Science Fiction Project
Urania - Racconti d'appendice
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QUALCOSA CHE VALE - James White
Titolo originale: Something of value
Il guaio con i visitatori importanti, pensava Gregory guardandosi attorno nel reparto insolitamente in ordine e dando poi un'occhiata all'orologio, è che arrivano immancabilmente in ritardo, anzi, la mancanza di puntualità è direttamente proporzionale al loro grado di importanza.
Un clinico illustre, per esempio, arriva con pochi minuti di ritardo e non per colpa sua. Un alto funzionario governativo, che ignora tutto dei problemi del reparto ma che in compenso è in una posizione tale da poter assicurare i fondi per il personale e le attrezzature ospedaliere, si fa anche aspettare un'ora. Se poi il visitatore è una personalità importantissima, niente meno che il rappresentante, a quanto si diceva, di un governo interstellare, comprendente centinaia di sistemi solari abitati, è assolutamente impossibile prevedere quanto tempo si farà attendere.
Dal corridoio, arrivò un rumore di passi affrettati, sicuramente umani, ed entrò la dottoressa Pearson. Senza nemmeno riprender fiato, la pediatra disse: - È qui, caposala, nell'ufficio... del Segretario generale... Lo stanno presentando ai capi dipartimento... gli offrono il caffè, prima di...
- Il caffè? - disse Gregory. La dottoressa Pearson sorrise. - Mi rendo perfettamente conto che il caffè dell'ospedale è imbevibile, sia per gli esseri umani, che per gli extraterrestri. È stato un puro gesto di cortesia, ma il nostro ospite è troppo intelligente per accettarlo.
Comunque, sono corsa a dirvi che verrà sicuramente in questo reparto, - continuò in fretta - Volevano escludere dalla visita certi reparti particolarmente sconvolgenti, ma ha insistito per vedere il vostro. Sarà qui tra una ventina di minuti. Ed ora devo tornare con gli altri.
- Un momento, - disse Gregory, mentre la dottoressa stava per uscire. - Che aspetto ha, dottoressa? Il gruppo delle infermiere si avvicinò ma la pediatra scrollò il capo, come per scusarsi. - Non saprei descriverlo con esattezza. Non è brutto, soprattutto se vi piacciono i cavalli, ed ha un sacco di mani e di braccia, - mi pare sei, in compenso è privo di gambe. Parla perfettamente, ma a volte fa delle domande strane. - La dottoressa sorrise a Gregory. - Comunque, lo vedrete tra poco. A presto.
Prima che Gregory potesse aprir bocca, da un lettino in fondo alla corsia si levò un trapestio furioso. Michael, uno dei casi di colonna vertebrale bifida, scoppiò a piangere e Mary, nel lettino accanto al suo, cominciò a emettere una successione di ululati striduli. Nel giro di pochi secondi l'intero reparto fu in subbuglio, e i primi giocattoli cominciarono a piovere sul pavimento tirato a lucido.
Le cose, pensava Gregory contrariato, stanno rapidamente tornando alla normalità.
- Per l'amor del cielo, fateli stare tranquilli, - disse, ma senza alzare la voce. Le quattro infermiere erano già avviate verso i punti difficili. Gregory si chinò in fretta per raccogliere un paperino di plastica gialla, con le impronte dei dentini stampate nel capo e col dito fece un segno ammonitore al proprietario. Intanto l'eco dei passi della dottoressa Pearson era già svanito nel corridoio.
Tra venti minuti, aveva detto la pediatra.
Gregory percorse lentamente la corsia, raccattando un giocattolo o riassestando un lenzuolo, e intanto rispondeva ai sorrisi, ai borbottìi indistinti o agli sguardi attoniti dei piccoli pazienti sussurrando parole rassicuranti o con gesti di incoraggiamento, cercando di creare un'atmosfera calma e distesa. In quei soggetti ipersensibili, forse proprio per le anomalie da cui erano affetti, bastava un minimo segno di insofferenza o di irritazione da parte del personale medico, perché la situazione sfuggisse rapidamente al controllo. In tal caso ci sarebbero voluti ben più di venti minuti per riportare la pace del reparto. Le ragazze, comunque, erano già riuscite a calmare i piccoli - tranne all'altra estremità della corsia, dove la Hayes e la Nelson avevano i soliti problemi con John e Jenny.
