Science Fiction Project
Urania - Asimov d'appendice
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MA È L'AMORE CHE FA GIRARE IL MONDO? - Isaac Asimov
Titolo originale: Love makes the world go round!
Da idea nasce idea e io mi abbandono volentieri al filo dei miei pensieri. Recentemente mi sono sorpreso a fantasticare su una frase e a chiedermi: Ma è l'amore che fa girare il mondo?
Per molti l'amore è un'emozione esaltante; a viverla, l'universo ci pare nuovo e meraviglioso, quando poi si spegne, il sole non splende più e la terra smette di girare. Quante sciocchezze!
Però, chi l'ha detto per primo?
Sono andato in biblioteca e, con mia grande sorpresa, ho scoperto che la prima a proclamarlo nella letteratura inglese è stata, nel 1865, la Duchessa Brutta, in Alice nel Paese delle Meraviglie: "E la morale di questo è... Oh, è l'amore, è l'amore che fa girare il mondo!".
In quello stesso anno, l'affermazione compare (ma con un "è l'amore" in meno) nel Nostro comune Amico di Charles Dickens. Poiché un'invenzione indipendente sembra poco probabile, quel sentimento ha sicuramente lontane radici in un detto popolare, tant'è vero che in un verso di una canzone francese del Settecento troviamo: "C'est l'amour, l'amour, qui fait le monde à la ronde", asserzione che traduce alla lettera le parole della Duchessa.
Se risaliamo indietro nei secoli, scopriamo nell'ultima terzina della Divina Commedia di Dante: "L'amor che move il sole e l'altre stelle". Il verso, è vero, allude al movimento generale dell'universo piuttosto che a una semplice rotazione attorno a un asse, ma è già significativo. E notate bene, "amore", qui, non indica quel sentimento romantico cui si riferisce la maggior parte di noi quando usa la parola. Dante se ne serve per indicare quell'attributo di Dio in virtù del quale Egli provvede all'umanità e mantiene in vita l'universo per il nostro bene e la nostra felicità.
D'altra parte, questa concezione è probabilmente ispirata, almeno in parte, a un antico proverbio latino, che data, a mio avviso, dall'epoca di Roma: "Amor mundum fecit".
Di qui risaliamo alle cosmogonie mistiche dei Greci. Secondo quanto ci e noto del complesso di dottrine che compongono i Misteri Orfici, l'Universo ha avuto inizio quando la Notte (cioè il Caos primordiale) ha plasmato un uovo che, schiudendosi, ha dato origine a Eros ("l'Amore divino"), che, a sua volta, ha creato la terra, il cielo, il sole e la luna e ha impresso il movimento al tutto.
Metafisicamente, questo "Amore divino", sia pagano che ebraico-cristiano, si manifesta nell'universo materiale come un'attrazione reciproca, irresistibile, fra tutti gli oggetti creati. Ora, esiste davvero questa attrazione inesorabile che tiene assieme l'intero universo, ed è precisamente "l'interazione gravitazionale" di cui parlano gli scienziati.
Possiamo allora tranquillamente dire: "Ma è la gravità, è la gravità, che fa girare il mondo!" il che, forse, non è poi una cattiva idea.
Ma di dove ero partito? Ecco...
In un articolo scritto diversi anni or sono raccontavo la storia della scoperta delle pulsar - minuscole stelle di neutroni, che girano velocissime su se stesse. Pur non superando, come diametro, la lunghezza dell'isola di Manhattan, hanno a volte una massa pari a quella di una stella di grandi dimensioni. La prima pulsar a essere scoperta ruotava attorno al proprio asse in 1,3370209 secondi. Si tratta di un moto estremamente rapido, anche per un oggetto piccolo come una pulsar.
Ma allora, perché una pulsar gira così vorticosamente?
Una pulsar è il residuo di una supernova, una stella gigante che è esplosa. Una deflagrazione di quella violenza ha scagliato nello spazio in ogni direzione, una parte della massa stellare, formando un'immensa nube di gas e di polvere in espansione, mentre il collasso delle parti centrali ha dato origine a una piccolissima stella di neutroni, estremamente densa (o anche, a volte, a un buco nero).
