Science Fiction Project
Urania - Asimov d'appendice
* * Back * *
IL MONDO DEL SOLE ROSSO - Isaac Asimov
Titolo originale: The world of the red sun
Quando ero un po' più giovane di adesso e frequentavo la scuola media, leggevo le riviste di fantascienza che mio padre vendeva nel suo negozio di dolciumi e generi vari.
Durante l'intervallo del pranzo raccontavo le storie che mi avevano affascinato di più a gruppi di miei compagni di scuola che pendevano dalle mie labbra, e il riassunto che ebbe più successo fu quello di una storia intitolata Il mondo del Sole Rosso, che mi era piaciuta particolarmente e che era apparsa nel 1931 sul numero di dicembre della rivista Wonder Stories.
A quell'epoca non prestai alcuna attenzione al nome dell'autore, che mi era completamente sconosciuto. Anzi, come seppi in seguito, quel racconto era il primo che avesse mai pubblicato.
Molti anni dopo, quando ero entrato in corrispondenza con il famoso scrittore di sf Clifford. D. Simak e ne ero diventato buon amico, acquistai il prezioso catalogo 1926-1950 della fantascienza compilato da Donald Day, guardai di chi fosse Il mondo del Sole Rosso e scoprii che tale racconto era il primo che proprio Cliff avesse pubblicato.
(Adesso, a più di mezzo secolo di distanza, Simak è ancora in piena attività, continua a produrre materiale eccellente e ha ricevuto il titolo onorifico di Gran Maestro dall'Associazione Americana degli Scrittori di Fantascienza).
Ho sempre provato un'immensa soddisfazione al pensiero di avere saputo riconoscere all'età di soli undici anni la grandezza di un autore dalla sua prima prova letteraria.
Potete quindi immaginare con quale piacere mi sia accorto, scrivendo questo articolo, che il titolo più logico che avrei potuto dargli era proprio quello che Cliff scelse per la sua prima storia. Utilizzando questo titolo, quindi, mi pare in certo modo di rendere omaggio a un vecchio amico.
Nel racconto di Cliff si parlava di un viaggio nel tempo e il Sole Rosso menzionato dall'autore era il nostro stesso Sole proiettato in un futuro lontano. Il mio Sole Rosso, invece, è Betelgeuse, la gigante rossa di cui ho parlato dettagliatamente nell'articolo pubblicato su Urania n. 986.
Il problema che vi pongo è questo: se considerassimo Betelgeuse come il Sole Rosso, potremmo immaginare un mondo che le orbitasse intorno? Con "mondo" non intendo un pianeta purchessia, ma un pianeta molto particolare, che somigliasse alla Terra e ospitasse organismi intelligenti. Questi, è ovvio, non dovrebbero essere necessariamente di tipo umanoide, ma dovrebbero pur sempre essere del "tipo conosciuto da noi": acido nucleico e proteine formatisi in un ambiente acquatico.
Vediamo, allora. Supponiamo innanzitutto di avere un pianeta simile alla Terra (sono fortemente tentato, invece di usare la locuzione "simile alla Terra", di definirlo "terroide", anche se credo sia un termine mai usato prima).
Un pianeta terroide non potrebbe trovarsi troppo vicino a una stella perché i suoi oceani evaporerebbero, né potrebbe trovarsi troppo lontano, perché gli oceani si congelerebbero e, in entrambi i casi, la vita terroide sarebbe impossibile.
Poiché Betelgeuse ha in media un diametro che è quattrocentoventicinque volte quello del nostro Sole, sappiamo che l'ipotetico pianeta terroide dovrebbe essere molto più lontano dalla sua stella di quanto la Terra lo sia dal Sole. In prima approssimazione potremmo porre il pianeta a una distanza tale da Betelgeuse, che la gigante rossa avesse nel suo cielo la stessa grandezza apparente di quella che ha il Sole nel cielo della Terra.