- Sta buono, John, sta buono - diceva la Hayes, e intanto staccava con ferma dolcezza i piccoli pugni stretti alle sbarre del letto - mettiti giù e fa il bravo, perché se strilli così spaventi la tua amichetta. Smettila di gridare altrimenti Jenny non vorrà neppure più parlarti... - Chinò in fretta la testa per evitare le mani che cercavano di afferrarle gli occhiali, poi si raddrizzò arricciando il naso.
- Ma John, - continuò, - ti avevo appena cambiato... Caposala, il nostro ospite, in quanto extraterrestre, riesce e distinguere un cattivo odore da un profumo? Sono ancora in tempo?
- Penso di sì, - rispose Gregory, guardando Jenny, che strillava come una forsennata - Torna a cambiarlo. Secondo il manuale, quando sono puliti, hanno mangiato e sono a loro agio, sono più rilassati e più influenzabili da parte delle infermiere.
- In teoria, sì - disse la Hayes, che era già all'opera. - Certo in teoria - convenne Gregory, con un sorriso. Con un ultimo grido strozzato, John si abbandonò nel lettino e gli sorrise. Jenny pareva che non dovesse mai più smettere di strillare.
Oltre ai difetti congeniti che non le avrebbero consentito di raggiungere la pubertà, Jenny era cieca e afflitta da guasti cerebrali. Qualche volta Gregory cercava di immaginare gli stati confusionali, gli incubi, i rari momenti felici di quella povera creatura di tre anni, ma allontanava subito la mente da quei pensieri per non rovinarsi il sonno.
L'infermiera Nelson intanto aveva sollevato Jenny e se la teneva stretta, e le batteva affettuosamente sulla spalla. La bambina le aveva buttato le braccia attorno al collo, ma quegli occhi senza luce, e pieni di lacrime, vedevano qualcosa che la rendeva inconsolabile.
Gregory allungò la manona aperta e la posò con gentilezza sul cranio minuscolo della bambina, tenendolo tra le dita come se fosse un frutto fragile e delicato. Jenny smise immediatamente di piangere, tese la mano e cominciò a tirargli i peli. Gregory sussultò e con il pollice piano piano asciugò le lacrime del faccino.
- Ma come - disse la Nelson, - e senza neanche una parola!
Senza distogliere lo sguardo da John, la Hayes rispose: - Sulle ragazzine hai un influsso particolare e viceversa. Di fronte a un grosso bruto peloso come il caposala Gregory, uno crederebbe che le ragazze, di qualunque formato, se la diano a gambe urlando, ed invece... Sta fermo John, su da bravo... E invece tu crederesti che la dottoressa Pearson è arrivata al punto da...
- Medici e infermiere, - intervenne la Nelson - spesso si sposano tra loro.
- Sì - disse la Hayes, infilando il pigiama a John. - I grandi primari sposano le povere infermiere, cariche di lavoro, che dalle corsie finiscono in cucina a servire i loro signori e padroni.
La Nelson scoppiò a ridere e spostò Jenny, ormai rasserenata, sull'altro braccio. Disse: - Be', un po' strano il nostro caposala lo è, ma... In quanto alla Pearson, lasciala perdere...
- Si - disse la Hayes, sopra pensiero. Poi aggiunse: - A volte succede anche che una infermiera sposi un infermiere.
- Continuate pure a spettegolare alle mie spalle - disse Gregory ironico - come se io non esistessi.
Nel frattempo, aveva sistemato i cuscini sotto la testa di Jenny, in modo che il visitatore potesse vederla bene, poi le dispose i giocattoli tutti attorno al lettino. Erano giocattoli molto vecchi e scoloriti, ma a Jenny interessava solo la forma, non il colore degli oggetti.
- Non volevamo parlare dietro le tue spalle - disse la Hayes, dando un buffetto affettuoso a John, mentre gli rincalzava la coperta. - Sta buono, caro, comportati bene. Secondo te, la Pearson ce la farebbe?
- A tenerlo lontano o a portare a buon fine l'attacco? - chiese la Nelson posando Jenny nel lettino. - Il nostro caposala vuol dirci il suo parere su una faccenda tanto delicata?
