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Urania - Asimov d'appendice
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LA COMPAGNA NERA - Isaac Asimov
Titolo originale: The dark companion
Anch'io, come tutti, m'imbatto talvolta in situazioni imbarazzanti che non sempre riesco a evitare.
Infatti, sebbene sia conosciuto come uno scienziato particolarmente scrupoloso e poco incline ad accettare teorie campate in aria, le nuove idee mi sono sempre gradite, purché vengano proposte da persone che conoscono bene l'argomento che trattano e che rispettano la logica. E proprio qui esistono in potenza parecchie probabilità di trovarsi in situazioni imbarazzanti.
Tuttavia, tanto per cominciare, riporterò uno o due casi in cui non mi sono trovato in imbarazzo.
Nel 1974 venne pubblicato dalla Walker & Co. un libro di John Gribbin e Stephen Plagemann, dal titolo «The Jupiter Effect» («L'effetto Giove»), in cui gli autori prendevano in esame il possibile effetto della posizione dei pianeti sulle correnti solari e, di conseguenza, sul vento solare, sulla tettonica a zolle della Terra e sui terremoti avvenuti in California. Molto labile era la concatenazione logica che portava a una conclusione totalmente ipotetica, ma, sebbene non accettassi tale conclusione, l'opera mi sembrò quella di due persone oneste e razionali. Pertanto, quando mi fu chiesto di scriverne l'introduzione, accettai, e alla fine il mio nome venne stampato in copertina a caratteri alti quanto quelli del nome degli autori.
Come avevo previsto, molti critici e recensori strapazzarono vivacemente il libro, e il mio caro amico Lester del Rey da allora non smette più di chiamarmi «astrologo», a causa di quell'introduzione. Ma io non ho cambiato parere: il libro valeva la pena di essere letto, e non mi vergogno affatto di esservi collegato.
Lo stesso accadde nel 1976, quando la Doubleday pubblicò «The Fire Came By» («Il fuoco è passato di qui») di John Baxter e Thomas Atkins. Questo era uno studio accurato delle cause della grande esplosione avvenuta in Siberia nel 1908 e per anni attribuita alla caduta di una meteorite. Gli autori prendevano in esame tutte le testimonianze che avevano potuto raccogliere e analizzavano in luce critica tutte le spiegazioni, da chiunque proposte, da quando era risultato evidente che nella zona non c'era alcuna traccia di cratere né alcun frammento meteoritico. Concludevano avanzando l'ipotesi che l'esplosione fosse stata causata da un'astronave extraterrestre a propulsione nucleare che, perso il controllo, si fosse schiantata sulla Terra.
Larry Ashmead,. allora alla Doubleday, mi chiese di dare un'occhiata al manoscritto per un giudizio, che si augurava favorevole. Lo fece però con notevole riluttanza, in quanto pensava che, una volta letto il libro, l'avrei senz'altro fatto a pezzi.
Non fu così. Trovai il libro avvincente e onesto e, secondo me, degno di attenzione. Perciò questa volta fui io a chiedere allo Doubleday di scriverne l'introduzione, e loro acconsentirono. Il mio nome venne stampato sulla copertina dell'opera in caratteri alti quasi quanto quelli del nome degli autori e, sebbene anche qui non condividessi la conclusione cui l'opera giungeva e prevedessi che ben pochi astronomi l'avrebbero presa sul serio, non cambiai opinione. E ancora non mi vergogno che il mio nome sia collegato a essa.
Passiamo ora a quando, al contrario, mi sono venuto a trovare in imbarazzo.
Poco tempo fa è stato pubblicato un libro dal titolo «The Sirius Mistery» («Il mistero di Sirio»), di cui non citerò né il nome dell'autore né quello della casa editrice, dato che non ne posso dire niente di buono. Narra di una tribù dell'Africa Occidentale, le cui leggende sembrano comprendere la conoscenza dei satelliti di Giove, degli anelli di Saturno e della nana bianca, compagna di Sirio. Tale conoscenza, inoltre, viene attribuita a informazioni ottenute da astronauti provenienti da un pianeta che ruota intorno a Sirio.
