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Urania - Asimov d'appendice
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GLI ANELLI DI URANO - Isaac Asimov
Titolo originale: Rings and things
«Gli anelli di Saturno, per quanto ne sappiamo, rappresentano qualcosa di assolutamente unico nel nostro sistema planetario.»
Questo lo scrivevo in un articolo di esattamente dieci anni fa. Ma già allora avrei dovuto chiedermi il perché di una simile stranezza, di una simile «unicità». Ripensiamoci un momento adesso.
Nel 1849, l'astronomo francese Edouard A. Roche dimostrò che ogni satellite di una certa grandezza, che avesse la stessa densità del pianeta attorno al quale orbita, sarebbe ridotto in pezzi dagli influssi gravitazionali se la sua distanza dal pianeta fosse inferiore a 2,44 volte il raggio di quest'ultimo. Tale valore è detto «limite di Roche». Il satellite si spezzerebbe in massi di forma irregolare e di dimensioni relativamente piccole, che, per gli effetti di marea e per le reciproche collisioni, occuperebbero alla fine orbite più o meno circolari sul piano equatoriale del pianeta.
Viceversa, se una grande quantità di frammenti circondasse un pianeta a una distanza inferiore al limite di Roche, tali frammenti non sarebbero in grado di unirsi a formare un satellite di buone dimensioni.
Il raggio equatoriale di Saturno misura 60.400 chilometri, perciò il limite di Roche per Saturno è di 147.400 chilometri. Il complesso degli anelli di Saturno si estende da un margine inferiore, a 72.000 chilometri dal centro del pianeta, a un margine superiore, a 137 mila chilometri dallo stesso centro, ovvero da 1,2 a 2,3 volte il suo raggio.
Giano, il più vicino satellite rilevabile conosciuto nel sistema saturniano, si trova a una distanza di 159.500 chilometri dal centro di Saturno, pari a 2,6 volte il raggio del pianeta, In altre parole, l'intero complesso degli anelli di Saturno si estende al di qua del limite di Roche, mentre Giano lo supera.
Questa situazione potrebbe verificarsi per tutti i pianeti? Quando si forma un pianeta, non potrebbe esservi una distesa di materiale, che si assottiglia gradualmente, per milioni di chilometri intorno a esso? Il materiale sopra il limite di Roche non potrebbe formare una serie di satelliti, e il materiale sotto questo limite formare degli anelli, come in apparenza è avvenuto per Saturno?
Nel caso dei pianeti interni, questo supposto scenario potrebbe mancare, poiché il vento solare potrebbe essere abbastanza forte, a brevi distanze, da spazzare via le parti esterne, meno dense, della nube che si concentrava per formare un pianeta, non lasciando niente oltre i satelliti.
Così Mercurio e Venere non hanno satelliti. La Terra ha la Luna, ma quest'ultima è di origine incerta, ed è possibile considerarla un pianeta autonomo catturato dall'attrazione terrestre molto dopo l'origine di entrambe. Marte ha due satelliti minuscoli che quasi certamente sono asteroidi catturati.
L'argomento ci porta, comunque, ai pianeti esterni del sistema solare. Sono così lontani dal Sole che il vento solare, smorzato dalla distanza, avrebbe potuto far poco per spazzare via la materia nei dintorni del pianeta in formazione.
Dunque, anche i pianeti esterni, alla loro distanza dal Sole, sarebbero abbastanza freddi da accumulare l'idrogeno, l'elio e i composti dell'idrogeno, che i pianeti interni, nelle vicinanze del Sole, non potrebbero trattenere per la temperatura troppo elevata. Pertanto i pianeti esterni sarebbero gradualmente arrivati a dimensioni enormi e avrebbero sviluppato campi gravitazionali che hanno potuto più efficacemente trattenere la materia allo stato gassoso nello spazio circostante.
I pianeti esterni, quindi, hanno dei veri satelliti. E perché non hanno anche gli anelli?