In tal caso la distanza tra il pianeta e Betelgeuse dovrebbe essere di 63.500.000.000 chilometri (1/15 di un anno luce), ovvero più di dieci volte la distanza media che separa Plutone dal nostro Sole.
Un mondo che si trovasse a una simile distanza dal Sole completerebbe una rivoluzione intorno a quest'ultimo in circa 8.742 anni terrestri.
Ma Betelgeuse è una stella circa sedici volte più grande del Sole, per cui un pianeta così lontano girerebbe intorno ad essa più in fretta dell'ipotetico mondo che si trovasse a una uguale distanza dal Sole. Il pianeta terroide orbiterebbe dunque intorno alla sua lontana ma enorme stella soltanto in un quarto del tempo che avrebbe potuto impiegare a orbitare intorno al Sole, e il suo periodo di rivoluzione sarebbe di 2.185 anni terrestri.
Quale importanza avrebbe il fatto che il periodo di rivoluzione fosse di più di due millenni?
Immaginiamo il pianeta in tutto simile alla nostra Terra. Supponiamo che avesse un'orbita circolare, che ruotasse intorno al proprio asse in ventiquattr'ore, che la sua inclinazione assiale fosse come la nostra, e così via. Avrebbe allora stagioni come le nostre, ma ciascuna di esse durerebbe cinque secoli. Durerebbe, cioè, troppo a lungo. Sulle regioni polari si susseguirebbero secoli di luce ininterrotta e secoli di buio ininterrotto.
Bene, immaginiamo allora che l'asse non fosse inclinato e che ci fossero dappertutto dodici ore di luce e dodici ore di buio. Le regioni polari sarebbero indubbiamente coperte da calotte di ghiaccio permanenti che potrebbero estendersi lontano, fino alle zone temperate, e non si potrebbe contare su una estate calda che sciogliesse abbondantemente i ghiacci; le regioni tropicali, però, avrebbero un clima buono. Sembrerebbe dunque che avessimo risolto ogni problema, ma..
Ma non è così.
Diversamente dal Sole, Betelgeuse è una stella rossa, non bianca. La sua temperatura è di 3.200 °K, mentre quella del nostro Sole è di 5.800 °K. Considerata la differenza di dimensioni tra il Sole e Betelgeuse, la superficie della gigante rossa irradierebbe solo 1/43 della luce e del calore complessivi irradiati dal nostro Sole. Anche se apparisse grande come il Sole nel cielo del pianeta terroide, sarebbe sempre una stella fredda rispetto ai nostri parametri, sicché gli oceani del pianeta si congelerebbero e la vita sarebbe impossibile.
Fatta questa considerazione, potremmo provare a spostare l'ipotetico pianeta verso l'interno. (L'immaginazione è uno strumento prezioso). Rinunciando all'idea che Betelgeuse abbia una grandezza apparente pari a quella che ha il Sole nel nostro cielo, lasciamola espandersi nel cielo del pianeta terroide e facciamole avvicinare quest'ultimo fino al punto in cui la superficie maggiore della stella compensi il suo calore insufficiente.
Ci sposteremo verso l'interno finché la grandezza apparente di Betelgeuse nel cielo del suo ipotetico mondo sia quarantatré volte quella del Sole nel cielo della Terra, e il suo diametro apparente sia sei volte e mezzo quello della nostra stella. Dovremmo quindi immaginare il pianeta terroide a una distanza media da Betelgeuse di 9.680.000.000 di chilometri, non molto, se si considera che è una distanza pari a 1,6 volte quella di Plutone dal Sole.
Betelgeuse avrebbe in questo caso un diametro apparente di circa 3,5 ° e di fatto apparirebbe molto grande ai nostri occhi abituati al Sole; però irradierebbe la giusta quantità di luce e di calore.
