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Urania - Asimov d'appendice
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OMAGGIO A ISAAC ASIMOV - Giuseppe Lippi

La morte di Isaac Asimov. avvenuta il 6 aprile scorso a New York, purtroppo non è una novità per i nostri lettori: la notizia ha avuto larga eco sulla stampa italiana, alla radio e alla TV. Quel fatidico lunedì, la nostra redazione aveva appena concluso la riunione settimanale di aggiornamento quando ha appreso la notizia alla radio. Immediatamente dopo, sono arrivate varie telefonate dai giornali e dalla radio per avere una testimonianza da noi: chi era Asimov? Che cosa ha rappresentato per la fantascienza italiana? Non si trattava di domande di circostanza: tutti i giornalisti incaricati di occuparsi del fatto - che giungeva, fra l'altro, in concomitanza con le prime proiezioni elettorali - conoscevano e mostravano di amare l'opera asimoviana. La nostra rivista, e in generale questa casa editrice sono state prese come punto di riferimento per aver pubblicato il 99% della narrativa di Asimov e una parte della sua produzione saggistica. La fortuna di questo grande autore, in Italia, è cominciata anche sulle pagine di URANIA ed è proseguita su quelle degli Oscar, dei Massimi della Fantascienza e di Altri Mondi.
Noi tutti - lettori, cultori, appassionati di fantascienza - gli dobbiamo qualcosa, e non è esagerato dire che dalla metà degli anni Ottanta in poi Asimov è stato il pilastro dell'editoria fantascientifica in libreria, comunque la sua espressione di maggior successo. Pensate che un romanzo come Fondazione e Terra ha venduto, in edizione rilegata, 75.000 copie e che un numero di URANIA contenente la ristampa di un Asimov (cioè l'edizione economica di un volume apparso precedentemente in libreria) raggiunge le 40.000 copie. Dunque, non solo gli appassionati ma l'editoria tutta gli devono qualcosa; molto, se ci fermiamo anche solo ai dati di vendita. Del resto, che Asimov non fosse uno scrittore avventuroso fra i tanti lo avevano capito benissimo anche altri editori: pensate alle iniziative dello SFBC curato da Roberta Rambelli negli anni Sessanta, con edizioni per allora pionieristiche; o all'uscita presso Bompiani (sempre a opera della Rambelli) di Io, robot. Pensate alla fortuna di due antologie edite dalla Nord in anni più recenti, oltre al romanzo Stelle come polvere (già edito da noi come Il tiranno dei mondi) che fu tra i primissimi titoli della collana "Cosmo oro".
La morte di Asimov, come quella di Heinlein un paio d'anni fa, è un grave colpo per la fantascienza, anche se non mancano certo gli scrittori che abbiano raccolto la sua eredità e cerchino di portarla avanti. Inoltre, se la notizia può consolare qualcuno, il buon dottore aveva quasi terminato un nuovo romanzo della serie della Fondazione, Forward the Foundation, che la Doubleday avrebbe dovuto pubblicare negli USA a marzo del '93. Quale sarà la sorte di questo manoscritto incompiuto? Se vedrà la luce, anche solo in parte, i nostri lettori possono star certi che la Mondadori lo tradurrà: ne aspettavamo il manoscritto da un momento all'altro e in un primo momento lo avevamo addirittura inserito nei nostri programmi editoriali, perché originariamente l'uscita americana era stata prevista per quest'anno; solo un malore di Asimov, lo scorso inverno, aveva indotto la Doubleday a cancellare dai programmi Forward the Foundation (Verso la Fondazione) e a rinviarlo al marzo '93.