La stella originaria aveva probabilmente una data velocità angolare, determinata dal tempo di rotazione e dalla distanza media dall'asse di rotazione della materia in essa contenuta.
Secondo una legge fondamentale della natura, la velocità angolare di un sistema chiuso non può cambiare perciò, quando una stella esplode, la velocità angolare viene parzialmente assorbita dal gas e dalla polvere che turbinano nello spazio, ma resta in gran parte imprigionata nel nucleo centrale collassato.
Nel momento del collasso del nucleo che, a sua volta, ha una propria velocità angolare, la materia di cui questi si compone si avvicina all'asse di rotazione in modo impressionante. Da una distanza media di milioni di chilometri scende, di colpo, ad appena 5 chilometri. Questo fatto, da solo, dovrebbe far precipitare a zero la velocità angolare se non fosse per la presenza di un altro fattore, vale a dire l'indice di rotazione. Perché la velocità angolare rimanga tale, come vuole la legge fisica, la drastica riduzione della distanza dall'asse andrà compensata da un altrettanto drastico aumento dell'indice di rotazione.
Ecco allora perché una pulsar ruota a quella velocità. Ne è responsabile il collasso della stella, provocato dalla spinta irresistibile della forza gravitazionale. E se identifichiamo, misticamente, la gravità con l'Amore, scopriamo effettivamente che "È l'amore che fa girare il mondo!"
(Adesso vi è chiaro il concetto dei miei pensieri.)
Le pulsar, se mai, non ruotano abbastanza velocemente. In realtà, l'enorme contrazione dovrebbe determinare un movimento molto più vorticoso. Ma, poco dopo la scoperta delle pulsar, si è osservala la presenza di effetti di rallentamento. Le pulsar emettevano radiazioni e particelle, disperdendo energia a spese dell'energia di rotazione, col risultato di ridurre la velocità stessa della rotazione. In altre parole, le emissioni energetiche avevano la meglio sulla velocità angolare.
Dalle misurazioni effettuate sappiamo che la velocità delle pulsar è in costante diminuzione. La rotazione della prima pulsar scoperta dagli scienziati si riduce con un ritmo che fra 16.000.000 di anni avrà raddoppiato il periodo.
Ne consegue che più la pulsar è vecchia - cioè più lungo è il tempo intercorso dal momento dell'esplosione della supernova che le ha dato origine - maggiore dovrebbe essere il periodo di rotazione.
Nell'ottobre del 1968 gli astronomi hanno localizzato una pulsar nella Nebulosa del Granchio, una nube di gas formatasi in seguito all'esplosione di una supernova 930 anni fa. Si tratta di un tempo estremamente breve, astronomicamente parlando, e dunque non ha suscitato stupore il fatto che la pulsar della Nebulosa del Granchio ruotasse molto più rapidamente delle altre pulsar fino ad allora osservate. In effetti, quella pulsar ruota sul suo asse in 0,033099 secondi, 40,4 volte più in fretta della prima pulsar scoperta. O, se preferiamo, la pulsar della Nebulosa del Granchio ruota sul suo asse 30,2 volte al secondo.
Nel 1982 erano stati individuati oltre trecento pulsar, ma la stella della Nebulosa del Granchio continuava a mantenere il suo record.
Anche questa, comunque, non era una sorpresa. Le pulsar sono oggetti piccolissimi, non rilevabili sulle enormi distanze, tant'è vero che sono state localizzate soltanto quelle presenti nella nostra Via Lattea. Ciò significa che la supernova da cui hanno avuto origine è esplosa all'interno della nostra Via Lattea, divenendo, con ogni probabilità, visibile a occhio nudo.
Ora, soltanto due supernove a noi note sono esplose nella nostra Galassia da quando la Nebulosa del Granchio si è formata, e sono comparse rispettivamente nel 1572 e nel 1604. Le regioni di quelle due supernove non hanno rivelato l'esistenza di pulsar né, d'altra parte, le supernove danno tutte origini a una pulsar, né tutte le pulsar che si formano ruotano in direzione tale che lo sciame di particelle e di radiazioni che ne emana sia osservabile dalla Terra.