Gregory si chinò per scostare i capelli dalla fronte di Jenny. La bambina lo guardò e si mise a ridere, ma lui sapeva che non poteva vederlo. Raddrizzandosi, disse: - No.
La Nelson fece un passo indietro e respirò a fondo, aumentando ancora il volume del suo petto imponente, poi attaccò: - Dunque, se fossi al posto della Pearson, io...
Non seppero mai che cosa avrebbe fatto la Nelson, perché l'infermiera Day, che era tornata di vedetta all'ingresso della corsia, faceva cenni impazienti di richiamo, indicando il corridoio. L'ospite, pensò Gregory dando un'occhiata all'orologio, è in arrivo, e con dieci minuti di anticipo.
Si allinearono accanto all'ingresso, con Gregory che controllava il corridoio e le infermiere che davano un ultimo tocco alle cuffie e ai camici. Il caposala aspettava con ansia, mentre le voci, tra cui spiccava una più chiara delle altre e priva di accento, sicuramente quella dell'extraterrestre, si avvicinavano, accompagnate dal fruscio di almeno una ventina di piedi. Gregory imprecò sottovoce, pensando come avrebbero reagito i suoi piccoli pazienti di fronte a tante persone e in particolare all'ospite illustre.
L'extraterrestre apparve a un tratto. Gregory si rese appena conto della presenza della dottoressa Pearson, del primario, prof. Cunningham, e di una coorte di camici bianchi che occupavano tutto il corridoio, tutta la sua attenzione era concentrata su di lui.
La descrizione della Pearson, anche se condensata in poche parole, era stata abbastanza vicina alla realtà. La testa equina, completamente priva di orecchie, aveva in cima un sottile triangolo di pelo azzurro chiaro che partiva dai grandi occhi e si allargava a coprire la parte superiore del cranio, scendendo sul collo. La bocca dalle grosse labbra era una fessura verticale che non lasciava intravedere i denti.
Tra gli occhi e la bocca si allineava una serie di orifizi e di protuberanze carnose, probabili sedi degli organi dell'udito e dell'olfatto; mentre il collo massiccio, di forma triangolare, si allargava verso il corpo tozzo a forma di cono.
La creatura aveva tre paia di mani sottili, a quattro dita, sistemate sui due lati del corpo in file verticali, a tre a tre, ma le dita scomparivano tra le pieghe di un gran mantello nero e scintillante che pareva fatto con un frammento di cielo notturno. Le gambe dell'ospite erano nascoste dal mantello, lungo fino quasi a terra, però vedendolo muoversi, si aveva l'impressione che la parte inferiore del corpo fosse serpentiforme e fornita di uno o più cuscinetti.
- Gregory, il nostro infermiere capo - disse il professor Cunningham. - Le infermiere Hayes, Nelson, Dat e Bannion. Ho già spiegato quali sono i compiti e le responsabilità degli infermieri del reparto. Aggiungerò ora che tra le specie cui appartiene il nostro illustre ospite la stretta di mano non è in uso, se non in casi eccezionali.
- L'esperienza - aggiunse il visitatore, parlando con una voce ricca e profonda, che non pareva emessa dalla bocca - riuscirebbe sconcertante e forse sgradevole per entrambi.
Gli occhi dell'ospite arrivavano poco al di sopra della cintura di Gregory e l'uomo aveva l'impressione di essere tornato ragazzo, quando stava in piedi davanti al maestro senza aver fatto il compito. Ma era una cosa ridicola. Lui lo dominava con tutta la sua statura, eppure gli pareva di essere guardato dall'alto in basso. Accennò con la testa a un inchino, chiedendosi se anche gli inchini fossero riservati ai casi eccezionali.
- Se posso fare una proposta, professore - disse il visitatore, girando verso Cunningham gli occhioni non umani e carichi di saggezza - temo che se mi accompagnano in troppi, si scatenino in questi pazienti delle turbe emotive, per cui chiederei, se non avete niente in contrario, di avere con me soltanto la dottoressa e il caposala Gregory.
Telepatia, si chiese Gregory, o un'ottima informazione?
- Ma senz'altro - disse il professore.
