Science Fiction Project
Urania - Racconti d'appendice
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PROGETTARE L'IMPOSSIBILE E ALTRE AVVENTURE - Fabio Gariani

Teletrasporto, viaggi nel tempo, levitazione elettromagnetica, robot parlanti, gravifotonica, antigravità: queste, in sintesi, alcune delle grandi, secondo alcuni scienziati impossibili, realizzazioni tecnologiche del prossimo millennio.

Nella maggior parte dei romanzi e delle produzioni cinematografiche di fantascienza, vengono presentate soluzioni tecnologiche grazie alle quali equipaggi di astronauti o geniali, ma folli, inventori riescono a trasmettere su lunghe distanze (in alcuni casi "stellari", come per esempio le squadre di sbarco esplorative dell'astronave Enterprise dell'inimitabile serie televisiva degli anni 60 Star Trek) cose e persone, mediante un fascio di energia, annullando in questo modo ogni barriera di spazio e tempo.
Ma in realtà, cos'è il teletrasporto? Gli scienziati cosa ne pensano? Potrà divenire veramente una realtà del prossimo futuro?

Verso la Luna, cavalcando un turbine di particelle

Per teletrasporto, intendiamo l'effettiva disintegrazione fisica di una persona o di un oggetto, e la sua rimaterializzazione a distanza, nella stessa forma originaria, in tempi istantanei.
Recentemente questo termine, rimasto di esclusivo appannaggio di scrittori, sceneggiatori e registi, è entrato a far parte della terminologia adottata dai fisici teorici, grazie a un interessante articolo pubblicato sulla testata americana Physical Review.
Il direttore editoriale della rivista ha infatti accettato di pubblicare il pezzo, scritto da sei scienziati di nazionalità diverse (due americani, un australiano, un israeliano e due canadesi), che esplora le fattibilità tecnico-ingegneristica di questa nuova possibilità di viaggiare.
Ai più esperti potrebbe apparire come una scandalosa violazione del famoso principio di indeterminazione che, scoperto nel 1927, continua ad assillare tutta la comunità dei fisici. Il problema è annoso: saremo in grado di conoscere con precisione le proprietà fisiche di una particella.subatomica senza riuscire a riprodurne una perfettamente identica? Il grande Albert Einstein, interrogato sul quesito, si espresse in modo fortemente scettico: infatti, secondo il fisico, la meccanica quantistica - la disciplina che si fonda su questo concetto - sarebbe errata o in parte incompleta perché si basa su un modello teorico che dimostra come, seguendo la teoria fino alle estreme conseguenze, i risultati non possano mai essere razionalmente inquadrati e matematicamente prevedibili.
Per esempio, la teoria prevede l'esistenza di coppie di particelle subatomiche gemelle, perfettamente identiche tra loro: un cambiamento improvviso, condotto anche a distanza, causerebbe un mutamento analogo nell'altra. Circa questa caratteristica, un giorno Einstein avrebbe ironicamente commentato il fenomeno affermando che le particelle dovrebbero essere "telepatiche".
Molto più tardi, e per la precisione nel 1980, alcuni ricercatori dimostrarono il contrario. Le coppie gemelle esistono davvero, fornendo gli esatti valori dei dati per la messa a punto della trasmissione di materia. Gli scienziati sono anche riusciti a trasmettere olograficamente, su lunghe distanze, rappresentazioni 3D di una persona o di un oggetto, ma mai l'involucro fisico, a causa di due fattori: il primo ci ricorda che non siamo ancora capaci di trasmettere una descrizione completa di una forma fisica complessa (e, per contro, tutti gli atomi e le molecole che la compongono), ma soltanto quella legata a una sua proprietà. Inoltre, bisognerebbe eseguire e gestire lo scambio di informazioni ad altissima velocità, comprese tutte le informazioni dell'oggetto teletrasportato (pensate alla struttura cellulare di un uomo, al suo DNA, agli organi, ai miliardi di neuroni e a tutto il resto) che poi andrebbero riconvertiti nella forma originale. Il vantaggio dell'applicazione in un futuro remoto potrebbe essere quello dell'abbattimento fisico delle barriere legate ai trasporti di passeggeri e merci, oppure alla possibilità di "teletrasmettere" un vascello spaziale con relativo equipaggio sulla superficie lunare in un secondo, senza i costi e i rischi della propulsione chimica.