Una volta scartate queste due supernove recenti, noi abbiamo la certezza assoluta di non poter scoprire nessun'altra pulsar più giovane, dunque con moto rotatorio più rapido, della pulsar della Nebulosa del Granchio. Gli astronomi ne erano talmente sicuri che non hanno perso tempo né si sono dati la pena di cercare una pulsar ultraveloce, sapendo con certezza che non esisteva.
Vedi caso, gli astronomi hanno catalogato tutte le fonti di onde radio presenti nella volta celeste. Queste emittenti non sono necessariamente stelle pulsar, anzi possono essere una quantità di oggetti vari. Sono per esempio turbini di gas presenti nella nostra Galassia, o galassie lontane, con manifestazioni catastrofiche ancora in atto nel centro galattico o possono anche essere quasar sempre più distanti.
Il Quarto Catalogo di Cambridge delle Sorgenti Radio ne elenca una con la sigla 4C21.53. L'oggetto se ne stava indisturbato nella lista fin dall'inizio degli anni Sessanta, senza che mai nessuno l'avesse preso in considerazione. Secondo l'ipotesi più verosimile per spiegarne l'esistenza, apparteneva a una galassia lontana, troppo remota perché gli strumenti la rendessero visibile, ma sufficientemente attiva perché le sue emissioni fossero captate da terra.
Poi, nel 1972, si notò che la sua immagine radio, nell'attraversare il vento solare che soffia dal nostro Sole verso l'esterno, aveva lampeggiato. L'immagine, cioè, aveva modificato impercettibilmente e con estrema rapidità la propria posizione.
La scintillazione, nel senso più comune del termine, è un fenomeno perfettamente noto. La luce, quando attraversa l'atmosfera terrestre, si rifrange in tanti punti minutissimi e in direzioni imprevedibili, perché passa attraverso gli strati atmosferici a diverse temperature. Se il raggio luminoso è sufficientemente intenso, le particelle di luce si dirigono in varie direzioni e, neutralizzandosi a vicenda, danno l'impressione che il raggio sia fisso.
Ecco perché, per esempio, il pianeta Marte ci appare come un semplice punto luminoso, anche a distanza ravvicinata. In realtà, quel punto è abbastanza intenso perché le sue particelle pulsino diversamente e l'effetto di luce si annulli. In linea generale, dunque, Marte non pulsa.
Ma se osserviamo Marte al telescopio, non soltanto l'intera immagine risulta amplificata, ma aumenta anche la scintillazione e quando cerchiamo di scrutarne meglio la superficie, scopriamo che lo scintillio ne vela i particolari (per questo motivo, se potessimo osservare Marte al di fuori dell'atmosfera, l'immagine risulterebbe molto più nitida).
Le stelle, comunque, sono all'apparenza oggetti molto più piccoli dei pianeti. Il raggio luminoso emesso da una stella, e particolarmente da una stella di debole luminosità, è talmente fioco da mutare capricciosamente direzione quando attraversa l'atmosfera, e perciò scintilla. La scintillazione, in quanto tale, attesta la piccolezza dell'immagine ottica della stella.
Così, osservando il tremolio del 4C21.53 mentre attraversava il vento solare, non restava che concludere che il suo era proprio un raggio piccolissimo. Ad ogni modo, non ci sarebbe stato niente di strano, se il raggio fosse arrivato da una lontana galassia, invece era localizzato nella costellazione della Vulpecula ("Piccola Volpe"), abbastanza vicina alla Via Lattea. Ora, se il fascio di onde radio fosse stato emesso da una fonte esterna alla Galassia avrebbe dovuto superare l'intero diametro della Galassia per raggiungere i nostri strumenti. Le onde radio, a questo punto, sarebbero state in buona parte disperse dalla materia rarefatta presente all'interno della nostra Galassia (che, per quanto rarefatta, è molto più densa della materia fluttuante tra le diverse galassie), impedendo al raggio, qualunque ne fosse stata l'intensità iniziale, di rafforzarsi al punto da non tremolare più.
