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Urania - Asimov d'appendice
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VERSO LA TERRA DEI PINGUINI - Isaac Asimov
Titolo originale: Second to the skua

L'altro giorno ho visitato il Museo Nazionale Smithsoniano dell'Aeronautica e dello Spazio, a Washington, e sono rimasto colpito dalla quantità e dalla varietà di cimeli esposti, che in un certo senso rappresentano un un inno al volo spaziale.
Ho quindi cercato di immaginarmi quale sarebbe stata la reazione del lettore a un articolo che avesse descritto nei minimi particolari gli oggetti raccolti nel museo, un articolo, però, che fosse stato pubblicato nel 1938 come predizione relativa ai successivi quarant'anni.
Questo articolo avrebbe dovuto parlare di fotografie di Mercurio prese a distanza ravvicinata, di tute spaziali, di quadri comando di astronavi, di una vera nave spaziale a bordo della quale gli astronauti hanno vissuto per tre mesi consecutivi, e di molte cose ancora. Sarebbe certamente sembrato il sogno di un pazzo visionario, e con ogni probabilità qualsiasi buon realista con i piedi per terra ne avrebbe fatto oggetto di battute sarcastiche a spese della «fantascienza folle».
Eppure, la cosa più interessante che ho visto al museo non è stata la rievocazione del volo spaziale, ma quella dei due secoli precedenti, spesi per la sua preparazione. In effetti si trattava di un film intitolato «Volare», proiettato su uno schermo alto quindici metri.
Per trenta minuti ho contemplato panorami della Terra ripresi da un pallone aerostatico, da un deltaplano, da un biplano in volo acrobatico, e così via. I panorami erano visioni d'incredibile bellezza, che sapevo di non poter mai vedere dal vero, dal momento che sono deciso a non staccarmi dal suolo per nessuna ragione al mondo.
Lo spettacolo, vi chiederete, riuscì forse con la sua bellezza a farmi cambiare idea a proposito del volo? Niente affatto. Sebbene fosse tutto magnifico, stupendo, ineguagliabile, io restai seduto nella mia poltroncina, stringendone i braccioli fino a farmi male, con le budella che da sole si torcevano a formare groppi e nodi da marinaio.
È impossibile far ragionare una persona allergica alle acrobazie.
Allo stesso modo, non una delle fotografie rappresentanti la grandiosità ghiacciata dell'Antartide è mai riuscita a stimolare in me anche il più piccolo desiderio di visitare di persona il continente. Mi contento perciò di scrivere un articolo, senza mai avere visto i posti di cui parlo.

In precedenza ho raccontato la storia dell'Antartide fino alla metà dell'Ottocento, cioè fino a quando gli esploratori, avendo accumulato sufficienti nozioni sulla sua configurazione costiera, arrivarono a stabilire che la Zona Polare Meridionale era costituita da un territorio coperto di ghiacci ma di dimensioni continentali.
Tuttavia questa scoperta, mentre rappresentava un nuovo glorioso ampliamento del raggio d'azione dell'umanità (e infatti fino al diciannovesimo secolo nessun essere umano, e nemmeno un ominide, era mai arrivato in vista dell'Antartide) non fu affatto un ampliamento per quanto concerne la diffusione della vita, dato che le coste dell'Antartide e l'oceano che le bagna brulicano letteralmente di esseri viventi.
La cosa non deve sorprendere, in quanto, sebbene la maggior parte degli elementi allo stato solido diventi più solubile in acqua man mano che la temperatura si alza, la maggior parte degli elementi allo stato aeriforme diventa invece sempre meno solubile. Perciò le gelide acque delle regioni polari contengono il sessanta per cento in più di ossigeno disciolto delle tiepide acque alla superficie dell'oceano tropicale.
E poiché la vita, eccettuati alcuni batteri, dipende dall'ossigeno disponibile, nell'oceano polare prospera la vita microscopica, che a sua volta costituisce la base della vita più complessa che se ne alimenta, che a sua volta permette l'esistenza di una vita ancora più complessa, e così via.
È dunque nelle regioni polari, e particolarmente nell'Antartide, che ci si aspetterebbe di trovare una riserva di cibo ricca a sufficienza a mantenere le balene più grosse. Cosa che in effetti è: nell'Antartide si trova la balenottera azzurra, che può raggiungere il peso di centotrentamila chilogrammi ed è l'animale più grosso del pianeta.
