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Urania - Racconti d'appendice
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ALTRE DIMENSIONI - Fabio Feminò
Esistono altre dimensioni oltre la nostra? Un interrogativo affascinante al quale si tenta di fornire una spiegazione.
Al giorno d'oggi, sentir parlare di "altre dimensioni" è abbastanza facile. Maghi e parapsicologi lo fanno con estrema disinvoltura, lasciando intendere che le altre dimensioni siano luoghi mistici, regno degli spiriti e degli UFO. Tuttavia i primi ad usare questo termine non sono stati loro, ma i matematici, e con un significato completamente diverso.
Le spiegazioni sono abbastanza semplici: quando parlano di "dimensioni", i matematici intendono dire "direzioni", linee rette perpendicolari fra loro e puntate in sensi diversi. Se si traccia una linea su un foglio di carta, si ottiene quello che viene chiamato "spazio a una dimensione", in cui un punto può muoversi avanti e indietro. La superficie di un foglio, invece, è uno spazio a due dimensioni, in cui ci si può muovere non solo avanti e indietro, ma anche a destra e a sinistra, perché ci sono due linee perpendicolari a delimitarne i confini. Un cubo, infine, è delimitato da tre linee e al suo interno ci si può muovere anche in alto e in basso. Tutto l'universo che conosciamo si estende in tre dimensioni come l'interno di un cubo.
Le "altre dimensioni" immaginate dai matematici sono solo altre linee rette, in grado di delimitare altri tipi di spazio. Uno spazio delimitato da quattro rette perpendicolari invece di tre sarebbe uno spazio a quattro dimensioni. Se esistessero davvero spazi a quattro dimensioni, o a cinque, o a sei, sarebbero luoghi non meno straordinari di quelli descritti dai maghi, anche se solidi e concreti, e ogni oggetto al loro interno obbedirebbe a precise leggi fisiche come quelle del nostro spazio tridimensionale.
Nel corso di molti secoli, alcuni matematici e scrittori sono perfino riusciti ad immaginare che vita potrebbero condurre degli esseri viventi in spazi con più o meno di tre dimensioni. Il primo fu Edwin Abbott, direttore della City of London School, che nel 1884 pubblicò Flatland, la storia di un ipotetico abitante di un mondo bidimensionale piatto proprio come un foglio. In questo mondo, una creatura tridimensionale potrebbe far vedere di sé solo una sezione per volta, e muovendosi la sezione esso cambierebbe dimensione e forma. Gli abitanti di Flatland non potrebbero neanche riconoscersi per mezzo degli occhi come facciamo noi, perché, pur avendo forme diverse, apparirebbero tutti come semplici linee. Per ovviare all'inconveniente, Abbott immaginò che i contorni delle figure fossero fosforescenti e che l'aria di Flatland fosse pervasa dalla nebbia, in modo da far variare la loro luminosità con la distanza dall'osservatore.
Nel 1907 un altro scrittore di nome Charles H. Hinton ideò un altro mondo bidimensionale chiamato Astria. Gli Astriani vivrebbero sulla superficie di un vero pianeta di forma circolare, e potrebbero muoversi liberamente in alto o in basso, scalando montagne o scavando nel sottosuolo, ma senza mai spostarsi nel senso della profondità. Nel 1965 il matematico olandese Dionys Burger immaginò un terzo mondo chiamato Sphereland, sempre di forma circolare, ma diviso in molti strati concentrici. Il centro del mondo sarebbe il centro del cerchio, circondato da uno strato di roccia, uno di oceani, uno di atmosfera. Gli abitanti di Sphereland dovrebbero avere la capacità di volare, per vivere nell'atmosfera. Fino a questo momento l'ultimo importante studio su questo argomento risale al 1984, e l'autore è un matematico canadese, Alexander Dewdney. In un saggio intitolato The Planiverse, Dewdney ci fornisce dettagli stupefacenti sull'esistenza in due sole dimensioni. Senza una terza dimensione in cui girare, le viti non potrebbero esistere, e neppure le ruote montate su assi. "Non si possono neppure ipotizzare animali con un normale impianto digestivo, perché in un piano bidimensionale qualsiasi apertura che attraversi completamente un animale lo taglia a metà". Come soluzione, gli abitanti di un mondo piatto potrebbero avere un intestino capace di aprirsi solo al passaggio del cibo e richiudersi subito dopo, come un sistema di chiuse per il passaggio delle navi.
Un pianeta Astria avrebbe come cielo notturno un semicerchio costellato di punti luminosi. Se Astria facesse parte di un sistema planetario, gli altri pianeti occulterebbero le stelle a intervalli regolari. Sulla sua superficie la pioggia non potrebbe scorrere intorno alle rocce come sulla Terra, ma si accumulerebbe dietro di esse, spingendole gradualmente verso il basso e provocando un'erosione maggiore di quella che conosciamo. Così il pianeta potrebbe essere quasi completamente piatto, e le depressioni potrebbero essere colme di sabbie mobili, formate da acqua stagnante. Una civiltà tecnologica di Astriani, poi, potrebbe essere costretta a svilupparsi sottoterra per mancanza di spazio: "Supponendo che la superficie del pianeta sia assolutamente essenziale per fornire di che vivere a piante e animali, è chiaro che ben poca di essa potrebbe essere lavorata senza provocare una catastrofe ecologica. Per esempio, qui sulla Terra possiamo costruire una modesta autostrada nel mezzo di ricche terre coltivate senza distruggerne più di una piccola percentuale. Una corrispondente autostrada su Astria distruggerebbe tutte le terre sotto di essa, e nello stesso modo grandi città esaurirebbero rapidamente la campagna astriana".