I lampi di luce, dunque, rivelavano che il 4C21.53 si trovava all'interno della nostra Galassia, che il suo fascio di onde radio aveva una distanza relativamente breve da superare per arrivare fino a noi, e che non aveva il tempo di allargarsi oltre il dovuto, al di là della fase di scintillazione. Ma allora, se, nonostante la relativa vicinanza, il fascio luminoso era così fioco da diventare tremolante, bisognava dedurne che il 4C21.53 era un corpo piccolissimo.
Poi, nel 1979, venne pubblicata una relazione in cui si diceva che, studiando la lunghezza d'onda del fascio di onde radio del 4C21.53, si era constatato che l'oggetto era estremamente carente di onde delle frequenze più alte, e questo in misura molto maggiore rispetto alle altre fonti di radioonde. La mancanza delle frequenze più alte è, però, una caratteristica delle pulsar. Ma allora, il 4C21.53 era una pulsar?
La questione colpi l'astronomo americano Donald Backer, che cominciò a considerare attentamente il problema. Se effettivamente il 4C21.53 era piccolo come una pulsar e se possedeva la gamma di lunghezze d'onda propria di una pulsar, tanto che gli scienziati avevano concluso che era una pulsar, allora perché non pulsava?
Siccome una pulsar ruota rapidamente, emette due fasci di radioonde, uno da un lato e l'altro dalla banda opposta. Mentre ruota, i due fasci attraversano alternativamente un determinato campo di osservazione. Ora, se i nostri strumenti si trovassero in quel punto preciso, capterebbero le radio onde sotto forma di impulsi la cui frequenza al secondo dipende dal periodo di rotazione.
Ma se, come quasi sempre succede, le radioonde sfuggono al nostro controllo, noi non captiamo niente; in compenso, quando captiamo le radioonde, captiamo anche gli impulsi. Se la pulsar si trovasse a enorme distanza, la dispersione prodotta dalla materia infrastellare rischierebbe di offuscare più o meno stabilmente gli impulsi, indebolendo il fascio di onde radio. Se poi la pulsar è molto vecchia, i segnali diventano così deboli da risultare indecifrabili. Ad ogni modo, la 4C21.53 è senz'altro abbastanza vicina, (si trova ad appena 2.000 parsec di lontananza) da emettere impulsi ben nitidi, con un fascio di onde radio sufficientemente potente da poter essere, eventualmente, captate.
Backer trovò una spiegazione plausibile per quel mistero. Se supponiamo che la 4C21.53 ruoti ad altissima velocità, diciamo tre volte più in fretta della pulsar della Nebulosa del Granchio, i suoi impulsi passeranno inosservati, perché le osservazioni radio non sono messe a punto per captare segnali così rapidi. L'astronomo volle pubblicare la sua ipotesi, ma la relazione non fu accettata perché troppo teorica e con un sospetto di inverosimiglianza.
Backer non si arrese. Cercò di indurre altri astronomi a provarsi a localizzare gli impulsi ultrarapidi, ma dopo tre anni di tentativi, anche quando era riuscito a persuadere i colleghi, i risultati non furono convincenti. Il guaio era (ma Backer a quell'epoca lo ignorava) che la 4C21.53 rappresentava in realtà un conglomerato di tre sorgenti radio distinte ma molto vicine tra di loro, una delle quali era di fatto una galassia lontana. Il che naturalmente confondeva le carte in tavola, ogni volta che gli astronomi volevano vederci chiaro nella faccenda.
Nel settembre 1982 Backer chiese agli scienziati del radiotelescopio di Arecibo, a Portorico, di controllare della 4C21.53 la componente nota come "polarizzazione". Le pulsar, in effetti, posseggono una polarizzazione altissima, molto superiore a quella delle altre fonti radio. L'osservazione dimostrò che la 4C2l.53 aveva una polarizzazione del 30 per cento, un valore elevato anche per una pulsar.
Questa era veramente una bella notizia e Backer, ormai, era sicuro di aver preso una pulsar per la coda. Come se non bastasse, quelli di Arecibo avevano captato tracce occasionali di possibili impulsi.