Naturalmente le balene sono animali acquatici sotto ogni aspetto, e appartengono solo al mare, tanto che non li si può considerare davvero abitanti anche solo degli orli dell'Antartide.
Altri animali acquatici, però, non essendosi completamente assuefatti all'ambiente marino, devono tornare sulla terraferma almeno per procreare. Per alcuni di questi le coste antartiche sono proprio il territorio dove avviene la riproduzione.
Per esempio, delle quarantasette specie di foche esistenti, cinque sono originarie dell'Antartide. La più comune è la foca cancrivora (mangiatrice di granchi), che, sia detto tra parentesi, non mangia affatto granchi.
La più straordinaria è invece la foca leopardo, il carnivoro più pericoloso della famiglia. La foca leopardo divora indifferentemente uccelli e pesci di dimensioni notevoli e non ha nemici naturali, se si eccettua l'ancora più grossa e più pericolosa orca (che, dal canto suo, non è preda di alcun nemico naturale, non contando gli esseri umani).
La foca più caratteristica dell'Antartide, comunque, è la «foca di Weddell», che non abbandona mai le coste del continente, preferendo addirittura vivere sotto la banchisa. In questo mondo marino sommerso, la foca di Weddell trova pesce e calamari per il proprio nutrimento, trova calore (l'acqua può anche essere vicina al punto di congelamento, ma sarà sempre notevolmente più calda dell'aria che è a una temperatura di parecchio sotto zero), e trova anche oscurità protettrice.
La foca, ovviamente, ha bisogno di aria per respirare; quindi perfora con i denti il ghiaccio qua e là per aprire qualche sfiatatoio. Ogni tanto fa un buco largo abbastanza da passarci con tutto il corpo, e questo quando ha bisogno di salire sulla superficie della banchisa.
I maschi lo fanno di rado, dato che le foche di Weddell possono immergersi fino a seicento metri di profondità e, quando occorre, rimanere sott'acqua per quasi un'ora, anche se normalmente riemergono per respirare ogni dieci minuti, al massimo ogni mezz'ora. Le femmine, invece, devono passare molto più tempo sui ghiacci, poiché possono partorire e nutrire il cucciolo solamente fuori dell'acqua.
Le balene e le foche sono gli unici mammiferi dell'Antartide, ma, oltre a loro, nella regione vivono ben quindici specie di uccelli che volano. Quello che si trova più a suo agio è un uccello predatore, simile al gabbiano, chiamato stercorario maggiore.
La forma di vita più caratteristica della massa continentale antartica, tuttavia, è il pinguino, l'uccello che non vola.
Esistono in tutto diciassette specie di pinguini, tutte originarie dell'emisfero meridionale, ma solo due vivono realmente nell'Antartide. La più piccola è chiamata «pinguino di Adelia», dal momento che è stata trovata nella Terra Adelia. I pinguini di Adelia si riuniscono in zone di nidificazione (colonie) molto affollate, su terreno libero dai ghiacci poco addentro la costa. Gli adulti sono alti circa quarantacinque centimetri e pesano dai sei ai sette chilogrammi.
Finché i pinguini di Adelia non scendono in mare, sono abbastanza al sicuro. Ma, non essendoci niente di cui cibarsi sulla terraferma, per catturare il pesce, unico loro alimento, sono costretti a tuffarsi nell'oceano. Generalmente, appena al largo della costa stanno in agguato le foche leopardo, e i pinguini, se vogliono mangiare, devono esporsi a un costante pericolo. Inoltre, in alto nel cielo, ci sono gli stercorari che volano in tondo aspettando il momento buono per banchettare con le uova e i piccoli.
La seconda specie di pinguini dell'Antartide è il «pinguino imperatore», il più grosso di tutti. Raggiunge infatti l'altezza di oltre un metro e, talvolta, il peso di trentacinque chili. Si sono trovati fossili di pinguini, ora estinti, alti addirittura un metro e sessanta centimetri e pesanti ben centodieci chilogrammi.
Le colonie del pinguino imperatore si trovano sempre, cosa abbastanza strana, molto all'interno del continente, a volte in zone lontane dalla costa anche dagli ottanta ai centotrenta chilometri. E, dato che i pinguini sono costretti ad andare a piedi fino alle loro colonie, per farlo impiegano anche un mese o quasi di marcia. Aggiungerò che in qualche occasione sono stati avvistati dei pinguini imperatore a quattrocento chilometri dalla costa, mentre arrancavano ancora ostinatamente verso l'interno. Che si sappia, nessun altro vertebrato che si sposta al livello del suolo ha mai raggiunto un punto tanto a sud, sempre fatta eccezione per gli esseri umani e il loro intervento.