Procedendo come se avanzasse su un dondolo a rotelle, il visitatore entrò nella corsia e si fermò tra i primi due lettini, con lo sguardo fisso sul pavimento, senza una parola. Dopo un silenzio prolungato, la Pearson cominciava a sentirsi a disagio.
- In questo... in questo reparto sono ospitati i bambini afflitti da difetti congeniti - cominciò, con un certo impaccio. - Disponiamo di attrezzature molto avanzate e..., ma forse la cosa non vi interessa, cioè, voglio dire che le nuove cure e le attrezzature neurochirurgiche sono d'avanguardia nel...
Il discorso si fermò a metà e la Pearson arrossì violentemente, mentre l'ospite volgeva lo sguardo su di lei. Sapendo di venir meno al protocollo medico parlando quando non era il suo turno, Gregory decise di toglierla dall'imbarazzo.
- Questo è Thomas - disse indicando il visetto sottile, dai grandi occhi spalancati, che li fissava dal lettino. - Non ha ancora due anni, ed è uno spastico, operato una decina di giorni fa. Se desiderate esaminare la ferita e la sutura, possiamo rimuovere il bendaggio dal cranio. Se la dottoressa Pearson sarà d'accordo, farà ritorno a casa fra tre giorni.
- Lo stato fisico è stato curato? - chiese l'ospite, avvicinandosi al lettino e muovendo le pieghe del mantello in modo da dar vita a una danza multicolore. Thomas, gettando gridolini di gioia, protese le braccia sottili verso l'extraterrestre, che fece un passo indietro per non essere toccato.
La Pearson si schiarì la voce e riattaccò: Be', no, perché Thomas soffre di una quadriplegia spastica congenita, che provoca l'atrofia degli arti. In questo paziente la malattia è a uno stadio iniziale, ma le sue condizioni sono destinate a peggiorare. L'intervento è stato largamente esplorativo e al massimo servirà ad alleviare le...
La dottoressa s'interruppe, poi riprese scusandosi: - Il professore, presentandovi, non ci ha detto il vostro nome né i vostri titoli e non vorrei essere stata troppo tecnica...
Aveva appena finito la frase, che arrossì violentemente, rendendosi conto di com'era stata indelicata a pensare che l'ospite non fosse in grado di capire le sue parole. Comunque, il visitatore rimediò alla gaffe con molto garbo.
- Sono sicuro che il mio traduttore simultaneo è perfettamente adeguato al compito, dottoressa - disse, alzando gli occhi su di lei. - Non è facile definire l'esatta natura del mio incarico, ma sono qui per osservare e lavorare con esseri bisognosi di assistenza. In quanto al mio nome, è stato usato dai familiari o dagli amici più intimi e l'abitudine terrestre di chiamare le persone per nome, anche quando non le si conosce a fondo, ci appare molto strana. Comunque, la mia gente dispone di altri mezzi di identificazione nei rapporti sia personali che professionali, che tuttavia vi riuscirebbero di difficile comprensione.
- Se non vi spiace - aggiunse, attraversando diagonalmente la corsia, vorrei vedere quel paziente laggiù, quello con il cranio anormalmente grosso.
Sceglie proprio i casi più difficili pensò Gregory.
- Questo è Richard - disse la Pearson, senza esitare. Anche se la cosa poteva parere strana all'ospite, lei avrebbe continuato a chiamare i pazienti per nome; perché non c'era altro modo di identificarli, a meno di usare il numero della cartella clinica. - È affetto da idroencefalite congenita risalente al periodo fetale. È causato da una accumulo di liquido cerebrospinale all'interno del cranio. Non si conoscono cure, ed è possibile soltanto alleviarne le sofferenze.
Sulla faccia di Richard passò un arcobaleno di riflessi, azzurro chiaro, rosso, giallo, verde, proiettati dal mantello scintillante del visitatore, ma l'espressione del bambino rimase immutata. Il gioco di luci svanì e l'ospite si diresse verso il lettino successivo.
- Ecco Mary - disse la Pearson, piano. - Un caso di colonna vertebrale bifida. Ha tre anni. Sarà sottoposta a intervento, e la prognosi è...
- Grazie, dottore - disse l'ospite, allontanandosi dal lettino, avvolto nel mantello tenebroso come una notte senza stelle. Mary stava dormendo. - Un altro difetto congenito? - chiese piano.