A questo punto, Backer si recò personalmente ad Arecibo dove, per sette notti, lavorò su apparecchiature estremamente sofisticate. Il 12 novembre 1982 il problema era risolto; la 4C21.53 si era rivelata effettivamente una pulsar, ribattezzata poi col nome di PSR1937 + 214.
La nuova pulsar, comunque, fu ben presto nota come Pulsar Millisecondo, perché ruotava sul suo asse a poco più di un millesimo di secondo. Per essere precisi, il suo periodo di rotazione, è di 0,001557806449023 secondi. Dunque, la pulsar ruota sul suo asse 642 volte al secondo e ciò significa che non è tre volte più rapida di quella della Nebulosa del Granchio, come aveva immaginato Backer, ma ben 21,25 volte.
Supponiamo ora che la pulsar Millisecondo abbia un diametro di 20 chilometri. La sua circonferenza equatoriale è allora di circa 62,8 chilometri. Un punto situato sull'equatore compirebbe 642 volte quella distanza, cioè 40.335 chilometri in un secondo. Viaggerebbe cioè a circa il 13,5 per cento della velocità della luce.
Una pulsar ha un'enorme gravità di superficie che, comunque, basta appena a tenere assieme l'oggetto di fronte all'accelerazione impressa da quella mostruosa velocità di rotazione. Se la Pulsar Millisecondo ruotasse solo tre volte più in fretta - pressapoco a 2.000 volte al secondo - si dissolverebbe.
Ed ecco il problema: perché la Pulsar Millisecondo ruota così veloce?
Secondo la spiegazione più verosimile, la stella ruota a quella velocità perché è giovanissima. Quando la pulsar della Nebulosa del Granchio fu scoperta, si osservò che da 930 anni ruotava intorno al suo asse a 30,2 volte al secondo, e ciò permise agli astronomi di calcolare che al momento della sua formazione essa girava su sé stessa 1.000 volte ogni secondo.
Allora, se la pulsar Millisecondo ruota attualmente a 642 volte al secondo, probabilmente è nata circa un secolo fa. Così tutto sarebbe chiaro.
Ma come può essere tanto giovane? Se le cose stessero realmente così, un centinaio di anni fa avrebbe dovuto esistere nella costellazione di Vulpecula, ad appena 2.000 parsec di distanza, una supernova sfolgorante, da cui sarebbe nata la nostra pulsar. Ma una supernova di quella potenza sarebbe passata inosservata?
Sta di fatto che quella supernova non fu individuata.
La cosa, forse, può trovare una sua spiegazione; comunque, lasciando da parte questo particolare problema, niente impedisce agli astronomi di osservare ora la nuova pulsar, cosa che hanno puntualmente fatto.
Se nel passato recentissimo ci fosse stata una supernova nella regione della Pulsar Millisecondo, le tracce inconfondibili dell'esplosione sarebbero ancora presenti, oggi. La supernova della Nebulosa del Granchio del 1054 d. C. si lasciò alle spalle una nube di gas e di polvere in espansione ancora oggi chiaramente visibile. La Nebulosa del Granchio infatti è quella nube.
Ma allora, nella regione della Pulsar Millisecondo, dovrebbe trovarsi una nube analoga di polvere e di gas; certo molto più piccola della Nebulosa del Granchio, data la sua giovane età, ma in compenso tanto più attiva.
Non c'è traccia, però, di niente di simile, e ciò significa, evidentemente, che la supernova risale a tempi tanto remoti che la nube prodotta si è dispersa sino a non essere più osservabile. Dunque la Pulsar Millisecondo è decisamente vecchia.
A questo punto ci troviamo di fronte a indicazioni contraddittorie. La rotazione ultrarapida dice "giovanissima" e l'assenza di una nebulosa indica "molto vecchia". Com'è la faccenda? Come decidere?
Per cominciare, si può determinare l'indice di decelerazione della velocità di rotazione. Nel caso delle pulsar scoperte prima del novembre 1982 valeva la norma che l'indice di decelerazione era proporzionale alla velocità di rotazione.
