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Urania - Asimov d'appendice
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CINQUANTA MILIONI DI FRATELLI - Isaac Asimov
Titolo originale: Fifty millions big brothers

Nel compilare l'elenco degli articoli che ho scritto per una rivista negli ultimi vent'anni, mi sono accorto che sette, tra i primi, non sono mai stati pubblicati in volume.
E questo perché, per un motivo o per l'altro, non ero soddisfatto di quello che avevo scritto.
Malgrado ciò, il lasciare le cose in sospeso urta contro il mio senso dell'ordine e della precisione. Infatti, anche se un certo articolo a suo tempo mi era sembrato insoddisfacente, se l'argomento trattato non era del tutto insignificante perché non tentare di riscriverlo, dopo un conveniente lasso di tempo, cercando di fare meglio?
Nel settimo e ultimo dei miei articoli non raccolti esaminavo la possibilità che in qualche parte dell'universo esistesse vita intelligente.
A guardare bene, questo è un argomento che non ha affatto perso di interesse nonostante gli anni trascorsi. Anzi, di recente la NASA ha avanzato la proposta di dedicare cinque anni di tempo e venti milioni di dollari alla ricerca di segnali nello spazio che non siano né perfettamente regolari né del tutto casuali, e che perciò potrebbero essere originati da esseri intelligenti.
Quali sono le probabilità di successo di una tale ricerca?
Mi sia consentito di celebrare l'inizio del mio ventunesimo anno di attività come scrittore di articoli divulgativi, con questo argomento.
Per arrivare a dare una risposta alla mia domanda sulle probabilità di riuscita della ricerca della NASA, sarò costretto ad avanzare parecchie ipotesi, considerandole come postulati. Prenderò in considerazione le due più importanti e forse maggiormente discutibili. Eccole.

1) La sola vita esistente è la vita-come-noi-la-conosciamo, vale a dire la vita basata sugli acidi nucleici e sulle proteine che reagiscono e interagiscono con un ambiente formato prevalentemente da acqua. In realtà questa non è un'ipotesi molto restrittiva. La nostra esperienza sulla Terra ci ha dimostrato che solo sul nostro pianeta è esistita una enorme varietà di forme di vita (dieci milioni di specie con una sconcertante serie di differenze superficiali), ognuna delle quali sostanzialmente simile all'altra sul piano biochimico. Senza dubbio, il numero delle varietà possibili è sufficiente da consentire l'esistenza di un'uguale serie di specie viventi su ogni pianeta di ogni stella dell'universo, senza che con questo esistano in nessun posto due specie esattamente identiche.
Ma perché non potremmo ammettere anche l'esistenza variazioni dello schema di base? Un ambiente formato da ammoniaca liquida, o da siliconi liquidi, o da idrogeno liquido? Oppure molecole complesse di fluorocarburi o di silicati? O ancora, come conseguenza di questi ambienti particolari, perché non ammettere una vita di tipo gassoso o di tipo solido, o al livello delle radiazioni nucleari, o addirittura una forma di vita fatta di pensiero puro?
È ovvio che potremmo postulare l'esistenza di tutte queste variazioni, se proprio lo volessimo, ma non avremmo la benché minima prova per riconoscerla.
Ora, avanzare supposizioni senza il supporto di alcuna prova significa ottenere qualcosa di talmente caotico e aleatorio da rendere accettabile qualsiasi risposta. E quando ogni risposta è accettabile, tutte le risposte, senza eccezioni, sono prive di significato.
L'ipotesi numero 1, invece, è valida e utile perché così possiamo escludere a priori dalla nostra ricerca ogni ambiente incompatibile con il nostro tipo di vita. Il che ci permette di eliminarne molti per motivi noti a tutti, e di conseguenza ci conduce a dare significato definitivo alle nostre conclusioni.

2) La situazione esistente sulla Terra rappresenta la norma. Il nostro pianeta non ha in alcun modo seguito un'evoluzione anomala, né avvantaggiandosi per mutamenti incredibilmente propizi, né rimanendo vittima di mutamenti altrettanto incredibilmente avversi.
