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Urania - Asimov d'appendice
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LE DISTANZE CHE CAMBIANO - Isaac Asimov
Titolo originale: The changing distance

Da buon professionista, sono sempre pronto a cogliere l'interesse che il pubblico dimostra nei confronti di qualche argomento di cui ne sa poco. Logico, del resto, perché sono uno scrittore di argomenti scientifici e divulgatore di professione e mi sono reso conto che, se so ascoltare bene, è il pubblico stesso che mi dice quali sono gli argomenti su cui vuole essere illuminato.
Il 28 settembre 1988, per esempio, il pianeta Marte è arrivato al suo punto di maggiore avvicinamento nei confronti della Terra, e stampa e televisione, come prevedibile, ne hanno parlato a iosa. "Marte sfiora la Terra", è stato il coro unanime.
Al che mi immagino come tutti coloro che sono digiuni d'astronomia abbiano immaginato che Marte distava ormai solo un tiro di schioppo e che la sua presenza (a pochi metri, magari) avesse un significato soprannaturale.
A questo punto avrei anche lasciato passar via l'argomento se non mi fosse capitato di trovarmi personalmente coinvolto in questa mistica atmosfera. Mi telefonò infatti un tizio simpaticissimo che lavorava presso una rete televisiva il quale voleva intervistarmi riguardo Marte.
Lo studio televisivo non era lontano, per cui non scattò la mia automatica ripulsa agli spostamenti e acconsentii alla sua richiesta. Così andai da loro e mi sedetti sotto i riflettori.
Ero sicuro di quale sarebbe stata la prima domanda ed ero pronto a rispondere.
- Allora, che ci dice di questo avvicinamento di Marte nei confronti della Terra - mi chiese l'intervistatore in tono reverente. - Che significa in pratica?
- Un accidenti di niente - gli risposi tutto allegro e poi gli spiegai perché.
L'argomento non è facile da illustrare in due parole, ma questo non mi preoccupò più di tanto perché sapevo che mi aspettava la cattedra della mia rubrica di saggi scientifici, perciò permettete che ora vi parli della distanza di alcuni oggetti astronomici dalla Terra e di come variano queste distanze.
Cominciamo con la Luna, che, di tutti i corpi di una certa dimensione, è il più vicino alla Terra. La Luna compie una rivoluzione attorno alla Terra in 27,32 giorni (rispetto alle stelle) e durante questo processo rimane pressoché a distanza costante da noi.
La distanza media del centro della Luna dal centro della Terra era già stata calcolata con ragionevole precisione addirittura dagli antichi greci. In questi ultimi trent'anni, però, abbiamo proiettato sulla Luna fasci di microonde che sono poi tornati a noi riflessi dalla sua superficie e dal tempo che il raggio di microonde ha impiegato ad andare e tornare siamo riusciti a determinare la distanza della Luna con una tolleranza di qualche centinaio di metri.
La Luna dista così in media 384.400,5 chilometri dalla Terra.
Se la Luna effettuasse una rivoluzione perfettamente circolare attorno alla Terra, il raggio di questo cerchio sarebbe la distanza (costante) dalla Terra, ma l'orbita della Luna non è circolare, bensì ellittica. È vero che si tratta di un'ellisse assai prossima a un cerchio, tanto che, se dovessimo tracciare l'orbita della Luna in scala su un foglio di carta essa ci apparirebbe come un cerchio, ma in termini rigorosi, l'orbita non è circolare.
Un cerchio ha un solo centro, un'ellisse invece ha due "fuochi", disposti simmetricamente rispetto al centro.
La linea retta che attraversa l'ellisse da un'estremità all'altra passando per i due fuochi è detta "asse maggiore". Quando la Luna si trova all'estremità dell'asse maggiore che sta nella stessa banda in cui sta il fuoco occupato dalla Terra, il corpo celeste si trova nel punto di massimo avvicinamento rispetto al nostro pianeta. Questo punto è chiamato "perigeo", termine composto di parole greche che significano "vicino alla Terra". Quando invece la Luna si trova nella banda opposta dell'asse maggiore, essa si trova nel punto di massima distanza, detto "apogeo", che in greco vuol dire "lontano dalla Terra".
