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Urania - Asimov d'appendice
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STORIA DI MACCHIE - Isaac Asimov
Titolo originale: Out damned spot
Adoro le coincidenze, e più sono spudorate, meglio è. Le amo perché gli individui irrazionali si affannano a costruirci sopra le teorie più strampalate, mentre io le vedo solo per quello che sono: coincidenze, appunto.
Ad esempio, prendiamo un caso personale...
Nel lontano 1925, mia madre falsificò la mia età per un nobile motivo: riferì alle autorità scolastiche che ero nato il 7 settembre 1919, cosicché il 7 settembre 1925 avrei avuto sei anni, e sarei stato regolarmente accettato in prima elementare (classe per la quale ero più che pronto).
In realtà, io sono nato il 2 gennaio 1920, e quindi non sarei potuto andare a scuola per altri sei mesi. Ma per fortuna io sono venuto al mondo in Russia, e non esistevano certificati di nascita americani che smentissero la dichiarazione di mia madre.
In terza elementare scoprii che secondo i registri scolastici il mio compleanno cadeva il 7 settembre. Feci allora rimostranze così vivaci che direttore e segretario si convinsero a segnare la data giusta: 2 gennaio 1920.
Anni dopo, durante la seconda guerra mondiale, lavoravo come chimico nei cantieri della Marina americana a Philadelphia (assieme a Robert Heinlein e L. Sprague De Camp, per la cronaca) e per questo la mia chiamata alle armi venne rimandata.
Quando la guerra si avviò alla fine, tuttavia, e il mio lavoro divenne di conseguenza meno importante, i signori della mia circoscrizione cominciarono a guardarmi con bramosia crescente. Risultato, cinque giorni dopo la fine del conflitto, ricevetti la mia cartolina precetto e raggiunsi l'etereo stato di recluta.
Quella cartolina mi arrivò il 7 settembre 1945, e a quell'epoca solo gli uomini sotto i ventisei anni venivano arruolati. Se non avessi corretto la falsa dichiarazione fatta vent'anni prima da mia madre, il 7 settembre avrei compiuto ufficialmente ventisei anni, e non avrei fatto il militare.
Ma questa è solo una piccola coincidenza. Mi è capitato di scoprirne una molto più cospicua, che coinvolge addirittura un personaggio storico.
Nel medioevo gli studiosi dell'Europa occidentale concordavano perfettamente con il dettato aristotelico per cui i corpi celesti erano immutabili e perfetti. Qualsiasi altra teoria sarebbe stata blasfema, poiché sarebbe equivalsa a contestare la qualità dell'opera di Dio.
Il Sole in particolare appariva perfetto. Era un involucro soffuso di luce celeste, e non era mai cambiato dal momento della sua creazione.
Certo, di tanto in tanto poteva essere guardato impunemente, quando brillava attraverso la foschia ed era basso sull'orizzonte, e allora sembrava, a momenti, che ci fossero macchie sulla sua superficie. Ma questo fatto si poteva spiegare con una piccola nuvola oscura, o forse col passaggio di Mercurio tra il Sole e la Terra. Nessuno pensò mai che potesse trattarsi di vere e proprie macchie solari, perché il Sole era, per definizione, "senza macchia".
Poi, verso la fine del 1610, Galileo usò il suo telescopio per osservare il Sole attraverso la foschia del tramonto (una procedura rischiosa che probabilmente contribuì alla successiva cecità dell'astronomo) e vide ogni volta macchie scure sul disco solare. Anche altri astronomi, appreso rapidamente l'uso del telescopio, osservarono queste macchie: uno di loro era un gesuita tedesco, Christopher Scheiner.
Il superiore di Scheiner, messo al corrente, lo ammonì dallo spingere le sue osservazioni troppo oltre. Dopotutto Aristotele non aveva mai parlato di macchie, per cui non potevano esistere.
Scheiner pubblicò allora anonimamente le sue osservazioni, e scrisse che le macchie erano minuscoli corpi in orbita attorno al Sole, e non parte di esso, avallando così il principio aristotelico della perfezione solare. Galileo, che era alquanto intemperante e particolarmente acuto nel rivendicare i propri meriti, rispose senza peli sulla lingua e, com'era sua abitudine, con brillante sarcasmo (questo gli procurò l'ostilità dei Gesuiti, che giocò parecchio a sfavore dello scienziato durante i suoi guai con l'Inquisizione).