Tenete presente, però, che anche questa è una supposizione, dato che non abbiamo motivo di pensare che la situazione della Terra sia la norma. E, d'altra parte, non abbiamo nemmeno alcun motivo di pensare che non lo sia. A ogni modo, se la Terra è la norma, siamo in grado di fare alcune valutazioni precise. Qualora invece non lo fosse, incontreremmo tali e tante difficoltà per stabilire lungo quali vie e in quale misura se ne è discostata che, di nuovo, potremmo giungere a qualsiasi conclusione, cioè a niente di concreto.

E adesso cominciamo. In base all'ipotesi-presupposto numero 2, possiamo stabilire che la vita deve cominciare, come è stato nel nostro caso, nelle vicinanze di una stella in grado di fornire l'energia necessaria alla formazione e alla conservazione della vita stessa. In base all'ipotesi-presupposto numero 2, possiamo stabilire anche che la stella in questione deve avere caratteristiche simili a quelle del Sole, poiché solo in questo modo la nostra forma di vita può conservarsi.
Il Sole è una stella di dimensioni medie, dato che nel cielo ci sono stelle fredde o fioche con una massa pari a solo un cinquantesimo di quella del Sole, e ce ne sono di caldissime e brillanti, con una massa pari a oltre 50 volte quella del Sole.
Un astro con una massa di dimensioni minori irradia ben poca energia, in confronto a quella irradiata dal Sole, e perciò, per ricevere da una stella piccola energia sufficiente ai bisogni della vita, un pianeta dovrebbe trovarsi in un'orbita vicinissima al suo primario, dovrebbe cioè ruotare intorno alla stella a una distanza forse inferiore ai 150.000 chilometri.
Ora, mentre la quantità di energia irradiata varia in proporzione inversa al quadrato della distanza, il fenomeno delle maree varia in proporzione inversa al cubo della distanza. Questo significa che quando un pianeta si è avvicinato alla propria stella abbastanza da riceverne l'energia di cui abbisogna, si è da tempo avvicinato a sufficienza da subire le conseguenze di un potentissimo effetto di marea: la sua rotazione è stata rallentata fino a rivolgere alla stella sempre la stessa faccia, cioè il pianeta ha finito per avere un emisfero torrido e uno ghiacciato e, probabilmente, ben poco che somigli a un'atmosfera.
Un astro con una massa di dimensioni molto maggiori di quelle del Sole ha un periodo di vita molto breve nella sequenza principale, tra il momento in cui si forma e quello in cui si espande fino a diventare una gigante rossa. La nostra esperienza sulla Terra, invece, ci suggerisce che è necessario un periodo di tempo molto lungo perché le specie intelligenti si sviluppino e, se questo è più o meno vero dappertutto (ipotesi-presupposto numero 2), allora è inutile aspettarsi vita intelligente nelle vicinanze di una stella calda e di grandi dimensioni.
Tutto questo ci porta, alla fine, a cercare soltanto stelle molto simili al Sole, la cui massa non sia inferiore di 0,4 volte né maggiore di 1,5 volte quella del nostro astro.
A questo punto sorge la domanda: quante stelle simili al Sole esistono nell'universo?
È difficile dare una risposta, perché in realtà non sappiamo neppure quante stelle in assoluto esistano nell'universo. Le stelle sono infatti raggruppate in galassie, e i nostri telescopi ce ne mostrano sì molti milioni, ma indubbiamente ce ne sono altri milioni o miliardi che non possiamo vedere. La stima più generosa che io sappia essere stata fatta circa il numero delle galassie esistenti nell'universo parla di 100 miliardi di unità, nel qual caso il numero totale delle stelle dovrebbe essere dell'ordine di grandezza di migliaia di miliardi di miliardi, con un ampio margine di incertezza dovuto alla nostra conoscenza piuttosto vaga del reale numero di galassie esistenti.
Onde ottenere una cifra maggiormente valida e precisa, limitiamoci a prendere in esame la nostra sola galassia, la Via Lattea, e questo per il semplice motivo che possibili forme di vita intelligente esistenti in altre galassie si troverebbero a una distanza da noi compresa tra i milioni e i miliardi di anni luce. Le forme di vita intelligenti all'interno della nostra galassia si troverebbero, invece, al massimo a una distanza di 150.000 anni luce.
È perciò più logico supporre che per noi abbiano maggiore importanza le forme di vita intelligente appartenenti alla nostra, piuttosto che ad altre zone dell'universo.