Prima che il libro fosse stampato, l'autore si mise in contatto con me chiedendomene un giudizio, che sperava favorevole. Con molta riluttanza acconsentii a che mi mandasse il manoscritto, anche perché non è corretto rifiutarsi di dare una semplice occhiata alle idee che uno ha da esporre.
Il manoscritto arrivò, e io tentai di leggerlo. In genere, detesto comportarmi in modo antipatico e insultante, e in particolare lo detestavo in questo caso, in quanto l'autore mi era sembrato una persona davvero cortese e sincera quando mi aveva contattato. Ma la verità è che per me quel libro era illeggibile e che, qualunque frase di commento mettessi giù, non mi convinceva. Perciò mi rifiutai di esprimere il mio giudizio sull'opera.
Poco dopo l'autore si rifece vivo e cercò con ogni mezzo di persuadermi a ritornare sulla mia decisione. Ripeto, mi è difficile essere sgarbato, quindi, perfino in quell'occasione, volli fare in modo di rimanere nei limiti della buona educazione, pur ribadendo il mio rifiuto.
A un certo punto l'autore mi chiese: - Allora, avete trovato qualche errore nel testo?
Ovviamente non ne avevo trovato neanche uno: ne avevo letto solo alcune pagine, quelle in cui si parlava della tribù dell'Africa Occidentale, e questo è un argomento che non conosco affatto. Di conseguenza lui avrebbe potuto scrivere una sciocchezza dopo l'altra, senza che io fossi in grado di riconoscere anche un solo errore. Ad ogni modo, per liberarmi di lui in maniera educata, risposi: - No. Non ho trovato errori.
Ottenni quello che meritavo. Pronunciando quelle parole non avevo precisato che non volevo fossero citate; così, quando il libro venne pubblicato, negli annunci pubblicitari apparsi sulla stampa c'ero anch'io, che dicevo, appunto, che nel libro non c'erano errori.
Mi trovo perciò in una situazione imbarazzante a causa della mia stupidità, ma vi assicuro che non ci ricadrò mai più.
Mi consolerò, un poco, raccontandovi la storia della scoperta della nana bianca compagna di Sirio da parte di astronomi vicini a noi nel tempo, fatta senza l'aiuto di visitatori extraterrestri (Ho trattato succintamente l'argomento parecchi anni fa, ma adesso entrerò nei particolari e seguirò un'altra strada). Ve la presento come una commedia in tre atti.
Atto primo: Friedrich Wilhelm Bessel 1844
Friedrich Wilhelm Bessel nacque a Mindel, in Prussia, il 22 luglio del 1784. Cominciò la sua carriera come contabile, ma in seguito si mise a studiare astronomia per conto suo e all'età di vent'anni ricalcolò l'orbita della cometa di Halley con una tale accuratezza da suscitare un'ottima impressione nell'astronomo H. W. M. Olbers, il quale gli offrì un posto in un osservatorio.
Dal 1830 in poi, Bessel partecipò alla grande impresa astronomica di quel periodo: il tentativo di determinare la distanza di una qualche stella dalla Terra. Per portare a termine il compito che si erano prefissi, gli astronomi dovevano scegliere una stella relativamente vicina al nostro pianeta, prendere nota delle successive posizioni costanti assunte sull'eclittica (parallasse) e rapportarle tra loro, man mano che la Terra girava nella propria orbita intorno al Sole. Ma, come avrebbero potuto individuare una stella vicina, quando non potevano conoscere in anticipo quali stelle fossero vicine e quali lontane?
