Science Fiction Project
Urania - Asimov d'appendice
* * Back * *

MA DOV'È TUTTA QUESTA GENTE? - Isaac Asimov
Titolo originale: Where is everybody?

Mia figlia, una bionda e bella ragazza dagli occhi azzurri che proprio ieri ha ricevuto il diploma di licenza liceale, mentre io, pazzo di gioia, mi agitavo e facevo un baccano d'inferno nella tribuna dei familiari, è una fonte inesauribile di aneddoti sulle reazioni della gente quando sente il suo cognome.
Ultimamente si trovava su un aereo la cui partenza era stata rimandata di due ore, e non poteva scenderne per telefonarmi e avvertirmi del ritardo. Sapeva che io conoscevo l'ora dell'arrivo, e che avrei atteso una sua telefonata per confermarmi di avere fatto buon viaggio. Sapeva inoltre che sarei stato in ansia per l'inspiegabile ritardo, e se ne preoccupava.
Il cortese uomo d'affare che occupava il posto accanto al suo cercò allora di distrarla, chiacchierando un po' con lei, e a un certo punto le chiese che cosa facesse nella vita questo padre le cui ansie l'impensierivano tanto.
- Fa lo scrittore - disse Robyn.
- E cosa scrive? - chiese l'uomo d'affare.
- Tante cose, ma è famoso soprattutto nel campo della fantascienza.
- Volete dire che scrive il genere di cose che scrive Asimov?
- Esattamente. Anzi, è lui Asimov.
Sorpresa, esclamazioni ammirate, eccetera.
Quando le acque si furono calmate, l'uomo d'affari disse: - Spiegatemi una cosa. Come ha fatto vostro padre, quando si è messo a scrivere fantascienza, a sapere che avrebbe avuto successo?
Era una domanda logica, dal punto di vista di chi si occupa di affari, dato che, in fin dei conti, se non avesse prospettive di successo, nessuno intraprenderebbe una qualunque iniziativa.
E purtroppo, questo è lo stesso atteggiamento che molti uomini "pratici" assumono verso quei progetti scientifici che richiedono una visione appena appena più in là del loro naso. Per esempio, la ricerca di intelligenze extraterrestri sembra loro una pura perdita di tempo, anche se, come ho spiegato in un altro saggio, si può ragionevolmente supporre che almeno cinquanta milioni di civiltà tecnologiche più progredite della nostra abbiano visto la luce qua e là nella nostra galassia.

È ovvio che le argomentazioni da me esposte in quel saggio non bastano, da sole, a farmi fare dell'ironia a spese di chi dubita che la ricerca di un'intelligenza extraterrestre abbia successo. Non per nulla terminavo l'articolo dichiarando che c'era ancora un problema da prendere in considerazione, pur non specificando quale.
Eccolo qui, tradotto in domanda: "Dov'è tutta questa gente?"
Se ci sono cinquanta milioni di civiltà tecnologiche più progredite della nostra, perché non ne abbiamo mai avuto notizia? Perché non ci hanno visitati? Perché è tutto così tranquillo?
Esaminiamo le possibili risposte a questo interrogativo.
1) Nel mio ragionamento potrebbe esserci qualche grave errore, e forse, in conclusione, non esistono civiltà tecnologiche altrove che sulla Terra.
Però, dove può essere l'errore? Sappiamo per certo che esiste un numero enorme di stelle, di cui una parte notevole è simile al Sole. Abbiamo buone ragioni per credere che i sistemi planetari siano diffusi, e se le cose stanno così, non fosse che per puro caso dovrebbe esistere anche un buon numero di pianeti di tipo terrestre. Abbiamo infine buone ragioni per ritenere che la vita ne sia un corollario quasi inevitabile. E allora, perché l'intelligenza e la civiltà non dovrebbero costituire un altrettanto ragionevole corollario della vita?
Dov'è che abbiamo sbagliato?
Se, nonostante tutti i nostri validi argomenti, la civiltà esiste solo sulla Terra, è fuori di dubbio che il nostro pianeta deve avere qualcosa di molto speciale di cui non abbiamo tenuto conto, una caratteristica che non troveremmo in altri pianeti pur apparentemente simili alla Terra. Se è così, di cosa si può trattare?
Che ci sia di mezzo la Luna?
La Luna è enorme: la sua massa è 1/81 di quella del pianeta cui gira intorno. Nel Sistema Solare ci sono altri cinque pianeti che hanno satelliti ma tutti piccolissimi se paragonati al loro primario.