Dicevamo che l'importanza e l'originalità di Asimov nel quadro della fantascienza americana sono state capite ben presto: scrittore lucido e caustico, è stato definito fin dall'inizio come l'esponente di una sf "democratica" o liberal opposta alle tendenze conservatrici di altri grandi autori dello stesso periodo, primo fra tutti Heinlein. Asimov si sentiva un umile immigrato ebreo a Brooklyn, proveniente dalla lontana e quasi mitica Russia dei primi anni della rivoluzione, e non riusciva a capacitarsi della fortuna che gli era capitata. Invece che in mezzo a un pogrom si trovava a New York; suo padre non vendeva olio per lampade, non era costretto a fare il mercato nero, anzi gestiva un candy store (negozio tipicamente americano che è un misto della nostra edicola, tabaccheria e bottega di dolciumi). Naturalmente, non era una favola: Asimov non ha mai creduto nelle favole, pur dando l'impressione - a volte - di raccontarne qualcuna. Per il ragazzino ebreo, e non per lui solo, il mondo circostante era vasto e minaccioso, con un che d'incomprensibile. Per esorcizzare questa sgradevole sensazione, ma anche per reagire al piccolo mondo della famiglia e del negozio paterno in cui vigeva il patriarcato all'europea, Isaac Asimov sposò la causa del razionalismo e della scienza. Se nella realtà si agitava qualcosa di misterioso e indefinibile, era meglio gettarvi sopra, o almeno intorno, la luce del sapere e della ragione. Tuttavia, una delle caratteristiche più interessanti di questo autore è che in lui la dialettica razionalità/mistero non è mai venuta meno.
È vero. Asimov ha inventato le Tre Leggi della Robotica per mettere ordine in un campo vagamente popolato da zombie e macchine infernali ribelli all'uomo per principio: ma ogni delizioso racconto della serie robotica non è forse un meccanismo accuratamente congegnato per sfidare, in un modo o nell'altro, la sua stessa dottrina? E i mitici personaggi d'acciaio - primo fra tutti R. Daneel Olivaw - non sono tanto ambigui, tanto misteriosi, da far vacillare ogni possibile distinzione fra umano e inumano?
L'immagine di Asimov autore "positivista", verniano, quasi ottocentesco è ingiusta: è vero che egli credeva (o diceva di credere: c'è una differenza fra l'ideologia e l'opera effettiva di uno scrittore) nelle possibilità della scienza e della tecnologia, ma questo semplicemente perché non era uno stupido. Negli ultimi trent'anni è diventato così di moda prendersela con il progresso, e in particolare col progresso tecnologico, che non si sa come trattare qualcuno che affermi il contrario. Asimov, in realtà, non era acritico verso gli sviluppi della tecnologia e della scienza: nessun autore della sua generazione lo è stato, nonostante l'apparente trionfalismo. I suoi robot sono inquietanti, i suoi computer sono così perfetti da decidere da soli le sorti di una guerra o del futuro politico di una nazione.
Non c'è molta differenza tra Multivac e lo HAL di 2001, anche se il primo dev'essere stato costruito prima del 1989 e magari non a Urbana, Illinois; e c'è un grado di parentela molto stretta fra i robot asimoviani e quelli, paralizzanti, descritti ne Gli umanoidi di Jack Williamson. Asimov ha reimpostato il problema di macchina pensante in questi termini: in una società tecnologicamente avanzata si tenderà a dare loro sempre più spazio: ergo, non saranno aggeggi infernali progettati da uno scienziato pazzo e pronti a ribellarsi per partito preso, anzi, verranno accuratamente pianificati da quella grande Fiat per androidi che è la U.S. Robots and Mechanical Men Corp., in grado di fornire ai suoi clienti persino opportuni robopsicologi. Tuttavia, macchine e androidi saranno un problema per l'umanità... Ed è questo problema, questo groviglio di contraddizioni che Asimov esplora nei suoi racconti robotici e in romanzi come Abissi d'acciaio e Il sole nudo.