Dovevano basarsi su una semplice supposizione, e i suggerimenti avanzati furono due. Primo: era più probabile che una stella brillante fosse più vicina di una stella dalla luce fioca, poiché la vicinanza poteva essere la causa stessa della luminosità. Secondo: era probabile anche che una stella, la cui posizione rispetto agli altri corpi celesti (moto proprio) variava considerevolmente di anno in anno, fosse più vicina di un'altra il cui spostamento era invece minimo o addirittura inesistente, poiché la vicinanza tende ad aumentare la misura reale di uno spostamento.
Due dei ricercatori, Thomas Henderson e Friedrich G. W. von Struve, seguirono il criterio della luminosità. Henderson, che si trovava a Capetown, nel Sud Africa, prese di mira Alpha Centauri, la più luminosa delle stelle dell'emisfero australe, e von Struve assunse come punto di riferimento Vega, la stella più luminosa dell'emisfero boreale. Bessel, invece, seguì il criterio della rapidità dello spostamento e scelse 61 Cygni, una stella alquanto fioca, come luminosità (è di quinta magnitudine), ma che aveva il moto proprio più veloce che si fosse scoperto a quel tempo.
Tutti e tre gli astronomi riuscirono a portare a termine l'impresa, ma Bessel per primo rese noto nel 1838 il risultato cui era giunto, ed ebbe così il merito di essere stato il primo a determinare la distanza di una stella dalla Terra. Dopo il successo ottenuto, Bessel era pronto a calcolare altre distanze, e alla fine decise di affrontare Sirio. Sirio è la più brillante di tutte le stelle visibili, e perciò avrebbe potuto benissimo essere una delle più vicine. E in effetti lo è: la distanza dalla Terra è solo i due quinti di quella di 61 Cygni. E ha anche un moto proprio relativamente rapido.
In ogni caso, non è facile determinare la parallasse di una stella. Lo sarebbe se una stella fosse del tutto immobile e se la Terra avesse un moto perfettamente regolare, se la velocità della luce raggiungesse valori infiniti e se non ci fosse di mezzo l'atmosfera. Purtroppo la realtà è diversa, e le difficoltà esistono.
Immaginando la Terra fissa, secondo la parallasse la stella in movimento dovrebbe descrivere una semplice ellisse, se non avesse anche un moto proprio che procede in linea retta. L'unione del moto proprio in linea retta e del moto ellittico secondo la parallasse produce un moto ondulatorio il quale viene ulteriormente complicato dal fenomeno della rifrazione atmosferica, dall'aberrazione della luce, da varie oscillazioni nel moto della Terra, e così via. Di conseguenza è necessario tenere conto di ogni possibile interferenza, per poi eliminarla. E, alla fine, quando si sono eliminati tutti i fattori estranei, ciò che rimane è la parallasse. Ma dal momento che ogni eliminazione ha un suo margine di errore, la parallasse che otteniamo può essere alquanto imprecisa.
Bessel cominciò a studiare Sirio, la osservò notte dopo notte, controllò altre osservazioni precedentemente registrate, eccetera, eccetera. Tenne conto anche dei più insignificanti fattori estranei, eliminò il moto proprio, e ottenne un'ellisse... che non era l'ellisse di una parallasse.
L'ellisse tracciata dalla parallasse di una stella deve infatti essere completata nel giro di un anno, poiché la parallasse rispecchia il movimento di rivoluzione della Terra intorno al Sole, che dura un anno. Ma ciò non succedeva nel caso di Sirio.
Bessel si accorse subito che l'ellisse cui era pervenuto richiedeva ben più di un anno per completarsi. In realtà, alla velocità con cui Sirio si spostava, il completamento dell'ellisse avrebbe richiesto cinquant'anni. Perciò non era una parallasse.
C'era effettivamente qualcos'altro che poteva far muovere una stella lungo un'ellisse dalla curva tanto ampia come quella. La stella poteva essere binaria, cioè essere formata da una coppia di stelle che ruotavano una intorno all'altra, e tutte e due intorno al centro di gravità del sistema. William Herschel, nel 1784, aveva già scoperto l'esistenza di stelle binarie, tutt'altro che rare.