Potremmo dedurre e fondatamente supporre che la nube circumplanetaria si sarebbe estesa nella sua ampiezza totale fino al pianeta stesso e sarebbe stata sempre più densa man mano che ci si avvicinava al pianeta. Vi sarebbe quindi certamente stata una maggior quantità di materia per metro cubo sotto il limite di Roche (o quello che eventualmente sarebbe diventato il limite di Roche appena il pianeta avesse completato la sua contrazione) che al di là di esso. Una tale ipotesi favorirebbe la formazione di anelli per ciascun pianeta esterno.
Supponiamo di prendere in considerazione un'ipotesi contraria. La materia nella nube circumplanetaria avrebbe avuto una naturale tendenza a depositarsi sul pianeta. Quanto maggiore era la sua vicinanza al pianeta, tanto più è probabile che ciò sia accaduto, così può darsi che un pianeta in formazione, spazzando le zone comprese nel limite di Roche, formi satelliti ma non anelli.
Consideriamo Giove. Ha tredici satelliti conosciuti, probabilmente quattordici. Tranne i cinque più interni, gli altri sono asteroidi catturati. Dei cinque che probabilmente si sono formati al di fuori della nube che ha formato Giove, quattro sono satelliti giganti, dell'ordine di grandezza della nostra Luna. Tutti questi satelliti si trovano molto oltre il limite di Roche. Per Giove il limite di Roche è di 174.460 chilometri, e il più interno dei satelliti giganti, Io, si trova a una distanza dal pianeta pari a 2,4 volte il limite di Roche.
Tuttavia il quinto satellite, Amaltea, è più vicino di Io a Giove e orbita attorno al pianeta a una distanza di 180.500 chilometri. Questo satellite si trova oltre il limite di Roche ci solo 1,035 volte. Se Amaltea si trovasse anche solo 6.000 chilometri più vicino a Giove, l'effetto di marea lo spezzerebbe, ed esso formerebbe una serie di anelli attorno a Giove. Di tanto è vicino Giove a diventare un pianeta circondato da anelli.
Tuttavia, Amaltea non è un satellite gigante. Esso misura forse 150 chilometri di diametro, soltanto 1/10.000 della massa di Europa, il più piccolo dei satelliti giganti di Giove. In apparenza, una maggior quantità di materia nelle vicinanze di Amaltea è stata raccolta da Giove nell'epoca della sua formazione rispetto a quella lasciata in sospeso sufficiente solo per la formazione di una luna. Ma allora, poiché Giove non ha anelli, perché Saturno dovrebbe averli? E se Saturno ha gli anelli, perché Giove non dovrebbe averne alcuno?
Potremmo sostenere che Saturno ha avuto la fortuna di trovarsi nella condizione «proprio giusta».
Quando si è formato il sistema solare, la densità della materia nella nube originaria deve essere diminuita costantemente con la distanza dal Sole. Questa è la ragione per la quale Giove è il maggiore dei quattro pianeti giganti esterni, con una massa pari a 3 volte e 1/3 quella di Saturno. Quest'ultimo, a sua volta, ha una massa 6 volte superiore a quella di Urano e Nettuno.
Si potrebbe sostenere, quindi, che Giove ha una massa tale e un campo gravitazionale così intenso da spazzare via molto efficacemente la materia all'interno del suo limite di Roche. D'altra parte, Urano e Nettuno avevano una così scarsa quantità di materia attorno a essi da non bastare alla formazione di anelli percettibili, dopo che le loro gravità ebbero terminato di attrarre quanto potevano.
Tuttavia, Saturno si trovava proprio abbastanza vicino al Sole da essere circondato da una notevole quantità di materia e abbastanza lontano da attrarre efficacemente la materia nelle sue immediate vicinanze. Pertanto ha lasciato una sufficiente quantità di materia nello spazio compreso entro il limite di Roche per formare i suoi stupendi anelli.