Il sistema Terra-Luna costituisce virtualmente un sistema planetario doppio. In altre parole è come se, dalla nube cosmica originaria, avesse preso forma intorno a un doppio nucleo, mentre gli altri pianeti si formavano intorno a un nucleo singolo, lasciando nei paraggi solo qualche insignificante rimasuglio.
L'origine planetaria da un nucleo doppio è dunque un fenomeno talmente raro da non succedere praticamente mai? E in che modo avrebbe contribuito a rendere la Terra in grado di ospitare la vita?
Dopo tutto, Venere ha quasi le stesse dimensioni, massa, densità e composizione della Terra, eppure è totalmente ostile alla vita quale noi la concepiamo. Non ha un satellite, però.
Questo vorrebbe dire, forse, che i cento milioni di pianeti di tipo terrestre che ho postulato nel mio precedente articolo sono in realtà mondi tipo-Venere, e che solo la Terra, unica tra tutti, può ospitare la vita? Se è così, il ragionamento che ho fatto a suo tempo crolla totalmente.
Ma chiediamoci: perché la pura e semplice formazione della Luna dovrebbe trasformare un pianeta tipo-Venere in una Terra? In realtà è molto più logico pensare che Venere sia ostile alla vita perché, a differenza della Terra, è un po' troppo vicino al Sole.

Non è nemmeno certo, poi, che la Luna si sia formata dalla stessa nube di polvere cosmica da cui si è originata la Terra, che potrebbe anzi aver iniziato la propria vita come pianeta singolo. E a sua volta la Luna potrebbe essersi formata singolarmente, ed essere stata catturata dalla Terra in ere successive.
In fondo, il nostro satellite ha una densità pari a soli tre quinti di quella terrestre, e manca di un nucleo interno metallico. Da questo punto di vista ricorda più Marte che la Terra, e quindi potrebbe essersi formato dalla porzione marziana della nube originaria.
Inoltre manca degli elementi più volatili, mentre i frammenti vetrosi, derivati da materiale roccioso prima fuso e poi risolidificato, sono comuni su di esso benché rari sulla Terra. Potrebbe dunque essere stato esposto a un calore di tipo mercuriano in qualche periodo del suo passato.
È anche possibile che la Luna avesse originariamente un'orbita eccentrica, che al perielio la portava vicina al Sole come Mercurio, mentre all'afelio l'allontanava fino all'orbita di Marte. Poi, a un certo momento, grazie a qualche complicato giochetto di meccanica celeste, la Terra l'ha catturata.
Che importanza avrebbe avuto la cosa? Sulla Terra è avvenuta forse un'improvvisa rivoluzione, in una fase già avanzata della sua storia?
Consideriamo lo sviluppo della vita sulla terraferma. La vita nell'oceano cominciò forse mezzo miliardo di anni dalla formazione del nostro pianeta, ma apparve sulla terraferma solo 4,2 miliardi di anni dopo. Perché questo scarto di 3,7 miliardi di anni?
Probabilmente il segreto sta nelle maree: il periodico avanzare e ritrarsi delle acque sulla spiaggia portava con sé la vita e lasciava pozze e lagune in cui determinate forme vitali potevano prosperare. Successivamente, le sabbie intrise d'acqua saranno diventate idonee alla vita, e vari adattamenti avranno reso possibile a certe forme viventi di sopportare i limitati periodi all'asciutto tra una marea e l'altra. Col tempo, questi organismi devono essersi trascinati sempre più verso l'interno, finché impararono a vivere senza immergersi nell'acqua neppure periodicamente.
Una Terra senza Luna, tuttavia, avrebbe avuto solo le piccole maree prodotte dal Sole, la cui entità è solo un terzo di quelle cui siamo abituati, e che probabilmente non sarebbero state sufficienti a promuovere l'inizio della vita di terraferma.
Quando la Luna, come pare, venne catturata dalla Terra quattrocento milioni di anni fa, le maree dovettero diventare di colpo notevolmente più consistenti, superando in ampiezza perfino quelle attuali. Inoltre, dato che l'azione delle maree rallenta la rotazione terrestre e allontana la Luna dalla Terra, con un calcolo retroattivo possiamo dimostrare che quattrocento milioni di anni fa il giorno durava solo 21 ore e 50 minuti circa, e la Luna distava dalla Terra solo 320.000 chilometri. Questa maggior vicinanza lunare produceva maree la cui entità era 1,7 volte superiore all'attuale, e che avanzavano e si ritraevano dalla costa a una velocità del 10% superiore a quella odierna, grazie alla minore durata del giorno.