Galileo insisté che le sue osservazioni erano state le prime, e ridicolizzò l'ipotesi che le macchie non fossero parte del Sole. Sottolineò che agli orli dell'astro le macchie si muovevano più lentamente, e apparivano appiattite in prospettiva. Ne dedusse quindi che appartenevano alla superficie solare, e che il loro movimento era il risultato della rotazione del Sole sul suo asse, rotazione calcolata in un periodo di ventisette giorni. In questo era nel vero, e l'idea sulla perfezione solare morì, con grave cruccio di molti potenti. E anche questo contribuì non poco ai suoi guai.
Dopo Galileo, parecchi astronomi registrarono nei loro studi la presenza di macchie solari o ne annotarono la mancanza, disegnarono schizzi di queste macchie, e così via.
Il successivo evento di grande interesse si verificò nel 1774, quando un astronomo scozzese, Alexander Wilson, notò che quando una grande macchia si avvicinava agli orli del Sole in modo da poter essere vista di fianco, appariva concava. Si chiese allora se i margini della macchia non potessero essere declivi, come la superficie interna di un cratere, e se il centro buio non fosse un vero e proprio buco nella superficie.
Questo punto di vista fu ripreso nel 1795 da William Herschel, il principale astronomo del suo tempo, il quale ipotizzò che il Sole fosse un corpo freddo e opaco circondato da uno strato di gas fiammeggianti. Le macchie, da questo punto di vista, erano buchi attraverso cui si poteva vedere il corpo freddo sottostante. Herschel speculò anche sulla possibilità che tale corpo fosse abitato.
Questo si rivelò del tutto errato, dato che in realtà la superficie splendente del Sole è la sua parte più fredda: più ci si spinge all'interno dell'astro e più caldo si trova, finché, al centro, la temperatura raggiunge più o meno i quindici milioni di gradi. A questo tuttavia ci si arrivò soltanto negli anni Venti del nostro secolo. Quanto ai gas rarefatti che si trovano molto in alto rispetto alla superficie solare, sono anch'essi più caldi della parte splendente che noi vediamo, con temperature massime di milioni di gradi, anche se lo si è saputo solo negli anni Quaranta.
Tornando alle macchie, esse non sono veramente nere. Avendo una temperatura inferiore di duemila gradi a quella della superficie solare, irradiano meno luce e sembrano nere per contrasto. La prova è che se Mercurio o Venere si interpongono tra noi e il Sole, li vediamo apparire come autentici dischi neri, e se questi dischi si affiancano a una macchia, facendo il confronto vedremo che quest'ultima non è veramente nera.
Sebbene l'idea di Wilson e Herschel fosse errata, servì a risuscitare l'interesse per il problema delle macchie.
Ma la vera novità la portò un farmacista tedesco, Heinrich Samuel Schwabe, il cui hobby era l'astronomia. Certo, lavorando tutto il giorno, non poteva poi permettersi di passare le notti a guardare le stelle. Pensò quindi che se fosse riuscito a trovare un "bersaglio" diurno, avrebbe potuto osservarlo durante le ore di calma in negozio.
Il bersaglio si presentò da solo. Herschel aveva appena scoperto il pianeta Urano, e ogni astronomo sognava adesso di scoprirne un altro. Supponendo che ci fosse un pianeta più vicino al Sole di Mercurio, sarebbe stato così vicino alla nostra stella che vederlo si sarebbe rivelato estremamente difficile. Periodicamente, però, questo corpo celeste sarebbe passato tra il Sole e noi. Perché allora non mettersi a scrutare la superficie solare, in cerca di un qualsiasi disco nero in movimento?
Sarebbe stato facilissimo individuarlo, una volta notata la sagoma nera: non si sarebbe potuto confonderlo con una macchia solare, perché queste non sono perfettamente rotonde e non attraversano la superficie del Sole tanto velocemente quanto un pianeta, e non si sarebbe potuto scambiarlo per Mercurio o Venere, conoscendo la reale posizione di questi due mondi. E una cosa che non fosse né Mercurio, né Venere, né una macchia solare, poteva essere soltanto il nuovo pianeta.
Nel 1825, Schwabe cominciò a osservare il Sole. Non trovò alcun pianeta, ma non poté fare a meno di notare le macchie. Dopo un po' lasciò perdere i pianeti e si mise a tracciare schizzi delle macchie solari che cambiavano posizione e forma di giorno in giorno. Osservava morire le vecchie e formarsi le nuove, e passò non meno di diciassette anni a scrutare l'astro, esclusi i giorni in cui il cielo era completamente coperto.