Inoltre, qualunque sia la conclusione cui arriveremo in merito alla nostra galassia, essa sarà mediamente valida anche per tutte le altre galassie, grazie a una naturale estensione dell'ipotesi-presupposto numero 2.
Concentriamo dunque la nostra attenzione sulla Via Lattea. La sua massa totale, secondo l'ultima stima di cui ho avuto notizia, è 200 miliardi di volte quella del nostro Sole. Un terzo di essa è costituito da polvere e gas cosmici, e di conseguenza l'insieme delle stelle della Via Lattea ha una massa pari a 140 miliardi di volte quella del Sole. Dato che la massa delle stelle simili al Sole è soltanto un decimo circa di quella totale (in altre parole corrisponde a 140 miliardi di Soli) e che le stelle simili al Sole, considerate una per una, hanno circa la sua stessa massa, ne deduciamo che nella nostra galassia esistono 14 miliardi di stelle dello stesso tipo del Sole.

Una cosa che non ho fatto nel precedente articolo su questo stesso argomento, è stata quella di tenere conto della posizione nella Via Lattea delle stelle simili al Sole, dal momento che quando lo scrissi, nel 1963, qualsiasi zona della nostra galassia pareva avere le stesse probabilità di ospitare o non ospitare la vita.
Oggi non la pensiamo più così.
Nel 1963 le quasar, appena scoperte, erano ancora un mistero totale. Anche oggi, sia chiaro, il mistero non è stato risolto, ma si va diffondendo sempre più l'opinione che le quasar siano galassie con un centro estremamente attivo e luminoso. Sono talmente lontane da noi che non possono essere riconosciute nemmeno con i nostri telescopi più potenti, ma il loro centro risplendente è visibile in tutto il mondo come una stella poco luminosa. Sarebbero anche state scambiate per questo semplice corpo celeste, se non avessimo ottenuto le prove rivelatrici delle loro emissioni di microonde e del loro enorme spostamento verso il rosso.
Ma se le quasar sono centri galattici che risplendono con la luce di un centinaio di galassie normali (e devono senz'altro esserlo, per risultare visibili alle enormi distanze comprese fra 1 e 10 miliardi di anni luce), qualcosa di particolarmente insolito e violento deve succedere al loro interno.
Per dire la verità è opinione diffusa che il centro di qualunque galassia sia un posto tremendo e inospitale, tanto che anche nella Via Lattea esiste verso il centro una sorgente molto attiva di microonde, racchiusa in un'area estremamente piccola. Un'interpretazione drammatica di questo fatto può essere quella che suppone l'esistenza di un mostruoso buco nero nelle regioni galattiche centrali, un buco nero con una massa pari a 100 milioni di Soli, cioè a 1/2.000 della massa dell'intera Via Lattea. Naturalmente il buco nero è in fase di espansione e potrebbe inghiottire interi sistemi stellari, qualora il loro moto a spirale li portasse troppo vicino all'enorme voragine che tutto ingloba.
Può anche darsi che i buchi neri si formino naturalmente in qualunque zona la densità delle stelle sia molto alta, com'è ad esempio nel centro di ogni galassia, e in misura minore nel centro degli ammassi globulari. È stato persino supposto che le galassie stesse si formino proprio intorno ai buchi neri, ovvero che ogni galassia sia un disco che aumenta progressivamente di volume attorno a un buco nero.
Comunque, buchi neri o no, le prove sempre più inconfutabili di attività violenta nei centri galattici, il nostro compreso, farebbero pensare che il nucleo di ogni galassia sia del tutto inospitale per la vita. Il livello di radiazioni presenti sarebbe infatti troppo elevato.
Questo significa che la vita dovrebbe essere possibile unicamente nelle tranquille regioni periferiche della Via Lattea, nei bracci esterni della spirale, dove si trova anche il nostro Sole. E poiché circa il 90 per cento della massa della galassia è situata nel nucleo e solo il 10 per cento nei bracci della spirale, ne deduciamo che il numero di stelle simili al Sole, potenzialmente in grado di ospitare la vita, è soltanto un decimo del totale delle stelle, ovvero 1 miliardo e 400 milioni.