La Luna nel suo percorso orbitale attorno alla Terra si sposta dal perigeo all'apogeo per poi tornare al perigeo. La variazione di distanza risultante non è grande, perché, come abbiamo detto, l'orbita non è molto ellittica. Per la precisione, la Luna, al perigeo, dista solo 356.375 chilometri dalla Terra; mentre all'apogeo dista 406.720 chilometri.
La variazione della distanza durante il percorso orbitale di quattro settimane è così di 50.345 chilometri, ossia il 13% della sua distanza media.
Questa differenza di distanza influisce sull'aspetto della Luna? La risposta è sì. Il diametro apparente della Luna al perigeo è di 33,48 minuti d'arco, ma all'apogeo è di soli 29,37 minuti. La Luna, al perigeo, ha un diametro del 14% superiore a quello che ha all'apogeo e la sua area è del 30% superiore, il che significa che se per caso al perigeo la Luna è in fase di Luna piena, la sua luminosità è del 30% superiore, a quella che si registra in fase di Luna piena all'apogeo.
Ma tutto questo che importanza ha? In pratica, per la gente in generale, nessuna. A quanto pare la gente, per quanto ne so io. non si è mai accorta che la Luna piena è a volte del 30% più luminosa che in altre circostanze.
Passiamo ora a considerare il sole. La Terra compie una rivoluzione completa attorno al Sole in 366,2422 giorni. La sua orbita è quasi circolare, di modo che il Sole rimane sempre più o meno alla stessa distanza dalla Terra. La sua distanza media, da centro a centro, è di circa 149,6 milioni di chilometri, ossia 389 volte la distanza della Luna.
Ma neanche l'orbita della Terra è un circolo perfetto, in quanto è anch'essa leggermente ellittica, anche se un po' meno di quella della Luna. Il grado di ellissicità di un'orbita è detto "eccentricità". Così, di un cerchio, l'eccentricità è zero e l'eccentricità dell'orbita della Luna è 0,055, che, come si vede, si discosta poco da zero. L'eccentricità dell'orbita terrestre poi è solo dello 0,0167.
Ciò nonostante, anche la leggera eccentricità dell'orbita terrestre comporta una variazione sensibile della distanza della Terra dal Sole nel corso dell'anno. Quando la Terra si trova al "perielio" (punto di massima vicinanza dal Sole), il Sole dista dalla Terra 147,1 milioni di chilometri. All'"afelio", invece (punto di massima distanza dal Sole), il Sole si trova a 152,1 milioni di chilometri dal nostro pianeta.
La differenza di distanza è di 5,0 milioni di chilometri, che è solo il 5,4 per cento della distanza media.
Questa differenza percentuale minore di quella riferita alla distanza variabile della Luna dalla Terra deriva dal fatto che l'orbita terrestre è meno eccentrica di quella della Luna.
La variazione della distanza del Sole si riflette anche nella grandezza apparente del Sole in cielo. Quando la Terra si trova al perielio, il Sole ha un diametro apparente di 32,60 minuti d'arco; quando la Terra si trova all'afelio, invece, il Sole ha un diametro di soli 31,63 minuti d'arco. Al perielio, quindi, il Sole ha un diametro del 3% superiore, il che comporta un'area apparente del 6% maggiore, con conseguente incremento del 6% della luminosità e del calore quando la Terra è in perielio rispetto a quando si trova all'afelio.
Ma se il 30% di luce in più dovuta alla Luna piena al perigeo passa inosservata, potete scommettere che viene del tutto ignorato il 6% in più di luce solare quando la Terra è in perielio (Questo è tanto più vero, in quanto il perielio, ai nostri tempi, si verifica quando nell'emisfero nord è inverno ed è nell'emisfero nord che vive la maggior parte degli esseri umani. La maggiore luminosità del Sole viene così mascherata dal fatto che il Sole è, in quella stagione, più basso nel cielo e rimane all'orizzonte per un periodo di tempo minore).