Nella loro lunga camminata, i pinguini devono procedere veloci, poiché lungo la strada non c'è cibo. Una volta arrivati alla colonia, la femmina deposita il suo unico uovo e riprende immediatamente la via del ritorno al mare e al cibo.
Il maschio, invece, si ferma a covare l'uovo. Per portare a termine questo compito, appoggia l'uovo sulla parte superiore della zampa piatta, contro una zona dell'addome totalmente nuda, ricoprendolo poi con le piume circostanti. L'uovo deve essere tenuto in questa posizione per qualcosa come sessanta giorni, durante i quali il maschio non può fare altro che continuare a digiunare, fino a quando la femmina non torna a dargli il cambio, poco prima che l'uovo si schiuda. Solo allora il maschio può tornare al mare, dove arriva dopo ben quattro mesi di digiuno totale, durante i quali ha perso dal venticinque al quaranta per cento del suo peso.
Naturalmente, per rendere sopportabile questo calo di peso, il pinguino imperatore maschio deve, in primo luogo, rimpinzarsi al massimo prima di incamminarsi con la sua caratteristica andatura ondeggiante verso la lontanissima colonia.
Se per disgrazia la compagna di un certo maschio non dovesse tornare, dato che nessun'altra femmina può sostituirla, questo maschio, arrivato a un determinato punto del calo fisico, è costretto ad abbandonare l'uovo e a tornare al mare. Questo vuol dire la morte del pulcino, che però morirebbe comunque, e con lui il genitore, anche se il padre non lo abbandonasse.
Dopo la nascita il pulcino viene infatti nutrito dalla madre con il cibo che questa ha conservato per lui nel gozzo durante tutto il tragitto di ritorno dal mare alla colonia. La quantità non è però sufficiente a far crescere il piccolo, perciò anche il padre deve tornare alla colonia per alimentarlo. Per un certo periodo, quindi, i genitori vanno a turno al mare a ingozzarsi.
Nel frattempo arriva l'estate antartica, e la banchisa della costa si spezza e si scioglie. Ormai i piccoli sono abbastanza grandi per arrivare al mare da soli. Quelli che sono sopravvissuti, intendo, perché almeno un quarto dei pulcini sono morti, sia prima sia dopo essere usciti dall'uovo.
Affinché il piccolo del pinguino imperatore sia abbastanza grande da affrontare il lungo viaggio esattamente all'inizio dell'estate, è indispensabile che la partenza dei genitori per la colonia avvenga quando l'inverno è alle porte e che il pinguino maschio covi l'uovo durante il culmine dell'inverno antartico.
In questo periodo i maschi possono al massimo muoversi un po', avanti e indietro, sempre attenti a non lasciar cadere l'uovo, ma in genere si raggruppano in un'unica massa di piume, stringendosi l'uno contro l'altro, in modo da resistere alle raffiche del vento che li investono fischiando a una velocità di centocinquanta chilometri l'ora e a una temperatura che arriva a punte minime di -60 °C. I pinguini che si trovano nel mezzo del gruppo sono naturalmente abbastanza al caldo, ma quelli ai margini devono sopportare tutta la violenza del vento. Per questo cercano di continuo di spostarsi verso l'interno e, così facendo, conferiscono all'intera massa di uccelli un lento movimento circolatorio che, prima o poi, porta ogni individuo sull'orlo esterno a subire la sua giusta dose di gelo.
Chi pensa che il pinguino imperatore, come specie, sia pazzo a condurre tale tipo di vita, tenga conto che in realtà questo uccello non ha alcuna possibilità di scelta. Soltanto le naturali pressioni dell'ambiente lo hanno costretto, molto lentamente, a occupare questa particolare nicchia ecologica o habitat, con conseguente suo adattamento sia biologico sia sociale.
E, lo crediate o no, questa nicchia ecologica ha i suoi vantaggi. Infatti l'impervietà allucinante della zona offre al pinguino imperatore all'interno della sua colonia una sicurezza quasi assoluta, poiché nessun'altra forma di vita superiore, eccettuati occasionali esseri umani, o stercorari spinti fin là dal vento, invaderà mai la nicchia.