Nel 1843 era in grado di annunciare che le macchie non apparivano del tutto a caso, ma seguivano un ciclo: anno dopo anno se ne formavano sempre più fino a raggiungere un certo culmine. Poi il numero calava finché le macchie sparivano quasi del tutto, e cominciava un nuovo ciclo. La lunghezza del periodo da un culmine all'altro era di circa dieci anni.
L'annuncio di Schwabe restò ignorato fino a quando uno scienziato più famoso, Alexander von Humboldt, vi fece riferimento nel 1851 nel suo libro "Kosmos", un'ampia panoramica sulle scienze.
Nello stesso tempo un astronomo tedesco-scozzese, Johann von Lamont, stava misurando l'intensità del campo magnetico terrestre, e aveva scoperto che si intensificava e si indeboliva a intervalli regolari. Nel 1852 un fisico inglese, Edward Sabine, rilevò che queste oscillazioni nell'intensità del campo magnetico terrestre si verificavano in sincronia col ciclo delle macchie solari.
Così si arrivò a credere che le macchie avessero una precisa influenza sulla Terra, e si cominciò a studiarle con enorme interesse.
A ogni anno venne assegnato un "numero di Zurigo" relativo alle macchie solari, secondo una formula ideata nel 1849 da un astronomo svizzero, Rudolf Wolf, ovviamente originario di Zurigo (e che fu il primo a osservare come l'incidenza delle aurore boreali oscillasse a sua volta secondo il ciclo delle macchie).
I resoconti delle osservazioni precedenti la scoperta di Schwabe vennero studiati con attenzione, e anche gli anni a cui esse si riferivano vennero numerati in base alla quantità di macchie solari. Disponiamo oggi di una curva a dente di sega che mette in rapporto il numero di macchie coi rispettivi anni per un periodo di due secoli e mezzo. L'intervallo medio tra il culmine e la fine del ciclo è per questo periodo di anni 10,4. Non si deve però pensare a una regolarità cronometrica, perché alcuni intervalli da culmine a culmine sono lunghi soltanto 7 anni, mentre altri raggiungono i 17.
Inoltre, i "culmini" non sono ugualmente alti. Ce n'è stato uno nel 1816 con un numero di macchie non superiore a 50, mentre un altro, nel 1959, è arrivato a 200. Il culmine del 1959 è stato il più alto mai registrato. Il successivo, nel 1970, è stato soltanto della metà.
Pare che le macchie siano causate da alterazioni nel campo magnetico del Sole. Se il Sole ruotasse compatto, così come fanno la Terra e tutti gli altri corpi solidi, il campo magnetico sarebbe regolare e verrebbe contenuto sotto la superficie dell'astro.
Invece, il Sole non ruota in maniera omogenea: le porzioni di superficie più lontane dall'equatore impiegano più tempo a compiere un giro completo che non le porzioni prossime all'equatore. Questo produce un effetto di distorsione che deforma le lince della forza magnetica, scagliandole verso l'alto e oltre la superficie.
La macchia appare nel punto di emergenza delle linee magnetiche. Fu solo nel 1908, tre secoli dopo la loro scoperta, che l'astronomo americano George Ellery Hale associò la presenza delle macchie a un forte campo magnetico.
Gli astronomi devono ancora scoprire perché il campo magnetico aumenta e diminuisce, perché il periodo varia sia in lunghezza sia in intensità, perché le macchie all'inizio di un ciclo appaiono alle alte latitudini del Sole e a mano a mano che il ciclo progredisce si avvicinano all'equatore, perché la direzione del campo magnetico si inverte a ogni nuovo ciclo, e così via.
Non è facile, perché i fattori in gioco sono molti, e gran parte di essi sono solo relativamente noti (è un po' come quando si cerca di fare previsioni meteorologiche), ma non c'è ragione perché alla fine non se ne debba venire a capo.
I mutamenti nel campo magnetico solare producono cambiamenti ulteriori nella già variabile presenza e posizione delle macchie. Influenzano le vampe solari, la forma della corona, l'intensità del vento solare e così via. Nessuno di questi fenomeni presenta un'ovvia relazione con gli altri, ma il fatto che siano tutti soggetti a una crescita e a un declino simultanei rende chiaro che sono dovuti a un fattore comune.