Perché allora Sirio non avrebbe potuto essere uno dei due componenti di un sistema binario? Ruotava proprio attorno a un centro di gravità, con un'altra stella sempre al polo opposto.
Era un'ipotesi intelligente, però c'era un intoppo. Bessel non riusciva a vedere l'altra stella. Grazie ai movimenti di Sirio e alla legge di gravità era in grado di stabilire con precisione dove la compagna avrebbe dovuto trovarsi a ogni momento, ma in quel punto non c'era niente.
Poteva, l'altra stella, essere in realtà un pianeta? Alla distanza in cui si trova Sirio, stando sulla Terra è materialmente impossibile vedere un pianeta, anche di dimensioni enormi (Da Sirio sarebbe infatti possibile vedere il nostro Sole, ma non Giove).
No, non poteva essere un pianeta, dato che l'unica ragione per la quale noi non possiamo scorgere i pianeti, ma solo le stelle è che i pianeti sono troppo piccoli per brillare come una stella. E se sono troppo piccoli per brillare, sono anche troppo piccoli per possedere un campo gravitazionale abbastanza potente da far ruotare un'altra stella, ovvero Sirio. Di conseguenza, l'altro componente del sistema binario doveva essere una stella. Semplicemente, non poteva essere vista, anche se era una stella.
Al tempo di Bessel la cosa non era incredibile. I primi rudimenti della legge sulla conservazione dell'energia erano già in circolazione, e in base ad essi era ragionevole supporre che una stella avesse a disposizione solo una determinata quantità di energia. Se le cose stavano così, una stella aveva le stesse possibilità di spegnersi di una candela. Ovviamente, avrebbe impiegato molto più tempo, ma il principio era lo stesso. Perciò Bessel arrivò alla conclusione che Sirio avesse una compagna che, essendosi già estinta. non poteva essere vista.
Nel 1844 Bessel annunciò quindi di avere scoperto che Sirio aveva una compagna nera (E in seguito scoprì che anche Procione, un'altra stella luminosa, aveva una compagna nera).
Bessel, che morì a Königsberg, in Prussia, il 17 marzo 1846, noti visse abbastanza per assistere al secondo atto della commedia.
Atto secondo: Alvan Graham Clark 1862
Alvan Graham Clark nacque il 10 luglio del 1832 a Fall River, nel Massachusetts. Suo padre, Alvan Clark, era un pittore ritrattista, ma era appassionato di astronomia e il suo più grande diletto era quello di fabbricare e polire da sé le lenti del telescopio (Personalmente non riesco a capire che piacere si provi a polire da sé le proprie lenti, ma la storia dell'astronomia è piena di persone singolari).
Allora, tutti i fabbricanti e i politori di lenti erano inglesi, francesi o tedeschi, e nessun astronomo europeo che rispettasse la propria professione avrebbe mai concepito l'idea che un americano sapesse fabbricare qualcosa di utile per l'astronomia.
Ma Clark padre lasciò che fosse la sua opera a parlare per lui. Preparò da sé le lenti e le sistemò su telescopi che poi usò per fare eccellenti osservazioni, di cui in seguito pubblicò i risultati. Desiderosi di conoscere di quali strumenti si servisse Clark, gli astronomi europei vennero a sapere che l'americano era un autopolitore di lenti, e cominciarono a ordinargliene.
A partire dal 1859, Clark padre diventò una celebrità. Venne perfino invitato a Londra, dove i più famosi astronomi inglesi vollero incontrarlo. Tornato negli Stati Uniti, aprì a Cambridge, nel Massachusetts, una fabbrica di telescopi. Alvan Graham, il figlio minore, lavorava con lui.