Potremmo quindi concludere che furono proprio le maree, prodotte dopo la "cattura" di un satellite di notevoli dimensioni, a rendere possibile la vita sulla terraferma.
Sappiamo anche che solo sulla terraferma gli esseri viventi possono sviluppare la visione a grande distanza e organi atti alla manipolazione, che insieme permettono lo sviluppo di un'intelligenza elevata.
E, cosa ancora più importante, è solo sulla terraferma e in un'atmosfera di ossigeno libero che si può produrre il fuoco, il cui controllo, lo sanno tutti, è la base della tecnologia.
Dunque, a meno che un pianeta di tipo terrestre non catturi un satellite di grandi dimensioni - e le probabilità sono così piccole che nessuno ha ancora calcolato come la Terra sia riuscita a farlo - il massimo a cui quel pianeta può aspirare è una vita esclusivamente marina. Se questo è vero, anche se i pianeti in grado di ospitare la vita fossero tanti quanti ho detto nel primo paragrafo, quelli in grado di produrre una civiltà diventerebbero estremamente rari, al punto che la Terra potrebbe essere il solo esempio nella Galassia.
Ma neanche questa è un'ipotesi definitiva. Noi non siamo sicuri né che la Luna sia stata catturata, né che le maree siano il fattore determinante dello sviluppo della vita sulla terraferma. È molto più convincente supporre che la terraferma divenne abitabile dopo che gli organismi fotosintetici ebbero pompato abbastanza ossigeno libero da permettere la formazione di uno strato di ozono nell'alta atmosfera, in modo da bloccare i mortali raggi ultravioletti del Sole. Fino a quel momento, infatti, la vita marina era protetta dal velo delle acque, ma quella terrestre non aveva alcuna protezione.
Dunque, la Luna potrebbe non essere il fattore determinante nella formazione della vita in generale e di quella di terraferma in particolare. Inoltre, cosa ancora più importante, non posso provare che la Terra sia un pianeta eccezionale per altro motivo che non sia il fatto di possedere un satellite incredibilmente grande: è quindi ancora sostenibile che cinquanta milioni di civiltà extraterrestri hanno visto la luce nella nostra galassia.

2) Un momento! "Hanno visto la luce", ma chi ci dice che esistano ancora?
Supponiamo che ogni civiltà duri per un periodo di tempo relativamente breve, e poi si estingua. In tal caso, se potessimo visitare tutti i pianeti di tipo terrestre esistenti nella Galassia scopriremmo che su un grande numero di essi la civiltà non è ancora sorta, e che su un numero ancora più grande si sono formate varie civiltà che però sono anche già estinte. Solo su pochi pianeti arriveremmo al momento giusto, troveremmo cioè una civiltà sorta da così poco tempo da non essere ancora estinta.
Più breve è la durata media delle civiltà, meno probabile è la scoperta di un mondo su cui essa non sia ancora scomparsa, e più limitato sarà quindi il numero di civiltà esistenti in questo momento, o in qualunque altro dato momento della storia galattica.
È possibile che la civiltà abbia in sé tali limiti che la ragione per cui nessuna è finora entrata in contatto con noi è che nessuna è durata abbastanza per rendere possibile la visita? Perché una specie abbastanza intelligente da creare una civiltà non dovrebbe essere altrettanto intelligente da sopravvivere?
A giudicare dall'esperienza dell'unica specie a noi nota che sia capace di edificare una civiltà, cioè la nostra specie, possiamo sostenere che un'intelligenza elevata implica due capacità: previdenza e memoria. Siamo infatti in grado di prevedere le probabilità di disagio e privazione, e possiamo ricordare di essere stati vittime di disagi e privazioni. Di conseguenza, quando gli oggetti del nostro desiderio so insufficienti, ce li disputiamo con molta più violenza e perseveranza, e se li perdiamo siamo molto più bramosi di vendetta delle specie meno intelligenti. Questo, non perché siamo più cattivi delle altre specie, ma solo perché più intelligenti.
La litigiosità e la violenza, in altre parole, nascono dalla disputa per il "territorio" (in senso etologico), e nello stesso modo in cui l'intelligenza moltiplica la forza a disposizione di una specie intelligente, la violenza aumenta con letale progressione. Alla fine arriva il momento in cui le armi della specie intelligente diventano talmente potenti e devastatrici da superare le sue capacità di trovarvi rimedio. Automaticamente, a questo punto la civiltà scompare, e anche se, molto tempo dopo, la specie la ricostruisce, oppure una specie intelligente del tutto nuova si affaccia sulla scena, il suicidio resta sempre la conclusione inevitabile.
