Science Fiction Project
Urania - Racconti d'appendice
* * Back * *

EREDITÀ - Terence Michael Green
Titolo originale: Legacy

1

È arrivato il momento di far visita a mio padre.
Non credo che lui si aspetti veramente le mie visite. Ma è dovere di un figlio, no? Potrebbe essere un momento di espiazione, o di riconciliazione. Sento un poco di colpa, un sentimento che non mi è capitato d'avvertire prima delle altre tre visite settimanali obbligatorie, e avverto anche un gran senso di rimorso. In un modo o nell'altro, mai avrei pensato che potesse essere così. Ma non riesco a dire cosa mi aspettavo. Certo non la sua indulgenza. Questa, devo ammetterlo, mi ha spiazzato.

2

Una prigione? O un ospedale?
Io lo penso come il primo, mio padre come il secondo. Ma ci sbagliamo entrambi. O abbiamo ragione entrambi. Ma che importa?
È una questione semantica. Il posto, quello è la realtà. Esiste. Per la mia generazione, esiste da sempre. Cerco d'immaginarmi come fosse prima, ma la mia mente riesce a stento a provarcisi.
Entro dalla porta laterale. Quando l'ho detto al mio psicocomputer mi ha risposto freddamente che lo facevo perché non avevo ancora affrontato apertamente il problema con mio padre. Ma questa è mera casistica. Entro di lì perché così mi va. È una questione di comodità, di praticità. Il computer sbaglia nel non afferrare la semplicità del gesto. E di tutto il resto.

3

È sempre al terzo piano, seduto nella stessa sedia dietro il divisorio di vetro. Esito, anche se so che non può vedermi.
Ma conosco il mio dovere. Sono suo figlio.
L'assistente - in abito e scarpe bianche - mi vede, mi riconosce, sistema gli auricolari sulla sua testa e mette in posizione gli elettrodi. Annuisco a quel gesto e mi siedo dalla mia parte del pannello, prendo i miei auricolari, me li sistemo. Mi chino in avanti per accendere il microfono, pronto a parlare.
Questa, così dice la legge, è la mia ultima visita, perché questa è la quarta settimana da quando mio padre è stato assassinato.
E io sono suo figlio.

4

Come ti sembra? - Glielo chiedo continuamente. È l'unica domannda che abbia senso per me. Questo è il momento per discorsi seri, per domande importanti. Tutto il resto sarebbero frivolezze, date le circostanze. Tutti possono vederlo.
Il viso è placido, gli occhi rimangono chiusi. I tubi che lo nutrono e circuiti che lo monitorano gli pendono grottescamente dalla testa e dalle braccia. Riconosco che è un miracolo. Ma è anche un incubo.
- Mi sembra strano. - Sento quella parola attraverso gli auricolari e annuisco. L'ho già sentita altre volte da lui. Strano. È la parola che usa di continuo. Pensandoci bene, ci si rende conto che è la parola che meglio si adatta. Qui tutto è, come dice lui, strano, squisitamente strano.
|La nostra conversazione viene filtrata da congegni di registrazione interpolati dalle autorità, in ossequio alla legge. Potrei chiederglielo. Ma non ora. Non ora. Un po' di tempo appartiene a me. Vorrei conoscerlo un po' di più, per quanto poco tempo rimanga. Quest'urgenza è cresciuta, si è solidificata, settimana dopo settimana, una volta che era apparso chiaro cosa stava facendo, una volta che ebbi capito. Una volta lo odiavo. Adesso non so.
È strano.