Sulla Terra, senza peso!

Completamente diversi sono la tecnologia e i progetti (e per quest'ultimo caso sono veramente numerosi) legati all'ingegnerizzazione di possibili "motori antigravitazionali" in grado di annullare il campo di gravità della Terra.
I primi elementi certi, legati a determinate ricerche, nascono dagli studi condotti nel 1986 da parte del fisico Ephraim Fishbach del dipartimento di Fisica della Purdue University. Il geniale scienziato avrebbe affermato di aver rianalizzato un esperimento condotto nel lontano 1909 per mezzo della bilancia di torsione del barone von Eotvos. Negli appunti di quest'ultimo, Fishbach avrebbe rilevato la presenza di una nuova forza, sconosciuta, opposta alla gravitazione.
In questi ultimi anni, numerosi esperimenti, più o meno riusciti, sono stati condotti in svariati laboratori di ricerca del mondo, anche se sempre di più sono i fisici che credono che la misteriosa forza Fishbach sia da imputare ad alcune anomalie, legate ad altre cause.
«... Dobbiamo ricordare - ha ricordato in una recente conferenza stampa il fisico teorico Terry Goldman del National Laboratory di Los Alamos nel Nuovo Messico - che come i fotoni possono essere considerati una specie di "briciole" di luce che costituiscono una parte dello spettro elettromagnetico, analogamente devono sussistere "briciole" di gravità. Questa visione granulare delle forze - ha continuato Goldman - viene definita dagli scienziati quantizzazione. Nel caso specifico della gravità, l'esistenza di una sola particella porta nella teoria alcune gravi contraddizioni; per questo è nato un modello più complesso che prevede l'esistenza di tre particelle che danno vita al gravitone, al graviscalare e al gravifotone. Quest'ultimo, se riusciremo a comprenderlo, potrebbe avere interessanti effetti repulsivi anziché attrattivi».
Potremmo, dunque, applicare ai motori di prossima generazione, forse, la propulsione gravifotonica? Le auto voleranno? Raggiungeremo più velocemente i pianeti del nostro sistema solare? Le telecomunicazioni e il contatto tra gli esseri umani nel mondo saranno più veloci, rapidi e sicuri? Per ora, non esiste una risposta certa; ciò che è sicuro è che molti dei finanziamenti legati alle ricerche di questo tipo si stanno indirizzando su applicazioni legate ai mezzi di trasporto del prossimo secolo.

Robot con le ali?