Ma aspettate! Ho detto che Urano e Nettuno non hanno potuto formare anelli «percettibili». Dopo tutto non si tratta di anelli sgargianti, come quelli di Saturno, o di nessun anello: ve ne potrebbero essere di piccoli, di modesti. Giove è abbastanza vicino per dare agli astronomi la certezza che non vi è nulla di importante più vicino al pianeta di Amaltea. Urano e Nettuno, però, sono abbastanza lontani e difficili da osservare. Allora, quale certezza possiamo avere che non vi sono affatto anelli intorno a essi? Magari stretti? O forse opachi? Ignoro se il problema si sia mai presentato, ma nel 1973, un astronomo britannico, Gordon Taylor, calcolò che Urano si sarebbe trovato davanti a una stella di nona magnitudine, la SAO 158687, nella costellazione della Libra, il 10 marzo 1977.
Quel giorno, James L. Elliot e i suoi collaboratori della Cornell University osservarono l'occultazione a bordo di un aereo che li portò abbastanza in alto da ridurre al minimo gli effetti di distorsione e di oscuramento degli strati atmosferici più bassi.
L'intenzione era proprio di osservare come fosse interessata la luce stellare appena Urano fosse passato davanti alla stella, e la sua luce avesse cominciato a colpirlo. La luce stellare sarebbe penetrata attraverso l'atmosfera superiore di Urano consentendo, in tal modo, informazioni sulla sua temperatura atmosferica, sulla pressione e sulla composizione.
Ma poco prima che Urano si trovasse di fronte alla stella, la luce di quest'ultima improvvisamente si affievolì per circa sette secondi e brillò. Poi, appena Urano si accostò ancora di più, vi furono altre quattro brevi fasi di affievolimento della luce, di un secondo ciascuna. Finalmente Urano transitò davanti alla stella, e appena il pianeta si allontanò dalla parte opposta, vi fu lo stesso affievolimento di luce all'inverso; quattro volte per un secondo e quindi una quinta volta per sette secondi. (Anche altri astronomi, studiando l'occultazione, osservarono l'effetto dell'affievolimento).
Qualcosa oscurava la stella, qualcosa in vicinanza di Urano. Dapprima Elliot ritenne che fosse un satellite, o parecchi satelliti, ma dopo aver avuto la possibilità di studiare i dati e di osservare la natura simmetrica dell'affievolimento, riconobbe che doveva trattarsi di anelli. Urano doveva avere un sistema di cinque anelli, uno all'interno dell'altro.
Perché c'è voluto tanto tempo per scoprire gli anelli di Urano?
Primo, Urano è distante. Il percorso totale che la luce deve compiere dal Sole a un pianeta e da questo alla Terra è quattro volte maggiore per Urano che per Saturno, in modo che, a parità di tutte le condizioni, il sistema di anelli di Urano avrebbe una luminosità pari a un solo sedicesimo di quella del sistema saturniano.
Secondo, non tutte le cose sono uguali. Gli anelli di Urano sono molto stretti. I più sottili che oscurarono la stella per un secondo ciascuno sono larghi circa 12 chilometri, e il più largo potrebbe misurare 85 chilometri. La larghezza totale degli anelli di Urano è di 170 chilometri, minima se paragonata alla larghezza totale, cioè con gli intervalli, di 64.000 chilometri degli anelli di Saturno.
Terzo, la materia degli anelli di Urano è leggermente più rada di quella degli anelli saturniani. La stella, passando dietro gli anelli di Urano, non fu nascosta ma solo offuscata.
Quarto, gli anelli di Urano non hanno la stessa composizione degli anelli di Saturno. Le particelle degli anelli di Saturno sono altamente riflettenti, rinviando oltre la metà della luce che le colpisce, al punto che sono quasi certamente particelle di ghiaccio. Le particelle degli anelli di Urano sono scure e riflettono meno di un ventesimo della luce che le colpisce. Devono essere costituite da materiali rocciosi, e per di più di roccia opaca.
Considerando insieme tutte queste differenze (distanza, larghezza, densità e riflessione) potremmo ritenere che la luce totale che ci giunge dagli anelli di Urano può essere solo pari a 1/3.000.000 di quella che ci giunge dagli anelli saturniani.
Nessuna meraviglia, dunque, che ci sia voluto tanto tempo per scoprire gli anelli di Urano. Se non fosse stato per il caso fortunato dell'occultazione, potremmo non avere ancora alcuna idea della loro esistenza.