5

È stata la nostra vicina, la signora Gorman, a scoprire il corpo. Quando lui non aveva risposto al suo bussare, aveva sbirciato dal finestrino in alto sulla porta e l'aveva visto bocconi nel corridoio. Una buona vicina, svelta nel fornire le risposte, nel fare le cose giuste, e le autorità erano state debitamente avvertite. E poiché era un caso d'assassinio piuttosto insolito, senza testimoni, era stato Rivitalizzato, come dice la legge, perché avrebbe potuto fare il nome del suo assassino, così la giustizia avrebbe seguito il suo corso prima che lui venisse definitivamente convocato dalle trombe di Azrael.
Anche ora sta svanendo, i pensieri sono sconnessi, il tempo che gli è stato regalato risplende debolmente. Quattro settimane sono il massimo: nessuno è mai stato mantenuto in vita più a lungo. Forse un giorno. Ma non adesso. Non ora. Non per lui.
Il viso è gonfio per le iniezioni, la pelle innaturalmente rosa per l'elettrostimolazione del cervello. È già morto una volta e presto dovrà morire definitivamente. Forse oggi. Più facilmente domani. Presto però. Non ci sarà una fuga finale, solo una dilazione, autorizzata e codificata dal lungo braccio della legge per sbrigare il proprio lavoro.
Perché la giustizia possa seguire il suo corso.

6

Si tratta del diritto dell'erede. E io sono il suo unico erede, l'unico al quale verrà consegnato tutto quanto era suo. Ora è a portata di mano. Quando vi stringerò attorno le dita, si sbriciolerà; quando volgerò lo sguardo per vederla, diventerà trasparente; quando cercherò di darle voce, mi ritroverò muto.

7

Sediamo l'uno di fronte all'altro. Quel che sento è strano.

8

- A cosa stai pensando? - gli chiedo.
Avverto la sua attività cerebrale mettersi in movimento sotto lo stimolo, mentre lotta contro la fine.
- Penso a tua madre - risponde. - Penso a lei quand'era giovane. - Un'altra pausa. - Questo mi dà forza. - Un'altra pausa, più lunga. - A volte - aggiunge - penso a mio padre.
Il silenzio che segue è punteggiato dalla statica, che corre tra il vivo e il morto.
Senza pensarci, chiedo di colpo - C'è il paradiso? E l'inferno? - Non gliel'ho mai chiesto. Non so bene da dove mi vengano i pensieri. Ora mi sembrano un po' troppo rudi. La possibilità di una disillusione traumatica si libra sulla risposta.
- No - dice, Poi - Non lo so. - Avverto il suo tremore, il senso d'acquiescenza. - Importa qualcosa?
- Pensavo che forse lo sapevi - dico. - Pensavo che potesse essere chiaro per te.
- Molte cose lo sono, per me - dice. - Le cose che contano.

9

- Te lo devo chiedere, padre. È la legge che lo vuole.
- Lo so.
Anche adesso, penso, so quale sarà la risposta. Sarà la stessa. Non dovrebbe avere motivo per cambiare, non dopo che s'è rifiutato di rispondere nei tre incontri precedenti.
Forse è perché adesso dubito di me?
- Chi ti ha ucciso? - chiedo.
La statica raggiunge un crescendo inudibile, le parole ondeggiano tra i vapori, attraverso l'elettricità, il tempo, lo spazio infinito. Poi tutto cessa, e torna una chiarezza innaturale.
- Tutti - risponde ancora lui. - Loro mi hanno ucciso.
- La legge vuole saperlo - dico, perseguendo il mio compito, per me, per lui, per la registrazione. - Chi è il colpevole? - La statica crepita di nuovo, frizzante, mordente, poi si trasforma in una calma corrente. - Chi? - chiedo ancora.
- Il tempo - dice. Ancora.

10

La risposta è la stessa. L'ho già sentita prima. Mio padre, anche nella morte, non vuole cooperare.
Lo odiavo. È per questo che l'ho ucciso. Lui lo sa. Ma non vuole puntare il dito. Questo, come lui ben sa, non è un affare per la legge. È tra me e lui. Gli altri sono solo meri intrusi.
A volte, penso che non dovrebbe andare così. È veramente strano. Come avrei potuto saperlo? Come avrei potuto agire altrimenti? E come avrei fatto a imparare che gli voglio bene?
È la mia eredità. Adesso capisco. Adesso.

FINE