- Sì, signore - disse la Pearson, sulla difensiva. - In casi come questi, c'è ben poco da fare.
Il visitatore si fermò un momento in mezzo al reparto, e il suo mantello mandava sprazzi di luce colorata come la cappa magica di un negromante. I piccoli pazienti, tranne poche eccezioni, agitavano le mani o lanciavano gridolini di gioia, e Gregory non ricordava di averli mai visti così felici. Quella visita avrebbe lasciato un'impronta memorabile nei suoi malatini, anche in quelli ritardati mentalmente. I bambini erano tutti eccitatissimi, ma se ne stavano tranquilli nei loro lettini, tranne John, che in fondo alla corsia, si era alzato in piedi e scuoteva furiosamente le sbarre. L'ospite si diresse verso di lui.
- Sta buono, John - disse la Pearson, avvicinandosi al paziente. - Una sindrome di Down - disse, rivolgendosi al visitatore. - Più comunemente noto come mongolismo. Si tratta di un difetto congenito dovuto a un disordine cromosomico, che determina uno sviluppo anormale dei processi mentali. Per fortuna, John non rivela tracce di malattie cardiache congenite, che normalmente si accompagnano a questa menomazione. È un ragazzo fisicamente sano che...
- Perché lo si è lasciato arrivare a questo punto? - lo interruppe il visitatore.
La Pearson staccò con dolcezza la mano di John dalla tasca del camice, prima che riuscisse a strapparla. - Non siamo in grado di curare questo stato, né in periodo pre né post natale. Ora che abbiamo ricevuto al visita di numerose razze extraterrestri, tutte molto più avanzate di noi, speriamo di avere il loro appoggio per risolvere questo e altri problemi.
- Mi avete frainteso, dottoressa - disse l'ospite. - Vi stavo chiedendo perché lasciate che i bambini come questi vengano al mondo.
La Pearson si voltò verso l'ingresso, dove il professor Cunningham, fermo sulla soglia del reparto, le faceva segno con la mano di tagliar corto, poi disse: - Non è una risposta facile. Noi possiamo avvertire i genitori e anche consigliarli, ma sono loro che decidono il concepimento. Quando questo succede, anche accidentalmente, sono ancora i genitori a stabilire se il feto, che noi sappiamo senza possibilità di dubbio essere anormale, debba vedere la luce. Si tratta di un problema complesso, che coinvolge l'etica e i diritti dei genitori alla nascita del figlio, e dopo lunghe discussioni, non siamo ancora arrivati a una conclusione soddisfacente per tutti. Ma vogliate scusarmi, vedo che il professore mi sta dicendo che stiamo perdendo troppo del vostro prezioso tempo. Ci sono altri reparti da visitare.
Senza distogliere lo sguardo da John, l'extraterrestre disse: - Li visiterò se ne avrò il tempo. Il mio primo scopo era di vedere questo ospedale, o più esattamente, avevo disposizioni di visitare innanzitutto questo reparto, per poi riferirne.
Gregory deglutì, e si voltò a guardare la Pearson. Era chiaro che anche lei cercava di capire le intenzioni dell'ospite.
Seguì un lungo silenzio.
- Caposala - disse ad un tratto l'extraterrestre. - Avete qualcosa di dire?
- Ecco, io... - cominciò Gregory, e dopo essersi schiarito la gola, attaccò: - È un problema impossibile da risolvere, e non ci resta che curare questi bambini come meglio sappiamo. La dottoressa Pearson ha proposto di ricorrere al vostro aiuto, o a quello di una razza particolarmente qualificata in campo medico, per curare casi come questi, in modo da evitare il conflitto etico che... È in grado la vostra gente di darci una mano?
Gregory non riusciva a interpretare l'espressione dell'altro, ma si accorse che teneva la testa stranamente immobile mentre i tratti non umani mutavano impercettibilmente.