Che la robotica sia una disciplina in crescita, proiettata verso soluzioni applicative industriali di ogni genere (basti pensare ai sensori piezoelettrici che simulano la percettività della pelle umana o il riconoscimento visivo di oggetti casuali e non memorizzati da parte della macchina) è risaputo da molti operatori del settore. Ma le nuove soluzioni sperimentali che hanno come protagonisti gli insetti, gli "animoidi" come sono stati definiti recentemente da alcuni ingegneri elettronici giapponesi, rappresentano la punta dell'iceberg della nuova frontiera della ricerca legata all'automazione.
Per capire queste nuove tendenze, è facile: andate in campagna in una bella giornata di sole e osservate attentamente il movimento dinamico dell'ecosistema rappresentato da un formicaio. Oppure, se il vostro stomaco è abbastanza forte e non vi turbate facilmente, guardate il movimento di uno scarafaggio. O ancora, tenendovi a rispettosa distanza, osservate il veloce rivolvere delle api intorno all'alveare.
Si, poiché se da un lato molti laboratori di ricerca americani ed europei si stanno indirizzando sul concetto di "umanizzazione" antropomorfa della macchina, in numerosi centri di ricerca giapponesi sono allo studio interessanti prototipi di insettoidi robot capaci di una serie di azioni e movimenti interattivi con il mondo esterno.
Se da un punto di vista intellettivo le comunità di insetti come formiche, api, scarafaggi e così via sono da considerare "stupide", messe insieme queste forme di vita cooperano fornendo prestazioni straordinarie che per gli esseri più grandi e complessi sono impossibili.
Partendo da questi presupposti molti ingegneri e tecnici hanno ritenuto interessante indirizzare i propri studi sui prototipi in tal senso, costruendo microrobot capaci di svolgere compiti sofisticati quando lavorano in simbiosi.
I primi animoidi di forma insettoide dotati di ali (come una specie di "farfalle sintetiche") furono sviluppati dal prestigioso MIT (Massachusetts Institute of Technology) da parte del prof. Rodney Brooks e dai suoi assistenti. Brooks era considerato, verso i primi anni 80, uno scienziato eretico che non perseguiva le strade tradizionali della robotica. I due volumi dai titoli più che eloquenti - Intelligenza senza ragione e Gli elefanti non giocano a scacchi - Brooks ha ampiamente dimostrato che un robot tradizionale in grado di costruirsi un sistema coerente del mondo esterno, capace cioè di contemplare ogni possibile connessione, è di realizzazione estremamente complessa.
Il suo team sviluppò una tecnica, battezzata rappresentazione procedurale delle conoscenze, capace di svilupparsi e di evolversi al momento e dunque permettendo al microrobot di interagire autonomamente con il mondo.
Secondo lo scienziato americano, in questo contesto non è importante capire se il robot comprende tutto, ma piuttosto se è in grado di sopravvivere autonomamente.
Da queste premesse sono nati Attila, Annimale e Gensis, i microrobot di Brooks. Attila II, "nato" dalla precedente unità è lungo 35 centimetri, alto 12 e pesa 2,3 chilogrammi: quest'unità impiega dei riflessi coordinati per aggirare gli ostacoli, non possiede un cervello centrale bensì nei suoi circuiti "scorre" una capacità di elaborazione distribuita nel corpo e nelle zampe. Per esempio, Attila II è in grado di aggirare gli ostacoli grazie a 150 sensori di 12 tipi differenti, che gli consentono di analizzare contemporaneamente il terreno sul quale sta camminando e compiere esplorazioni in luoghi difficilmente accessibili per un uomo (reti di tubature o tunnel sotterranei). I dati vengono inviati sotto forma di immagini visive a un'unità di acquisizione collegata attraverso una piccolissima telecamera miniaturizzata montata sul dorso.