Anche così, in questi ultimi decenni si è cercato di spiegare le oscillazioni climatiche a lungo termine della Terra, ere glaciali comprese, con questa differenza di perielio/afelio, abbinata alle precessioni degli equinozi e alle leggere variazioni periodiche dell'eccentricità dell'orbita terrestre e dell'inclinazione dell'asse di rotazione. Di questi argomenti però ora non ci occuperemo.

Possiamo passare ora a Marte, che è un caso del tutto diverso. Poiché la Luna orbita attorno alla Terra e la Terra attorno al Sole, entrambi questi corpi celesti sembrano percorrere un circuito più o meno uniforme nel cielo, viaggiando a velocità quasi costante da ovest a est, sullo sfondo delle stelle (se si tralascia l'effetto della rotazione terrestre).
Anche Marte orbita attorno al Sole coma la Terra, ma a distanza diversa e con velocità diversa, di modo che si hanno così due orbite distinte invece di una sola. Questo comporta che il movimento apparente di Marte in cielo è molto più complicato di quello della Luna o del Sole.
Mentre la Terra si trova a una distanza media di 149,6 milioni di chilometri dal Sole, Marte è situato a una distanza media di 228 milioni di chilometri, il che significa che la distanza di Marte dal Sole è di 1,52 volte quella della Terra dal Sole e che, nel percorrere la sua orbita, Marte effettua un percorso che è di 1,52 volte superiore a quello coperto dalla Terra.
Bisogna aggiungere, inoltre, che la Terra, essendo più vicina al Sole di Marte, risente maggiormente dell'attrazione gravitazionale dell'astro e viaggia più rapidamente di Marte lungo la propria orbita (che è più corta di quella di Marte). Così, mentre la Terra si muove attorno al Sole a una velocità media di 29,79 chilometri al secondo, la velocità media di Marte è di soli 24,13 chilometri al secondo. Per questo, Marte impiega, per effettuare un giro attorno al Sole, un periodo di tempo superiore a quello che ci aspetterebbe in base alla lunghezza dell'orbita. La Terra impiega 365,24522 giorni per effettuare una rivoluzione attorno al Sole, Marte impiega 689,98 giorni terrestri, pari a 1,88 anni terrestri.
Tutto questo vuol dire che, mentre la Terra e Marte girano attorno al Sole nello stesso senso di direzione, la Terra è in continua fase di sorpasso rispetto a Marte, lo supera, si allontana, guadagna un'intera orbita, lo raggiunge alle spalle, lo supera di nuovo e così via all'infinito da miliardi di anni.
Un'altra conseguenza è che Marte si trova nel punto di massimo avvicinamento con la Terra nel momento in cui viene raggiunto dal nostro pianeta. Entrambi i pianeti si trovano in quel momento dalla stessa banda rispetto al Sole e. nel momento del passaggio, se si tirasse una retta dalla Terra al Sole, questa, se venisse prolungata, attraverserebbe anche Marte.
Se si osserva la scena dalla Terra, sembrerebbe che al momento del passaggio di Marte, questo pianeta si trovi a mezzanotte il più vicino possibile allo zenit, esattamente dalla banda opposta della Terra rispetto al Sole. Poiché Marte e il Sole si trovano da bande opposte rispetto alla Terra, si dice che Marte si trova in "opposizione", ed è appunto in questa fase che Marte si trova alla minima distanza dalla Terra.