L'Homo sapiens è apparso sulla Terra circa seicentomila anni fa, e forse, come civiltà, è vicino all'estinzione.
Se supponiamo che il Sole resti nella sequenza principale per un totale di dodici miliardi di anni, consentendo così sulla Terra condizioni di abitabilità, vorrà dire che l'umanità, con i suoi seicentomila anni di esistenza, avrà occupato 1/20.000 della storia del pianeta.
Se nella Galassia esistono cento milioni di pianeti di tipo terrestre, come ho ipotizzato nell'articolo già citato, e se la nostra storia è tipica delle specie intelligenti in generale, solo su cinquemila di quei pianeti dovrebbe esserci una specie intelligente, capace di creare una civiltà, che non ha ancora avuto il tempo di autodistruggersi. Nessuna, però, potrebbe essere più progredita di noi, altrimenti si sarebbe già estinta.
Se la logica del mio ragionamento è valida, non c'è da sorprendersi che non siamo mai stati visitati da intelligenze extraterrestri.
Possiamo anche fare il ragionamento inverso, che ci porterebbe a una conclusione sinistra:
A) Molte intelligenze extraterrestri devono avere creato una civiltà.
B) Nessuna è mai venuta a visitarci.
C) Conseguentemente si sono tutte autodistrutte prima di avere la capacità di compiere la visita, e perciò noi stessi non abbiamo alcuna possibilità di evitare il suicidio.
Tuttavia, come possiamo essere sicuri che la nostra esperienza sia tipica di decine di milioni di altre? Non è possibile che almeno alcune di queste specie intelligenti usino la loro intelligenza collettiva per prevedere il suicidio e modificare di conseguenza il proprio comportamento? E noi stessi, non potremmo fare altrettanto?
Supponiamo che ci sia una probabilità su dieci che tutta l'umanità, come specie, cooperi per evitare la distruzione, cercando di risolvere i problemi più gravi, mettendo sotto controllo la crescita della popolazione, risparmiando le risorse naturali, facendo fare marcia indietro all'inquinamento e così via. In questo caso sopravviveremmo come civiltà, sebbene forse a un prezzo piuttosto alto, e una volta riparati tutti i danni che abbiamo fatto, progrediremmo per anni su basi nuove e migliori.
Se la nostra stima è giusta, possiamo dedurne che una civiltà extraterrestre su dieci sarebbe in grado di sopravvivere, proprio come noi, e di durare per lunghissimi periodi.
Possiamo dunque affermare che dei cinquanta milioni di civiltà extraterrestri presumibilmente venute alla luce, almeno cinque milioni siano di lunga durata. In altre parole, anche una valutazione pessimistica del nostro futuro non elimina la possibilità che in questo stesso momento esistano milioni di civiltà extraterrestri, ognuna delle quali molto più progredita di noi in campo tecnologico.

Il che ci riporta alla domanda originaria: "Dov'è tutta questa gente?"
3) È possibile che non ci sia un sistema pratico per venirci a far visita.
Se nella Galassia ci sono, diciamo, cinque milioni di civiltà extraterrestri di lunga durata, vuol dire che circa una stella su trentamila splende su una di esse. Nelle zone della Galassia dove è più probabile che tali civiltà si trovino, la distanza media tra le stelle è di 9,2 anni luce. La distanza media tra le varie civiltà extraterrestri sarebbe dunque 9,2 volte la radice cubica di 30.000, cioè 285 anni luce.
Se consideriamo 285 anni luce come la distanza più probabile che ci separa perfino dalla più vicina civiltà extraterrestre, vedete bene che farci una visita sarebbe una bella sfacchinata.
Stando alle nostre attua conoscenze, la velocità della luce è il limite assoluto per quanto riguarda le comunicazioni o i trasporti. Quindi il viaggio di andata e ritorno dalla sede di una civiltà alla sua vicina, considerando il tempo necessario ad accelerare e decelerare, durerebbe almeno mille anni, a essere ottimisti. E anche se non si trattasse di viaggiare, ma solo di comunicare via radio o sistemi equivalenti, il tempo necessario a ogni scambio d'informazione tra due civiltà vicine sarebbe in media di 570 anni. E tutta l'operazione correrebbe il rischio di essere considerata più una seccatura che un vantaggio.