In questo caso, come ha ricordato Brooks, Attila II non deve sapere che tipo di ostacolo ha innanzi: basta che lo eviti in qualche modo e prosegua nel suo percorso.
L'applicazione diretta di questo microrobot lo vede protagonista anche nel campo spaziale. Difatti, la NASA ha stanziato un piccolo budget per la messa a punto di una versione astronautica dell'animoide del MIT da impiegare durante la prossima esplorazione del pianeta Marte, affiancandosi agli astronauti.
L'unità avrà il compito di inviare agli uomini sbarcati precise informazioni sulla composizione del terreno e sulla densità dei minerali, la chimica dell'atmosfera e la distribuzione delle sostanze, volando per chilometri in avanscoperta davanti all'equipaggio e operando come sonda d'avanguardia.

Cooperare per un fine unico

Se gli animoidi di Brooks diventeranno anche astronauti, quelli messi a punto da alcuni scienziati giapponesi dell'Università di Tokyo in collaborazione con alcune industrie elettroniche del paese del Sol Levante svolgeranno mansioni più "terrestri".
È il caso di un insettoide dotato di sei zampe meccaniche, lungo 50 centimetri e i cui movimenti sono gestiti da una serie di chip distribuiti in un hardware relativamente complesso, concepito per imitare la rete neuronale di un insetto vero, costituita in questo caso da 37 neuroni. A differenza dei processi decisionali tradizionali impiegati in informatica, implementati su una serie di deduzioni successive in logica binaria (1-0, sì-no, bianco-nero e così via), la rete neuronale imita il più complesso sistema usato dagli esseri viventi: ogni parte della rete coopera con le altre attraverso valutazioni sfumate e operanti secondi i principi della cosiddetta "Fuzzy-Logic", per i quali un oggetto può essere "un po' più piccolo" di un altro o "leggermente" più alto di un secondo. Gli insettoidi giapponesi coordinano i movimenti imitando quelli di uno scarafaggio, mediante quelle che sono state definite onde metacronali; in questo specifico caso, le zampe di uno stesso lato si muovono in successione come un'onda, e in questo modo anche quelle dell'altro lato, ma sfasate di mezza onda.
La loro andatura è di tipo tripoide, cioè simile a quella degli insetti veri, nei quali vengono messe a terra contemporaneamente le zampe anteriori e posteriori da un lato e quella centrale dall'altro.
Nel caso che incontri un ostacolo, la zampa ricerca subito un altro appoggio a tentoni, attraverso le sopracitate soluzioni di "Fuzzy-Logic" e, a seconda dei casi, lo scavalca o lo aggira. Esperimenti condotti in questo caso hanno permesso all'Università di Tokyo di far camminare in tutta sicurezza l'animoide sui tetti spioventi di alcune case, senza che il microrobot cadesse al suolo.
Secondo alcuni scienziati impegnati nel progetto, interrogati recentemente in un simposio tenutosi a Parigi e dedicato alle nuove tecnologie dell'automazione, i primi insettoidi commerciali giungeranno molto presto sul mercato, invadendolo.
Le tecnologie sono ormai tutte a disposizione e anche i costi non sono risultati eccessivi; la lista dei compiti a cui saranno destinati questi compagni minuscoli dell'umanità del futuro è lunga e li vedrà impegnati nelle pulizie di case, uffici e alberghi, come sentinelle d'allarme contro gli intrusi o nel caso di incendi o fughe pericolose di gas. Potranno rivestire i panni di saldatori, esploratori, carpentieri e lattonieri; ripareranno tubature del gas o dell'acqua, e si intrufoleranno nei luoghi più inaccessibili all'uomo. All'esterno, invece, volando come api meccaniche, potranno tenere a bada il livello dell'erba dei giardini tagliandolo al punto giusto, raccogliere le foglie secche o concimare. L'unico limite? L'immaginazione umana...