Certo, la luce sarebbe di una qualità diversa. Avrebbe un colore rossastro e non soddisferebbe le nostre esigenze. Gli organismi viventi del pianeta terroide, però, si sarebbero ovviamente adattati al tipo di radiazione della loro stella. I loro occhi sarebbero più sensibili al rosso dei nostri e riuscirebbero a vedere fino a un certo grado nella gamma degli infrarossi (e, molto probabilmente, sarebbero insensibili alla luce a onde corte, che tutto sommato sarebbe presente solo in piccole quantità nella luce di Betelgeuse). La luce di Betelgeuse apparirebbe bianca agli ipotetici abitanti del pianeta terroide, per cui essi sarebbero perfettamente soddisfatti.
In queste condizioni, inoltre, il periodo di rivoluzione sarebbe più breve, avrebbe cioè una durata di soli centotrenta anni terrestri. Una lieve inclinazione assiale sarebbe tollerabile e potrebbe ridurre sensibilmente l'estensione delle calotte polari. Sembra tutto quanto perfetto, no? Ma non lo è nemmeno questa volta.
Il nostro Sole è una stella stabile; in altre parole, non mutano né le sue dimensioni, né la quantità di calore e luce irradiata. Certo a volte l'emissione di radiazioni è più irregolare, e negli ultimi anni alcune osservazioni compiute dagli astronomi hanno indotto a pensare che le dimensioni della nostra stella cambino leggermente col tempo, ma questi cambiamenti sono irrilevanti se si pensa a quelli subiti da Betelgeuse, una stella che, come ho sottolineato nell'articolo del mese scorso, pulsa irregolarmente, con contrazioni ed espansioni di notevole entità.
Ho detto che il diametro di Betelgeuse è quattrocentoventicinque volte quello del Sole, però ho anche precisato in media. Tale diametro può dilatarsi fino a diventare cinquecento volte quello del Sole (in certi casi anche di più) o restringersi fino a diventare trecentocinquanta volte superiore ad esso (e in certi casi anche meno).
Nel cielo del pianeta terroide, quindi, Betelgeuse avrebbe un diametro apparente di 3,5 gradi. Esso varierebbe secondo le circostanze da 4,2 ° a 2,9 °. Quando il diametro fosse al massimo, Betelgeuse avrebbe una grandezza apparente doppia di quella che presenterebbe quando il diametro fosse al minimo, e irradierebbe una quantità di calore e luce due volte più intensa di quella irradiata con il diametro al minimo.
Di conseguenza, il nostro pianeta immaginario attraverserebbe periodi di enorme caldo e periodi di enorme freddo, anche se descrivesse intorno a Betelgeuse un'orbita circolare e anche se il suo asse non fosse inclinato. Anzi, temo che le variazioni di temperatura sul pianeta sarebbero così grandi, che difficilmente la vita quale noi la conosciamo potrebbe svilupparvisi.
Ma perché l'orbita del pianeta terroide dovrebbe essere necessariamente circolare? Non potremmo immaginarla invece abbastanza ellittica, configurata in modo tale che il pianeta si avvicinasse a Betelgeuse solo nel momento in cui la stella si contraesse irradiando meno luce e calore, e si allontanasse nel momento in cui questa si espandesse, aumentando le proprie radiazioni?
Sarebbe chiedere troppo al caso supporre che il pianeta si avvicinasse e allontanasse dalla gigante rossa nei momenti giusti, mantenendo così abbastanza stabile la propria temperatura, ma non scarterei questa ipotesi solo perché è improbabile.
Si dà il caso tuttavia che non sia solo improbabile, ma impossibile.
Ho detto che il pianeta orbiterebbe intorno a Betelgeuse in centotrenta anni. Per quanto ellittica fosse la sua orbita, il periodo di rivoluzione resterebbe sempre di centotrenta anni se la distanza da Betelgeuse fosse, come abbiamo detto, di 9.680.000.000 di chilometri. Ciò significa che il pianeta terroide si manterrebbe relativamente vicino a Betelgeuse per poco meno di sessantacinque anni. Si muoverebbe infatti a una velocità orbitale superiore alla media quando si trovasse più vicino a Betelgeuse e a una velocità inferiore alla media quando si trovasse più lontano. Più ellittica fosse l'orbita del pianeta, più squilibrio ci sarebbe tra i rispettivi periodi.