La Pulsar Millisecondo quindi fu tenuta sotto controllo per giorni e per settimane interi, e il suo indice di rotazione fu misurato ripetutamente con estrema esattezza.
Grande fu la sorpresa degli astronomi quando risultò che la Pulsar Millisecondo rallentava alla velocità di 1,6*10e-19 secondi al secondo. Dunque, l'effetto di decelerazione era molto inferiore a quello riscontrato in tutte le altre pulsar a noi note, benché l'indice di rotazione fosse decisamente superiore a quello delle altre pulsar. Il tasso di decelerazione delle pulsar della Nebulosa del Granchio è 3.000.000 di volte più alto di quello della Pulsar Millisecondo, sebbene la prima ruoti a una velocità inferiore del 5 per cento a quella di quest'ultima.
Come si spiega il fenomeno? È generalmente ammesso che l'effetto di decelerazione dipenda dall'emissione di energia sotto forma di particelle e di radiazioni da parte di una pulsar di fronte alla resistenza opposta dal suo campo magnetico di enorme intensità. Se la Pulsar Millisecondo presenta un indice bassissimo di decelerazione, questo indica che evidentemente possiede un campo magnetico molto debole, segno, questo, di una pulsar vecchia. Le misurazioni, inoltre, rivelano, a quanto pare, che la temperatura superficiale della Pulsar Millisecondo è inferiore a 1.500.000 °C, una temperatura elevatissima per gli standard di una stella normale, ma molto bassa rispetto alle altre pulsar - altro indizio di età avanzata.
Tutte le prove, dunque, tranne una - l'assenza di nebulosa, la temperatura bassa, il campo magnetico debole, l'indice di decelerazione del moto di rotazione molto lento - sono, si direbbe, a favore dell'ipotesi di una pulsar vecchia. Effettivamente gli astronomi, prendendo in considerazione il ritmo di rallentamento, affermano che la Pulsar Millisecondo risale a 500 milioni di anni addietro (se non di più). Le pulsar normali vivono appena da dieci a cento milioni di anni prima di ridurre la loro velocità di rotazione, indebolendosi al punto da emettere impulsi non più osservabili. La Pulsar Millisecondo ha già largamente superato la durata di vita massima di una pulsar e se teniamo presente il suo basso indice di perdita energetica, la nostra pulsar ha ancora davanti a sé, potenzialmente, miliardi di anni di vita.
Ma come si spiega il fenomeno? E soprattutto perché una pulsar di quell'età ruota come se fosse appena nata?
Secondo l'ipotesi migliore finora formulata, la Pulsar Millisecondo, dopo essersi formata molto tempo fa e aver rallentato il proprio moto, indebolendosi tanto da rendersi invisibile (e questo molti milioni di anni prima che ci fosse sulla terra qualcuno in grado di osservarlo), in un tempo relativamente recente è andata, per così dire, su di giri.
Supponiamo, per esempio, che la pulsar facesse originariamente parte di un sistema binario (Ci sono sistemi binari nei quali una delle due stelle è una pulsar; e altri in cui entrambi i corpi celesti sono pulsar).
Qualche tempo dopo che la pulsar è diventata vecchia e debole, la stella normale che era la sua compagna è entrata nella fase delle giganti rosse, espandendosi. Le falde esterne della nuova gigante rossa sono ricadute sotto l'attrazione gravitazionale della pulsar, e hanno formato un "disco concrezionale" attirando la materia in orbita attorno alla pulsar. Ma più il campo magnetico della pulsar è debole, maggiore è la vicinanza del disco concrezionale alla pulsar stessa e più alta la velocità di rotazione del materiale in orbita, sospinto dalla sferzata gravitazionale della minuscola stella.
Dunque, la velocità di rotazione attorno alla pulsar del materiale del disco concrezionale dalla parte interna sarebbe superiore alla rotazione della pulsar vecchia e lenta attorno al proprio asse, con il risultato che la velocità angolare si trasferirebbe dal disco alla pulsar. La pulsar allora accelererebbe la sua rotazione a spese del disco concrezionale.