E che dire di Nettuno? Se Nettuno avesse gli anelli, si tratterebbe di un complesso ancora più misero di quello di Urano. E infatti Nettuno ha occultato una stella nel 1968. L'occultazione fu osservata, ma non fu rilevato l'offuscamento della luce stellare.
Nondimeno, il nostro sistema solare ha ora due pianeti circondati da anelli, ed è probabile che il fenomeno generale dei pianeti circondati da anelli nell'universo sia molto più frequente di quanto fosse ritenuto possibile solo due anni fa.
Gli anelli di Urano, tuttavia, costituiscono solo una delle due emozionanti scoperte del 1977 nella zona Saturno-Urano, perciò continuiamo.
In un mio articolo di qualche anno fa, mi ero soffermato su quegli asteroidi le cui orbite li portano fuori dalla fascia degli asteroidi e all'interno dell'orbita di Marte.
Che dire degli asteroidi, insoliti per altri aspetti, che escono dalla fascia degli asteroidi al di là dell'orbita di Giove? Chiamiamoli «iperasteroidi», un termine che ho appena inventato.
Il primo caso di linea di confine di un asteroide fu scoperto il 22 febbraio 1906 dall'astronomo tedesco Max Wolf. Si trattava dell'asteroide 588 che Wolf chiamò Achille. Era il primo degli asteroidi «troiani» a venire scoperto. Gli asteroidi «troiani» sono un gruppo di asteroidi che si muovono nell'orbita di Giove, al passo con il pianeta gigante. Alcuni si trovano in posizione stabile (L4) 60 ° più avanti del pianeta, altri si trovano in posizione stabile (L5) 60 ° dietro il pianeta.
Circa quindici asteroidi troiani sono stati individuati nella posizione L4 e altri cinque in quella L5, ma è stato calcolato che vi siano complessivamente settecento o più di questi asteroidi. Naturalmente, noi vediamo solo i più grandi, quelli con diametro di cento o più chilometri.
Gli asteroidi troiani non rimangono sempre esattamente nella posizione L4 o L5. Il loro moto originario e l'influsso gravitazionale di Saturno provocano la loro oscillazione attorno a L4 o a L5 in modo complesso, poiché ruotano intorno al Sole. Tali oscillazioni possono essere molto ampie, e una sfortunata serie di perturbazioni può spostare un asteroide troiano così lontano da L4 o da L5 che esso non può riprendere la sua posizione, e allora cessa di essere un troiano. D'altra parte, gli asteroidi non troiani, che si muovono nei dintorni, possono, in condizioni favorevoli di perturbazione, essere catturati e diventare troiani. Nel complesso, dunque, le posizioni degli asteroidi troiani variano di poco, in una direzione o nell'altra, e rimangono sostanzialmente le stesse.
Un asteroide troiano, se spostato dalla sua posizione, assumerà molto probabilmente una nuova orbita in parte molto oltre quella di Giove. Può trascorrere quindi la maggior parte del suo periodo orbitale oltre Giove poiché ogni corpo si muove più lentamente appena la sua distanza dal Sole aumenta.
Nel 1920, l'astronomo tedesco Walter Baade scoprì l'asteroide 944, che chiamò Hidalgo, e che può ben essere un troiano allontanato dalla sua orbita originaria.
Hidalgo ha un'orbita fortemente eccentrica di 0,66 gradi. Al perielio, il punto della sua orbita più vicina al Sole, dista da quest'ultimo solo 300.000.000 di chilometri circa, e quindi si trova chiaramente dentro la fascia degli asteroidi. All'afelio, però, nel punto più lontano dal Sole, dista da esso un miliardo 450.000.000 di chilometri, pari all'esatta distanza di Saturno dal Sole.
Hidalgo è un esempio evidente di iperasteroide, e ha un periodo orbitale di 13,7 anni: è il solo corpo celeste conosciuto della fascia degli asteroidi che ha l'anno più lungo di quello di Giove.
C'è un altro gruppo di asteroidi che segue Giove anche più da vicino di quanto fanno i troiani, e non sono né all'interno né all'esterno della sua orbita, ma esattamente sulla sua orbita come satelliti catturati.