Ovviamente una stella non può sostentare la vita a meno che non abbia un pianeta su cui questa vita possa avere origine. E, in base alle teorie attuali secondo le quali un pianeta si formerebbe dalla condensazione di una nube di polvere e gas cosmici, sembrerebbe evidente che i pianeti nascessero contemporaneamente alla loro stella, nelle regioni periferiche della stessa nube.
Quanto ho appena detto corrisponderebbe alla realtà se ogni nube di polvere e gas cosmici si condensasse a formare una sola stella. Ma è abbastanza comune che una nube si condensi in due stelle, formando così un sistema binario o una «binaria». A sua volta, inoltre, una binaria può essere associata a una o due altre stelle, oppure a una o due altre binarie. Comunque, le binarie si trovano sempre molto lontane da ogni eventuale stella loro associata, e perciò, per quello che riguarda la formazione dei pianeti, non è necessario prendere in considerazione le associazioni più complesse di una binaria.
Quando le stelle di una binaria sono a loro volta separate da una notevole distanza, ognuna delle due può avere un proprio sistema planetario, che viene influenzato dall'altra stella soltanto in maniera trascurabile. Quando invece sono molto vicine tra loro, ogni pianeta che si forma nelle vicinanze dell'una è destinato ad avere un'orbita talmente instabile per l'influenza dell'altra da non poter avere un'esistenza duratura, mentre ogni pianeta che si formasse attorno a entrambe le stelle, considerate come un unico punto di attrazione gravitazionale, verrebbe a trovarsi talmente distante da ambedue da non ricevere sufficiente energia per dare origine alla vita.
Forse la metà delle stelle esistenti sono componenti di una binaria, e di esse, la metà sono componenti di una binaria le cui due stelle sono molto vicine l'una all'altra e che perciò, anche se avessero pianeti, non sarebbero pianeti del tipo compatibile con la vita.
Concludendo, soltanto i tre quarti circa delle stelle simili al Sole, potenzialmente in grado di sostentare la vita, possiedono sistemi planetari potenzialmente in grado di dare origine alla vita. E il numero totale di questi sistemi planetari esistenti nella nostra galassia è di circa un miliardo tondo.

Un sistema planetario, però, potrebbe essere potenzialmente in grado di ospitare la vita, e tuttavia non avere in realtà un pianeta in grado di farlo.
Il nostro sistema planetario, evidentemente, è in grado di ospitare la vita, eppure solo sulla Terra esistono esseri viventi. Sulla Luna, come abbiamo già potuto constatare, non ce ne sono di sicuro, e quasi certamente non ce ne sono nemmeno su Marte, per quello che le nostre macchine hanno potuto vedere. Su tutti gli altri pianeti, in base all'ipotesi-presupposto 1, l'ambiente è ostile a sufficienza da far ritenere quasi certa l'impossibilità di ospitare la vita.
Oltre a ciò, la stessa Terra avrebbe potuto essere inabitabile, se fosse stata solo un po' più piccola o più grossa di quello che è, ovvero un po' più vicina o più lontana dal Sole, o ancora se la sua orbita intorno al Sole fosse stata appena un po' più eccentrica, o il suo periodo di rotazione un po' più lungo, o il suo asse avesse avuto un'inclinazione leggermente più accentuata.
In relazione a queste considerazioni, quindi, l'ipotesi-presupposto numero 2 che la situazione esistente sulla Terra rappresenta la norma non può più essere sostenuta. Ogni variazione di una certa consistenza nelle dimensioni, nella struttura, nella posizione o nella traiettoria della Terra, avrebbe peggiorato le cose. Ammettiamo pure che questa sia una difficoltà soltanto apparente, dal momento che la vita si è adattata alla situazione esistente sulla Terra quale essa è; tuttavia, considerato che il sistema acidi nucleici-proteine è estremamente fragile, è difficile credere che sotto l'apparente difficoltà non ci sia anche qualcosa di vero. In definitiva, Venere, Marte e la Luna, pur essendo mondi non eccessivamente diversi dalla Terra, non ospitano la vita. Ma allora, se la Terra non è la norma, bensì un caso estremo particolarmente favorevole, potremmo supporre che in ogni sistema planetario in grado di ospitare la vita ci sia un pianeta simile alla Terra, come nel caso del Sistema Solare? No, sarebbe il colmo di un ottimismo inammissibile.