Poi, a mano a mano che la Terra si muove oltre la fase di opposizione, guadagnando terreno su Marte, il nostro pianeta va allontanandosi sempre più. Alla fine si sposterà così tanto in avanti da trovarsi dalla banda opposta del Sole rispetto a Marte. A questo punto la sua posizione è di massima distanza da Marte e, guardando dal nostro pianeta, sembra che Marte, che in quel momento si trova sull'altro lato del Sole, sia ad esso molto vicino in cielo. Si dice allora che Marte e il Sole si trovano in "congiunzione". In questa fase, la Terra e Marte si trovano alla massima distanza l'uno dall'altro.
Se Marte fosse immobile, la Terra ci metterebbe mezzo anno per passare dalla fase di opposizione a quella di congiunzione, e poi un altro mezzo anno per tornare nella posizione di opposizione. Ma si dà il caso che anche Marte proceda nella stessa direzione, sia pure non alla stessa velocità della Terra, ma sempre abbastanza velocemente da costringere il nostro pianeta a impiegare un tempo notevolmente superiore per guadagnare un giro completo su Marte.
La Terra impiega così in media 779,94 giorni (2,137 anni) per guadagnare un giro completo e passare da una posizione di opposizione alla seguente.
Supponiamo ora che la Terra e Marte viaggino entrambi attorno al Sole in orbite circolari. In tal caso, la distanza da Marte alla Terra, coi pianeti in opposizione, sarebbe data dalla distanza di Marte dal Sole meno la distanza della Terra dal Sole, vale a dire 78 milioni di chilometri.
In posizione di congiunzione, la Terra e Marte si troverebbero da bande opposte rispetto al Sole e la distanza tra di loro sarebbe di 78 milioni di chilometri più il diametro dell'orbita terrestre. La Terra e Marte sarebbero allora separati da una distanza di 377 milioni di chilometri.
La distanza in fase di congiunzione sarebbe allora 4,8 volte superiore a quella che si ha in fase di opposizione e Marte, in opposizione, avrebbe una luminosità di circa 23 volte superiore a quella in posizione di congiunzione.
E questo fatto verrebbe notato?
Sì e no. In opposizione, Marte sì trova alto nel cielo ed è visibile per tutta notte. Passando in opposizione, però, il pianeta si avvicina sempre più al Sole e non è più visibile nel cielo notturno o lo è solo per breve tempo all'alba o al tramonto.
Marte diventa quindi meno visibile, non solo perché perde di luminosità, ma anche perché abbandona lentamente il cielo notturno e, per i non astronomi, questi motivi possono essere fonte di confusione.
Bisogna però precisare che le orbite della Terra e di Marte non sono affatto circolari. Sì, quella della Terra è quasi circolare, ma quella di Marte comincia a differire in modo notevole. Così, mentre l'eccentricità dell'orbita terrestre è, come abbiamo già detto, 0,0167, l'eccentricità dell'orbita di Marte è addirittura di 0,0934, cioè perfino superiore a quella della Luna.
Questa eccentricità fa sì che, all'afelio, Marte disti 249 milioni di chilometri dal Sole, mentre al perielio ne disti solo 207. La differenza è di 42 milioni di chilometri, pari in percentuale al 18,4 della distanza media di Marte dal Sole.
Per amor di semplicità immaginiamo di considerare l'orbita della Terra circolare, visto che l'eccentricità è minima.
L'opposizione può aversi in qualsiasi punto dell'orbita terrestre. Si può verificare quando la Terra supera Marte nel punto di afelio marziano, o nel punto del perielio marziano o in qualsiasi altro punto intermedio.
Se l'opposizione ha luogo all'afelio marziano, allora la distanza tra la Terra e Marte è di 249 - 149 = 100 milioni di chilometri. Se invece l'opposizione ha luogo al perielio marziano, la distanza è di 58 milioni di chilometri (207 meno 149 milioni di chilometri). Ma poiché l'orbita della Terra non è esattamente circolare, questa distanza minima può talvolta arrivare a soli 55,5 milioni di chilometri.
Ora lasciamo perdere un attimo il Sole. Consideriamo solo le opposizioni, quando Marte è alto nel cielo e vi rimane per tutta la notte e quando il Sole si trova esattamente dall'altra parte della Terra. Marte, in occasione di alcune di queste opposizioni, si trova considerevolmente più vicino alla Terra di altre volte.