- Non appartengo al popolo più evoluto della Galassia abitata - disse con una voce quieta, che fece accapponare la pelle a Gregory. - Siamo i Durreneglen e abbiamo soprattutto il compito di visitare, sorvegliare, dirigere e amministrare i popoli. La nostra tecnologia è avanzatissima, più di quanto voi possiate immaginare, e con giusto orgoglio, affermiamo di essere i secondi della Galassia, perché la prima popolazione ci è superiore nella stessa misura in cui noi siamo superiori agli altri abitanti stellari. Vi dico questo non per sbalordirvi, ma semplicemente per informarvi. Il rispetto che ci dimostrate è senz'altro meritato, ma ogni ombra di piaggeria o di autoumiliazione finirebbe soltanto con l'irritarci. C'è ben poco che noi non saremmo in grado di fare per voi o per un altro popolo, se fosse necessario farlo.
- Ma allora, voi potete aiutare questi bambini - disse la Pearson, infervorandosi. - O meglio potete aiutarci a curarli.
- Probabilmente no - disse il visitatore con calma. - Perché il problema è squisitamente vostro, e sta a voi risolverlo. È una questione di metodo. Bisogna sensibilizzare i genitori o i futuri genitori a questi problemi, migliorando i sistemi di educazione. Condivido i vostri sentimenti, ma ripeto che questi bambini non sarebbero mai dovuti venire al mondo!
- Ma sono venuti al mondo - sbottò Gregory, e il professore che aspettava all'ingresso del reparto, allarmato, smise di fare cenni di richiamo. - Noi abbiamo il dovere di fare tutto il possibile per loro, per la miseria, compreso richiedere il vostro aiuto. John è...
- Basta, caposala - intervenne la Pearson. - Poi, rivolgendosi all'ospite: - Vi prego di scusarlo, signore. Qualche volta si lascia trascinare dall'entusiasmo e non capisce perché gli altri non condividano le sue stesse preoccupazioni per i suoi malati. - La Pearson lo fulminava con lo sguardo, ma era più preoccupata che irritata e, implicitamente, gli diceva di fare attenzione a come parlava. La dottoressa avrebbe anche potuto rivelare al visitatore che il caposala aveva la fama di parlare a sproposito, e che, per qualifiche e capacità, avrebbe avuto diritto a una posizione di rilievo nell'ospedale, ma che era stato destinato a quel reparto particolare perché nessuno degli infermieri anziani aveva voluto andarci. Lui, però, sapeva che la Pearson avrebbe tenuto la bocca chiusa, perché in quei pochi mesi da quando lei era nel reparto erano diventati molto amici e lei non avrebbe detto né fatto niente che lo danneggiasse.
- Scusatemi, se intervengo ancora - disse Gregory, più calmo. - Ma non tutti i genitori sono incuranti o impreparati. Molte di queste malformazioni si verificano spontaneamente o per cause che noi non conosciamo e non sono imputabili a nessuno. Forse voi ci potreste dare aiuto, almeno in questi casi. Naturalmente se le vostre cure fossero applicabili su larga scala, noi ce ne serviremo anche quando i genitori fossero incoscienti o ignoranti, perché i pazienti non sono responsabili delle loro condizioni. Non devono soffrire a causa di qualcosa che non dipende da loro. Dopo tutto, non hanno chiesto loro di venire al mondo.
- Caposala - disse l'extraterrestre piano, - nella mia pur vasta esperienza delle innumerevoli forme di vita che popolano la Galassia, non ho mai incontrato una sola creatura che abbia chiesto di venire al mondo.
Gregory arrossì violentemente, respirò a fondo e continuò: - Il nostro John è mentalmente subnormale, però per tutto il resto è un ragazzo robusto. È un bambino molto affettuoso, estremamente sensibile a ha una grande capacità di intrattenersi con le cose più semplici. Secondo me, e tenendo conto dei suoi limiti, bisogna dargli la possibilità di vivere pienamente la sua vita...
- E di mettere al mondo - concluse l'ospite, - altri come lui, con le sue stesse menomazioni mentali.
- In questi casi, - intervenne pronta la Pearson, cercando di evitare un altro scontro verbale tra Gregory e l'ospite. - Insorge sempre un conflitto tra i diritti dell'individuo e l'intervento corretto da un punto di vista puramente genetico. Secondo alcuni, ogni vita, e non soltanto la vita senziente, è sacra. Non arriverei fino a questo punto, però in un società perfetta non si dovrebbe...
- Buttare un bambino come John nella spazzatura - scattò Gregory, - non lo farei neanche se fosse un cane!