Scrivendo a proposito di uno di questi romanzi, che avevo ritradotto per l'edizione Oscar, ho detto che nella diversità del robot si specchia una parte dell'inquietudine e della "diversità" dell'emigrato ebreo. O, almeno, la sensibilità che gli è caratteristica, e che diventa uno specchio per l'ambiguità di tutta la condizione umana. È questa l'altra faccia della medaglia, perché gli androidi di Asimov, figli delle macchine pensanti e cugini dei robot positronici, sono in definitiva un'effigie dell'uomo e ripropongono l'enigma della creazione: fatti a Sua immagine e somiglianza. Ma cosa nasconde questa somiglianza? Quale legame istituisce fra creatura e creatore? In un celebre racconto, Asimov esplora la mente logica di un automa che rifiuta di credere di essere stato costruito dall'uomo, e ne dà una dimostrazione filosofica. La tensione fra pensiero laico e materialista (che gli è sempre stato congeniale) e il fascino di una cultura tradizionalmente improntata alla ricerca hanno prodotto, nei suoi racconti migliori, gli effetti artistici più notevoli.
L'Asimov dei robot è affascinante perché è il più logico, il più vicino al tipo di mentalità analitica che gli era caratteristico, e che ha dato buoni risultati anche nel campo del giallo (ricordiamo un paio di romanzi e la garbatissima serie dei Vedovi neri, dove humour e mistero vanno a braccetto piuttosto felicemente). Ma la serie che gli ha spalancato le porte dell'Olimpo, e che già nel 1966 ricevette uno speciale premio Hugo come miglior ciclo fantascientifico di tutti i tempi, è quella della Fondazione. La prima trilogia vide la luce su URANIA e poi negli Oscar con titoli esotici e al tempo stesso "all'angolo della strada" come Cronache della galassia, Il crollo della galassia centrale, L'altra faccia della spirale. L'idea centrale, quella di un formidabile sviluppo delle scienze statistiche e del successivo perfezionamento della psicostoria, disciplina che mette in grado gli studiosi di prevedere e influenzare avvenimenti anche lontani nel futuro, è solo lo sfondo di un affresco in cui Asimov profonde tutta la sua abilità di narratore a intreccio. È impossibile leggere i primi tre romanzi della serie senza provare qualcosa di molto simile all'entusiasmo: personalmente ricordo un'esperienza del genere nell'estate 1971, più di vent'anni fa, quando il primo "Millemondi" estivo riunì in un volume unico la grande saga.
Per anni la gente chiese un seguito, ma Asimov era fermamente intenzionato a non scriverlo. In America, Lester del Rey minacciò di farlo lui stesso, se non ci avesse pensato il buon dottore: in Italia il pittore Giuseppe Festino si spinse a immaginare titolo e copertina del quarto, mitico romanzo: Terza Fondazione. Ed erano tempi non ancora sospetti! Poi, qualche anno dopo, convinto dalle pressioni della Doubleday, Isaac Asimov riprese i personaggi di quarantanni prima (la serie, come si sa, aveva avuto origine sulle pagine di Astounding intorno alla fine della guerra) e scrisse L'orlo della Fondazione. Il resto, come amano dire gli americani, è storia.
Ho scritto in diverse occasioni sull'opera di Asimov. che dal 1984 è diventato per me una sorta di fidato e onnipresente compagno di lavoro; non avrei mai voluto tornarci in un'occasione come questa. D'altronde, "perché cercate fra i morti colui che è vivo?": preferisco impostare il problema in termini biblici. Chiedete agli appassionati di Agatha Christie se la loro autrice preferita è scomparsa; chiedetelo a quelli di Wells, Verne, P. G. Wodehouse, Edgar Rice Burroughs, Lovecraft e ora anche di Asimov. Gli autori veramente popolari hanno una sorta di vita "usurpata": appartiene a loro ma anche al pubblico, alle generazioni sempre nuove che si succedono a chiederne le opere. Isaac Asimov avrà una lunghissima vita, dunque. Salutiamolo da qui con tutto il rispetto che si deve a un uomo che fa parte della nostra esistenza, come e più di tanti altri che conosciamo.

FINE