che ho sospettato fin dall'inizio. Al giorno d'oggi c'è gente che nega la pericolosità dell'autoerotismo, ma è un tragico errore. Quando per la prima volta ho visto il ragazzo, ne ho riconosciuto i sintomi, comportamento insano, cervello e sistema nervoso ovviamen-te danneggiati, e tutti così evidenti! Naturalmente, non potevo ancora dire niente. Sarebbe stato contro l'etica.
Con un profondo sospiro, si lasciò andare sul divano.
- Non è un po' troppo piccolo per una cosa del genere? - chiese Robinson.
- È il formarsi delle abitudini nella "prima infanzia" la cosa più dannosa - dichiarò il dottore.
Poi citò due o tre testi scritti, disse, dalle più eminenti autorità mediche in materia, e anche se più tardi Robinson disse a sua moglie, che, accidenti, tutti i ragazzini prima o poi se lo tirano e che il vecchio aveva la testa piena di grilli, nessuno trovò qualcosa da ribattere. Anche Edna Owen, cui il medico era poco simpatico, rimase in silenzio. L'episodio si adattava fin troppo bene al quadro dell'infelicità di Milton e lo completava.
Il dottor Wassall continuò a parlare. Raccontò diffusamente di vari casi, uno più penoso dell'altro, e disse alla sorella della signora Morton che, quando si fosse ripresa, desiderava farle delle domande professionali su ciò che aveva visto.
Lei diventò ancora più rossa, fece una risatina isterica e si coprì di nuovo la faccia; la signora Morton uscì un momento e tornò con un cordiale.
- Dunque, dottor Wassall - disse, tornando ad occupare il suo posto. - Penso che si debba fare qualcosa con quel bambino.
- È necessario - assentì il dottore, - e posso promettervi che sarà fatto, signora Morton. Sono sicuro che il Capitano Henriks comprende il problema, e farò in modo che questa nuova prova lampante gli venga presentata nella giusta prospettiva. Nessun matrimonio potrebbe essere felice con quel ragazzo in casa. Fortunatamente, ho un amico psichiatra - è stato per parecchi anni il primario di una casa di cura - e sono sicuro che confermerà la mia diagnosi e consiglierà il ricovero del ragazzo.
- Dove? - chiese Edna.
- In un Istituto adatto - ribatté lui, - dove si prenderanno ottima cura di lui e lo abitueranno a una rigida disciplina e dove vivrà insieme ad altri ragazzi, deficienti come lui. Questa, mia cara, è l'unica risposta possibile, e sono sicuro che anche la signora Pearcey, nonostante il suo probabilmente fortissimo istinto materno, lo capirà.
Rivolse un largo sorriso a tutti e si alzò per prendere congedo; il notiziario era stato dimenticate.
- Telefonerò al mio amico domani - promise. - Buonanotte.
La fine della storia di Milton Edna Owen la seppe solo più tardi, di seconda mano, perché la mattina seguente fu costretta a prendersi una settimana di permesso per correre a Escodido da un suo zio ammalatosi improvvisamente. Qui incontrò un suo vecchio spasimante con il quale era uscita qualche volta, che le era sempre piaciuto molto, ora vedovo e con una bambina. Molto prima che la settimana finisse, Edna si rese conto che lui si interessava nuovamente a lei e che faceva sul serio. Per quello che la riguardava, scoprì che la maturità dell'uomo conferiva più calore al suo affetto per lui. Inoltre, in lui trovava un rifugio. Dopo la guarigione dello zio rimandò la partenza, prima per dieci giorni, poi per due settimane, e quando alla fine ritornò a San Diego, era fidanzata.
Alla pensione tutti si congratularono con lei, e la signora Tolley la baciò sulla guance dicendole che bella cosa, e che fortuna era stata per lei trovare un brav'uomo alla sua età. Poi le raccontarono cosa era successo a Milton, a sua madre e al Capitano Henriks. Edna si accorse con stupore di averli dimenticati completamente.