Logic instinct...

Parliamo meglio della "Fuzzy-Logic", tanto discussa ma ancora poco diffusa. Questa nuova branca, se così possiamo definirla, dell'informatica nasce nell'assolata California, nella mitica Silicon Valley venticinque anni orsono, per mano dello scienziato e ricercatore Lofti A. Zadeh dell'Università di Berkeley. Il termine Fuzzy corrisponde, in inglese, alle nostre parole "indefinito", "incerto", "indeciso", mentre i giapponesi (grandi utilizzatori di questa nuova branca delle scienze cognitive) la definiscono "fuaji" (semplice traslitterazione dall'inglese).
Oggi settantenne, Lofti ha continuato a migliorare e ad applicare il concetto di "Fuzzy-Logic" non solo all'informatica nel senso più generale del termine ma anche al settore legato all'automazione e alla robotica.
Questo nuovo modo di pensare la programmazione delle macchine cerca di affrontare il problema della descrizione degli eventi del mondo che ci circonda generalizzandoli, in modo da tener conto della vaghezza e dell'imprecisione che possono essere tipici di una mente umana se comparata alla ferrea logica della macchina. Secondo la teoria del professor Zadeh, infatti, una serie di misurazioni "discrete" della velocità potrebbero essere raggruppate in un insieme o area centrata intorno a un punto e, in seguito, potrebbero essere definite nella maniera voluta dal programmatore: per esempio, usando termini come "alta" o "bassa" velocità unita a valutazioni del genere "forse", "abbastanza", "più o meno" e così via.
Questi elementi, così generici e sfumati che per un pc o un robot possono essere fonte di disorientamento cognitivo, mediante i sistemi "Fuzzy-Logic" diventano accettabili nel processo di elaborazione.
I concetti basilari di Zadeh sono stati in seguito acquisiti, potenziati e migliorati negli anni successivi grazie anche all'andamento della tecnologia e del suo mercato. Infatti, a due decenni di distanza, l'americano Burt Kosko - matematico, filosofo, economista, musicologo e ingegnere elettronico - ha genialmente unito in un trattato esaustivo l'enunciazione teorica della "Fuzzy-Logic" insieme al calcolo della probabilità tradizionale.
Secondo i due scienziati la logica sfumata avrebbe dovuto fornire ai ricercatori una nutrita serie di strumenti capaci di consentire l'indagine di tutti quei fenomeni per cui non è disponibile una serie di grandezze esattamente misurabili, legate a settori quali la psicologia, lo studio delle emozioni, l'economia, il trasferimento di "sensazioni" a robot sperimentali e così via.
La realtà, al contrario, è stata molto diversa per gli scienziati. Infatti, la prima e concreta applicazione della "Fuzzy-Logic" si è avuta nel 1980 in Svezia. Qui una catena di robot della vecchia generazione, guidata da un network di pc in ambiente Ms-Dos, sovraintendeva alle fasi di produzione e spedizione di un grosso cementificio.
Un ulteriore passo in avanti è stato fatto in Giappone, con l'installazione di sistemi automatici asserviti alla "Fuzzy-Logic" all'interno della metropolitana di Sendai, un centro urbano distante 300 chilometri da Tokyo; qui, un sistema di controllo dell'accelerazione progressiva della frenata dei convogli metropolitani, realizzato dagli ingegneri dell'Hitachi, assicura ancor oggi ai passeggeri una corsa dolce e senza scosse improvvise, tanto che le maniglie di appoggio dentro ai vagoni sono state rimosse.
Secondo Burt Kosko la "Fuzzy-Logic" inizia nel punto esatto in cui la logica occidentale termina: il nostro modo di pensare e creare modelli astratti è essenzialmente di tipo dicotomico e implementato su di una serie di decisioni del tipo "vero o falso", "sì e no", "positivo e negativo". Anche la logica binaria, mattone universale di numerosi linguaggi di programmazione per computer, in realtà è tutta una dicotomia. Il nostro mondo, l'universo che ci circonda, spesso sfugge e si ribella a questo tipo di inquadramento, ed è per questo che la statistica, il calcolo delle probabilità e l'Intelligenza Artificiale - che potrebbero essere visti come campi entro i quali ascrivere in una cornice deterministica e misurabile avvenimenti casuali - rappresentano una parte fondamentale della ricerca matematica attuale, raggiungendo modelli e teorie di notevole complessità. Ma molte realtà della vita vengono affrontate, e in alcuni casi risolte da tutti noi, senza ricorrere ai meccanismi logici di base, senza prendere in esame tutti gli aspetti probabilistici della questione.
Per esempio, noi non calcoliamo la probabilità di rischio se attraversiamo la strada con il rosso: sappiamo soltanto che può essere "pericoloso". È logico come concetto, ma al tempo stesso contiene gli elementi Fuzzy. Questo modo di ragionare è tipico del sistema inventato da Zadeh e potenziato da Kosko. Infatti, con questo nuovo sistema di approccio e programmazione il problema può essere affrontato in modo diverso, attribuendo un valore all'appartenenza di un dato insieme. Gestendo queste funzioni in maniera appropriata, è quindi possibile per i programmatori "essere generici" in modo adeguato, risparmiando preziose risorse di calcolo in tutti quei casi in cui non sia richiesta un'assoluta precisione. Possiamo inoltre aggiungere che la "Fuzzy-Logic", essendo stata creata per gestire la variabilità in continuo, mette in condizioni qualsiasi sistema che la impieghi a reagire con maggiore flessibilità. Negando, per contro, la dicotomia e la possibilità di appoggiarsi su strutture e definizioni precise, la nuova logica sta creando nuove frange di ricercatori e sostenitori che in qualche modo mettono in crisi gli esperti di informatica e programmazione tradizionale.
L'orizzonte della "Fuzzy-Logic" è sempre in movimento. Recentemente la NASA ha messo a punto e sperimentato a terra un complesso sistema di attracco a moduli spaziali russi e della futura stazione orbitale Alpha, capace di interconnettere il vano cargo di uno Space Shuttle a una struttura esterna. In Giappone e in Svezia, invece, si stanno studiando alcuni prototipi di robot semoventi equipaggiati con programmi in "Fuzzy-Logic", capaci di muoversi in ambienti esterni, telecomandati, in grado di riconoscere oggetti e persone esterne, evitare ostacoli e di comunicare vocalmente con un sistema ancora primordiale di sintesi del parlato.
La tecnologia offerta dal sistema di Zadeh e Kosko, come in tutte le nuove applicazioni tecnologiche emergenti, ha i suoi limiti. Uno di questi è l'eccessivo tempo necessario per consentire alla scheda neuronale di prendere una decisione impiegando le regole di inferenza. Gli studi e i modelli applicativi proposti dai ricercatori della Matsushita hanno messo a punto quella che è stata definita in tempi recenti la "neuro-Fuzzy-Logic", la tecnologia delle reti neuronali che presentano tre aspetti vantaggiosi: regole ben definite, capacità di apprendimento 45 volte più veloce dei sistemi precedenti, possibilità di generalizzare la conoscenza già acquisita per rispondere a input esterni non determinati.