Nel 1860 il rettore dell'Università del Mississippi decise di acquistare un buon telescopio per dare lustro all'ateneo anche in campo astronomico. E siccome era originario del Massachusetts, pensò ai Clark e gli trasmise l'ordinazione. I Clark cominciarono immediatamente la costruzione del telescopio, ma, ahimè, lo strumento non arrivò mai nel Mississippi: in quell'anno scoppiò la Guerra di Secessione, e il Mississippi divenne territorio nemico. Così il telescopio finì all'Università di Chicago.
Nel 1862 Alvan Graham Clark ottenne finalmente una lente levigata come più non si poteva e all'apparenza molto ben riuscita. Rimaneva solo da provarla.
Sistemò perciò la lente su un telescopio, che regolò su Sirio, e si mise in osservazione. Se la lente fosse stata perfetta, lui avrebbe dovuto vedere Sirio come un luminosissimo punto dai contorni ben distinti (con l'aggiunta di una specie di lampeggiamento se la visibilità non fosse stata ottima). Al contrario, un'irregolarità anche minima avrebbe confuso e distorto il punto luminoso.
Clark osservò dunque la stella, ma rimase estremamente contrariato quando vide, quasi a contatto con Sirio, una piccolissima scintilla di luce in una posizione dove non ci sarebbe dovuta essere alcuna sorgente luminosa. La conclusione più immediata era che nella lente ci fosse un'irregolarità che faceva deviare una piccola parte della luce di Sirio.
Eppure, quando Clark guardò in altre zone del cielo, non riscontrò nessuna stranezza visibile, e qualsiasi cosa facesse alla lente nel tentativo di migliorarne ulteriormente la struttura, non riuscì mai a fare sparire quella macchiolina di luce vicino a Sirio. Alla fine decise che vedeva la scintilla perché esisteva davvero e che in quel punto c'era qualcosa. La luce era nella posizione in cui doveva trovarsi la Compagna Nera di Sirio, perciò non poteva essere che quella. Lui stava osservando la Compagna.
In realtà la Compagna di Sirio non era nera, né eccessivamente fioca, in quanto aveva una magnitudine di 7,1 cioè una luminosità quasi sufficiente per essere vista a occhio nudo. Tuttavia era vicinissima a Sirio, che era circa seimila volte più luminosa di lei e che perciò la nascondeva. Ci voleva una lente più che buona per mettere in evidenza quella fioca scintilla nello splendore circostante: i guai di Clark erano stati causati non da imperfezioni della lente, ma dalla sua ottima qualità.
Non si poteva dunque più parlare di una Compagna Nera di Sirio. Adesso si trattava di una Compagna meno luminosa. La cosa, comunque, non sconvolse le conoscenze di allora. Se la Compagna non era esattamente un tizzone spento, all'evidenza era un tizzone morente.
Alvan Graham Clark morì a Cambridge il 9 giugno 1897, e non visse abbastanza per assistere al terzo atto della commedia.
Atto terzo: Walter Sydney Adatns 1915, 1922
Walter Sydney Adams era figlio di due coniugi americani, missionari nel Medio Oriente. Nacque ad Antiochia, in Siria, il 20 dicembre del 1876 e venne portato negli Stati Uniti a soli nove anni. Diplomatosi al Dartmouth College e completato gli studi universitari in Germania, divenne astronomo.
In quel periodo l'astronomia era stata rivoluzionata dall'introduzione dello spettroscopio. Gli astronomi, ormai, non dovevano più limitarsi a prendere nota soltanto del grado di luminosità di una stella e del colore predominante nella sua luce. Questa luce poteva adesso essere diffusa lungo uno spettro che risultava solcato da linee scure trasversali. Dalla posizione e dalla larghezza di queste linee scure si poteva stabilire quali elementi chimici fossero presenti nell'astro. Da piccole discordanze tra la posizione di queste linee nello spettro di una stella, e quella ottenuta in laboratorio dai medesimi elementi chimici, si poteva stabilire anche se la stella si stava avvicinando o allontanando da noi, e a quale velocità. Un fisico tedesco, Wilhelm Wien, aveva dimostrato nel 1893 come gli spettri luminosi variassero al variare della temperatura. Perciò divenne anche possibile determinare la temperatura di superficie di una stella mediante lo studio del suo spettro. Per esempio, il nostro Sole ha una temperatura di superficie di 6.000 °C. Sirio, invece, è una stella molto più calda e la sua temperatura è di 11.000 °C.