Sarebbe però un eccesso di pessimismo altrettanto inammissibile, supporre che non esista in assoluto nemmeno un pianeta potenzialmente in grado di accogliere la vita e che, in tutta la galassia, solo qui sulla Terra abbiamo un pianeta che ha la fortuna di possedere esattamente tutte le condizioni ottimali per la vita (o anche condizioni tanto vicine a quelle ottimali da non fare alcuna differenza).
Più probabilmente la verità sta nel mezzo, cioè in ogni sistema planetario ci sono in media da 0 a 1 pianeta simile alla Terra; ma dove, esattamente?
Non c'è modo di saperlo. Possiamo soltanto supporlo, e la mia supposizione personale è che esista un pianeta simile alla Terra ogni dieci sistemi planetari.
Per quanto dirò in seguito, questa supposizione può essere chiamata ipotesi-presupposto numero 3, sebbene sia molto meno onnicomprensiva delle prime due.
A ogni modo, se la diamo per certa, il numero dei pianeti simili alla Terra, e perciò adatti alla vita, esistenti nella Via Lattea, sarà di un miliardo per 0,1, cioè di 100 milioni.

Un pianeta, però, potrebbe essere adatto alla vita, e tuttavia non ospitarla.
Si è spesso tentati di considerare la vita come qualcosa di miracoloso, il prodotto di una creazione divina. Anche i relativamente pochi individui disposti a credere che la vita sia il risultato di una concatenazione accidentale di atomi, possono rimanere talmente impressionati dalla complessità e versatilità estreme della vita attuale da convincersi che le probabilità di tale origine accidentale siano incredibilmente poche. Possono persino arrivare a sospettare che, per quanti pianeti di tipo terrestre esistano nell'Universo, la vita sia comparsa soltanto sulla Terra.
A me pare invece che anche questo sia un inammissibile eccesso di pessimismo e, per dimostrarvelo, ve ne darò subito una prova derivata dall'osservazione diretta.
A partire dal 1955 i chimici hanno eseguito esperimenti con miscele di elementi semplici del genere di quelli che si ha ragione di ritenere esistessero sulla Terra nelle ere primordiali, prima della comparsa della vita. Sottoponendo queste miscele all'azione dei vari tipi di energia cui era sottoposta la Terra in quei tempi, cioè energia proveniente dal Sole, dal calore vulcanico, dai fulmini e dalla radioattività, in un periodo calcolabile in giorni o settimane, si sono ottenuti composti chimici più complessi. E agendo su questi composti chimici più complessi si sono ottenuti composti ancora più complessi.
D'accordo: anche il prodotto chimico più complesso ottenuto con questo sistema è lontanissimo dalla forma di vita più semplice oggi conosciuta, ma la direzione è quella giusta. Si è riusciti a formare gli amminoacidi, i nucleotidi, l'adenosintrifosfato e persino molecole simili alle proteine. E se noi possiamo fare questo dentro una bacinella nel giro di poche settimane, che cosa potrà essere successo in un oceano nel giro di un milione di anni?
E qui non ci troviamo di fronte all'innocua mania di scienziati che potrebbero inconsciamente avere sistemato le cose in modo che l'esperimento ottenesse il risultato più sensazionale. Negli anni settanta, in alcune meteoriti di una varietà di condrite carboniosa, appena precipitate, vennero rinvenuti composti organici di moderata complessità, che si erano evidentemente formati in assenza di vita e che, nonostante questo, stavano procedendo nella giusta direzione anche se nessuno scienziato gliel'aveva indicata.
In realtà, persino nelle immense nubi di polvere cosmica vaganti tra le stelle, grazie a collisioni del tutto casuali, gli atomi si riuniscono a formare molecole che ne contengono fino a nove (come è stato rilevato, almeno a tutt'oggi), procedendo anche loro, seppure confusamente, nella direzione della vita.
Abbiamo quindi tutte le ragioni di pensare che, date condizioni simili a quelle terrestri e una composizione chimica pure simile a quella della Terra, gli esseri viventi non possano non comparire, alla fine. La vita non ha, dunque, un'origine miracolosa, al contrario. Sarebbe molto più miracolosa la sua totale mancanza.
Ma, aspettate. Quanto tempo occorre per arrivare «alla fine»?