E il computer parlò...

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Non siamo impazziti.
Stiamo parlando della possibilità, in un futuro non molto remoto, di interagire vocalmente con il nostro computer, "dettandogli" articoli, relazioni, lettere, documenti e informazioni di varia natura e di ricevere le dovute risposte.
La sintesi vocale nelle macchine (computer e robot di vario genere) è rimasta per lunghi anni rinchiusa all'interno delle inaccessibili torri d'avorio dell'alta tecnologia, vuoi per una certa riservatezza legata ad alcuni importanti esperimenti (progetti per lo più finanziati da enti governativi militari), vuoi anche per l'effettiva mancanza di risultati pratici da presentare a un vasto pubblico.
Oggi, qualcosa sta cambiando. In positivo, si intende. Infatti la riproduzione più fedele che un computer può fornire nella sintesi del parlato, quale evento fisico, è quella di una serie di numeri che indicano l'ampiezza dell'onda sonora, ovvero la sua pressione rilevata da un microfono, a una serie successiva di istanti.
Tale serie di numeri costituisce quella che viene chiamata forma digitalizzata dell'onda e 10000 numeri al secondo costituiscono la frequenza tipica di campionamento per questa rappresentazione, mentre 12 bit per un numero sono sufficienti per catturare lo spettro di variazione. La tecnologia per passare dall'onda sonora alla sua forma digitalizzata memorizzata in un computer e viceversa è ormai abbastanza matura in molti laboratori di cibernetica. Tuttavia, è importante ricordare in questo contesto, che sebbene memorizzare blocchi di messaggi secondo questa modalità e riprodurli all'occorrenza sia possibile, esistono diverse ragioni per considerare preferibile una rappresentazione in forma più astratta. Alcuni ingegneri del software del prestigioso MIT di Boston, negli Stati Uniti, li hanno così identificati:
1) Le forme d'onda digitalizzate occupano molto spazio nella memoria del computer. Per esempio, la frase "... siamo pronti a sganciare il satellite dalla stiva dello Space Shuttle!", che ha una durata di qualche secondo, implica alcune importanti conseguenze nella sintesi vocale computerizzata. Al ritmo di 10000 numeri da 12 bit al secondo, questo valore cresce a 240000 bit. Alcune tecniche di decodifica del suono possono ridurre e compattare questa quantità di un fattore tra 5 e 10, portandola a circa 30000 bit. Se registrata sotto forma di testo, la frase occupa soltanto 296 bit.
2) Brevi forme d'onda digitalizzate non possono essere concatenate in espressioni più lunghe in una forma che sia percepibile in modo soddisfacente. Saldandole insieme tra loro, le forme corrispondenti a parole registrate isolatamente producono un suono confuso che spesso dà adito alla percezione di voci diverse, anche quando le parole emesse dall'operatore erano state originariamente pronunciate dalla stessa persona.
3) Ultimo fattore, ma non per questo meno importante secondo gli scienziati del MIT, è che non possediamo una misura della distanza che possa essere applicata nei processi di riconoscimento di forme d'onda non analizzate, in modo da permetterci di riconoscere come più vicine tra loro le parti della stessa parola o della stessa frase, o più distanti parti appartenenti a parole o frasi indistinte.
Ma cosa succede, in breve, quando noi parliamo? Il suono crealo dalla nostra laringe viene modellato in proporzione superiore del tratto vocale. La laringe è capace di vibrare a una frequenza di 100 Hz producendo armoniche a 200, 300 e 400 Hz, più precisamente nelle frequenze multiple.
La forma della bocca, che dipende da come vengono posizionate la lingua, le labbra, le mascelle, può far sì che alcune di queste armoniche vengano attenuate mentre altre (che possiedono frequenze prossime a quella di risonanza del tratto vocale) vengono trasmesse inalterate. Nel caso del suono prodotto da una voce neutra, per esempio, passeranno inalterate le armoniche con frequenze pari a 500, 1500, 2500 Hz (in termini tecnici, la quarta, la quattordicesima e la ventiquattresima), assieme alle altre, leggermente più attenuate, che possiedono frequenze situate nelle immediate vicinanze.