Risultò evidente che le stelle avevano colori diversi, perché il valore delle lunghezze d'onda su cui emettevano la loro luce variava secondo la temperatura. Indipendentemente dalla struttura o dalla composizione chimica, se la stella aveva una temperatura di superficie di 2.500 °C, era rossa; se ne aveva una di 4.500 °C, era arancione; a 6.000 °C era giallo-bianca; a 11.000 °C era di un bianco puro; a 25.000 °C era bianco-azzurra.
Queste novità posero Walter Sydney Adams di fronte a un interessante problema. La Compagna di Sirio, ormai ben nota da una settantina d'anni, era sempre stata considerata una stella spenta, o almeno una stella vicina alla morte. Ma se ne stava veramente morendo e quelli erano gli ultimi guizzi prima dell'estinzione, avrebbe dovuto essere fredda e perciò rossa. Il guaio era che non appariva affatto rossa, ma bianca. Quindi doveva essere caldissima, e in questo caso era difficile pensarla prossima alla fine.
Per averne la prova certa era indispensabile conoscere lo spettro della Compagna. E non era affatto uno scherzo ottenere lo spettro di un corpo luminoso della settima magnitudine. Ciò nonostante, nel 1915 Adams riuscì a ottenerlo.
L'analisi dello spettro eliminò ogni dubbio. La Compagna di Sirio era quasi calda quanto la stessa Sirio. Aveva una temperatura di superficie di circa 10.000 °C, cioè era notevolmente più calda del nostro Sole.
Ma a questo punto sorse un altro problema. Se la Compagna era quasi calda quanto Sirio, una qualsiasi data parte della sua superficie avrebbe dovuto avere una luminosità quasi pari a quella di una parte equivalente della superficie di Sirio. E allora, come si spiegava il fatto che la luminosità totale della Compagna fosse solamente un seimillesimo di quella dell'intera Sirio?
L'unica spiegazione ragionevole di questo fenomeno era questa: sebbene la superficie della Compagna, presa a singole parti, fosse quasi luminosa quanto la superficie di Sirio, la superficie totale era molto, molto meno estesa di quella di Sirio.
Sapendo, infatti, in base alla temperatura, quanto dovrebbe essere luminosa una parte della superficie di una stella, è possibile calcolare l'area totale del corpo celeste che giustifica la sua luminosità apparente, e dall'area arrivare al diametro. Seguendo questo criterio, si scoprì, ad esempio, che il diametro di Sirio è di due milioni e mezzo di chilometri, cioè 1,8 volte quello del nostro Sole, mentre il diametro della Compagna è di soli quarantasettemila chilometri, cioè 0,033 volte quello del nostro Sole.
La notizia che il diametro della Compagna era tanto ridotto causò un vero shock, poiché perfino l'idea di una stella così piccola sembrava ridicola. E non perché fosse più piccola del nostro Sole, ma perché era notevolmente più piccola anche di Giove: corrispondeva infatti, approssimativamente, alle dimensioni di Urano.
Dal momento che la Compagna era sia bianca come colore, sia nana come dimensioni, venne chiamata «nana bianca», e fu la prima di una nuova classe di stelle, che risultò poi relativamente comune (anche la Compagna di Procione, per esempio, si rivelò una nana bianca).