Scrivendo questi versi in «Come vi piace», Shakespeare avrebbe potuto avere pensato proprio al pinguino imperatore intento alla cova:

Qui avrà nemici soltanto inverno e tramontana.

Le forme di vita da me citate fino a questo momento sono tutte creature marine, oppure creature che, pur riproducendosi sulla terraferma, devono contare sul mare per il nutrimento. Ci si potrebbe quindi chiedere: nell'Antartide esistono organismi terrestri sotto ogni aspetto, cioè organismi che non dipendono in alcun modo dal mare?
Se l'Antartide fosse interamente ricoperta di solido ghiaccio perenne, la risposta sarebbe no, poiché la vita, per esistere, ha bisogno di acqua allo stato liquido.
Ma le cose non stanno così: lungo le coste, l'Antartide ha zone di terra nuda, la più estesa delle quali si trova nello Stretto di McMurdo, al margine orientale della Piattaforma di Ross, dove risulta scoperta una superficie di terreno lunga centocinquanta chilometri e larga da quindici a venticinque, grande pressapoco come lo stato di Rhode Island.
Anche nell'interno del continente ci sono «oasi» di terreno senza ghiacci. Alcune cime sono tenute sgombre dal vento, e dal cielo se ne vede la nuda roccia, così come qualche piccola zona, qua e là, in fondo alle valli.
Il territorio scoperto dell'Antartide, mettendo insieme le varie «oasi», assomma a circa settemilacinquecento chilometri quadrati, corrispondenti grosso modo alla superficie di Portorico, in una distesa totalmente coperta di ghiacci di quattordici milioni di chilometri quadrati, cioè circa una volta e mezzo gli Stati Uniti.
A titolo di curiosità, la zona di terra scoperta più a sud di tutto il pianeta si trova sul Monte Howe, a soli duecentosessanta chilometri dal Polo Sud.
Alcune di queste «oasi» contengono un lago, generalmente molto piccolo, che conserva acqua allo stato liquido durante tutto l'inverno antartico, forse a causa di fughe di calore dal sottosuolo. Uno di questi laghi, lo stagno di San Juan, ha una superficie di circa duemila metri quadrati e una profondità media di quindici centimetri o poco più.
I batteri, ovviamente, riescono a vivere ovunque esista la sia pur minima possibilità di sopravvivenza, ed è quindi una specie di batteri quella che è stata scoperta nello stagno di San Juan. Oltre alla sua posizione geografica poco invidiabile, lo stagno è saturo di clorito di calcio, il che lo aiuta a rimanere allo stato liquido, in quanto, se si aggiunge all'acqua del clorito di calcio, se ne abbassa notevolmente la temperatura di congelamento.
Oltre ai batteri ci sono, in tutto, circa duecento specie di alghe d'acqua dolce che crescono in località dell'Antartide in cui è presente acqua allo stato liquido. In alcuni casi queste alghe si allungano anche sulla neve circostante. Dove c'è terreno scoperto si possono trovare alcune delle quattrocento specie di licheni e delle settantacinque specie di muschi esistenti sul continente.
Nella Penisola Antartica, la stretta striscia di terra che si allunga verso nord fin oltre il Circolo Polare Antartico, ci sono persino due specie di piante fiorifere. Una è una varietà di erba, l'altra una stretta parente del garofano.
Qualche lichene è stato individuato sulla nuda roccia a quattrocentoventicinque chilometri dal polo: per quanto ne sappiamo, questa è la forma di vita terrestre di tipo spontaneo più vicina al Polo Sud.
Dove è presente la vita vegetale, è inevitabile che sia presente anche quella animale. Tuttavia una flora del tutto insignificante, come quella che ho descritto, non può tenere in vita nell'Antartide niente di più grosso di animali minuscoli. E infatti gli unici animali terrestri originari del continente sono settanta specie di moscerini e insetti primitivi, il più grosso dei quali è una mosca priva di ali, lunga mezzo centimetro. Un tipo di insetto è stato localizzato a soli seicentottanta chilometri dal polo. Nessun altro animale terrestre è mai stato tanto vicino al Polo Sud, escludendo ogni intervento umano.

Torniamo ora all'espansione umana nell'Antartide.