Si è speculato, naturalmente, sulla possibilità che il limite posto dalla velocità della luce possa essere aggirato grazie all'uso dei tachioni o dei buchi neri, ma per ora si tratta solo di pure ipotesi. È forte, perciò, la tentazione di supporre che sebbene esistano milioni di civiltà extraterrestri, ognuna di esse sia confinata all'interno del proprio sistema planetario, vuoi per legge di natura vuoi per scelta.
Ancora una volta possiamo concludere, ragionando alla rovescia:
A) Esistono sicuramente milioni di civiltà di lunga durata, nella Galassia.
B) Nessuna di esse è mai venuta a trovarci.
C) La velocità della luce è un limite assoluto e non sarà mai superato.

Tuttavia non si può evitare di rispondere a chi afferma che una civiltà tecnologicamente progredita deve per forza trovare una soluzione al limite di velocità della luce. Il fatto che noi questa soluzione non la vediamo non significa niente. Una società primitiva che speculasse sulla possibilità di comunicare con altre società distanti migliaia di chilometri, potrebbe accuratamente calcolare la resistenza dei messaggeri e il tempo necessario a compiere il viaggio e a tornare; potrebbe valutare la potenza richiesta ai tamburi per essere uditi a così grande distanza, e giungere alla conclusione che non esiste nessun sistema efficace, neppure in teoria, per cui una tale comunicazione possa essere stabilita. A nessuno potrebbero mai venire in mente né i jet né la radio.
Benissimo: immaginiamo che le tecnologie molto progredite possano fare facilmente quello che noi non riusciamo neppure a immaginare, e che non trovino troppo rischioso né troppo costoso il viaggio interstellare.
Dov'è allora tutta questa gente?
Potremmo sostenere che una volta superati i confini dei rispettivi sistemi planetari, le intelligenze si combattano l'un l'altra fino alla reciproca distruzione, ma non è un'ipotesi verosimile. Se fossero bellicose, non sarebbero mai sopravvissute tanto da arrivare allo stadio del volo interstellare. Se, d'altra parte, fossero riuscite a sopravvivere fino a quel punto nonostante la loro bellicosità, la specie dalla tecnologia più avanzata avrebbe inevitabilmente distrutto tutte le civiltà in germoglio, colonizzato i pianeti idonei, sicché adesso esisterebbe un impero galattico dominato da una specie sola.
Ma il fatto stesso che noi siamo qui, intenti a procedere per la nostra strada senza interferenze esterne, dovrebbe indicare chiaramente che non esiste alcuna civiltà di conquistatori interstellari.
Forse non hanno ancora trovato la Terra, dirà qualcuno. In fondo, l'universo è grande.
Nemmeno questo è molto verosimile. La Galassia ha quindici miliardi di anni, e la più vecchia civiltà tecnologica potrebbe averne almeno dieci miliardi. In tanti millenni questa civiltà avrebbe avuto tutto il tempo di studiare ogni stella tipo-Sole della Galassia. La possibilità che ne abbia persa anche una sola non vale neppure la pena di essere presa in considerazione.
Può darsi, invece, che gli extraterrestri siano esseri umani che non si combattono l'un l'altro e che apprezzano la vita. Forse sanno della nostra esistenza, ma si trattengono volontariamente dall'interferire per permetterci di svilupparci autonomamente e di unirci, a tempo debito, a un'ideale Federazione Galattica.
Questa mi sembra la più affascinante risposta possibile al problema della nostra apparente solitudine, ma proprio per questa ragione potrebbe essere solo un pio desiderio.
Un ultimo punto: forse tutta la mia argomentazione è già superata, perché rappresentanti di civiltà extraterrestri ci hanno già visitato nel passato, come sostiene von Däniken, o stanno continuando a visitarci, come insistono gli appassionati di dischi volanti.
Non dico che la cosa sia inconcepibile, ma le ridicole "prove" presentate dai fanatici dei visitatori dallo spazio sono, almeno fino a questo momento, totalmente indegne di considerazione.
La mia impressione, quando ripenso alle varie eventualità che ho prospettato, è che la risposta più plausibile stia nel limite di velocità della luce. Sospetto che la Galassia pulluli di civiltà progredite, ma isolate.
Potremo comunque stabilire con esse qualche tipo di contatto?
Se uno "scambio di visite" è fuori questione, e se scambi d'informazione regolari non sembrano plausibili per motivi pratici, sicuramente saranno possibili contatti occasionali. Basterebbe far sapere a "loro" che noi siamo qui, o trovare noi il modo di scoprire che "loro" sono là. Non più di questo, forse: solo un "ciao" in tutti e due i sensi.