Capita talvolta che Sirio sia detta «Stella del Cane», essendo la stella più luminosa della costellazione del Canis Major, il «Grande Cane». Secondo questo tipo di definizione, qualcuno cominciò a chiamare la Compagna nana «Il Cucciolo», denotando una ben scarsa intelligenza. Il procedimento corretto, oggi universalmente adottato, è di designare ogni stella di un sistema multiplo con una lettera dell'alfabeto, secondo la scala della luminosità. Quindi Sirio è oggi chiamata «Sirio A» e la Compagna, «Sirio B». In questo articolo continuerò tuttavia a chiamare le due stelle come ho fatto finora: Sirio e la Compagna.
La piccolezza della Compagna è già di per sé una cosa singolare, ma più sorprendente ancora, sotto un altro punto di vista, è la sua densità. Dalla distanza tra Sirio e la Compagna e dal periodo dell'orbita, è possibile ricavare che la massa totale delle due stelle è circa tre volte e mezzo quella del nostro Sole. Dalla distanza di ognuna delle due dal centro di gravità del sistema si può poi dimostrare che Sirio ha una massa due volte e mezzo quella del Sole, mentre quella della Compagna equivale pressapoco a quella del nostro astro.
Ma se la Compagna possiede una massa pari a quella del Sole, stipata in un globo del diametro pari soltanto a un trentesimo (quindi di volume pari a un novemillesimo) di quello del Sole, ciò significa che la densità media della materia che la costituisce dovrebbe essere novemila volte maggiore di quella del Sole. In altre parole la sua densità è di 12.600 grammi per centimetro cubo, ovvero circa cinquecentosettantacinque volte maggiore della densità del platino.
Se Adams avesse annunciato le sue scoperte anche solo con cinque anni di anticipo, sarebbe stato cacciato dal consesso degli astronomi. Un tale valore, riferito alla densità, sarebbe sembrato talmente ridicolo che l'intero metodo di misurazione della temperatura per mezzo della spettroscopia sarebbe entrato in crisi.
Per fortuna, nel 1911 il fisico Ernest Rutherford, inglese di origine neozelandese, aveva enunciato la teoria atomica nucleare, basata su osservazioni del comportamento degli atomi bombardati con le radiazioni sub-atomiche, da poco scoperte, degli elementi radioattivi. Era quindi diventato evidente che gli atomi erano per lo più costituiti da spazio vuoto, e che quasi l'intera massa di ogni atomo era concentrata in un minuscolo nucleo che occupava solo circa un miliardesimo di miliardesimo del volume totale dell'atomo stesso. Divenne consequenziale supporre che la Compagna, e tutte le altre nane bianche, fossero costituite da atomi frantumati, così che i nuclei più pesanti venissero a trovarsi molto più vicini tra loro di quanto potessero esserlo quando gli atomi erano integri.
Ciò premesso. l'eccezionale densità della Compagna poteva essere compresa e accettata (In verità sarebbero possibili densità anche molto più elevate).
E poi successe qualcos'altro. Una volta stabilita la natura della Compagna, fu infatti possibile adoperarla per provare qualcosa di ancora più misterioso.
Nel 1916 Albert Einstein aveva enunciato la Teoria della Relatività Generale. Essa sosteneva un'ipotesi che rendeva necessari tre interessanti fenomeni non compresi nella vecchia teoria newtoniana della gravitazione universale. Il primo era l'avanzamento anomalo, già osservato in precedenza, del perielio di Mercurio. Il secondo era la deviazione della luce dal suo cammino rettilineo per l'attraversamento di un campo gravitazionale. Questa deviazione era quasi impercettibile, tanto che avrebbe potuto essere appena individuata con un campo gravitazionale di intensità almeno pari a quella del Sole.
Per combinazione, era stata prevista un'eclissi solare per il 29 maggio del 1919, proprio nel periodo in cui le stelle più luminose del nostro cielo si trovano molto più vicino al Sole che in ogni altro periodo dell'anno, e la Royal Astronomical Society di Londra si preparò a controllare la teoria di Einstein.