Sulla Terra i fossili più antichi (secondo il concetto che si ha comunemente dei fossili) hanno un'età di circa 600 milioni di anni, ma la Terra, intesa come corpo solido, ha quattro miliardi e seicento milioni di anni, cioè dei primi quattro miliardi di anni non resta alcun fossile. C'è voluto dunque tanto tempo alla vita, per formarsi sulla Terra, anche nelle condizioni apparentemente ideali del nostro pianeta? E un insignificante scostamento dalle condizioni ideali non provocherebbe forse un aumento del tempo necessario alla nascita della vita, o addirittura un impedimento alla sua nascita?
No, perché tenendo conto soltanto dei dati precedenti, sottovaluteremmo l'età che ha la vita sulla Terra. Infatti, i fossili più antichi che si ritrovano in rocce di 600 milioni di anni, sono fossili di organismi già molto complessi, organismi abbastanza grandi da essere visibili a occhio nudo e facilmente riconoscibili come appartenenti a forme vitali, spesso forniti di conchiglie e altre parti rigide che fossilizzano con facilità. Ma prima che questi organismi arrivassero a svilupparsi, devono essere esistiti, e per lunghissimo tempo, organismi più piccoli e più semplici, forse di natura monocellulare, le cui tracce sono molto più labili e molto meno evidenti di quelle dei fossili «normali».
Queste tracce labili e poco evidenti sono state però trovate, e sono stati individuati microrganismi in rocce che risalgono a più di tre miliardi di anni fa. Di conseguenza, quando aveva solo un miliardo di anni, la Terra già brulicava di vita, che probabilmente era comparsa non più tardi di mezzo miliardo di anni dalla formazione del pianeta.

Il periodo di tempo medio durante il quale una stella simile al Sole rimane nella sequenza principale è di circa dieci miliardi di anni.
Prima di entrare nella sequenza principale, una stella è soltanto una massa di polvere e gas cosmici in via di condensazione, e i pianeti stessi sono unicamente corpi informi che si stanno contraendo e saldando. In questo stadio la vita non esiste.
Dopo avere lasciato la sequenza principale, una stella si espande diventando una gigante rossa e, così facendo, brucia qualunque pianeta le ruoti intorno, anche quelli che ospitano la vita.
Perciò il periodo di tempo medio durante il quale un pianeta simile alla Terra può sostentare la vita è di dieci miliardi di anni.
I vari pianeti simili alla Terra esistenti nella Via Lattea devono forzatamente avere età diversa, dato che le stelle si formano in continuazione: alcune si stanno formando anche in questo momento, e altre si formeranno da qui a un miliardo di anni.
Supponendo che le stelle e i pianeti si formino a un ritmo costante (il che probabilmente non è affatto vero), possiamo affermare che al momento presente il cinque per cento dei pianeti simili alla Terra non ha ancora vissuto il cinque per cento della durata totale della propria esistenza, che il quindici per cento non ha ancora vissuto il quindici per cento della propria esistenza, e così via.
Se la vita è apparsa sulla Terra mezzo miliardo di anni dopo la formazione del pianeta, e se questo evento rientra nella norma (secondo l'ipotesi-presupposto 2) e ha quindi buone probabilità di ripetersi su tutti i pianeti tipo Terra, con uno scarto di pochi milioni di anni in più o in meno, allora ogni pianeta tipo Terra, con un'età che superi il mezzo miliardo di anni, dovrebbe ospitare la vita a un certo stadio di sviluppo.
Mezzo miliardo di anni rappresenta il cinque per cento del periodo di esistenza di un pianeta in grado di ospitare la vita, e in base a quanto detto prima soltanto il cinque per cento del numero totale di tali pianeti non ha ancora raggiunto i 500 milioni di anni. Questo significa che il restante 95 per cento di tutti i pianeti simili alla Terra (cioè, in cifre, 95 milioni di pianeti) ospita la vita, mentre i rimanenti 5 milioni di pianeti stanno procedendo in direzione della vita mediante i composti chimici.
Forse, 95 milioni di sistemi vitali indipendenti, presenti nella nostra galassia, potranno sembrare un'esagerazione, ma in realtà questo vuol dire che soltanto una stella su 1.500 illumina un pianeta che ospita la vita.