Per questa ragione. Marte, in opposizione al perielio, ha una luminosità di 3 1/4 volte superiore a quella che presenta quando si trova in opposizione all'afelio. E questo è un fatto che si nota.
La cosa risulta poi ancora più importante per una questione di colore. Venere e Giove, i due pianeti più luminosi, sono bianchi. Marte, quando si trova in opposizione al perielio, è in effetti leggermente più luminoso di Giove, ma il suo colore è nettamente rosso. Anzi, tra gli oggetti rossi presenti in cielo, e quello dotato di massima luminosità.
Questo colore deriva dal fatto che il suolo marziano è "ricco di ferro, di modo che quello che vediamo è l'equivalente di un pianeta arrugginito. Per gli antichi che osservavano Marte prima dell'età del ferro quando non avevano familiarità con la ruggine, però, quel colore indicava una cosa sola... il sangue.
Niente di strano, quindi, che i sumeri, che furono i primi ad osservare le stelle in modo sistematico, abbiano battezzato il pianeta col nome di Nergal, il loro dio della guerra, della distruzione e della morte. I greci seguirono a loro volta la tradizione dando al pianeta il nome di Ares, che era il loro dio della guerra, e i romani lo chiamarono Marte dal nome del loro. Oggi si è conservato il nome romano.
Naturalmente, un oggetto celeste che ci guata col colore del sangue e con un nome che è personificazione di guerra, morte e distruzione è destinato per forza ad essere considerato malvagio e minaccioso. Un anno sì e uno no, questo pianeta risplende nella notte come una gemma di sangue e di tanto in tanto appare particolarmente brillante. In quei momenti di pieno fulgore, quando si trova in opposizione o vicino al perielio, non ci sarebbe da meravigliarsi se abbia riempito di terrore il cuore della gente facendo loro prevedere il peggio.
Questa è pura superstizione, naturalmente, ma è la superstizione che domina il cuore e la mente dell'uomo molto più di quanto faccia (o abbia fatto o farà mai) la fredda ragione.
Così, anche dopo che sono state chiarite le questioni astronomiche e il concetto di Marte come dio della guerra è diventato solo un relitto mitologico, è pur rimasta l'associazione di Marte col male.

Prima del 1965, le opposizioni di Marte erano osservate con grande interesse dagli astronomi. Nel loro caso non si trattava certo di superstizione ma piuttosto di grandi speranze. Con l'invenzione del telescopio nel 1608 divenne possibile osservare Marte e vedere molto di più di quanto si potesse rilevare a occhio nudo. Quando Marte era in opposizione e quindi nel punto di massima vicinanza, il pianeta appariva più grande e limpido che in altri momenti e quando l'opposizione si verificava al perielio, si aveva la massima magnitudine e la maggiore limpidezza.
Marte si trova in opposizione al perielio, o almeno molto vicino ad esso, ogni trent'anni circa e, quando ciò si verifica, gli astronomi apprestano i telescopi, si preparano alle osservazioni e trasudano un entusiasmo che si trasmette alla stampa pubblica. Così la gente rimane a bocca aperta di fronte allo "straordinario avvicinamento di Marte" e magari si sente anche un po' nervosa.
In occasione di ogni avvicinamento rilevante, naturalmente, telescopi, spettroscopi, tecniche fotografiche, e tutti gli altri sistemi, insomma, hanno permesso di far progredire le conoscenze che si erano fissate in occasione dell'avvicinamento avvenuto una generazione prima. C'era sempre la possibilità che si potessero vedere con più chiarezza i rilievi della superficie e che si potesse tracciare la mappa di Marte in modo più definitivo e che si potessero effettuare scoperte impreviste.