Le alterazioni nell'intensità del vento solare influenzano le aurore boreali sulla Terra, le tempeste elettriche, e probabilmente alterano il numero e la natura dei semi ionici intorno a cui prendono forma le gocce di pioggia. Quindi, il clima stesso è influenzato dal ciclo delle macchie. Di conseguenza, la siccità, le carestie, le inquietudini politiche possono tutte essere collegate alle macchie solari dai patiti dell'argomento.
Nel 1893 l'astronomo inglese Edward Walter Maunder, che cercava tra i resoconti di vecchie osservazioni i dati necessari a calcolare il ciclo delle macchie in epoca precedente al XVIII secolo, fu sorpreso di scoprire che praticamente non esistevano rapporti per gli anni compresi tra il 1643 e il 1715 (la delimitazione esatta di tale periodo è in una certa misura arbitraria. Gli anni che ho scelto - per una ragione nascosta che rivelerò più avanti -sono comunque sufficientemente esatti).
C'erano rapporti frammentari sulle macchie, e perfino schizzi delle loro forme, risalenti ai tempi di Galileo e dei suoi immediati successori, ma dopo, niente. Alcuni astronomi riferivano addirittura di non aver osservato nessuna macchia.
Maunder pubblicò i risultati delle sue ricerche nel 1894 e poi nel 1922, ma nessuno gli prestò attenzione. Il ciclo delle macchie solari era ormai un fatto acquisito e non sembrava possibile che qualcosa potesse a sua volta influenzarlo. Nel 1900 un Sole senza macchie, era inaccettabile come lo era stato nel 1600 un Sole maculato.
Poi, negli anni Settanta, l'astronomo John A. Eddy imbattendosi nelle osservazioni a proposito di quello che avrebbe definito in seguito "il minimo di Maunder", decise di indagare sul problema.
Scoprì così che le annotazioni di Maunder erano corrette. L'astronomo italo-francese Giovanni Domenico Cassini, che fu il principale osservatore dei suoi tempi, studiò nel 1671 una macchia, e scrisse che per ben vent'anni non se n'era vista alcuna, di qualsiasi grandezza. Era un profondo conoscitore dei cieli, tanto da aver calcolato la parallasse di Marte e aver scoperto la zona scura negli anelli di Saturno, chiamata "divisione di Cassini", quindi, se ci fossero state macchie da vedere, non gli sarebbero sfuggite. E non si sarebbe lasciato ingannare facilmente da semplici voci sulla loro assenza.
John Flamsteed, l'astronomo ufficiale del Regno d'Inghilterra, altro studioso attento e competente, riportò una volta di aver finalmente visto una macchia solare dopo sette anni di osservazione.
Eddy indagò altresì sugli avvistamenti di macchie solari a occhio nudo in molte regioni del globo, compreso l'Estremo Oriente, cosa che Maunder non aveva potuto fare. Questi resoconti risalgono al V secolo a. C., e in genere denunciano dai cinque ai dieci avvistamenti per secolo (solo le macchie più grandi possono essere viste a occhio nudo). Ci sono tuttavia periodi vuoti, in cui non vengono registrate osservazioni: il "minimo di Maunder" è appunto uno di essi.
Apparentemente quello del minimo di Maunder era stato un concetto noto finché Schwabe non aveva scoperto il ciclo delle macchie; in seguito era stato dimenticato perché non si addiceva alle nuove acquisizioni. In realtà, forse è proprio a causa del minimo di Maunder che dopo la scoperta delle macchie solari c'è voluto tanto tempo per stabilirne il ciclo.
Ma non è solo la mancanza di macchie che comprova l'esistenza del minimo di Maunder. Altri studi ci rimandano al campo magnetico del Sole.
Per esempio, è il vento solare che determina le aurore boreali, e il vento solare è influenzato dal campo magnetico dell'astro, in particolare dalle esplosioni d'energia quando il Sole è più attivo magneticamente: cioè in periodi di grande presenza di macchie.
Se in un lasso di settantanni ci sono poche o nessuna macchia solare, questo significa che per il Sole si è trattato di un periodo tranquillo dal punto di vista magnetico, e il vento solare sarà stato un dolce zefiro. In Europa, nello stesso arco di tempo, si saranno viste poche, o nessuna, aurora boreale.
John A. Eddy indagò nei resoconti di cui disponeva, e trovò che le osservazioni di aurore boreali erano praticamente assenti durante il periodo del minimo di Maunder. Ce n'erano molte dopo il 1715 e qualcuna prima del 1640, ma quasi nessuna nel periodo di mezzo.