A che scopo?
Be', potremmo voler attrarre la loro attenzione su di noi per una mera questione di orgoglio. Qualunque individuo desidera che il mondo sappia della sua esistenza; allo stesso modo, come specie, potremmo desiderare che la Galassia si accorga di noi.
Per raggiungere questo scopo possiamo inviare un messaggio materiale: anzi, l'abbiamo già fatto. Il 3 marzo 1972 è stato lanciato il "Pioneer 10", la cui missione principale, quella di passare nei pressi di Giove e studiarlo, è stata assolta con successo nel dicembre 1973. Assorbita energia girando intorno a Giove, il "Pioneer 10" si è diretto verso le regioni esterne del Sistema Solare. Nel 1984 rasenterà e sorpasserà l'orbita di Plutone e si perderà nell'abisso dello spazio interstellare.
Ma attaccata al "Pioneer 10" c'è una targa di alluminio anodizzato d'oro di circa 15*23 cm, su cui sono incise le immagini di due esseri umani e alcune informazioni che, se decifrate, indicheranno il sistema planetario da cui il satellite è partito e l'epoca in cui è partito. Nel 1973 una targa identica è stata lanciata col "Pioneer 11", e nel 1977 sono state spedite nello spazio registrazioni di una gran quantità di suoni terrestri.
Questi, però, non sono mezzi di comunicazione molto efficaci. Il "Pioneer 10", per esempio, raggiungerebbe Alpha Centauri solo tra ottantamila anni, se fosse puntato in quella direzione, cosa che non è. In realtà esso non si avvicinerà a nessuna delle stelle che possiamo vedere, o almeno non abbastanza da attraversare il relativo sistema planetario, per almeno dieci miliardi di anni. Le probabilità che qualcuno si imbatta in quei messaggi prima dell'estinzione dell'umanità sono quindi vicine allo zero.
Del resto, perché lanciare oggetti materiali, quando possiamo inviare radiazioni? Possiamo mandare un raggio di luce laser o di microonde direttamente alle stelle nei cui sistemi planetari crediamo esistano civiltà progredite. Una radiazione di questo tipo impiegherebbe 4,4 anni per raggiungere Alpha Centauri, non ottantamila, e ci risparmierebbe una quantità di problemi e di spese.
D'altra parte, anche inviare un raggio alla cieca non ha senso: sarebbe meglio ascoltare, prima di mettersi a gridare... Altre civiltà, più progredite della nostra, potrebbero infatti emettere segnali più efficaci dei nostri. Perché, dunque, non cercare di scoprire l'esistenza e la sede precisa di una particolare intelligenza extraterrestre, e solo allora inviare il messaggio in quella direzione?
Inevitabile è anche il chiedersi se la scoperta di un'intelligenza aliena ci farebbe bene. Io credo di si, e lasciatemi spiegare perché. Il semplice fatto che ne esista almeno una, specialmente se quella in cui c'imbatteremo potrà dirci di essere molto più progredita di noi in campo tecnologico, ci proverà che per una specie è possibile sviluppare una civiltà sofisticata senza commettere suicidio. Io, per quanto mi riguarda, sarei felicissimo di poterlo sapere.
Supponiamo invece di non riuscire a captare niente. Sarebbe forse la prova che tutte le tecnologie avanzate commettano suicidio?
Non necessariamente. Potrebbe solo significare che non abbiamo adoperato strumenti di ricerca abbastanza perfezionati, o che non abbiamo origliato al buco della serratura giusto, o ancora che, pur captando qualcosa, non siamo abbastanza intelligenti o progrediti per renderci conto che si tratta di un messaggio.
Potrebbe quindi darsi che, nonostante i nostri sforzi nel costruire strumenti enormemente complessi e costosi per individuare i segnali di intelligenze extraterrestri, l'impresa non riesca. E, tutto sommato, è molto più verosimile l'ipotesi del fallimento che quella del successo.
L'uomo d'affari di cui ho parlato all'inizio scuoterebbe la testa, a questo punto. Come si può intraprendere un'impresa simile senza essere sicuri, in anticipo, che avrà successo?
La risposta è che, in un certo senso almeno, non falliremo comunque. Anche se non scopriremo segnali di vita extraterrestre, i complessi sistemi di scandaglio del cosmo che costruiamo allo scopo ci forniranno lo stesso una quantità di informazioni tali da incrementare enormemente la nostra comprensione dell'universo in cui viviamo. E questo non può essere altro che un bene.

FINE