La tecnologia degli Astriani sarebbe abbastanza simile a quella terrestre, fondata su barre, leve, piani inclinati, molle, cardini, corde e cavi. La differenza è che le corde non potrebbero essere annodate senza una terza dimensione, e le molle sarebbero composte da nastri metallici piegati su se stessi anziché avvolti. Le porte delle case sotterranee potrebbero aprirsi solo verso l'alto, girando avanti e indietro su cardini posti nella parte superiore, e le chiavi non potrebbero essere girate. Basandosi su queste constatazioni, Dewdney ha inventato un meccanismo per l'apertura di una porta astriana basato su un sistema di leve, e una serratura a molla in cui basta inserire una chiave senza girarla. Entrambi questi congegni funzionerebbero benissimo anche se costruiti in tre dimensioni: "È divertente pensare che l'obbligo di formulare progetti esotici posto dall'ambiente a due dimensioni potrebbe spingerci a pensare ai meccanismi in modo talmente differente da far nascere nuove soluzioni per vecchi problemi. I progetti che ne risultano, se pratici dal nostro punto di vista, danno inevitabilmente un risparmio di spazio".
L'idea che potesse esserci una quarta dimensione nello spazio perpendicolare alle tre che conosciamo è molto vecchia, e risale addirittura all'antichità classica. Il primo a prenderla sul serio fu Immanuel Kant, e soltanto nell'Ottocento i matematici la accettarono. Fu lo stesso Charles Hinton a prendere in esame la possibilità che ci si potesse muovere in questa nuova direzione, affermando che per descrivere il senso lei movimento sarebbe stato necessario trovare delle nuove parole: "alto" e basso", "destra" e "sinistra" non sarebbero bastate. Pensò di chiamare un senso "ana" e l'altro senso "kata". In questi due sensi potrebbero stendersi figure geometriche per noi incomprensibili. L'equivalente quadridimensionale di un cubo sarebbe un "ipercubo" composto da otto cubi normali ripiegati su se stessi, con uno spazio vuoto al centro. Ma questa non è una descrizione esatta: per quanto possa sembrare fantastico, una descrizione "esatta" di un ipercubo è assolutamente impossibile. Riusciremmo a capire veramente di cosa si tratta solo vedendone uno dal vero, e probabilmente sarebbe uno spettacolo impressionante. È più o meno quello che succede ai protagonisti del racconto di Robert Heinlein "La casa nuova", che si trovano addirittura imprigionati al suo interno e non riescono più ad uscirne.
Come scrisse il matematico Eric Tempie Bell (meglio noto come John Taine, famoso scrittore di fantascienza dell'anteguerra), "nessuno, se non in una casa per alienati, può arrivare a rappresentarsi uno spazio a quattro dimensioni". Fortunatamente, se qualche creatura quadridimensionale arrivasse nel nostro mondo tridimensionale, ne vedremmo solo una sezione che avrebbe l'aspetto di un normale oggetto solido. La creatura, invece, potrebbe guardarci dalla direzione "ana" o "kata" e vedere l'interno del nostro corpo, esattamente come noi potremmo vedere l'interno del corpo di un Astriano guardandolo dall'alto. Potrebbe fare anche qualcos'altro, e cioè farci ruotare lungo la nuova dimensione e trasformarci nell'immagine speculare di noi stessi. Herbert George Wells basò su questo concetto un racconto intitolato "La storia di Plattner", in cui il protagonista torna dal mondo a quattro dimensioni con tutti gli organi cambiati di posto: cuore a destra, fegato a sinistra, mano destra al posto della mano sinistra e viceversa. Oppure, la creatura potrebbe bere da una bottiglia chiusa, o rovesciare un pallone dall'interno senza rompere le cuciture, o passare da un lato all'altro di una parete, semplicemente scavalcandola lungo una delle direzioni a noi precluse.
Sfortunatamente, non possiamo avere neanche la più vaga idea della forma di eventuali esseri intelligenti quadridimensionali. Possiamo solo ipotizzare che sarebbero più in gamba di noi uomini tridimensionali, perché in quattro dimensioni le connessioni delle cellule nervose potrebbero esser molto più numerose. C'è un esempio citato da Neil Sloane, un matematico dei Bell Laboratories: in un cumulo di sfere tridimensionali ognuna può toccarne non più di altre 12, ma una sfera quadridimensionale, o "ipersfera", potrebbe toccarne ben 24. Secondo Dewdney, però, la potenza mentale in più sarebbe assorbita da incarichi molto semplici: "Il mondo quadridimensionale richiederebbe un sistema visivo molto più complicato del nostro". Anche la tecnologia di esseri simili sarebbe completamente fuori dalla nostra comprensione. Del resto, mondi a cinque o sei dimensioni sarebbero altrettanto incomprensibili per un essere a quattro dimensioni, ed esseri pentadimensionali potrebbero a loro volta scavalcare pareti a quattro dimensioni con la massima facilità.
FINE