L'unico modo per porre rimedio al fenomeno della pulsazione di Betelgeuse sarebbe che la gigante rossa si espandesse e contraesse con un periodo di centotrenta anni e che il ciclo di espansione fosse leggermente più lungo del ciclo di contrazione.
Il periodo dì pulsazione di Betelgeuse, però, non si avvicina neanche lontanamente ai centotrenta anni. La gigante rossa impiega circa centocinquanta giorni a espandersi, salendo dalla grandezza minima alla massima, e dai cento ai centocinquanta giorni per contrarsi di nuovo e tornare alle dimensioni minime. Durante il periodo di rivoluzione del pianeta terroide, quindi, Betelgeuse si espanderebbe e contrarrebbe circa duecentosettanta volte. Per ovviare a questo inconveniente, bisognerebbe che il pianeta oscillasse ora verso l'esterno e ora verso l'interno, con variazioni capaci di compensare perfettamente, sia per ritmo che per intensità, quelle provocate dall'alternarsi di fasi di espansione e contrazione in Betelgeuse.
A quanto sembra, Betelgeuse è instabile in quanto turbolento e "ribollente". Bolle incandescenti di elio provenienti dal suo interno salgono periodicamente alla superficie, e producendo enormi macchie incandescenti inducono la stella a espandersi. Le variabili coinvolte nel fenomeno sono troppe perché si verifichi quel minimo di regolarità senza cui la vita non può svilupparsi.
Si potrebbe obiettare, naturalmente, che anche la Terra presenta grandi variazioni nel clima, e che tuttavia la vita su di essa esiste.
Però le variazioni di temperatura della Terra sono nel loro complesso di gran lunga inferiori a quelle che il pianeta di Betelgeuse sarebbe costretto a sopportare; inoltre, da noi ci sono vaste regioni dove la temperatura per lunghi periodi di tempo è assai uniforme. Difficilmente potrebbe verificarsi la stessa cosa sul mondo terroide di Betelgeuse.
Anche sotto altri profili Betelgeuse è estremamente instabile. Da diversi segni si capisce che possiede colossali protuberanze e che è la fonte di un enorme vento stellare. Da ciò risulta evidente che non rimarrà a lungo nella sua forma attuale, diversamente da stelle comuni come il nostro Sole, il quale potrà restare relativamente immutato per miliardi di anni.
Proviamo a confrontare il vento di Betelgeuse con quello del Sole. Il Sole perde in continuazione massa, dato che flussi di particelle (soprattutto protoni, i nuclei degli atomi di idrogeno che costituiscono il grosso della sostanza di cui è composto il Sole) corrono velocissimi in tutte le direzioni verso l'esterno. Il Sole perde attraverso questo vento solare circa un milione di tonnellate di materia al secondo, ma la perdita di materia di Betelgeuse è un miliardo di volte superiore.
Se Betelgeuse continuasse a perdere massa al ritmo attuale, scomparirebbe definitivamente fra 16.000.000 di anni.
Ben prima di allora, però, avrà probabilmente perso abbastanza materia da trasformarsi in una stella condensata circondata da una nebulosa planetaria, oppure sarà esplosa in una supernova. Ho il sospetto che una gigante rossa di quelle dimensioni possa conservarsi immutata per un periodo di soli due milioni di anni.
Vi potrebbe sembrare magari un ampio lasso di tempo, considerato che la civiltà umana dura da meno di diecimila anni. In fondo, un periodo di due milioni di anni è duecento volte più lungo.
Vi sbagliereste, però. Non stiamo infatti parlando dell'evoluzione di una civiltà, ma dell'evoluzione della vita. La vita apparve sulla Terra forse tre miliardi e mezzo di anni fa; la vita pluricellulare probabilmente risale a un miliardo di anni fa e quella terrestre a soli quattrocento milioni di anni fa. Ci sono voluti due miliardi e mezzo di anni solo per superare lo stadio unicellulare, e un simile lasso di tempo equivale a più di mille volte la durata di una gigante rossa.