Lo psichiatra, un certo dottor Gullard, era stato chiamato solo dopo che, per la forma, la signora Pearcey aveva inscenato una blanda protesta. Era ossuto, alto e calvo, poco più giovane del dottor Wassall, ma molto più attivo e competente. Aveva impressionato gli Hoagie perché sembrava possedere una patina di calore umano su un cuore di ghiaccio - come un venditore di automobili usate - disse Jim Hoagie. Comunque, era riuscito a conquistare la fiducia di Milton, parlando con lui due o tre volte in giardino. Quando presentò la sua diagnosi, essa corrispondeva in ogni dettaglio a quella del collega. Consigliò anche un istituto che avrebbe accettato il ragazzo - un istituto privato e costoso, ma ne valeva la pena perché era un posto in cui non si tolleravano sciocchezze. I preparativi avevano richiesto solo pochi giorni, e Milton se ne era andato docilmente, la mano in quella del dottor Gullard, portandosi dietro un malandato coniglio giallo di pezza con gli occhi di vetro. Li seguiva una donna tarchiata e arcigna con la valigetta del bambino e uno scatolone pieno di vestiti. Dalla macchina, Milton aveva salutato la madre con la mano, dicendo che lui e il simpatico dottore andavano via a giocare insieme, ma per un giorno solo e poi sarebbe tornato.
Qualche giorno dopo lei e Hank Henriks si erano sposati ad Agua Caliente, oltre confine, ed erano subito partiti per la luna di miele, una lunga e tranquilla vacanza primaverile attraversando in macchina tutto il paese, fino a Pensacola dove progettavano di stabilirsi.
Edna rimase sconvolta dal loro tradimento nei confronti di Milton e pianse per un poco nella sua stanza, pensando alla loro insensibilità e al momento crudele in cui il bambino se ne fosse accorto. Ma, dal momento che il suo cuore innamorato era lieto, asciugò le lacrime e lasciò che i propri pensieri fossero dominati dai progetti per il futuro. Aveva deciso di continuare a lavorare fino al primo maggio, in modo che i suoi datori di lavoro potessero trovare una sostituta, poi lei e il suo George si sarebbero sposati la domenica successiva.
La sera precedente, quando Edna aveva già tutto pronto ed era raggiante di gioia, la signora Morton preparò per lei una torta speciale e servì del vino che disse di aver messo da parte prima del Proibizionismo; poi andarono tutti in salotto e la signora Morton, ridendo come una ragazzina, mise sul fonografo la marcia nuziale del "Lohengrin".
- Sono così felice per lei, Edna cara - esclamò alla fine, - e voglio proprio sperare che anche lei sia stata felice qui da me. Mi spiace solo che abbia dovuto vivere vicino a quel povero bambino, come noi tutti del resto, ma ormai tutto si è risolto per il meglio.
- Vorrei poterlo credere anch'io - sospirò Edna. - Faceva davvero compassione... con quegli orrendi incubi! Sapete che cosa aveva sognato quella notte che Jim, Evie Ann e io ci prendemmo cura di lui? Aveva sognato che Hank Henriks stava uccidendo Aimée, con le mani intorno alla gola e quegli occhi che aveva... - rabbrividì
- La uccideva perché aveva perso tutti i soldi in una grande crisi economica.
Ci furono dei mormorii di "che cosa orrenda" e "che sogno terribile", e la signora Tolley disse che doveva essere squilibrato anche solo a pensare una cosa del genere.
Il dottore si schiarì la gola. - Signorina Owen - disse con il suo tono più mellifluo, - vi prego, non preoccupatevi per il ragazzo. La signora Tolley ha ragione: non è normale. Questi sogni dimostrano che ha perso contatto con la realtà.
- È proprio così, almeno per il fatto di sua madre che perde tutti i soldi! - rise il signor Keyhoe. - Con tutte quelle azioni è come se possedesse la Zecca degli Stati Uniti. Non c'è niente di più sicuro. Credetemi, sono dell'ambiente... lo so.
- No, non c'è proprio da preoccuparsi di una crisi economica - ridacchiò il dottor Wassall. - Non con Hoover alla Casa Bianca. Ma altri sogni del ragazzo erano molto peggiori. Il dottor Gullard è molto competente ed è riuscito a sapere tutto di quegli incubi. Essi dimostrano solo quanto il ragazzo abbia danneggiato il proprio cervello ancora immaturo. Uno, in special modo. Durava molto: lui si trovava in un posto terribile dove uomini in uniforme (spingevano delle persone dentro dei forni e le uccidevano - migliaia e migliaia di persone - uomini, donne e persino bambini piccoli. Si metteva a gridare ogni volta che ne parlava. - Il dottore fece una pausa. - Quale persona normale andrebbe a pensare che possa succedere una cosa del genere in un mondo civile?
E sorrise all'uditorio.

FINE