- Un popolo solo, gli Illoel, ha quasi raggiunto la perfezione - disse l'ospite, ignorando Gregory. - Noi stessi siamo tutt'altro che perfetti, eppure tendiamo alla perfezione, al pari di altre specie intelligenti. Ma vi sono popoli che sembrano incapaci di realizzarsi pienamente, e, sotto certi aspetti, mi ricordano i vostri pazienti. La loro sensibilità è attutita, le loro emozioni sono mal dirette e incontrollate, sono incapaci di badare a sé e vanno protetti contro i pericoli, sia dell'ambiente che di sé stessi.
- Eppure queste popolazioni - proseguì il visitatore, - se si comportassero e pensassero logicamente, potrebbero compiere grandi progressi e portare contributi validissimi. Invece, non vogliono ammettere le proprie debolezze né fare niente per superarle. Queste specie sono motivo di frustrazione per la nostra gente, che cerca di consigliarli...
State dicendo - intervenne la Pearson, pallidissima, - che siamo mentalmente e culturalmente subnormali? Che l'intera razza umana è afflitta dalla sindrome di Down?
- Sto semplicemente dicendo - rispose l'ospite, - che bisogna tendere alla perfezione con sforzi costanti, tenaci, a volte dolorosi. La perfezione non ci viene offerta su un piatto d'argento. - Si voltò a guardare Gregory. - La grande simpatia che il vostro popolo prova per i cani e le altre creature non razionali, che a volte vi scegliete come compagni, è indubbiamente strana. Non abbiamo mai riscontrato su altri mondi un comportamento simile.
- E in questa ricerca della perfezione - Gregory si sforzava di rimanere calmo, perché nel lettino vicino Jenny cominciava ad agitarsi - c'è posto per i sentimenti umani, come la simpatia, la pietà...
- Soltanto se questi sentimenti sono diretti in modo appropriato e usati in modo costruttivo.
- Non ci credo! - protestò Gregory. - Per la miseria, ci sarà pur qualcuno che vorrà aiutare i nostri pazienti. Non hanno fatto niente per meritare... Riferirò tutto ai vostri superiori!
- Stenderò un rapporto completo di ciò che ho visto qui per i miei superiori - disse il visitatore calmo. - Non tocca a me prendere le decisioni che riguardano gli aiuti medici o di altro tipo.
- Quella scusa l'ho già sentita - disse Gregory. - Tra i nostri pezzi grossi, la si usa quando qualcuno gioca a scaricabarile.
- Basta così, caposala - disse la Pearson, furibonda. Poi si rivolse all'ospite: -Vi prego di scusarlo per i suoi modi imperdonabili. A volte se la prende troppo a cuore per i suoi pazienti, come del resto noi tutti. Spero che non menzionerete la sua condotta nel...
- Nella mia relazione - la interruppe il visitatore, - farò certo menzione del comportamento e delle reazioni verbali del caposala Gregory e di quanti ho avuto il piacere di incontrare, ma potete essere certa, dottoressa, che il rapporto non finirà sul tavolo dei vostri superiori. E ora vi ringraziamo per il tempo e la vostra collaborazione, ma sono costretto a lasciarvi.
- Un momento, prego - disse Gregory, con rabbia. Si chinò sul lettino di Jenny, sollevò quel corpicino incredibilmente leggero con le sue grosse mani e se lo appoggiò nell'ansa del gomito, tirando giù l'abitino per cercare di nascondere le gambe devastate. Poi le scostò dal viso i riccioli in disordine. La sollevò adagio con entrambe le braccia e la tese fino a pochi centimetri dalla faccia dell'ospite.
L'extraterrestre si tirò indietro, ma solo di qualche centimetro.
- Questa paziente - disse Gregory col tono più professionale e più distaccato possibile, - non ci vede e soffre di anormalità congenite che la porteranno a morte prima della pubertà. Queste menomazioni, dunque, non saranno trasmesse ad altri. Una specie tanto progredita come la vostra, non ha, per i casi come questi, qualcosa che riesca almeno ad alleviare le loro condizioni? Chi è in grado di viaggiare attraverso le immensità dello spazio infinito saprà sicuramente trovare la strada giusta nel microuniverso di un bambino cerebroleso, in modo da riparare al danno!