Attualmente se ne conoscono otto. Furono scoperti più o meno in ordine decrescente di grandezza e, quindi, di luminosità.
Il primo a essere scoperto è noto abitualmente con la sigla J-VI, poiché è stato il sesto a essere visto. Fu scoperto nel 1904 dall'astronomo americano Charles Dillon Perrine.
Fra i satelliti catturati da Giove, l'asteroide J-VI è il più vicino a esso. La sua distanza media da Giove è di 11.470.000 chilometri e ha un periodo orbitale di 0,69 anni. Il suo diametro misura quasi 120 chilometri.
L'ultimo a essere scoperto è stato l'J-XIII. Fu scoperto nel 1974 dall'astronomo americano Charles Kowal, e ha un diametro di soli otto chilometri circa.
Il satellite conosciuto più lontano da Giove è l'J-IX, scoperto dall'astronomo americano Seth Barnes Nicholson nel 1914. Ha un diametro di quasi 15 chilometri. La sua distanza media da Giove è di 23.700.000 chilometri e il suo periodo orbitale è di 2,07 anni. Nessun altro satellite del sistema solare è così lontano dal suo pianeta primario o ha un periodo orbitale così lungo.
Senza dubbio, ci sono altri asteroidi catturati nelle zone più lontane soggette all'influsso di Giove, ma anche se esistono, non sono veri iperasteroidi. La loro orbita media è esattamente quella di Giove, come risulta anche per i troiani.
Anche Hidalgo, che trascorre la maggior parte del suo periodo orbitale oltre l'orbita di Giove, ritorna a ogni rivoluzione nella fascia asteroidale.
Il problema è il seguente: vi sono asteroidi esclusivamente iperasteroidali, con orbite che si collocano completamente oltre quella di Giove? Mi sembra che ce ne debbano essere, e infatti sappiamo di due casi.
Nel 1898, erano noti solo otto satelliti che orbitavano intorno a Saturno. In quell'anno, l'astronomo americano William Henry Pickering ne scoprì un nono su una lastra fotografica. Fu il primo satellite scoperto con la fotografia. Pickering lo chiamò Phoebe (Febe) come una titana della mitologia greca.
La distanza media di Phoebe da Saturno risultò essere di 12.900.000 chilometri, pari a 3,6 volte la distanza di Giapeto, il satellite più distante successivo. L'orbita di Phoebe risultò più eccentrica e notevolmente più inclinata sul piano equatoriale di Saturno, rispetto a ogni altro satellite del pianeta. Pertanto è opinione generale degli astronomi che Phoebe sia un asteroide catturato.
Come nel caso dei satelliti catturati da Giove, Phoebe è piccolo, con un diametro di appena 300 chilometri circa. È possibilissimo che vi siano altri corpi celesti più piccoli nei limiti esterni del sistema saturniano che non possiamo vedere perché più piccoli di Phoebe.
Da dove viene comunque Phoebe? È un troiano allontanatosi, incorso nell'attrazione di Saturno? Se siete soddisfatti di questa spiegazione, passiamo a un altro corpo celeste.
Nettuno ha un grande satellite, Tritone, con diametro di circa 4.000 chilometri. Fu scoperto quasi contemporaneamente al suo pianeta. Un secolo dopo, nel 1949, l'astronomo olandese-americano Gerard Peter Kuiper individuò un secondo satellite di Nettuno, che chiamò Nereide. Nereide, grande quasi come Phoebe, ha un'orbita decisamente insolita. La sua distanza media da Nettuno è di 5.560.000 chilometri, pari a quindici volte quella di Tritone, ma questo non è tutto. L'orbita di Nereide è un'ellisse allungata e ha un'eccentricità di 0,75 gradi, molto superiore a quella di ogni altro satellite del sistema solare.
Quando si trova alla massima vicinanza a Nettuno, Nereide dista solo 1.400.000 chilometri dal pianeta, ma all'altra estremità della sua orbita retrocede a una distanza di nove milioni 500.000 chilometri.
