Science Fiction Project
Urania - Racconti d'appendice
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SCIENZA, SATIRA E COMUNICAZIONE - Riccardo Valla

In un certo senso, è ovvio che viviamo in tempi di fantascienza e che, anzi, ogni generazione vive nella fantascienza di quella che l'ha preceduta: negli anni Venti, con la diffusione dell'aereo, del sommergibile, del cinematografo, si viveva in mezzo alle macchine che Verne aveva immaginato nei suoi romanzi, e negli anni Cinquanta si realizzavano le previsioni della fantascienza degli anni Trenta, dall'energia nucleare ai supersonici e ai razzi. In casi del genere, come tutte le cose vive, anche la fantascienza invecchia, talvolta bene, talvolta male, e se si pensa di lodarla per le previsioni azzeccate o di biasimarla per quelle mancate, come in passato si è visto molte volte, si è fuori strada: le previsioni dovrebbero valere soltanto per il giorno in cui vengono fatte. Qualcuno, in una vecchia rivista di fantascienza, parlava dei sorrisini che si scambiavano i soci dei club di science-fiction quando arrivava, in mezzo a un gruppo di sofisticati lettori di Pohl e Sheckley, qualche vecchio appassionato che decantava le avventure dei Lensmen o le storie di Murray Leinster; da allora è passata una generazione e gli stessi sorrisini toccano a chi parla di Pohl ai lettori di Gibson: è la punizione che ci siamo meritati perché noi, lettori di Urania e di Galaxy, abbiamo riso di certi vecchi fan alla garibaldina che magnificavano Jean de la Hire o le avventure del Nittalopo, entrambi rintracciabili nella vecchia produzione di Sonzogno o del Corriere (ne ricordo un paio: un tale Briccarello, che traduceva libri da quattordici lingue e che aveva scritto un romanzo di fantascienza; un altro, Ameodo, proprietario di una bancarella di libri usati, che quando gli si comprava un vecchio Cosmo diceva sempre che il più grande romanzo fantastico era La rivolta delle pietre di Leon Groc).
Tutt'al più, negli ultimi anni, si può avere l'impressione che la fantascienza sia stata tradita dalla scienza, la quale si è fermata e si limita a rifinire le vecchie scoperte, costruendo apparecchi sempre più precisi e miniaturizzati, ma senza produrre niente di realmente nuovo. Di solito si riconduce questa impressione a fattori come la riduzione degli stanziamenti per la ricerca, alla ritrosia delle grandi multinazionali a lanciare sul mercato prodotti nuovi finché quelli vecchi continuano a vendere, al clima generale di protesta contro la scienza; attraverso misteriosi cammini, tutti questi elementi interferirebbero tra loro e porterebbero a un disinteresse per la scienza. Anche il brulicare di libri di magia, astrologia, esoterismo, zen e via almanaccando sarebbe un'altra riprova che la scienza non "tiene" più e che la gente si butta nell'irrazionale. C'è però da tenere presente come la scienza sia un campo più grande del solito miscuglio di meccanica ed elettronica che ci dà cose come il jet o il telefonico: per esempio, nelle scienze biologiche si sono fatti grandi passi nel campo dell'ingegneria genetica, e l'astrofisica è un campo in grande espansione; forse la fantascienza si è occupata solo sporadicamente di biologia, ma molti spunti dell'attuale astrofisica (che oggi mette insieme campi disparati come la relatività e lo studio delle particelle) assomigliano alle idee che si vedevano nei romanzi di Niven o di Pohl. Per esempio, nella sua serie degli Heechee, Pohl espone quella che in effetti è una plausibile teoria sull'origine dell'universo: in breve, l'universo nasce da un'esplosione primordiale - il big bang, ovviamente - ma ha molta importanza quello che accade nei primissimi istanti, perché si possono formare famiglie di particelle come quelle del nostro universo, ma anche particelle instabili, e la prima particella che si forma stabilisce le caratteristiche di tutte le altre. Perciò, all'origine dell'universo, prima del nostro big bang, c'è stata tutta una serie di mini big bang con la formazione di particelle instabili; ciascuno dei mini big bang è durato pochi istanti e poi si è riformato quella specie di buco nero che prelude al big bang, poi è esploso e così via, finché per caso non è venuta fuori una combinazione di particelle compatibile con un universo duraturo. Questa ipotesi non contrasta con le leggi a noi note e porta a una creazione del mondo perfettamente casuale, soprattutto se si pensa che prima del big bang ci fosse una particella virtuale; personalmente mi sembra molto più convincente di tante elucubrazioni - successive - di Stephen Hawking, per dimostrare che non è necessario supporre l'esistenza di un Dio: l'universo può essersi creato da solo. Boh, l'aveva già detto Pohl, e meglio.