Le posizioni delle stelle vicine al Sole furono accuratamente misurate durante l'eclissi. Se la deviazione della luce avesse avuto luogo come ipotizzato da Einstein, ogni stella avrebbe dovuto apparire un niente più lontana dal Sole di quanto fosse in realtà. La misura della variazione sarebbe dipesa dalla distanza apparente dal Sole della stella considerata. Fu un lavoro difficile e noioso e i risultati non furono tutti precisi. Nel complesso, però, sembrarono dare ragione a Einstein, e gli astronomi «addetti ai lavori» ne rimasero soddisfatti.
La terza conseguenza della relatività era la perdita di una piccola quantità di energia da parte della luce, durante l'attraversamento di un campo gravitazionale. Tale perdita, sempre proporzionale all'intensità del campo, avrebbe voluto dire che tutte le linee dello spettro luminoso si sarebbero leggermente spostate verso il rosso. Il fenomeno sarebbe poi stato denominato «spostamento verso il rosso di Einstein», sulla falsariga del più noto «spostamento verso il rosso di Doppler-Fizeau» (o «effetto Doppler»), che accade quando la sorgente di luce si sta allontanando dall'osservatore.
Lo spostamento verso il rosso di Einstein era alquanto difficile da verificare. Infatti, anche il campo gravitazionale del Sole non è abbastanza intenso per produrre uno spostamento verso il rosso di questo tipo, sufficientemente ampio da essere misurato.
Allora l'astronomo inglese Arthur Stanley Eddington, che fu. uno dei primi ad abbracciare, là teoria di Einstein, ebbe un'idea interessante. Se la Compagna di Sirio aveva una massa equivalente a quella del Sole, con un diametro, però, di un solo trentesime, la sua gravità di superficie doveva essere novecento volte quella del Sole. Quindi, la Compagna doveva sottoporre la luce che proveniva dalla sua superficie a una forza gravitazionale novecento volte più intensa, producendo così uno spostamento verso il rosso di Einstein di portata calcolabile.
Eddington si affrettò a informare di questa ipotesi Adams, esperto mondiale dello spettro della Compagna di Sirio.
Adams si mise al lavoro. Sia Sirio, sia la Compagna si stanno allontanando da noi, originando così uno spostamento verso il rosso, ma il fenomeno avviene in proporzioni uguali per ambedue le stelle, e quindi non costituisce un problema. Oltre a ciò, Sirio e la Compagna ruotano una intorno all'altra, e pertanto il moto di allontanamento dell'una potrebbe essere influenzato da quello dell'altra. Trattandosi però di un moto conosciuto, la reciproca influenza può essere calcolata.
Una volta eliminata ogni possibile interferenza, lo spostamento residuo verso il rosso, che compare nello spettro della Compagna e non in quello di Sirio, deve per forza essere verso il rosso di Einstein.
Con meticolosità Adams portò a termine tutti i calcoli e le misurazioni, e trovò che c'era davvero uno spostamento verso il rosso di Einstein e, quello che più importa, che tale spostamento corrispondeva esattamente a quello previsto dalla teoria del fisico tedesco.
Questa fu la terza e, da allora in poi, la più incontrovertibile dimostrazione della validità della Teoria della Relatività Generale.
La dimostrazione può valere anche al contrario. Se riteniamo esatta la teoria della relatività di Einstein, il fatto che la Compagna mostri uno spostamento verso il rosso di Einstein prova in maniera definitiva che deve anche avere una gravità di superficie di enorme intensità, e che quindi deve essere veramente molto più densa delle normali stelle e dei pianeti.
Perciò, dal 1922, nessuno ha più messo in dubbio le sorprendenti caratteristiche della Compagna di Sirio e delle altre nane bianche. Anzi, da allora, sono stati scoperti corpi celesti molto più straordinari, che Adams (morto a Pasadena, in California. l'11 maggio 1956) non visse abbastanza per vedere. Ma di questi tratterò un'altra volta.
FINE