Nel 1877, quando Marte arrivò a uno di questi massimi avvicinamenti, l'astronomo americano Asaph Hall (1829-1907) colse l'occasione per cercare di individuare la presenza di eventuali piccoli satelliti molto prossimi a Marte (Che dovessero essere piccoli e vicini al pianeta era indubbio, perché altrimenti sarebbero già stati scoperti da tempo). L'11 agosto stava già per rinunciarci, ma sua moglie, Angelina Stickney Hall, gli disse: - Prova ancora per una notte, Asaph. - Lui lo fece e scoprì due satelliti che battezzò coi nomi dei figli di Marte, Phobos ("Paura") e Deimos ("Terrore").
In occasione della stessa opposizione, l'astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli (1835-1910) riuscì a disegnare la mappa di Marte con maggiore precisione di quanto si fosse fatto in passato. Schiapparelli notò numerose sottili linee scure che chiamò "canali", nome che si assegna alle estensioni d'acqua naturali, strette e sottili.
In inglese però la parola venne tradotta col termine di "canals" che indica non i canali naturali, ma quelli artificiali. Immediatamente molti non astronomi (e anche qualche astronomo) ritennero che fossero state scoperte le prove dell'esistenza di vita su Marte. E non solo di vita, ma anche di una tecnologia progredita capace di costruire canali artificiali.
Dopo tutto, Marte era un piccolo pianeta con una forza di gravità in superficie pari solo a 2/5 di quella terrestre, per cui poteva darsi che andasse progressivamente perdendo la sua scorta d'acqua. I canali sarebbero stati allora costruiti per convogliare acqua dalle calotte di ghiaccio polari ai terreni agricoli situati nelle parti più calde del pianeta.
L'astronomo americano Percival Lowell (1855-1916) sposò appunto questa tesi e aprì un osservatorio in Arizona da dove si poteva osservare Marte attraverso l'aria secca e rarefatta delle montagne nel deserto. Lowell pubblicò mappe che mostravano la superficie di Marte intersecata da canali diritti che si incontravano in punti detti "oasi" e scrisse un paio di libri in cui proclamavano che Marte era sede di una forma avanzata di vita.
La maggioranza degli astronomi considererà con scetticismo queste affermazioni, ma la massa del pubblico ci credette ciecamente e non solo accettò il concetto di una forma di vita marziana progredita, ma si lasciò influenzare dalle antiche superstizioni riguardanti il pianeta di sangue e diede per scontato che la forma di vita marziana fosse malvagia.
Nel 1898, lo scrittore britannico Herbert George Wells (1866-1946) approfittò di questo stato d'animo pubblicando il romanzo La guerra dei mondi, il primo, per quanto ne sappia, in cui si parla di guerra interplanetaria. Nelle sue intenzioni l'opera doveva essere una satira sociale. Le nazioni europee, e la Gran Bretagna in particolare, avevano appena finito di spartirsi l'Africa senza la minima considerazione per i suoi abitanti e Wells si raffigurò i marziani che calavano in Gran Bretagna e si impadronivano del paese senza alcun riguardo per la popolazione.
La massa del pubblico, però, ignorò il significato satirico dell'opera e fece attenzione unicamente agli orrori dell'invasione marziana e alla natura malvagia dei marziani.
Il romanzo creò così un cliché fantascientifico che si sarebbe ripetuto per anni: i marziani erano una razza molto più progredita tecnologicamente dei terrestri, ma decadenti e malvagi e poiché il loro pianeta era ormai morente erano ansiosi di mettere le mani sulla Terra.
Non so quante storie di invasioni marziane siano state scritte tra il 1900 e il 1965, ma in pratica quasi tutte hanno fatto la loro parte per rafforzare l'antico concetto di un Marte malvagio, nato solo perché quel povero pianeta era pieno di ruggine e abbastanza vicino a noi da mostrare la ruggine specialmente nei momenti di massima vicinanza.