Forse è il momento di rileggere criticamente la fantascienza di Niven e dei suoi seguaci, se siamo portati per l'astrofisica, ma la mia impressione è che la fantascienza abbia fatto molto di più in un altro campo, ossia quello della satira, o come la si vuole chiamare - commedia, denuncia, castigat ridendo mores, cautionary tale - insomma nell'individuare una possibile strada che la civiltà avrebbe preso. Questo genere di storie è sorto una prima volta negli anni Cinquanta, quando autori come Pohl e Sheckley ironizzavano soprattutto sul consumismo, e dopo essersi spento per qualche tempo - anche per la mancanza di spunti - è poi ritornato in auge verso il 1970 con autori come Silverberg e Brunner. Bisognerebbe provare a rileggere i vecchi racconti di Pohl e di Sheckley con lo spirito con cui si leggono le fiabe, e probabilmente si troverebbero delle osservazioni illuminanti, che magari a quell'epoca ci sono sfuggite (un po' come si ricordano, dei vecchi film, singole battute rivelatrici, alla "Suonala per me, Sam"; la fantascienza sociologica potrebbe già benissimo essere un genere cult); del resto, buona parte di quella produzione era basata su un mordi e fuggi, su una singola trovata.
La produzione successiva, invece, quella di Brunner e di Silverberg - per citare soltanto il più impegnato e il più dotato, ma si possono anche citare Spinrad, Malzberg, Haldeman e tanti altri - ha un respiro molto più vasto e presenta situazioni molto più sfaccettate, anche se in genere, arrivati verso la fine, tutt'e due vengono presi dalla fretta di chiudere la storia. L'interessante di questa produzione è il suo legame con la comunicazione: quando uscivano quei romanzi, qui in Italia avevano soltanto la televisione pubblica ed eravamo all'oscuro di molte cose, ma oggi siamo in grado di capire che cosa volessero dire quei romanzi. Per esempio, che cosa faceva esattamente il protagonista dell'Orbita spezzata di Brunner? Aveva un programma televisivo in cui, servendosi di montaggi, mostrava episodi di malcostume: "Si dice che il tale abbia fatto questo e quest'altro. Ecco, nella nostra ricostruzione, come può essere successo", e poi il montaggio. Col senno di poi, non è difficile vedervi qualcosa come certi programmi attuali. Un altro esempio, da Silverberg. In Brivido crudele i due protagonisti sono un astronauta che è stato preso dagli extraterrestri e che è stato "migliorato" chirurgicamente da loro, con la conseguenza che adesso la vita gli è insopportabile, e una ragazza che ha donato i suoi ovuli per un esperimento di fecondazione artificiale. Dagli ovuli sono nati cento bambini, ma lei non ha il permesso di vederli, e questo la abbatte sino al suicidio. A questo punto entra in scena una specie di impresario che pensa di mettere insieme le loro lacrimevoli storie per farne un programma televisivo in varie puntate: all'epoca, il tutto sembrava alquanto arbitrario, ma il suo referente, è chiaro, sono le trasmissioni del tipo Stranamore.
Può sorgere il dubbio: ma Silverberg e Brunner volevano davvero riferirsi a quel tipo di situazione che noi scorgiamo, oggi, nelle loro storie? Forse no, forse puntavano su altri elementi dei loro romanzi e hanno messo quelle situazioni soltanto perché gli era parso che andassero bene in certi punti della storia; si tratta però di un aspetto poco importante, perché ogni buon romanzo verrà letto dalle nuove generazioni con lo spirito di quelle generazioni; al limite è la conferma che si tratta di autori con una loro precisa validità letteraria. Nel complesso, perciò, mi pare di poter rispondere affermativamente alla domanda; le utopie di vent'anni fa sono la realtà d'oggi, certo, a patto di considerare non tanto le utopie tecniche e scientifiche - perché, pressappoco, il panorama degli oggetti meccanici che ci circondano non è cambiato - quanto le utopie sui mezzi di comunicazione.

FINE