Fino alla fine del diciannovesimo secolo non avvenne alcun vero sbarco sul continente nelle regioni situate all'interno del Circolo Polare Antartico. John Davis, un marinaio americano, aveva sì messo piede sulla Penisola Antartica nel 1821, ma il punto in cui era sbarcato si trova, strettamente parlando, nella Zona Temperata Meridionale.
Nell'estate antartica 1894-95, tuttavia, una baleniera norvegese al comando di Leonard Kristenson avvistò la Terra Vittoria che delimita a ovest il Mare di Ross, e vi sbarcò una spedizione il 23 gennaio 1895. Furono questi i primi esseri umani che misero effettivamente piede sul suolo continentale a sud del Circolo Polare Antartico.
Della spedizione faceva parte il norvegese Carsten E. Borchgrevink che, con altri nove uomini, tornò nell'Antartide nel 1898 e vi passò l'inverno. E questa fu la prima volta che l'uomo rimase nell'Antartide per un lungo periodo di tempo, dato che fino a quel famoso inverno l'esplorazione del nuovo continente era stata sempre effettuata con le navi. Borchgrevink si mise invece gli sci e partì verso sud, per il primo tentativo di penetrazione via terra. Il 16 febbraio del 1900 raggiunse un punto a 78,8 ° di latitudine Sud, cioè più a sud di quanto fossero mai riuscite ad arrivare le navi, a solo millecentoquaranta chilometri dal Polo Sud.
L'impresa di Borchgrevink stimolò l'ambizione di altri esploratori, e varie spedizioni con Slitte come mezzi di trasporto partirono per l'Antartide, avendo per meta finale, ovviamente, il Polo Sud.
Nel 1902 Robert Falcon Scott, un esploratore britannico, guidò una di queste spedizioni attraverso la Piattaforma di Ross, e il 13 dicembre 1902 raggiunse gli 82,28 ° Sud, a soli ottocento chilometri dal Polo Sud.
L'uomo era dunque arrivato più vicino al Polo Sud di ogni altro vertebrato terrestre, e Scott e i suoi avevano fatto meglio di qualunque pinguino imperatore, anche del più resistente e coraggioso.
Uno dei compagni di Scott, Ernest Shackleton, fece un secondo tentativo di raggiungere il Polo Sud nell'estate antartica 1908-09. Il 9 gennaio 1909 la spedizione da lui comandata, formata da quattro uomini, ognuno dei quali trascinava la propria slitta, riuscì a raggiungere gli 88,38 ° Sud, a soli centocinquantacinque chilometri dal polo. Nemmeno il più piccolo insetto si era mai spinto tanto vicino al Polo Sud.
Shackleton e i suoi avevano battuto ogni record stabilito in precedenza da qualsiasi forma di vita terrestre, pianta o animale che fosse. Avevano però mancato il bersaglio, essendo stati costretti a tornare indietro quando avevano capito che non gli sarebbero rimaste scorte di cibo sufficienti per il viaggio di ritorno, se avessero continuato ad avanzare.
Ormai era arrivato il momento dello sforzo finale. In lizza c'erano due candidati. Uno era ancora Scott, il secondo era il norvegese Roald Amundsen.
Amundsen puntò tutto sui cani. Partì il 20 ottobre del 1911 con cinquantadue cani attaccati alle slitte, e la sua fu una decisione intelligente in quanto non ebbe bisogno di portarsi dietro molto cibo. I cani sono infatti animali carnivori, perciò, man mano che avanzava, Amundsen uccise i più deboli per nutrire quelli più resistenti. Grazie a questo e al fatto che le slitte trainate dai cani sono più veloci di quelle spinte dall'uomo, non corse mai il pericolo di essere costretto a tornare indietro per mancanza di cibo.
Amundsen raggiunse il Polo Sud il 14 dicembre 1911, vi lasciò il proprio segno di riconoscimento e riprese subito la via del ritorno. C'era troppo rischio a indugiare: si affrettò verso la costa e la salvezza, che raggiunse il 21 gennaio 1912, quando gli restavano ancora dodici cani e cibo in abbondanza. La sua spedizione non aveva dovuto lamentare nessuna perdita umana.
Scott organizzò la propria in modo diverso. Disponeva di un numero inferiore di cani, ma in compenso aveva dei pony e qualche slitta a motore. Partì verso l'interno il 24 ottobre 1911, quattro giorni dopo Amundsen.
Le slitte a motore sarebbero state perfette per questa impresa, se avessero funzionato; ma si era nel 1911 e il progresso tecnico non era ancora all'altezza. Tutti i motori si guastarono in brevissimo tempo.