Nel settore dell'AI (l'Artificial Intelligence, l'Intelligenza Artificiale), la rappresentazione del parlato in computer e robot sperimentali è conosciuta dagli ingegneri con il termine di vocoder. Mentre nella forma d'onda digitalizzata è necessario rappresentare una specifica ampiezza dell'onda sonora migliaia di volte al secondo, in un ambiente supportato dal vocoder l'energia corrispondente a una data banda di frequenza viene mediata su un tempo pari a un centesimo di secondo, rendendola così adatta a risintetizzare un'onda con caratteristiche sonore molto simili all'originale. Molti ricercatori americani, e recentemente anche studiosi giapponesi, sono in grado di "leggere" le parole progettate per macchine parlanti, o di comporre frasi coerenti, guardando semplicemente il grafico vocoder che a loro corrisponde.
Un terzo tipo di rappresentazione vocale per i computer del prossimo secolo, diffusasi recentemente in molti laboratori di ricerca internazionale, è il Linear Predictive Coding (in sigla LPC). Quest'ultimo sfrutta efficacemente le soluzioni efficienti rappresentate dagli algoritmi e messe a disposizione degli scienziati. L'LPC, o più semplicemente "codifica in assunzione di linearità", deve la sua efficienza all'assunzione semplificatrice che il tratto vocale possa essere assimilato a un filtro digitale ricorsivo con soli poli. Si può dimostrare che questo filtro è equivalente, in termini di acustica, a un gruppo di cavità risonanti della stessa lunghezza messe in serie. Tutte queste rappresentazioni, è importante ricordare, sono di tipo fisico; sono indipendenti dal linguaggio e sfruttano solo il dato che i suoni vengono prodotti dall'apparato umano di emissione della voce.
Oltre a essere più compatte della rappresentazione tramite forma d'onda, presentano molti vantaggi anche rispetto alle considerazioni che abbiamo menzionato più sopra. Con esse è possibile separare nettamente gli effetti derivanti dalla configurazione del tratto vocale da quelli legati alla frequenza di vibrazione della laringe.
Inoltre, è possibile definire una distanza fra suoni emessi che dipende esclusivamente dalla caratterizzazione del tratto vocale e che consente di raggruppare i suoni secondo criteri intuitivamente ragionevoli.
Questo sistema, messo a punto dal ricercatore americano Lowerre, unanimemente giudicato da molti scienziati uno dei sistemi che più fedelmente si è attenuto ai criteri discriminanti di sintesi vocale che abbiamo ricordato, ha rappresentato una conferma pratica della possibilità di far parlare computer e robot in modo corretto e fluido. In esso sia la conoscenza grammaticale delle parole che i vincoli venivano attivati al momento della compilazione delle frasi.
All'inizio Harpy esamina la frase, successivamente smembrata, mediante l'applicazione di vincoli fonetici e, in seguito, ridotta a un certo numero di combinazioni accettabili di segmenti acustici che in pratica assomigliano alle dimensioni di un fonema.
La scelta viene condotta entro una gamma di 98 segmenti acustici differenti; successivamente, invocando la grammatica finita del linguaggio del sistema, si procede alla costruzione di una vasta rete, nella quale ciascuno dei cammini di attraversamento tocca i frammenti costituenti una delle possibili segmentazioni della frase che il computer o il robot deve esprimere.
A questo punto il sistema Harpy è capace di interpretare un flusso di parole in modo corretto al 95%, impiegando un vocabolario (in questo caso inglese) di oltre 10000 parole e rispondendo a cinque operatori diversi (sia uomini che donne, quindi con tonalità vocali dissimili). Tanto il vocabolario quanto le frasi sono stati selezionati in modo da evitare possibili confusioni; per esempio, alcune parole venivano inserite solo in una delle frasi ammesse. Il sistema occupava una porzione di memoria pari a 100 K di parole da 36 bit ciascuna all'interno di un computer DEC10, capace di emulare un lavoro di 100 milioni di istruzioni al secondo.
L'attuale interesse nella ricerca sulla sintesi vocale dovrà in qualche modo condurre la tecnologia alla messa a punto di metodi che rendano i computer, i supercalcolatori e i robot del prossimo millennio capaci di aggiungere un maggiore spessore al parlato, rendendo il lavoro e l'interazione con gli operatori umani diretta, immediata e operativa. Avremo, per contro, computer simili a HAL9000 del famoso e intramontabile film 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick? Un quesito, quest'ultimo, che ci attende dietro l'angolo della strada del futuro...

FINE