Si potrebbe forse obiettare che l'evoluzione della vita sulla Terra sia stata estremamente lenta per puro caso e che potrebbe essere più rapida sul pianeta di Betelgeuse.
Ecco, non siamo in grado di dire se il ritmo dell'evoluzione sulla Terra corrisponda al ritmo generale di evoluzione della vita nell'universo, perché la vita che il nostro pianeta ospita è l'unico esempio a noi noto di tale fenomeno. Tuttavia, da quello che sappiamo dell'evoluzione, siamo indotti a ritenere che un simile processo non possa che essere molto lento. È difficile credere che la vita intelligente possa evolversi durante la breve esistenza di una gigante rossa.
Non dimentichiamo però che Betelgeuse all'inizio non era una gigante rossa. Prima di essere una gigante rossa era una stella della sequenza principale, ossia una stella stabile come il Sole, che veniva alimentata dalla fusione dell'idrogeno nel suo nucleo. Era quindi relativamente piccola; certo, aveva più massa del Sole, e dunque era un po' più grande, più luminosa e più calda di esso, ma non era affatto una gigante.
Che senso ha allora pensare che la vita abbia avuto inizio mentre Betelgeuse era una gigante rossa? Non è più ragionevole immaginare che sia iniziata quando la stella si trovava nella sequenza principale e che poi si sia gradatamente evoluta, fino a dare origine a un'intelligenza superiore capace di creare una tecnologia sofisticata?
In tal caso, quando Betelgeuse fosse uscita dalla sequenza principale e avesse cominciato a evolversi verso lo stadio di gigante rossa, gli abitanti intelligenti del pianeta terroide (che naturalmente, considerato che Belgeuse sarebbe stata più calda, avrebbe orbitato intorno ad essa a una distanza maggiore di quella che separa la Terra dal Sole, una distanza, però, non enormemente più grande) avrebbe avuto la possibilità di trasferirsi più lontano a bordo di astronavi. Il trasferimento si sarebbe articolato in varie fasi; benché infatti l'evoluzione fino allo stadio di gigante rossa sia rapido se confrontato con l'evoluzione che subisce una stella durante la sequenza principale, è ugualmente assai lento se rapportato alla scala della vita umana.
Così, quando il nostro Sole comincerà lentamente a diventare una gigante rossa, gli esseri umani (o i nostri discendenti, frutto dell'evoluzione dell'umanità), se esisteranno ancora, potranno magari trasferirsi su Marte, poi, dopo centinaia di migliaia di anni, su Europa (uno dei satelliti di Giove), poi ancora, un milione di anni dopo, su Titano, e così via. Betelgeuse, avendo più massa del Sole, avrebbe subito un'evoluzione più rapida di quest'ultimo, ma ugualmente non ci sarebbe stata troppa fretta.
Il lontano pianeta della gigante rossa Betelgeuse non ospiterebbe quindi una vita intelligente sviluppatasi in loco, ma una vita emigrata li da qualche pianeta interno che sarebbe stato disintegrato e assorbito dalla stella quando questa si fosse trovata nella sua fase di espansione.
Ma le cose non stanno affatto così.
Nel nostro sistema solare i mondi relativamente vicini al Sole sono costituiti essenzialmente di roccia (con o senza un nucleo metallico) e potrebbero in teoria ospitare per lunghi periodi la vita umana grazie alla loro stessa conformazione naturale (come è il caso della Terra), o dopo notevoli modifiche introdotte attraverso la tecnologia (come potrebbe essere il caso della Luna o di Marte).