Poi anche i pony si dimostrarono un errore tattico: essendo animali erbivori fu necessario portarsi dietro una quantità di foraggio, che tuttavia si esaurì quando mancavano ancora ottocento chilometri alla meta. Le bestie dovettero essere uccise. La carne dei cavalli sarebbe potuta servire per nutrire i cani, ma questi non erano in numero sufficiente allo scopo, e furono mandati indietro insieme ad alcuni uomini. Gli ultimi seicentocinquanta chilometri dovettero quindi essere percorsi spingendo le slitte.
Alla fine, il 17 gennaio 1912, Scott con quattro compagni raggiunse il Polo Sud, dove trovò il segnale di Amundsen. Il norvegese era arrivato lì cinque settimane prima di loro. I cinque uomini furono costretti a riprendere la via del ritorno verso la costa, senza animali e con provviste pericolosamente scarse. Uno morì poco dopo l'inizio del viaggio di ritorno e un secondo, L. E. G. Oates, sentendosi mancare le forze, si allontanò volontariamente nella neve e nel gelo per morire, e non essere così di peso agli altri.
Gli ultimi tre avrebbero potuto farcela, ma una tempesta di neve, che li colse quando si trovavano a soli diciotto chilometri dalla salvezza, li bloccò nella loro tenda. Giorno dopo giorno si tennero pronti a compiere l'allungo finale, ma la tempesta continuò a infuriare. Durò nove giorni, durante i quali i tre morirono uno dopo l'altro di fame e di freddo. Si era attorno al 29 marzo del 1912. L'ultima annotazione che compare nel diario di Scott, dice semplicemente: «È un peccato, ma non credo che riuscirò a scrivere ancora».
Eppure, anche se alla fine ha raggiunto il Polo Sud, l'uomo, come specie, è arrivato soltanto secondo, proprio come Scott.
Per essere precisi, l'uomo, insieme ai suoi cani e ai suoi parassiti, fu il primo organismo terrestre a mettere piede al polo, ma non tutti gli organismi del nostro pianeta sono vincolati al suolo.
Gli stercorari, col loro volo radente, incrociano nei cieli di tutto il continente antartico, ed è quindi inevitabile che almeno una volta uno stercorario maggiore sia passato sopra il Polo Sud. Questi uccelli sono dunque l'unica specie animale vivente che abbia raggiunto il Polo Sud indipendentemente dall'uomo, e senza alcun dubbio lo hanno fatto per primi.
Così, per quanto grandi siano le imprese da lui compiute, l'uomo, in questo caso, è arrivato secondo dopo lo stercorario maggiore.

Aspettate, però: c'è un'altra cosa da dire. Abbiamo finora parlato della Terra così com'è adesso. Ma, mentre il Polo Sud, anche tenendo conto dei suoi spostamenti regolari, dovuti alla precessione degli equinozi, alla nutazione, e così via, si trova dov'è adesso, rispetto al Sole, da almeno quattro miliardi di anni, l'Antartide non è sempre stata li.
Geologicamente, la crosta terrestre è suddivisa da profonde spaccature in circa una dozzina di zolle di grandi dimensioni, a cui una spinta interna, data forse dalla lentissima circolazione della materia al di sotto del mantello, autoindotta dal calore ivi esistente, fa cambiare continuamente posizione. Queste zolle si allontanano l'una dall'altra lungo determinate linee di giunzione, dove il magma fuoriesce a formare le zone vulcaniche, o urtano l'una contro l'altra lungo altre determinate linee di giunzione, dove formano le catene montuose, oppure scivolano l'una sotto l'altra, formando così le fosse oceaniche.
E sulle zolle ci sono le piattaforme continentali di granito che galleggiano sul mare di basalto sottostante. Lentamente, i continenti si avvicinano e si allontanano l'uno dall'altro, e una volta ogni tanto (in termini di tempo geologico, ovviamente) si fondono insieme in modo da formare un unico supercontinente chiamato «Pangea» (termine greco che significa «tutta terra»).
La Pangea più recente si formò circa duecentoventicinque milioni di anni fa, e a quel tempo entrambi i poli erano coperti dalle acque dell'oceano. Quello che adesso è l'Oceano Antartico era una distesa di ghiacci simile all'attuale Oceano Artico, sotto la quale senza dubbio prosperava una vita marina molto varia. Di conseguenza una miriade di forme animali deve aver preceduto al Polo Sud sia lo stercorario maggiore, sia l'uomo.