La vita, in se stessa, è già qualcosa, ma non è abbastanza. Quello che ci interessa in questo articolo è infatti la vita intelligente.
In quanti pianeti che ospitano la vita si può sviluppare l'intelligenza? O, per essere più precisi, su quanti pianeti che ospitano la vita si è evoluta una specie in grado di edificare una civiltà tecnologica?
Se riflettiamo un po', ci accorgiamo subito che ci vuole un tempo molto lungo. Infatti l'intelligenza è un attributo prezioso, ma normalmente non è indispensabile alla sopravvivenza. Normalmente quella che conta è la semplice fecondità. L'intelligente gorilla non se la cava bene quanto il meno intelligente ma più prolifico topo, il quale, a sua volta, non se la cava bene quanto l'ancora meno intelligente ma più prolifico scarafaggio, il quale, infine, non se la cava bene quanto il batterio, la cui intelligenza è pressoché inesistente, ma la cui fecondità raggiunge livelli massimi.
Da tutto questo potremmo aspettarci che l'evoluzione tenda nella direzione della fecondità, piuttosto che in quella dell'intelligenza. Ma nel caso che l'intelligenza si sviluppi davvero, secondo strani canali del tutto autonomi, è solo combinandosi con qualche altro attributo, come le mani e una buona vista, che può raggiungere lo stadio in cui è in grado di supplire alla limitata fecondità. E se poi l'intelligenza arriva, nel suo sviluppo, al livello in cui l'essere che la possiede è in grado di modificare a proprio vantaggio l'ambiente esterno, allora e solo allora ha la prima vera possibilità di riuscire vincitrice nella lotta per la sopravvivenza. Gli ominidi primitivi arrivarono a mala pena a superare questo punto critico, e forse solo grazie alla scoperta del fuoco e delle armi di pietra lavorata, l'intelligenza cominciò a dimostrare la propria utilità.
Sulla Terra ci sono voluti 4 miliardi e 600 milioni di anni perché l'intelligenza superasse il punto critico e una civiltà tecnologica diventasse possibile. Il che corrisponde approssimativamente al 50 per cento del periodo di vita della Terra come pianeta abitabile.
Se procediamo coerentemente con la seconda ipotesi, e supponiamo che la stessa cosa sia successa, con un'approssimazione di poche centinaia di milioni di anni, anche sugli altri pianeti che ospitano la vita, possiamo concludere che una specie ha sviluppato intelligenza abbastanza da edificare una civiltà tecnologica su metà di questi pianeti.
Dal momento che abbiamo calcolato che esistono 100 milioni di pianeti che ospitano la vita o che stanno per farlo, e dal momento che metà di essi ha già raggiunto od oltrepassato la metà della propria esistenza (sempre supponendo che i sistemi planetari si formino a ritmo costante), c'è stato abbastanza tempo perché non meno di 50 milioni di civiltà tecnologiche abbiano visto la luce nella Via Lattea.
La nostra civiltà tecnologica, in particolare, ha cominciato ad accelerare il ritmo del proprio progresso solamente dal 1770, con l'invenzione pratica di una macchina a vapore. Tenendo presente quanta strada abbiamo fatto in questi duecento anni, proviamo a immaginare quanta ne potremo fare nei prossimi mille: tra mille anni avremo senz'altro una tecnologia molto più progredita dell'attuale.
Ma mille anni sono solo la cinquemilionesima parte della durata della vita intelligente su un pianeta, perciò tutte le civiltà tecnologiche esistenti nella nostra galassia, tranne dieci, sarebbero più antiche della nostra di oltre la cinquemilionesima parte della durata della vita intelligente su un pianeta. Il che corrisponde a dire che nella nostra galassia ci sono 50 milioni di civiltà tecnologiche che hanno visto la luce in un passato abbastanza lontano da essere, oggi, molto più progredite della nostra.
Possiamo quindi concludere, basandoci su esperimenti, osservazioni e tre ipotesi, che noi terrestri, usciti proprio ora dall'infanzia, stiamo cercando di entrare in contatto con 50 milioni di fratelli maggiori sparsi nello spazio cosmico.
No, un momento. Ci sarebbe un altro fattore da prendere in considerazione, e che forse è il più importante di tutti. Ma ne parleremo un'altra volta.

FINE