I mondi oltre la fascia degli asteroidi, che sopravviveranno dopo che il Sole sarà diventato una gigante rossa, hanno invece una composizione sostanzialmente diversa. I pianeti grandi sono costituiti soprattutto da gas, quelli più piccoli invece sono mondi tutti di ghiaccio che come rifugi non offrono molte speranze, nel lungo periodo. I pianeti gassosi sono totalmente incompatibili con il nostro tipo di vita. Quelli ghiacciati non hanno i minerali e i metalli di cui abbiamo bisogno.
Naturalmente il Sole trasformato in gigante rossa potrebbe surriscaldare Giove a tal punto, da far disperdere buona parte della sua superficie esterna, e noi potremmo sperare che rimanesse esposto un nucleo roccioso sul quale l'uomo potrebbe abitare e fondare una nuova Terra. Purtroppo non siamo affatto sicuri che ci sia un nucleo roccioso dentro Giove, né sappiamo, anche ammesso che ci fosse, quanto potrebbe essere grande. E non si potrebbe neanche escludere, tra l'altro, l'eventualità che un Giove surriscaldato si conservasse più o meno intatto grazie al suo ampio campo gravitazionale.
Ganimede e Callisto, due dei maggiori satelliti di Giove, sono costituiti da ghiaccio e, all'epoca in cui il Sole fosse diventato una gigante rossa, potrebbero sciogliersi, dissolvendosi nello spazio. Certo c'è Io, che è un satellite roccioso, però è privo di acqua. Callisto ha un nucleo roccioso e un oceano che si estende lungo tutta la superficie (attualmente congelata, almeno lo strato superiore). La gigante rossa potrebbe sciogliere i ghiacci e far evaporare l'oceano, che così si disperderebbe nello spazio.
Oltre Giove non dovrebbero sussistere simili pericoli, ma i pianeti sarebbero tutt'altro che invitanti.
Ci sono tutti i motivi per pensare che questo schema generale (mondi rocciosi vicino a una stella, mondi ghiacciati o gassosi lontano da essa) sia comune a ogni sistema planetario. È quindi abbastanza logico pensare che la vita cominci sempre relativamente vicino a una stella e che quando questa si evolve verso lo stadio di gigante rossa, trasferirsi nelle più sicure regioni esterne, risulti praticamente impossibile a causa delle grossissime trasformazioni cui si dovrebbe sottoporre il territorio da colonizzare.
Ma non vogliamo essere troppo miopi e porre precisi limiti al possibile progresso della tecnologia. La terrestrizzazione della morfologia di un pianeta può riuscire assai semplice a una specie tecnologicamente avanzata. Considerato il ritmo del progresso tecnologico negli ultimi cento anni (si è passati dagli alianti privi di motore alle sonde automatiche che fotografano a distanza ravvicinata gli anelli di Saturno), è abbastanza naturale supporre che saremo molto più progrediti di adesso tra un secolo o, ancor più, tra mille anni.
Ma perché dovremmo accontentarci di usare come rifugio i mondi delle zone più esterne del nostro sistema planetario, che in fondo ci sarebbero preziosi solo in quanto ricchi di risorse naturali?
Non potremmo invece immaginare un'umanità distribuita in colonie spaziali artificiali spaziose e confortevoli come la superficie della Terra, e assai più sicure? In un caso del genere nessuno penserebbe mai di ritornare in qualsivoglia mondo. Basterebbe spostare le colonie, allontanandole dal Sole a poco a poco ogni anno e compensando così l'aumento di intensità delle radiazioni.
L'umanità potrebbe addirittura salvare dei pianeti dalla minaccia del Sole-gigante rossa: spingendoli ogni tanto più lontano dalla stella preserverebbe la loro esistenza e continuerebbe così a sfruttare le loro risorse.
Forse allora gli esseri viventi che avrebbero tratto origine dal pianeta terroide di Betelgeuse all'epoca in cui questa stella era nella sequenza principale, potrebbero vivere adesso in vaste colonie distanti quasi dieci miliardi di chilometri dalla gigante rossa e avere salvato asteroidi e satelliti che orbiterebbero ora più lontano dalla stella. Gli abitanti delle colonie potrebbero addirittura conoscere tecniche atte a neutralizzare le differenze di radiazione che Betelgeuse svilupperebbe nelle fasi alternate di espansione e contrazione. Potrebbero avere dotato di schermi protettivi le colonie orbitanti e da un lato deviare la maggior parte delle radiazioni durante la fase di surriscaldamento della stella, dall'altro raccoglierle e concentrarle durante la fase di raffreddamento.