Nereide ha tutte le caratteristiche di un asteroide catturato, ma se è così da dove è stato catturato? Supporre che Nereide sia stato allontanato dalla fascia degli asteroidi con forza sufficiente per inviarlo nell'orbita di Nettuno, è solo forzare l'ipotesi oltre ogni limite.
Sembra molto più logico supporre che gli iperasteroidi siano presenti in grande quantità in ogni parte del sistema solare e che solo la loro enorme distanza da noi ne renda tanto difficile la scoperta. Ognuno dei pianeti giganti può avere molti più asteroidi catturati, asteroidi che fanno parte del loro sistema di satelliti, di quanti possiamo vederne dalla Terra, e ciascuno di essi, non solo Giove, può avere asteroidi nelle loro posizioni L4 e L5.
E non è corretto affermare che è difficilissimo vedere gli iperasteroidi. In realtà gli astronomi non li hanno cercati. Nella ricerca degli asteroidi, hanno cercato solo corpi celesti che si muovono alla velocità caratteristica della fascia degli asteroidi, una velocità superiore a quella di Giove. Gli iperasteroidi potrebbero muoversi a velocità molto inferiori, e potrebbero essere stati trascurati per questo motivo.
Ad esempio, il primo novembre 1977, Charles Kowal, lo scopritore dello J-XIII, stava studiando alcune lastre fotografiche alla ricerca delle comete lontane che attraversano il cielo più lentamente di ogni altro asteroide, escluso Hidalgo nella parte più lontana della sua orbita.
Scoprì qualcosa che emanava la giusta luminosità e si muoveva lentamente, ma «troppo» lentamente per essere una cometa. Si muoveva solo a un terzo della velocità cui ci si attende si muova un asteroide troiano; quindi doveva essere qualcosa di molto più lontano.
In effetti si muoveva tanto lentamente che doveva trattarsi di qualche corpo celeste vicino all'orbita di Urano e, tenendo conto della distanza, doveva trattarsi di un corpo con dimensioni asteroidali, dell'ordine di grandezza di Phoebe o Nereide.
Tuttavia non faceva parte del sistema dei satelliti di Urano. Infatti si trovava in qualche zona misteriosa nelle vicinanze di Urano che, a quel tempo, era quasi esattamente dall'altra parte del Sole.
Kowal lo seguì per alcuni giorni, calcolò un'orbita approssimativa, quindi cominciò a cercarlo sulle precedenti lastre fotografiche riguardanti le zone dove esso avrebbe dovuto trovarsi. Lo individuò qua e là e, finalmente, rilevò un numero sufficiente di posizioni per calcolarne l'orbita esatta. Kowal chiamò il nuovo corpo celeste Chirone, come il più noto centauro della mitologia greca.
Chirone risultò avere un'orbita completamente ellittica, con un'eccentricità di 0,38 gradi. All'afelio si trova a 2 miliardi 800.000.000 di chilometri dal Sole, cioè circa alla stessa distanza di Urano. Nel novembre 1970 Chirone si trovava all'afelio, e da quel momento si sposta in direzione del Sole.
Al perielio, dove si trovava nell'agosto 1945 e dove si troverà ancora nel febbraio 1996, Chirone dista 1.270.000.000 di chilometri dal Sole, cioè un po' più vicino al Sole di Saturno.
In breve, Chirone sembra galoppare secondo l'autentico stile del centauro fra le orbite di Saturno e di Urano. Tuttavia, la sua inclinazione orbitale è di 6,9 gradi, cosicché non vi è alcun pericolo di una sua collisione con i due pianeti. Non si avvicina mai a più di 150 milioni di chilometri da Saturno e lascia Urano a una distanza notevolmente maggiore. Il suo periodo di rivoluzione è di 50,7 anni.
Chirone è stato il primo iperasteroide puro e autonomo a essere scoperto, ma ritengo che sia solo il primo di un gruppo numeroso, e quando avremo sistemato osservatori astronomici nello spazio (diciamo su Phobos o su Deimos) e avremo interamente computerizzato la nostra ricerca, li troveremo a migliaia.
FINE