Ancora nel 1938 (quasi cinquantanni fa dal momento in cui scrivo questo articolo) i pericoli di un'invasione marziana erano ben radicati nella mente dell'uomo. Il 30 ottobre 1938, Orson Welles (1915-1985) produsse una commedia radiofonica basata sul romanzo di Wells. Modificò solo il punto dello sbarco dei marziani trasferendolo dalla Gran Bretagna nel New Jersey e raccontò la storia mediante falsi giornali radio e annunci governativi, simili a quelli che avevano caratterizzato il clima di panico bellico scoppiato il mese prima, e che era culminato con la resa dell'Occidente di fronte a Hitler a Monaco.
Welles spiegò chiaramente che si trattava di un'invenzione, ma moltissime persone nel New Jersey si fecero prendere dal panico e intasarono le autostrade mentre cercavano di sottrarsi all'invasione dei marziani.
A questo proposito fui piuttosto sarcastico quando, nel corso della mia intervista riguardo Marte, mi chiesero di esprimere un commento sul panico per la (finta) invasione del 1938.
E dissi così: - Non è triste che si possa dire alla gente che la fascia d'ozono si impoverisce, che le foreste vengono abbattute, che i deserti avanzano a velocità costante, che l'effetto serra farà innalzare il livello del mare di 60 metri, che la sovrappopolazione ci sta soffocando, che l'inquinamento ci uccide, che la guerra nucleare potrebbe distruggerci... e che questa gente dopo averci ascoltato si limiti a sbadigliare e a mettersi comoda per schiacciare tranquillamente un pisolino? Ma provatevi a dir loro che stanno sbarcando i marziani ed ecco che tutti si mettono a urlare e a scappare.
Naturalmente questa mia frase fu tagliata dall'intervista e non andò in onda.

Il mito dei marziani malvagi e della loro tecnologia progredita non si esaurì del tutto che novant'anni dopo che Schiaparelli l'aveva involontariamente creato.
Il 28 novembre 1964, fu lanciata verso Marte la sonda spaziale Mariner 4, che il 14 luglio 1965 passò a meno di 10.000 chilometri dalla superficie del pianeta rosso, scattando una serie di venti fotografie ritrasmesse verso la Terra. In queste fotografie non comparivano canali di sorta, solo crateri che apparivano molto simili a quelli esistenti sulla Luna.
Seguirono altre sonde spaziali e ormai la mappa di Marte è stata tracciata con precisione. Sulla sua superficie non ci sono solo crateri, ma anche vulcani spenti ed enormi canyon, terreni sconvolti, tracce che appaiono come letti di fiumi asciutti e calotte di ghiaccio polari che sono, almeno in parte, costituite da biossido di carbonio congelato. È presente anche un'atmosfera estremamente rarefatta che non contiene quantità apprezzabili di ossigeno.
Ciò che manca a Marte è una qualsiasi traccia di canali, una qualsiasi traccia di acqua in forma liquida e una qualsiasi traccia di vita.
Così, che importa adesso se Marte si avvicina moltissimo a noi? Nessun astronomo di professione cercherà di scoprire qualcosa riguardo Marte osservando il pianeta attraverso un telescopio. Le sonde spaziali ci hanno rivelato molto di più di quanto potesse dischiuderci qualsiasi telescopio terrestre e qualsiasi altra informazione di una certa importanza potrà venirci solo da nuove sonde spaziali con o senza equipaggio a bordo.
Naturalmente gli astronomi dilettanti possono ancora trovare motivo di divertimento osservando Marte nei momenti di massimo avvicinamento, quando potranno vedere il pianeta rosso più grande e più chiaramente di quanto appaia in qualsiasi altro momento.
Non c'è niente di male in questo, ma non c'è ragione né di temere né di provare reverente rispetto né di chiamare a raccolta la gente per spiegare il significato di questo fenomeno che non è affatto soprannaturale.
Non c'è nessuna ragione, dicevo, tranne quella nata da una superstizione vecchia di cinquemila anni e che fin dall'inizio non ha avuto il minimo fondamento.

FINE