Ma, ancora una volta, le cose non stanno così.
Tutte le ipotesi che abbiamo avanzato varrebbero se una vita intelligente avesse veramente avuto origine e si fosse evoluta nel sistema planetario di Betelgeuse all'epoca in cui la stella era ancora nella sequenza principale.
Prendiamo ad esempio il nostro Sole, cercando di non pensare in termini di miliardi di anni. È difficile per la nostra mente comprendere periodi di tempo così smisuratamente lunghi. Definiamo invece "sei anni-lunghi" un periodo pari a un miliardo di anni comuni. Su questa scala "un secondo-lungo" equivarrà a trentun anni.
Usando questo "parametro lungo", il sistema solare si condenserebbe, uscendo dal vortice primordiale di polvere e gas, in circa sette mesi-lunghi e inizierebbe la propria esistenza nella sequenza principale. Resterebbe in tale sequenza per circa settantadue anni-lunghi (settantadue anni è circa la vita media di un essere umano, per ciò ho scelto questa particolare scala), poi passerebbe allo stadio di gigante rossa molto velocemente, in non più di quattro giorni-lunghi, collassando in nana bianca. Resterebbe quindi in tale stato indefinitamente, raffreddandosi a poco a poco.
Se osserviamo un po' più da vicino la parte di vita del sole passata nella sequenza principale e lo facciamo in termini di anni-lunghi, arriviamo ai seguenti risultati.
I pianeti e gli altri corpi celesti freddi del sistema solare hanno assunto la loro forma attuale molto lentamente, raccogliendo i detriti che entravano nella loro orbita. Il bombardamento di questi detriti ha lasciato il segno, ha lasciato, cioè, crateri di origine meteoritica visibili su tutti i pianeti (tranne ovviamente nei casi in cui sono stati erosi o nascosti da fattori come l'aria, l'acqua, la lava vulcanica, l'attività di esseri viventi, e così via).
Solo quando il Sole è arrivato a tre anni-lunghi di età questo bombardamento è sostanzialmente finito e la Terra e gli altri mondi si sono consolidati nella loro forma attuale.
Quando il Sole è arrivato a sei anni-lunghi di età, sono apparse sulla Terra le prime tracce di molecole abbastanza complesse da poter essere considerate viventi.
Quando il Sole ha compiuto ventun anni-lunghi si sono formati i primi organismi pluricellulari e, quando ha compiuto ventiquattro anni-lunghi, sono apparse le prime testimonianze fossili. Il Sole aveva poco più di venticinque anni-lunghi quando la vita dall'acqua si è spostata a poco a poco sulla terra. Adesso la nostra stella ha poco più di ventisette anni-lunghi e mezzo. Quando ne avrà sessanta, forse farà un po' troppo caldo sulla Terra e gli esseri umani, o gli esseri evolutisi da loro, potrebbero (se ancora in circolazione) iniziare a emigrare verso zone più esterne. Quando avrà settantadue anni-lunghi, il nostro Sole sarà una gigante rossa, anche se non grande quanto è adesso Betelgeuse.
Si dà il caso che non tutte le stelle restino nella sequenza principale per un ugual periodo di tempo. In genere, più grande è la loro massa, più grande è il loro rifornimento di combustibile nucleare. Più grande è la massa, però, più in fretta la stella è costretta a consumare il rifornimento di combustibile, se vuole generare il calore e la pressione di radiazione necessarie a impedirle di collassare per effetto del suo intenso campo gravitazionale.