Jenny tese una mano e sfiorò la testa del visitatore. Subito la ritrasse, poi tornò a protenderla. L'extraterrestre rimase immobile e non distolse lo sguardo dalla bambina.
- Mi spiace, caposala - disse poi. - La mia razza non è in grado di curare questa bambina perché ha altri obiettivi cui rivolgere i propri talenti. In medicina, come ben sapete, non esistono miracoli, e anche un semplice antinevralgico è il risultato di lunghe e complesse ricerche e sperimentazioni. Del resto voi rifiutereste totalmente i metodi di coloro che cercano tali cure. Fin dall'inizio del nostro colloquio me ne sono reso conto. Dovrete cercare da soli la cura di queste sindromi e sono certo che ci riuscirete se cercherete con costanza.
Senza più alcun timore, le mani di Jenny esploravano, centimetro per centimetro, lo strano profilo della testa del visitatore. L'extraterrestre rimaneva immobile e si limitava a chiudere i grandi occhi, quando le dita in esplorazione li sfioravano.
- Non riesco a descrivere con esattezza - riprese l'ospite, - ciò che provo, perché non mi sono mai trovato in una situazione come questa. La logica mi dice di non tenerne conto. So comunque che in questa confusione emotiva di cui soffro momentaneamente non c'è niente che vale.
Piano piano si districò dalle braccine di Jenny. La bambina cercò di stringerlo più forte, per non lasciare quella forma così inconsueta. A un tratto, premette la faccia sul fianco della bocca verticale dell'ospite e scoppiò in una risata gioiosa. Per un attimo, ogni cosa, nel reparto sembrò fermarsi. I bambini, le infermiere, perfino il professor Cunningham, si voltarono a guardarli e sorridevano. Gregory imprecò sottovoce e la dottoressa Pearson girò in fretta la faccia per nascondere la commozione. Il visitatore si staccò dalla bambina e per qualche secondo regnò il silenzio.
- Questo non cambia niente.
Avanzò lungo la corsia per raggiungere il professore. Gregory riadagiò la bambina nel lettino. Stava ancora ridendo.
Da abile e solerte funzionario che godeva della stima dei superiori, il durrenegleniano si sentì in obbligo di aggiungere un commento personale alla conclusione del rapporto.
- La popolazione della Terra è, a mio parere, arretrata, instabile, illogica, e sotto diversi aspetti, tarata - scrisse. - Questi individui non sono in grado di badare a sé stessi e senza il nostro controllo costante, gli abitanti del pianeta nel tempo si sarebbero autodistrutti. Mi stupisco che intendiate mantenere la sorveglianza protettiva. La gente è in stato confusionale, scoordinata e altamente emotiva. Se mi è lecito dirlo, sono convinto che sprechiamo tempo e risorse. Sulla Terra non c'è niente che vale.
Con lo stile del superiore gerarchico che si rivolge a un funzionario anziano molto apprezzato e quasi amico, il cui comportamento gli ha dato una piccola delusione, lo Illoel rispose con una critica velata.
- Voi Durreneglen siete un popolo altamente intelligente, di grande cultura e capacità, ma a volte anche voi rivelate i vostri limiti. Non vi è forse parso strano che inviassimo un amministratore del vostro grado in un giro di ispezione che era poco più di un viaggio turistico? La visita alla Terra era appunto intesa ad evidenziare questo vostro difetto. Avreste dovuto rendervi conto che, nonostante l'arretratezza della loro cultura attuale, esistono sulla Terra innumerevoli individui dotati di una qualità rarissima. Questa gente sa istintivamente che cosa è giusto, e si ostina a fare ciò che ritiene giusto contro ogni logica e a prezzo di sforzi e di fatiche immani, a volte senza alcuna ricompensa. La facoltà è ancora latente, e gli uomini non sono ancora in grado di apprezzare questa unica loro qualità, ma anche così, è abbastanza forte da tener testa all'opposizione e agli argomenti di un funzionario anziano durrenegleniano, che non è stato capace di individuare in quella loro insistenza nel prodigare fatiche e risorse senza speranza e ricompensa, la dote essenziale di oggi e di domani di quella gente. Hanno soltanto bisogno di tempo. Il controllo protettivo sarà mantenuto. Sulla Terra c'è qualcosa che vale.
FINE