Ma se la materia del disco riducesse la propria velocità, essa verrebbe risucchiata con moto elicoidale verso la pulsar, e subito riprenderebbe ad accelerare, ritrasferendo la velocità angolare alla pulsar. A sua volta, il materiale sarebbe riassorbito dalla pulsar, mentre nuovo materiale dalla stella gemella affluirebbe verso il margine esterno del disco concrezionale. Poi, una volta esaurita l'emorragia di materia dalla stella compagna alla vecchia pulsar, questo aumenterebbe l'indice di rotazione nell'ambito di un millisecondo. La sua compagna ormai non ci sarebbe più o si sarebbe talmente rimpicciolita come massa da non poter più mantenere i focolai nucleari, si sarebbe cioè ridotta allo stato di nana nera, cioè di un grosso pianeta.
Il lento apporto di materia dalla stella compagna alla pulsar non le restituirebbe, comunque, la giovinezza. Alla pulsar mancherebbe sempre la nebulosa; sarebbe fredda e con un campo magnetico debole; e per via di quel campo magnetico l'indice di decelerazione rimarrebbe sempre basso. In compenso ruoterebbe ad altissima velocità, esattamente come se fosse una pulsar giovane.
Se questa ipotesi è corretta, e ci sono astronomi fortemente critici nei suoi confronti, il quadro non sarebbe poi tanto inconsueto.
I sistemi binari sono comunissimi; addirittura più comuni delle stelle singole come il nostro Sole. Ciò significa che la maggior parte delle supernove farebbe parte di sistemi binari, mentre le pulsar risultanti avrebbero, molto spesso, una stella normale per compagna. Ma in un sistema binario comprendente una pulsar, avviene di tanto in tanto che la stella normale, evolvendosi, si immoli alla pulsar, accrescendone la velocità. Ecco perché un'indagine attenta dei cieli porterebbe alla scoperta di altre vecchie pulsar, ma velocissime, presenti forse a dozzine nello spazio.
Resta ancora un argomento interessante.
Il periodo di rotazione della Pulsar Millisecondo è l'intervallo di tempo più minuziosamente misurato fino ad oggi. È stato infatti calcolato al quadrilionesimo di secondo (un numero con quindici decimali!) E forse col tempo si riuscirà a fare ancora meglio.
Anche altre pulsar sono buoni orologi, pur essendo soggette a lievi cambiamenti improvvisi e periodici degli indici di rotazione (glitches) dovute probabilmente a trasformazioni interne della struttura delle pulsar o al sopraggiungere di un grosso apporto di materia esterna. L'orologio della pulsar normale è, di conseguenza, imprevedibilmente impreciso. Nella Pulsar Millisecondo invece, per un qualche motivo, non si hanno fenomeni del genere.
Certo, l'indice di rotazione della Pulsar Millisecondo non è costante. Esso rallenta in modo percettibile e ogni nove giorni e un quarto l'indice di rotazione ritarda di un quadrilionesimo di secondo. Non è certo molto, perché la sua velocità di rotazione impiegherebbe 2,5 miliardi di anni per aumentare di un miliardesimo di secondo, qualora l'attuale ritardo rimanesse costante. È chiaro che si tratta di un valore trascurabile.
Ma un orologio del genere a che cosa servirebbe?
Intanto, la Pulsar Millisecondo potrebbe servire per calcolare il tempo di passaggio della Terra attorno al Sole. Le irregolarità di questo passaggio - i piccoli scatti in avanti e i leggeri ritardi - sarebbero misurabili più accuratamente di quanto sia stato finora possibile.
Queste deviazioni sono, a quanto pare, dovute in larga misura alle perturbazioni provocate sulla Terra dagli altri pianeti. Queste turbe, a loro volta, dipenderebbero dalla massa dei pianeti e dalla variazione nel tempo delle rispettive posizioni.
Ma se, grazie all'orologio della Pulsar Millisecondo, conosceremo le posizioni dei pianeti per osservazione diretta e con una precisione finora impossibile, allora saremo in grado di calcolare la massa dei vari pianeti con estrema esattezza.
E con tutta probabilità ci saranno altre applicazioni, anche più vicine a noi.
FINE