A mano a mano che la massa aumenta, il ritmo di consumo del combustibile cresce più rapidamente di quanto non faccia il combustibile stesso. Ne consegue che più una stella è dotata di grande massa, meno tempo passa nella sequenza principale e più in fretta raggiunge lo stadio di gigante rossa.
Prendiamo in considerazione, ad esempio, le nane rosse, che rappresentano i tre quarti di tutte le stelle. Sono stelle relativamente piccole, pari a 1/5-1/2 del Sole, dotate, cioè, della massa appena sufficiente a produrre la pressione interna atta a scatenare le reazioni nucleari. Le nane rosse perdono così lentamente il loro rifornimento relativamente piccolo di combustibile nucleare, che rimangono nella sequenza principale per periodi oscillanti tra i quattrocentocinquanta e i milleduecento anni-lunghi.
Sono periodi immensi, se si pensa che probabilmente l'universo stesso non ha al momento attuale più di novanta anni-lunghi di vita. Ciò significa che tutte le nane rosse esistenti sono ancora nella sequenza principale. Nessuna ha ancora avuto il tempo di raggiungere lo stadio di gigante rossa.
Le stelle che hanno una massa maggiore di quella del Sole rimangono invece meno tempo nella sequenza principale. Procione, per esempio, che è una volta e mezzo il Sole, resterà ventiquattro anni-lunghi in tale sequenza. Sirio, che è più di due volte e mezzo il Sole, vi resterà solo tre anni-lunghi.
E Betelgeuse, che ha una massa sedici volte quella del Sole? Bene, è rimasta nella sequenza principale per circa tre settimane-lunghe. Confrontate questa cifra con i sei anni-lunghi (un periodo più di cento volte superiore a quello di tre settimane-lunghe) che sono passati prima che la prima traccia di vita comparisse sulla Terra. Anche ammettendo che nel nostro sistema solare la vita si sia sviluppata con straordinaria lentezza, è impensabile che si sia potuta evolvere in meno di un centesimo di tale periodo.
Tra l'altro, non è che siamo interessati alle prime tracce di vita; siamo interessati ovviamente agli organismi più evoluti. È logico presupporre che le forme di vita si evolvano lentamente verso strutture più complesse, e che alla fine di questa lenta evoluzione compaiano specie abbastanza intelligenti da creare una tecnologia avanzata. Sulla Terra sono occorsi ventisette anni-lunghi perché si verificasse questo fenomeno. Sul pianeta di Betelgeuse avrebbe potuto verificarsi in tre settimane-lunghe, equivalenti a poco più di 1/1.500 di tale periodo?
Appare semplicemente impossibile che la vita abbia potuto evolversi su un qualsivoglia pianeta orbitante intorno a Betelgeuse, o che possano esserci adesso da quelle parti forme di vita originarie di tale pianeta. Dico «originarie di tale pianeta» perché non voglio escludere l'eventualità che esseri dotati di tecnologia avanzata e provenienti da un altro sistema stellare abbiano installato un osservatorio scientifico nelle zone più esterne del sistema di Betelgeuse per studiare da vicino la gigante rossa. (Se una simile stazione scientifica avesse a bordo delle forme viventi, queste farebbero bene a squagliarsela allontanandosi di almeno un anno luce, il giorno in cui Betelgeuse esplodesse).
Così non c'è nessun mondo del Sole Rosso, ahimè, se con esso intendiamo un pianeta orbitante intorno a Betelgeuse, ed è in genere assai improbabile che la vita terroide possa avere origine su un pianeta orbitante intorno a una stella dotata di massa assai superiore a quella del Sole. Le stelle che hanno una massa sensibilmente inferiore a quella del nostro Sole sono escluse per altri motivi, di cui parlerò in un prossimo articolo.
Le uniche adatte a ospitare un tipo di vita terroide sono quindi le stelle con una massa abbastanza simile a quella del Sole. Per fortuna esse rappresentano circa il dieci per cento del totale, per cui ci restano buone probabilità di trovare altre forme di vita intelligente nell'universo.
FINE