Poi la Pangea si frantumò, e le sue parti, trasportate da zolle differenti, si separarono (deriva dei continenti). Circa quaranta milioni di anni fa un frammento di Pangea si suddivise ulteriormente negli attuali Madagascar, Australia, India e Antartide. L'India prese la direzione nord, entrando alla fine in collisione con l'Asia e provocando la formazione della grande catena montuosa dell'Himalaya lungo la linea di contatto. L'Antartide si spostò invece verso sud, andando incontro al suo destino di gelo.
Tuttavia l'Antartide, prima di sorpassare il Circolo Polare Antartico e arrivare a coprire il Polo Sud, per alcuni milioni di anni godette di un clima temperato. Nei giorni in cui sulla Terra regnavano gli anfibi e i rettili primitivi facevano la loro comparsa, doveva brulicare letteralmente di vita.
Lo stesso Scott, tragicamente secondo nella conquista del Polo Sud, nel 1903 si era imbattuto nella Terra Vittoria in un giacimento di carbone, e dove oggi si trova il carbone una volta c'era una rigogliosa vita vegetale. Questo fatto prova da solo che un tempo l'Antartico era un oceano caldo, oppure che l'Antartide non è sempre stata nell'Antartico. Per mezzo secolo, a riscuotere il maggior numero di consensi è stata la prima delle due ipotesi, ma in questi ultimi vent'anni ci si è convinti che quella esatta è la seconda.
E poi il processo di formazione del carbone richiede necessariamente la presenza della vita. Nei giacimenti antartici vennero trovati tronchi d'albero fossili e, sulle rocce, impronte di foglie. Queste ultime erano chiare a sufficienza da stabilire che si trattava di foglie di «glossopteris», una pianta che prosperava nelle giungle tropicali dell'Africa e dell'America del Sud duecentoventicinque milioni di anni fa.
Dove esistono le piante, esiste anche la vita animale, ma l'Antartide non è un territorio dei più felici per la ricerca paleontologica. Il terreno in cui sarebbe possibile rinvenire i fossili è ricoperto di uno strato di ghiaccio di qualche chilometro di spessore, anche se per fortuna non è così dappertutto.
Nel dicembre del 1967 il geologo neozelandese Peter J. Barrett si imbatté sul Picco Grafite in qualcosa che sembrava un ciottolo, ma che in seguito si rivelò essere un frammento di osso, identificato alla fine come una parte del teschio di un anfibio primitivo chiamato «labirintodonte». Altri specialisti andarono a saggiare la zona, e nel marzo del 1968 un paleontologo americano, Edwin H. Colbert, scoprì in un dirupo a circa cinquecentoventi chilometri dal Polo Sud la mascella inferiore di un labirintodonte, in mezzo a piante di palude fossili.
Questa mascella risultò molto simile ad altre rinvenute in Africa, nel Madagascar e in Australia, e tenendo conto che il labirintodonte era un anfibio d'acqua dolce e che quindi non avrebbe potuto attraversare gli oceani, la sua presenza nei diversi continenti dimostra che un tempo le terre emerse erano unite in un solo blocco, e offre così la prova migliore che la deriva dei continenti è realmente avvenuta.
Nel 1969, a circa seicentocinquanta chilometri dal Polo Sud, vicino al promontorio Coalsack, vennero scoperti frammenti fossili di un piccolo rettile simile all'ippopotamo, chiamato «lystrosauro». Poi, il 10 novembre 1970, James Colinson trovò nell'Antartide il primo fossile completo di vertebrato, un «cinodonte», che era un rettile dall'aspetto di mammifero.
È ovvio pertanto che, per quanto desolata sia oggi, un tempo l'Antartide era ricca di vita, e che di conseguenza se potessimo scavare nel punto esatto corrispondente al Polo Sud, dove l'uomo è arrivato con tanta fatica, scopriremmo che la meta era già stata raggiunta da un gran numero di creature, di cui restano i fossili, che perciò hanno anticipato di molto sia lo stercorario maggiore sia l'uomo.
Ma queste creature scomparse da tempo immemorabile non sono mai arrivate al Polo Sud con mezzi propri: è stata l'Antartide che, avanzando lentamente tra i ghiacci, le ha portate fin lì.

FINE