Ancora: quando il Sole è magneticamente attivo le linee di forza erompono da esso con molta più violenza di quando è inattivo. Le particelle cariche nell'atmosfera esterna del Sole, o corona, tendono ad assumere un movimento a spirale intorno alle linee di forza, e più queste sono impetuose più le particelle vi si aggregano in gran numero e densità.
Questo vuol dire che durante un'eclissi totale l'aspetto della corona cambia a seconda della posizione del Sole nel ciclo delle macchie. Quando il numero delle macchie è prossimo al culmine e l'attività magnetica solare è alta, la corona è ricca di raggi potenti che s'irradiano dall'astro, e appare straordinariamente bella e complessa.
Quando il numero delle macchie è basso, ci sono pochi "raggi", e la corona appare come un alone senza forma, ed è poco appariscente.
Purtroppo durante il periodo del minimo di Maunder gli astronomi non avevano l'abitudine di spostarsi per il mondo a seguire le eclissi totali (non era facile, allora, superare le grandi distanze), e così solo pochissime delle oltre sessanta eclissi che si verificarono furono studiate nei dettagli.
Tuttavia, quelle che vennero analizzate mostrarono sempre una corona del tipo che si produce quando le macchie solari sono al minimo.
Le aurore boreali e le alterazioni della corona erano altrettante tessere di un solo mosaico, e anche se all'epoca non c'era ragione di associarle, per un verso o per l'altro, alle macchie solari, tutti e tre i fenomeni combaciano esattamente come dovrebbero.
Aggiungiamo ora un'altra tessera, la più rivelatrice...
Nel biossido di carbonio atmosferico c'è sempre un po' di carbonio-14 radioattivo: è prodotto dall'impatto dei raggi cosmici con gli atomi di azoto presenti nell'atmosfera. Le piante assorbono il biossido di carbonio e l'incorporano nei loro tessuti. Se in un particolare anno, nel biossido di carbonio atmosferico c'è una maggior quantità di carbonio-14, allora il tessuto delle piante è più ricco del solito di quell'atomo radioattivo. La presenza di carbonio-14, leggermente superiore o inferiore al normale che sia, è comunque straordinariamente esigua, ma gli atomi radioattivi possono essere scoperti con grande accuratezza e precisione, anche solo da una traccia.
Ora, quando il Sole è magneticamente attivo il suo campo si espande con tale ampiezza che la stessa Terra ne è avviluppata. Il campo deflette una parte dei raggi cosmici, sicché il carbonio-14 che si forma e si deposita nei tessuti delle piante è meno del solito.
Quando il campo magnetico solare si ritira, e le macchie si riducono al minimo, la Terra non è più protetta, e viene colpita da una maggiore quantità di raggi cosmici, e la produzione e il deposito di carbonio-14 aumentano di nuovo.
In breve, i tessuti vegetali formatisi negli anni di "minima" del ciclo delle macchie sono insolitamente ricchi di carbonio-14, mentre quelli formatisi negli anni di "massima" ne sono insolitamente poveri.
Gli alberi presentano degli ispessimenti nel legno, che somigliano ad anelli; se noi conosciamo l'anno in cui un albero è stato tagliato e contiamo a ritroso gli anelli a partire dalla corteccia, possiamo associare ogni anello a un determinato anno.
Se si tagliano e si analizzano separatamente i vari anelli in base al loro contenuto di carbonio-14 (tenendo conto che questo diminuisce con gli anni, perché gli atomi decadono seguendo un ritmo determinato) si può ricostruire un ciclo completo delle macchie solari senza aver dato neppure un'occhiata ai resoconti astronomici. (È un procedimento un po' rischioso, comunque, perché possono esserci altri fattori che alterano il tasso di carbonio-14 e che non hanno a che fare col campo magnetico del Sole).
Per la cronaca, gli anelli che datano alla seconda metà del XVII secolo sono insolitamente ricchi di carbonio-14, il che è un'ulteriore conferma del minimo di Maunder.
In effetti i dati ottenibili dagli anelli degli alberi sono indispensabili per due motivi. Primo, non dipendono dalle semplici registrazioni di osservazioni umane, naturalmente soggettive e incomplete. Secondo, mentre le osservazioni dell'uomo si fanno via via più scarse mentre retrocediamo oltre il 1700, le informazioni che ci vengono dagli alberi abbracciano periodi molto più lunghi.
Se ci serviamo dei pini di California, gli alberi di maggiore longevità, possiamo studiare le variazioni del carbonio-14 per cinquemila anni, cioè coprire tutto l'arco della storia conosciuta.
John A. Eddy riferisce che sembrano essere circa dodici, durante gli ultimi cinquemila anni, i periodi in cui l'attività magnetica solare si è abbassata, e che i periodi di attività minima sono durati dai cinquanta ai duecento anni. Il minimo di Maunder è solo l'ultimo di questi.
Prima di quello di Maunder ci fu un periodo di minima dal 1400 al 1510; d'altra parte ci sono stati periodi di attività particolarmente intensa, come quello compreso tra il 1100 e il 1300.
Sembra dunque che nell'esistenza delle macchie solari esista un ciclo di più lunga durata, a cui si sovrappone quello di breve durata scoperto da Schwabe. Ci sono periodi in cui il Sole è quieto, il campo magnetico è debole e regolare, e le macchie solari e i fenomeni connessi sono virtualmente assenti, e periodi in cui il Sole è attivo, il campo magnetico subisce forti oscillazioni d'intensità e allora le macchie e i fenomeni associati raggiungono i loro culmini decennali.
Ma che cosa provoca questa vistosa, oscillazione che dai minimi di Maunder va ai culmini di Schwabe?
Ho detto prima che le macchie sembrano causate da scarsa omogeneità nella rotazione delle varie parti della superficie solare. Cosa succederebbe, se questo inconveniente non si verificasse?
Dagli schizzi di macchie solari eseguiti dall'astronomo tedesco Johannes Hevelius nel 1644, proprio all'inizio del minimo di Maunder, sembrerebbe che a quell'epoca il Sole ruotasse in maniera del tutto omogenea. Dunque niente turbamenti, niente linee magnetiche sconvolte, ma solo un tranquillo e controllato campo magnetico: le condizioni del minimo di Maunder, appunto.
Ma perché il Sole ruota a volte in maniera omogenea, dando luogo ai minimi di Maunder, e a volte in maniera sfasata, dando luogo ai culmini di Schwabe?
Sono lieto di poter rispondere a questa interessante domanda in modo chiaro e conciso: nessuno lo sa.
Che cosa accadde sulla Terra durante il minimo di Maunder? Ecco, durante quel periodo l'Europa patì una "piccola era glaciale", e il clima fu più freddo di quanto fosse mai stato prima o sarebbe stato poi. Anche il minimo precedente, dal 1400 al 1510, fu caratterizzato da clima freddo: la colonia norvegese in Groenlandia perì sotto la morsa del gelo dopo aver resistito per oltre quattro secoli.
Ma queste sono solo piccole coincidenze. Io ho un esempio migliore da portare.
Che probabilità ci sono che un sovrano possa regnare per settant'anni? Molto poche, ovviamente. Solo un re, nella storia europea, è riuscito a governare per tanto tempo: Luigi XIV di Francia.
Dato un regno di tale lunghezza, e un minimo di Maunder di uguale durata, quante sono le probabilità contrarie alla loro perfetta coincidenza? Enormi, suppongo, ma sta di fatto che Luigi XIV ascese al trono alla scomparsa di suo padre nel 1643 e vi rimase fino alla morte, nel 1715. Regnò cioè esattamente durante il minimo di Maunder.
Nella sua infanzia, il futuro Luigi XIV era stato costretto a lasciare Parigi per sottrarsi alla cattura da parte dei nobili ribelli durante la guerra della Fronda. Non si dimenticò mai né di Parigi né di quei nobili. Dopo aver preso in mano le redini del governo alla morte del suo ministro Giulio Mazarino, avvenuta nel 1661, re Luigi decise di fare in modo che il fatto non succedesse mai più. Così, lasciata Parigi, stabilì la nuova capitale a Versailles. Instaurò quindi un elaborato codice d'etichetta, così da ridurre l'orgogliosa nobiltà a una classe di lacchè priva di velleità rivoluzionarie..
In breve, fece di se stesso un simbolo, senza rivali, dello stato ("Lo stato sono io", disse), mentre il resto della corte avrebbe brillato unicamente di luce riflessa.
Assunse quindi come proprio simbolo il dominatore del sistema solare, da cui tutti gli altri corpi traggono luce, e si fece chiamare Re Sole.
E così, il sovrano il cui lungo regno coincise col periodo in cui il Sole splendette della più pura e immacolata maestà, è tuttora conosciuto con quell'appellativo.
Ecco una bella coincidenza, che resterà tale finché gli irrazionali non si lambiccheranno il cervello per darle un significato che non ha.
FINE